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La tassazione della previdenza obbligatoria ed il modello EET “puro”

Descritti i modelli economici solitamente utilizzati in ambito previdenziale, risulta senza dubbio utile, prima di analizzare il regime fiscale della previdenza complementare ed il modello adottato dal legislatore nella riforma del 2005 (che verranno descritti nei successivi paragrafi), prendere le mosse da quello relativo alla previdenza pubblica che, costituendone l’antecedente storico, ne ha rappresentato il modello di riferimento.

Infatti, la prima disciplina tributaria relativa alla previdenza ha interessato quella della previdenza pubblica o obbligatoria. In particolare, tale disciplina trova i suoi riferimenti nella legislazione sul lavoro dipendente dal momento che sia la fase della prestazione pensionistica (che viene tradizionalmente assimilata alla retribuzioni derivanti dal lavoro dipendente) che la fase della contribuzione (in larga misura posta a carico del datore di lavoro) trovano la loro naturale collocazione nella categoria reddituale dei redditi di lavoro dipendente.

Più specificatamente, i contributi previdenziali obbligatori per legge, sia a carico del dipendente che del datore di lavoro, sono esclusi dal reddito del lavoratore (art. 51, lett. a) del Tuir), secondo uno scherma che rinvia il momento dell’imposizione al momento successivo dell’erogazione delle prestazioni (la cosiddetta pensione). Quest’ultima costituisce un’ipotesi di reddito di lavoro dipendente per espressa scelta legislativa (art. 49, comma 2 lett.a) del Tuir) con conseguente tassazione in via progressiva su quanto erogato dall’ente previdenziale al netto delle detrazioni d’imposta (art. 11 del Tuir).

Come ribadito nella circolare 326/E del 23 dicembre 1997, costituiscono infatti redditi di lavoro dipendente, e sono, pertanto, equiparati a tutti gli effetti ai redditi che derivano da rapporti di lavoro dipendente, le pensioni di ogni genere e gli assegni ad essi equiparati.

61 L'equiparazione comporta che ogni qual volta il legislatore si riferisce ai redditi derivanti da rapporti di lavoro dipendente, ad esempio, allorquando fissa le modalità di determinazione del reddito, la previsione normativa si applica, salvo espressa esclusione, anche alle fattispecie i cui redditi sono a questi equiparati.

Per quanto riguarda la locuzione "le pensioni di ogni genere e gli assegni ad essi equiparati", con tale previsione si è inteso richiamare anche tutti quegli emolumenti dovuti dopo la cessazione di un'attività che trovano genericamente la loro causale in un rapporto diverso da quello di lavoro dipendente, come, ad esempio, le pensioni erogate ai professionisti o agli artigiani, le pensioni di invalidità eccetera, nonché quelle di reversibilità94

La scelta legislativa di delineare un compiuto sistema impositivo del meccanismo previdenziale permette fa sì che risulti superflua qualsiasi indagine in termini di non imponibilità del contributo e/o della prestazione. Infatti, l’unica elemento che rileva nella fase dell’“accantonamento” del risparmio previdenziale è la mera riconducibilità ad una contribuzione che ottemperi “a disposizione di legge” (art. 51, comma 2, lett. a), TUIR) e, dunque, priva di contenuti volontaristici (che appartengono, invece, alla previdenza privata) mentre in fase di erogazione, la configurabilità come “pensioni di ogni genere e assegni ad esse equiparati” (art. 49, comma 2, lett. a), TUIR) non comporta “sconti” in termini impositivi.

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L’intervento del legislatore tributario è dunque finalizzato ad escludere95

94 Si precisa, per quanto riguarda le pensioni di reversibilità spettanti al coniuge superstite e ai figli minori conviventi, che si tratta sempre di pensioni tra loro distinte, poiché imputabili, anche relativamente ai figli minori conviventi, iure proprio, quale diritto che sorge con la morte del de cuius e ciò anche con riferimento alle pensioni di reversibilità erogate dalla Direzione provinciale del Tesoro (cfr. Consiglio di Stato, parere n. 1744 del 1985). Si ricorda inoltre, che i redditi di lavoro dipendente e, quindi, anche le pensioni percepite dai figli minori, sono esclusi dall'usufrutto legale del genitore superstite, l'usufrutto legale, infatti, riguarda in primo luogo i beni (e non tutti cfr. art. 324 del codice civile) e, soltanto se si tratta di beni soggetti ad usufrutto legale, i relativi redditi sono anch'essi soggetti ad usufrutto legale.

da imposta la fase di accumulo del risparmio previdenziale poiché nell’eventuale silenzio normativo sarebbe stato difficile negare, già

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Rimandiamo al paragrafo 1.5.2 circa l’analisi tecnica della nozione di “esclusione” rispetto a quella di “esenzione”.

62 nella fase della contribuzione, la natura reddituale dei contributi previdenziali. Esclusione che non avrebbe potuto garantire neppure il rispetto del principio di cassa; anche le somme a carico del datore di lavoro destinante alla contribuzione previdenziale presuppongono, infatti, una definitiva spoliazione per il primo e contestualmente l’acquisizione di un vantaggio per il dipendente fin dal momento del versamento, rappresentando comunque una forma di risparmio e quindi un incremento retributivo (sotto forma di minor spesa)96. Altrimenti la loro non imponibilità si sarebbe dovuta giustificare invocando difficoltose ricostruzioni fondate sull’indisponibilità giuridica per il lavoratore delle somme accantonate per finalità previdenziale e, dunque, sulla mancanza del requisito del “possesso di reddito”97/98

Nel sistema previdenziale obbligatorio, quindi, la tassazione è solo rinviata ad un momento successivo, quello dell’erogazione della prestazione secondo uno schema, tipico dei sistemi previdenziali a ripartizione, nei quali i contributi prelevati in un periodo sono utilizzati per pagare le pensioni dello stesso periodo; schema che suggerisce di esentare la fase della contribuzione (e dell’accumulo ancorché nel sistema pubblico del tutto artificiale) deviando dall’ordinario modello di tassazione del reddito.

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L’adozione del nostro sistema tributario, che pure adotta l’imposizione sul reddito, di un’indicazione tipica dell’imposta sulla spesa (consistente nell’esenzione del reddito risparmiato) sembra appunto dipendere dalla propensione nella previdenza obbligatoria per un meccanismo a ripartizione nel quale il monte contributivo del periodo è utilizzato per pagare le pensioni dello stesso periodo e dall’esigenza di

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F. Crovato, Il lavoro dipendente nel sistema delle imposte sui redditi, Padova, 2001, 254 osserva che la situazione non è dissimile da quella per i premi pagati dal datore di lavoro per polizze assicurative o i contributi dallo stesso versati ai fondi sanitari (ancorché per scelta normativa solo oltre determinati importi).

97 F. Marchetti, La previdenza private nel sistema delle imposte sui redditi, Padova 1989, 42 ss.

63 ricostruire artificialmente il legame, essenziale per l’approccio impositivo intertemporale, fra i contributi versati e la pensione del singolo.

A tal proposito, emerge – come avremo meglio modo di evidenziare nel corso del lavoro - una chiara differenza tra le prestazioni erogate dalle forme di previdenza complementare rispetto a quelle erogate dal sistema di previdenza obbligatoria. Nel cosiddetto “primo pilastro”, infatti, i contributi sono “a monte” esclusi dall’imposizione personale sui redditi senza alcuna limitazione, al pari dei rendimenti figurativi che maturano nella fase di accumulo. Di conseguenza si realizza un rinvio integrale dell’attuazione del prelievo al momento della erogazione della prestazione pensionistica, secondo lo schema EET “puro” (esenzione-esenzione-tassazione).

Riguardo al sistema pensionistico pubblico99

Pur venendo il contribuente a perdere, in ogni caso, la disponibilità materiale delle somme accantonate per fini previdenziali, la natura pubblica (obbligatoria) o privata (volontaria) di tali accantonamenti non appare,

, è, difatti, il carattere dell'obbligatorietà che lo contraddistingue (che permette, tra l'altro, ad esso di assicurare un grado generale di copertura dell'intero sistema adeguato) a giustificarne ampiamente l'esenzione fiscale.

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Acceniamo brevemente in questa sede che nella previdenza obbligatoria (primo pilastro), l’apporto finanziario da parte delle categorie interessate si fonda sulla tradizionale logica assicurativa essendo attuato attraverso il prelievo di una quota della richezza prodotta sotto forma di contributi obbligatori calcolati sulle retribuzioni (lavoratori dipendenti) o sul reddito di lavoro autonomo o comunque sui compensi (lavoratori autonomi), ma non si esaurisce in essa risentendo comunque dell’impronta solidaristica della nostra Costituzione e dalla volontà di perseguire l’obiettivo dello Stato sociale, pur presentando elementi di rischio in presenza di fenomeni contingenti quali il calo demografico ela disoccupazione giovanile.

L’obbligazione contributiva sorge all’atto del verificarsi dele condizioni previste dalla legge, che sono quelle stesse che determinano l’automatica costituzione del rapporto assicurativo (assunzione di un rapporto di lavoro subordinato, svolgimento di un‘attività lavorativa autonoma, iscrizione ad un albo professionale o, in alcuni casi, è richiesto che il suddetto requisito venga integrato da altri elementi quali il percepimento di un reddito minimo).

L’entità dell’obbligazione contributiva soggiace alla riserva di legge e non può essere imposta per atto amministrativo; la legge tuttavia si limita a determianre le condizioni per l’esistenza dell’obbligo contributivo lasciando la quantificazione agli enti interessati in base al fabbisogno delle gestioni ed al fine di assicurare l’equilibrio finanziario.

L’importo delle contribuzioni varia in relazione a vari elementi (retribuzione, reddito d’impresa, qualifica del lavoratore etc.) senza considerare il rischio per i premi per l’assicurazione obbligatori contro gli infortuni che sono invece determinati in relazione al rischio conesso alle singole lavorazioni.

64 infatti, irrilevante ai fini della determinazione del regime fiscale applicabile: se, infatti, per effetto del vincolo di destinazione impresso all'accantonamento del reddito, si verifica, comunque, la perdita della disponibilità o del possesso del reddito accantonato da parte del contribuente (ciò che giustifica l'esclusione dall'imposta del reddito stesso) non deve assolutamente trascurarsi la differente funzione assolta dalla previdenza pubblica e da quella privata.

La discriminante tra le predette due aree del sistema previdenziale nazionale va, infatti, rintracciata nell'obbligatorietà delle contribuzioni a favore del comparto pubblico, implicante un interesse collettivo dal quale tale obbligatorietà risulta essa stessa giustificata.

Sulla scorta di tale distinzione, più precisamente, se da un lato la previdenza privata non appare godere, per quanto detto in precedenza, del medesimo riconoscimento costituzionale di quella pubblica (obbligatoria), d'altro lato la tutela costituzionale - di rango senza dubbio inferiore - del risparmio si può concretizzare soltanto nella concessione di agevolazioni, anche consistenti in regimi di esenzione, totale o parziale, dall'imposta.

L'elemento maggiormente discriminante tra previdenza privata e risparmio è, come vedremo meglio nel paragrafo 1.5.1, rappresentato dal ricordato "vincolo di destinazione" che lo scopo previdenziale imprime all'atto di accantonamento. Mentre, nel caso del risparmio, può sussistere una mera finalizzazione soggettiva dell'atto di economia, nel caso della previdenza deve necessariamente trattarsi di un vincolo oggettivo: all'accantonamento deve essere impresso un vincolo di destinazione di intensità tale per cui esso non possa essere distolto dalla funzione, in cui si estrinseca la previdenza, di protezione del lavoratore dai rischi di diminuzione o perdita della capacità di lavoro e di guadagno.

Nella previdenza pubblica obbligatoria, quindi è certamente applicabile la regola del differimento dell'imposizione sia nella fase di accantonamento dei contributi, sia nella fase di accumulazione delle

65 risorse100. Ciò dal momento che il reddito accantonato non è destinato, per sua natura, a essere investito nel mercato dei capitali e l'eventuale suo investimento non incide sull'entità delle prestazioni previdenziali, le quali, nel sistema della ripartizione (che caratterizza la previdenza pubblica obbligatoria), non dipendono dagli eventuali rendimenti finanziari.

1.5 Principi costituzionali e scelte ispiratrici della previdenza

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