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Funzione architettonica dell’arte polimaterica

2. DALLA PLASTICA MURALE ALL’ARTE POLIMATERICA

2.2. L’ARTE POLIMATERICA

2.2.4 Funzione architettonica dell’arte polimaterica

Il rapporto tra Arte Polimaterica e architettura diventa per Prampolini centrale nell'elaborazione delle sue idee su questa “nuova arte”, tanto che nel suo volume sull'arte polimaterica egli dedica un intero paragrafo alla Funzionalità architettonica del polimaterico. Prampolini passa in rassegna e chiama a sostegno delle sue idee le dichiarazioni di illustri architetti e amici, tra i quali Antonio Sant'Elia, Adolf Loos, Le Corbusier, Walter Gropius e Alberto Sartoris:

«Ho vissuto – anch'io con loro – le medesime battaglie e le dure conquiste per il rinnovamento estetico e tecnico delle arti, e con loro non posso quindi ammettere un qualsiasi ritorno o compromesso a concezioni ed espressioni superate. Se Loos, nella sua opera fondamentale «L'ornament et crime», lanciò per primo (sono ormai cinquant'anni) l'anatema contro l'ornamentale in architettura; se Sant'Elia nel 1914 (paragrafo 4° del suo manifesto) affermò: «Bisogna abolire il decorativo. La decorazione, come qualche cosa di sovrapposto all'architettura è un assurdo, soltanto dall'uso e dalla disposizione originale del materiale greggio o nudo, o violentemente colorato, dipende il valore decorativo dell'architettura futurista»; se Le Corbusier nel suo recente libro «Une maison et un palais» ribadisce: «Secondo una logica rigorosa propugnata dagli architetti razionalisti, l'architettura razionale dovrebbe escludere il concorso delle arti figurative, ci sarà facile dedurre che, in base a tali affermazioni categoriche non è concepibile una collaborazione fra le arti figurative e ornative e l'architettura

funzionale del nostro tempo»»150.

148 F. Menna, op. cit., p. 144.

149 E. Prampolini, Arte polimaterica (Verso un’arte collettiva?), cit., p. 9.

150 Ivi, p.12. C’è da precisare che nel citare il passo di Le Corbusier, Prampolini si confonde con diverse dichiarazioni effettuate dall’architetto svizzero. In realtà nel volume di Le Corbusier Une maison un palais (1928) non compare la frase citata, che invece si può riferire ad un passo della relazione di Le Corbusier al VI Convegno Volta del 1936 intitolata Le tendenze dell’architettura razionalista in rapporto alla collaborazione della pittura e della scultura: «Lo studio della tendenza che impera invece nell’architettura razionalista di escludere, come superflue secondo una logica rigorosa, il concorso delle arti figurative». Le Corbusier era dell’idea che l’architettura non avesse alcun bisogno del concorso delle arti figurative, ma d’altra parte che: «l’architettura, in talune occasioni può esaurire il suo compito e aumentare il diletto degli uomini con una collaborazione eccezionale e magnifica delle arti maggiori: pittura e

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La “nuova architettura italiana” propugnata dai futuristi si affidava, sin dal Manifesto dell’architettura di Sant’Elia del 1914, all’impiego dei nuovi materiali: poiché solo questi avrebbero suggerito lo stile architettonico della nuova Italia, senza necessità di superflue decorazioni e ornamenti. L’impiego di nuovi materiali in architettura, con l’emergere dei nuovi stili – tra cui si fa spazio il Razionalismo – portava conseguentemente in arte a una nuova visione della pittura: per cui la materia traslava sul quadro per proiettarsi poi sull’architettura.

L'idea di “applicare” creazioni artistiche all’architettura è sempre stata presente nelle teorie prampoliniane, sin dal manifesto Costruzione assoluta di moto-rumore (1915): «la pittura, la scultura, l'architettura, e tutte le altre arti, concepite a sé, non hanno più valore, essendo impotenti di raggiungere (separatamente) quell'efficacia emotiva, quel risultato d'espressione materiale, parallelo. […] attraverso l'applicazione materiale, arriviamo immediatamente all'attuazione pratica: architettura futurista, città futurista»151.

La relazione tra arte polimaterica e architettura nelle teorie prampoliniane trae evidentemente la sua ispirazione dalle idee di Boccioni, secondo il quale la scultura si doveva incamminare verso la sua origine, ossia verso l’architettura, attraverso «il concetto di fusione d’ambiente e oggetto, con conseguente compenetrazione dei piani»152.

Assieme ai futuristi, Prampolini sperimenta nella sua opera i modi concreti per far convivere arte e architettura, prima nella plastica murale e quindi nell’Arte Polimaterica: «Da questo dilemma fra le esigenze del calcolo e gli atteggiamenti sepolcrali della nuova architettura, nacque in noi futuristi l’idea di creare un nuovo aspetto della “plastica” che al di là della pittura murale o della scultura riassumesse le facoltà cromatiche dell’una con quelle plastiche dell’altra ed oltre verso un’arte polimaterica»153.

Come scrive nel Manifesto dell'arte murale (1934), per Prampolini le esigenze funzionali dell’architettura moderna non possono lasciare posto all’arte del passato: «Quale architetto funzionale, in coscienza, può fare sopportare le sue meravigliose superfici geometriche dall’incerta e indiscreta pennellata del fresco di buona memoria? Le Courbusier recentemente definiva ciò un “vagissement”. Una nuova architettura esige fatalmente una nuova interpretazione plastica delle superfici spaziali, sia nel situare organicamente la composizione, sia nella espressione tecnica»154. Nell'elaborare queste idee, Prampolini recupera anche quella che aveva definito la capacità dei “Primitivi” di legare l’arte all’ambiente:

statuaria». Inoltre egli non approvava l’uso della tecnica dell’affresco perché rispondente a un’epoca passata: «Le tele incorniciate, eseguite da professionisti non sono più una produzione ammissibile. Saranno eseguite, queste tele incorniciate, dai «pittori domenicali» durante gli «ozi» prossimi, per il piacere loro e dei loro amici […] Induciamoci a creare e manifestare l’arte dei tempi presenti. Resurrezioni? Mai, mai, mai!» (6. Convegno "Volta"…, cit., pp. 119, 125, 128-29).

151 E. Prampolini, Un’arte nuova? …, cit.

152 U. Boccioni, Esposizione di scultura …, cit., p. 4; ora in M. Drudi Gambillo, T. Fiori (a c. di), Archivi del

futurismo,cit., vol. I, p. 118; E. Crispolti (a c. di), Nuovi archivi …, cit., p. 76.

153 E. Prampolini, La Mostra nazionale di Plastica murale, in “Stile Futurista: estetica della macchina. Rivista mensile d’arte-vita”, II, marzo 1935, n. 6-7.

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133 «La calma e la profonda bellezza [delle loro] opere era dovuta anche alla loro

funzione ambientale in quanto ogni linea ed ogni forma e colore rispondevano al significato della composizione. Prima di considerare l'elemento plastico da raffigurare, i Primitivi si preoccupavano dell’architettura che doveva inquadrare le loro concezioni. Sceglievano poi le forme nella natura intima delle cose, facendo ripercuotere l'eco del loro spirito fra le superfici delle costruzioni da animare. Questa purezza ideale del sentimento per la pittura murale dei primitivi fu poi alterata nei secoli a venire dalle presunte perfezioni del Rinascimento e del Barocco, [ed] ecco così i contorni fatti per sopportare contatti e i parallelismi con l'architettura infiacchirsi [e] le opere sebbene destinate ad inquadrarsi con l'architettura finirono per non essere più la parte integrante di questa»155.

L’arte polimaterica risponde quindi, secondo l'artista modenese, ad un naturale ritorno ai tradizionali legami tra arte e architettura; e la plastica murale futurista ne costituisce una interpretazione in chiave moderna, caricata di nuove valenze sociali e politiche.

Nel volume sull'arte polimaterica, Prampolini significativamente dedica espressamente un paragrafo alla Funzionalità architettonica del polimaterico, in cui scrive: «Dopo le prime esperienze di arte polimaterica “pura" cioè d'opera d’arte autonoma, ho pensato, fra i primi, alle possibilità che questa espressione artistica avrebbe avuto identificandosi con l'architettura»156. L’artista deve dunque, in questa visione, essere utile alla società e ritrovare un contatto con essa perché quest’ultima possa trarre ammirazione e stimoli157 e, non a caso, l’insegnamento artistico in funzione architettonica era anche il principale scopo del nuovo centro studi progettato da Prampolini per educare le nuovi generazioni a queste nuove concezioni158. Tra le materie del programma della “sua” Università per la Plastica Murale non può quindi mancare il corso di “Funzionalità architettonica dell’arte murale”, finalizzato a far «apprendere la funzione dell’Arte Murale e in particolare le leggi che regolano la misura e l’armonia fra la polidimensionalità dei volumi architettonici e le costanti plastiche delle superfici ambientali»159.

Ecco così che l’arte polimaterica è proposta da Prampolini come un «altro mezzo di espressione artistica […] che può virtualmente, partecipare alla vita dell'architettura funzionale senza violarne i presupposti teorici le esigenze costruttive e i valori stilistici […]. L'arte polimaterica sta all'architettura, come l'uomo all'ambiente» poiché «il polimaterico, non è una sovrastruttura che si applica ai piani o ai volumi architettonici, ma è una continuità organica dell'architettura stessa»160. Egli spiega poi in che modo le due arti potrebbero concretamente realizzare questa unione: «La

155 E. Prampolini, Al di là della pittura verso i polimaterici, in “Stile Futurista: estetica della macchina. Rivista mensile d’arte-vita”, I, , agosto 1934, n. 2, e successivamente con lievi modifiche in E. Prampolini, Arte polimaterica (Verso un’arte collettiva?), cit., p. 10.

156 E. Prampolini, Arte polimaterica (Verso un’arte collettiva?), cit., nota n. 10, p.18. 157

MACRO, CRDAV, FEP, fascicolo 046, S VII B1, C, C1, bozza dattiloscritta dell’Arte polimaterica, senza data, p. 13.

158 MACRO, CRDAV, FEP, fascicolo 036, S V 8 C/1, dattiloscritto Promemoria per la fondazione di una

Università d’arte murale, non datato (ma: 1936-1940).

159 MACRO, CRDAV, FEP, fascicolo 036, S V 8 G/2, dattiloscritto “Aggiunte al promemoria” relativo all’Università dell’Arte Murale, p. 3.

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composizione o il complesso polimaterico (organismi animistici dell'ambiente esterno o interno) per le loro caratteristiche strutturali, formate da elementi satelliti (che si muovono dal centro alla periferia e viceversa) non solo non compromettono né forzano la fisionomia stereometrica della nuova architettura, ma anzi, con il loro significativo slancio vitale, ne aiutano visualmente la funzione costruttiva»161.

La collaborazione fra le arti e gli artisti – intesa fra architetto, artista “polimaterista” e artigiano – per Prampolini ha una funzione estetica ma anche – e soprattutto – etica, perché risponde alle esigenze della collettività: la finalità dell’Arte Polimaterica sta infatti nell’«elevare il tono dell'individuo e delle masse con la presenza in ogni spazio architettonico adeguato (dalla casa- cellula, alla fabbrica, dalla costruzione privata a quella pubblica) di un elemento animistico, che parli con un linguaggio plastico suo proprio all'anima collettiva collaborando al potenziamento spirituale di essa»162.

Egli stesso ci dà conto della sua sperimentazione pratica nella ricerca del legame tra arte polimaterica e architettura e ci dice che i suoi «primi […] saggi di arte polimaterica legata all’architettura risalgono al 1928 nel ristorante del Padiglione Futurista all’Esposizione di Torino, poi nel 1931 all’Esposizione internazionale coloniale di Parigi» e che successivamente realizza «dal 1932 al 1940 in Italia e soprattutto all’estero una serie di polimaterici in funzione architettonica – sia per interni che per esterni – destinati alle collettività. Queste opere ebbero una considerevole influenza e sviluppo nell’ambiente artistico, e fra gli architetti una pratica applicazione al di qua e al di là delle nostre frontiere»163.

Di queste opere prampoliniane di arte polimaterica, purtroppo, non sappiamo molto poiché non disponiamo di disegni né testimonianze fotografiche note. Abbiamo solo poche notizie sul Padiglione futurista all’Esposizione di Torino del 1928, tra le quali la cronaca di Fillìa, che ci racconta dell’esterno costituito da «torri reclamistiche, […] pareti colorate e [da un] formidabile movimento delle masse» e ci dà indicazioni sugli interni «decorati con materiali diversi e seguenti una linea costruttiva»164.

Ancora meno sappiamo dei “polimaterici” di Prampolini degli anni dal 1932 al 1940. Nel suo volume del 1968 dedicato a Il mito della macchina e altri temi del Futurismo, Enrico Crispolti afferma che i grandi polimaterici di Prampolini a carattere murale sono andati distrutti165; tuttavia, è verosimile ipotizzare che queste opere siano in realtà riconducibili alle “plastiche murali”, già elencate nel paragrafo sulle “opere murali”, le quali, in molti casi, erano costituite da materiali eterogenei.

È il caso ad esempio delle decorazioni del ristorante all'interno del padiglione all’Esposizione internazionale coloniale di Parigi del 1931, dell’architetto Guido Fiorini166, dove erano stati

161 Ibid. 162

Ivi, p.14. 163 Ivi, p.18.

164 Fillìa, La Prima mostra di Architettura Futurista, in “Il Giornale d’Italia”, 21 ottobre 1928, ora in E. Crispolti,

Il gruppo futurista torinese: tempi e personalità, in E. Crispolti, Il Secondo Futurismo…, cit., p.76.

165 E. Crispolti, Note su Prampolini, in E. Crispolti, Il mito della macchina…, cit., p. 293.

166 Guido Fiorini aderirà al movimento futurista solo nel 1933. Nel 1931, anno dell’incarico del ristorante del padiglione italiano all’esposizione coloniale parigina, faceva invece parte del MIAR laziale partecipando alla seconda

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realizzati da Prampolini167 sei pannelli rappresentanti «quanto di più moderno, di più lirico e di più inventivo si possa realizzare in tema «coloniale»», ossia L’écran dans le désert, Le tatuage du soleil, Phono-danse, Le fétiche mécanisé, Radio-fauves, La magie de la perle noire. Questi pannelli, secondo Marinetti e Fillìa, «davano all’ambiente una atmosfera simultaneamente africana e meccanica che rendeva, splendidamente la volontà di interpretare i motivi coloniali secondo una sensibilità moderna futurista»168.

Prampolini definisce “opere polimateriche” quelle realizzate per l'Esposizione parigina, ma in realtà nella guida ufficiale il suo intervento viene descritto più come una tradizionale pittura murale169. In ogni caso, anche se con tutta probabilità quest'opera consisteva in semplici pannelli decorativi più o meno tradizionali, il colpo di genio di Prampolini sta nel renderli comunque parte di una “esperienza polimaterica”.

All’apertura dell’Esposizione, infatti, nel ristorante viene organizzata dall’artista modenese insieme a Fillìa una serata con sperimentazioni della cucina futurista, in cui, tra una portata e l’altra, allietavano la serata canti, danze, rumori e profumi. Una vera e propria “performance totalizzante”, nella quale Prampolini compone, attraverso l’uso di diversi cibi e quindi di diverse materie, opere commestibili: come ad esempio Equatore + Polo Nord, che prevedeva «un mare equatoriale di tuorli rossi d’uova all’ostrica, con pepe sale limone. Nel centro emerge un cono di chiaro d’uova montato e solidificato, pieno di spicchi d’arancio come succose sezioni di sole. La cima del cono sarà tempestata di pezzi di tartufo nero tagliati in forma di aeroplani negri alla conquista dello zenit»170.

Colpisce l'incredibile modernità di questa originale idea, in cui Prampolini unisce arte, architettura ed esperienza spazio-sensoriale: il polimaterismo portato alle estreme conseguenze, in un’opera che sembra quasi anticipare le performance dell'arte contemporanea.