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La “lotta” per i diritti per gli artist

3. SINERGIE TRA ARTE E ARCHITETTURA: IL CONTRIBUTO DI PRAMPOLIN

3.1 LA LEGGE PER L’ARTE NEGLI EDIFICI PUBBLIC

3.2.2 La “lotta” per i diritti per gli artist

Prampolini continua ad insistere sulla promozione dell’arte e della collaborazione fra le arti, e soprattutto fra gli artisti, anche dopo la fine dell’esperienza della Casa d’Arte italiana, ponendo l’accento in particolare sui diritti artistici e sulla questione economica. Assieme ad altri esponenti del movimento futurista, nel 1923, egli firma il manifesto su I diritti artistici propugnati dai futuristi italiani. Manifesto al governo fascista – di cui si è già accennato nel paragrafo 3.1.1 – nel quale si propone al nuovo governo fascista un programma di riforme artistiche e innovazioni pratiche «rivolte a risollevare i destini artistici italiani»133.

Tra le proposte, emerge in particolare, quella della creazione di un istituto di credito artistico rivolto a sostenere lo sviluppo e la produzione dell’arte italiana: i futuristi, attraverso la pratica dell’arte, cercano di intervenire nel cuore vivo della società, senza rimanere al chiuso dei loro studi134.

Tale manifesto si basa sull’intervento di Enrico Prampolini come rappresentante italiano al Congresso Internazionale artistico di Düsseldorf, nel giugno del 1922135. L’artista italiano espone

132 V. Orazi, Nella scia dell’avanguardia…, cit., p. 283.

133 I diritti artistici propugnati dai futuristi italiani. Manifesto al governo fascista, in “Noi”, I, seconda serie, aprile 1923, n. 1, pp. 1-2. La proposta di una banca di Credito per gli artisti venne esposta da Marinetti anche nel 1925 in occasione del Convegno per la Cultura fascista di Bologna – a cui aveva partecipato anche Prampolini – e ricevette il plauso del Duce. Si veda a tal proposito E.R. Papa, Fascismo e cultura, Marsilio, Padova 1974, pp. 162, 170-171. 134 U. Apollonio (a c. di), Futurismo, Mazzotta, Milano 1976, p. 19.

135 E. Prampolini, Orientamento spirituale contro ogni reazione, cit. Il primo e il secondo paragrafo della relazione vengono ripubblicati col titolo Note programmatiche: orientamento spirituale contro ogni reazione, in “Noi”, I, n. 3-4, giugno-luglio 1923; poi col titolo Noi futuristi e gli altri, in “Vetrina futurista”, 1927; inoltre Futurismo contro

demagogismo reazionario, in F.T. Marinetti, Arte fascista. Elementi per la battaglia artistica, Sindacati artistici, Torino

1927. Il testo integrale invece è stato pubblicato col titolo Relazione positiva ad un congresso negativo, in “L’Impero”, II, 1 giugno 1924, n. 131. La seconda parte della relazione riguarda: Istituzioni economiche e di credito. Basi generali per la fondazione in un capitale fruttifero - Sottoscrizioni - convenzioni governative e comunali - Depositi a credito e depositi fruttiferi - Mutui - ipoteche.

Legislazione - e convenzioni internazionali. Legislazione delle Belle Arti per la tutela degli interessi morali ed economici degli artisti - Diritti d'autore e esenzione tasse - agevolazioni e riduzioni ferroviarie abolizione delle visite doganali e della sovraintendenza belle arti.

Istituzioni culturali e di propaganda: Gallerie per esposizioni permanenti e circolanti. Club - circoli - teatro- biblioteche-sviluppo editoriale (riviste e libri) - conferenze - concerti – congressi.

L'Unione internazionale degli artisti progressisti e la fondazione di un Consorzio internazionale per la tutela degli interessi artistici ed economici e scambi di rapporti internazionali. I benefici di una unione internazionale e la necessità di un consorzio internazionale per l'accentramento delle varie istituzioni affini per la difesa dei principi estetici e degli interessi economici.

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qui le sue idee in una relazione di 8 punti riguardanti la promozione delle arti, il ruolo degli artisti e relazioni tra essi e diritti e agevolazioni economiche per gli stessi.

Punto cruciale del programma esposto al Congresso – e conseguentemente del «manifesto- memoriale» dei futuristi – è la creazione di un Istituto di credito artistico, questione capitale che Prampolini sottolineerà in un articolo scritto insieme a Marinetti su “L’Impero” nel marzo del 1923:

«Secolo di utilitarismo il nostro, non ha veduto mai oltre l’immediato interesse. Borghesia e popolo non hanno mai sentito alcuno di quegli impulsi generosi che da Mecenate sino ai re, ai papi, ai principi del Rinascimento, dettero modo agli artisti di vivere o di operare senza preoccuparsi soverchiamente delle dure contingenze materiali. Oggi più che mai l’artista deve vivere della propria professione. Questo è un gran danno! L’artista se coscienzioso è obbligato a vivere, una vita di stenti, diversamente deve scindere la propria creazione producendo opere di carattere commerciale accanto ad opere di arte pura, quando le necessità non gli tolgano addirittura di poter attendere anche a queste»136.

Prampolini e Marinetti si mostrano ben coscienti del fatto che le disagiate condizioni economiche potevano avere conseguenze negative sulla produzione artistica e sulla qualità delle opere; e non solo: avrebbero anche potuto svilire la posizione degli artisti italiani in ambito internazionale. I due chiedono dunque di avere per l’arte lo stesso sostegno economico di cui potevano usufruire l’industria e il commercio: l’Istituto di credito artistico avrebbe dovuto sovvenzionare manifestazioni artistiche, concedere anticipazioni di credito agli artisti per il loro lavoro o per affrontare viaggi d’istruzione e di propaganda, promuovere mostre, vendite collettive con i dipinti in deposito.

Partendo da questo articolo, Prampolini e Marinetti propongono un referendum sulle pagine de ”L’Impero”, nel quale si chiede a pittori, scultori, architetti, musicisti, ma anche economisti e politici di esprimersi circa la creazione di questo istituto, la difesa degli artisti italiani e dell’«italianità in tutte le manifestazioni della vita» e sulla propaganda artistica italiana all’estero137

. In un successivo articolo apparso sempre tra le pagine del quotidiano diretto da Carli e Settimelli, Prampolini provoca i «tutori dell’arte statale» sostenendo che si sarebbero dovuti chiudere i pensionati artistici per i giovani138. Egli critica ferocemente l’«ignobile sistema d’insegnamento artistico statale, dal quale ha principio il deviamento pratico e soprattutto spirituale dei giovani iniziati all’arte»; evidenzia la mancanza di garanzie per la presenza, nelle commissioni giudicatrici, di artisti «estranei e ignoranti delle tendenze […] alle quali si rivolgono propriamente i giovani più

136 E. Prampolini, F. T. Marinetti, Un Istituto di Credito…, cit. 137 Ibid.

138

E. Prampolini, Aboliamo i pensionati artistici. ai tutori dell’arte statale, in “L’Impero”, I, , 28 giugno 1923, n. 93. Questo articolo va sicuramente collegato al manifesto di Prampolini Un proclama degli artisti italiani:

“Bombardiamo le Accademie e industrializziamo l’arte”, in “Il Fronte Interno”, III, 1-2 febbraio 1918, n. 32 e

riproposto sempre nel 1918 nel numero di febbraio della sua rivista “Noi”. Questo manifesto doveva probabilmente seguire la pubblicazione di un libretto di Filippo Cifariello Abolite le accademie per la dignità dell'arte e degli artisti edito dall’Eco della cultura di Napoli nel 1917, che deve aver senz’altro scatenato la reazione esplosiva di Prampolini. Secondo lo scultore pugliese, di una generazione precedente di quella di Prampolini, era necessario chiudere le accademie per una riforma dell’insegnamento e delle scuole d’arte, ma le sue idee tradivano ancora il legame con una visione della cultura passata.

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dotati» e l’esiguità dello stipendio annuo del pensionato; infine, denuncia come i giovani non vengano affatto incoraggiati o favoriti dai «tutori statali» affidando loro «quegli incarichi e quelle commissioni (decorazioni, ritratti, monumenti, costruzioni edilizie) per cui annualmente si spendono centinaia di migliaia di lire altrimenti date a favore di mani estranee»139.

Nel 1926 viene istituito il Ministero delle Corporazioni, con funzioni esecutive della politica economica. La “Carta del Lavoro” di Bottai inquadra l’intero corpo della società in 22 corporazioni, tra le quali figurava anche quella dei professionisti e degli artisti, affiancate dalla Confederazione nazionale delle corporazioni sindacali fasciste guidata da Edmondo Rossoni, che era andata a sostituire il sistema sindacale pre-fascista.

I timori di un’eccessiva autonomia sindacale fanno sì che la Confederazione sia smembrata in sei parti, su iniziativa di Bottai, nel 1928140. Le sei federazioni minori corrispondono alle organizzazioni dei datori di lavoro nei settori dell’industria, dell’agricoltura, del commercio, dei trasporti terrestri e della navigazione interna, dell’attività bancaria, dei trasporti marittimi e aerei141

. Il Sindacato per gli artisti, nato attorno al 1922 e successivamente trasformato in Sindacato nazionale fascista di Belle Arti, con la legge del 24 giugno 1929 ha riconosciute attribuzioni in materia di disciplina di esposizioni e mostre d’arte, di controllo capillare su tutto il territorio nazionale attraverso la pianificazione di mostre provinciali a regionali. Alla guida della struttura centrale è un Direttorio nazionale con un Segretario; mentre quelle locali avevano altrettanti direttori e segretari regionali. Il Sindacato, al quale, a partire dalla metà degli anni Trenta, viene resa obbligatoria l’iscrizione, designa anche un suo rappresentante nella Camera dei Deputati.

Tra il 1928, anno di smembramento della Confederazione nazionale delle corporazioni sindacali fasciste, e il 1934, anno di istituzione delle Corporazioni, si riscontra una generale insoddisfazione riguardo al sistema corporativo, rivelatosi poco più che un apparato burocratico creato per nascondere tutte le inefficienze, condizionato dall’assenza di potere contrattuale da parte dei sindacati e dal pesante intervento statale142.

Il malcontento aumenta soprattutto tra gli artisti, sentitisi trascurati e non valorizzati dal proprio sindacato, incapace di trovare occasioni di lavoro alternative rispetto alle mostre e alle esposizioni,

139

Ibid.

140 A. J. De Grand, Bottai e la cultura fascista, Laterza, Bari 1978, pp. 84, 87. 141 Ivi, p.87; si veda inoltre M. Carli, B. D’Agostini, op. cit., pp. 145-146.

142 Nei suoi diari, dopo la seconda guerra mondiale, Bottai dichiarerà della “mancata prima che fallita esperienza corporativa” causata da nomine dall’alto e dall’incapacità attuativa di Mussolini, in S. Cassese, Bottai, Giuseppe, cit., p. 399. A proposito del sindacalismo artistico si veda M. Cioli, Gerarchia delle esposizioni e sindacalismo artistico, in M. Cioli, Il fascismo e la ‘sua’ arte…, cit., pp. 213-227.

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come denunciato sulle pagine di diverse riviste come “Augustea”143, “Meridiano di Roma”144 o “L’Italia Letteraria”145

, solo per citarne alcune.

A questo bisogna anche aggiungere le critiche che mercanti e critici d’arte avanzano circa la debolezza e le dimensioni esigue del mercato artistico italiano, l’incapacità di internazionalizzarsi e l’assenza di un «gusto aggiornato nei compratori», per non parlare dell’inefficienza di reti di distribuzione e vendita146.

Emblematiche sono a tale proposito le parole che Enrico Prampolini, sulle pagine de “Il Tevere” 147

, indirizza a Bruno Biagi, allora sottosegretario del Ministero delle Corporazioni, dopo il suo discorso alla Casa del Fascio di Bologna il 5 febbraio 1933:

«La situazione che si è creata in questi ultimi giorni a Roma, nelle altre città d’Italia e nelle provincie in seno ai sindacati delle Belle Arti e degli architetti, è delle più sintomatiche e significative. I giovani artisti e architetti d’Italia non si sentono rappresentati, difesi e diretti dagli attuali dirigenti sindacali nelle persone dell’on. Calza-Bini, segretario del Sindacato Architetti, e dello scultore Maraini, commissario per il sindacato delle arti. L’ora delle belle lotte ideali sembra tramontata. Da un lato assistiamo all’arrembaggio di una moltitudine di energumeni lontani dall’arte, che, unicamente perché tesserati, pretendono affiancarsi a noi autentici artisti. Dall’altro lato poi, assistiamo al monopolio di quei singoli che, speculando sulle loro investiture accaparrano milioni e miliardi di lavori, facendo beneficiare i soliti amici, senza mai guardare più in là dei loro soci di studio. […] Credo – Eccellenza – che mentre lo Stato fascista persegue un meraviglioso ritmo ascensionale di ricostruzione e di assistenza nel campo industriale , commerciale, agricolo e operaio, la Confederazione degli Intellettuali, e particolarmente il sindacato belle arti in collaborazione con quello degli architetti, dovrebbe contribuire a potenziare il diritto supremo degli artisti stessi, che hanno infine un bel alto

143

R. Romoli, Lo stato corporativo. Potenziare il sindacato, in “Augustea”, XII, 28 febbraio 1934, n. 4, pp. 107- 108.

144

R. De Grada, Discussione intorno alla funzione del sindacato artistico, in “Meridiano di Roma”, II, 14 marzo 1937, n. 11; M. Tinti, Funzioni del Sindacato Artisti, in “Meridiano di Roma”, II, 4 aprile 1937, n. 14, nel quale Mario Tinti fondatore, nel 1922, della Corporazione delle Arti, e poi relegato a giornalista e critico, disapprovava la condizione in cui stava versando il sistema corporativo fascista di netta inettitudine.

145

L. Volpicelli, I Sindacati delle Arti e delle Lettere, in “L’Italia Letteraria”, X, 7 luglio 1934, n. 27; Sui

sindacati delle Arti e delle Lettere, in “L’Italia Letteraria”, X, 21 luglio 1934, n. 29; C. Mezzana, Sui Sindacati delle Arti e delle Lettere, in “L’Italia Letteraria”, X, 28 luglio 1934, n. 30; si veda inoltre M. Cloza, Dopo Oppo, Maraini, in

“L’Arte della rivoluzione”, novembre 1933 e P. V. Cannistrato, op. cit., pp. 36-37. 146 S. Bignami, P. Rusconi, Le arti e il fascismo…, cit., p.42.

147 Quotidiano romano fondato da Telesio Interlandi nel 1924. Inizialmente finanziato dall’imprenditore Vannisanti, poi sostituito direttamente dal PNF e dall'Ufficio stampa della presidenza del Consiglio, il giornale si impose rapidamente nel panorama della stampa politica, grazie soprattutto alla robusta vena di polemista dell'I., che da subito manifestò un totale appoggio alla svolta autoritaria reclamata dal fascismo intransigente. Da allora il giornale divenne un «vero organo ufficioso di Mussolini, che lo usò spregiudicatamente, fornendogli notizie riservate e facendogli assumere molto spesso il ruolo di battistrada o di contenitore ufficioso delle proprie posizioni politiche.[…] l'Interlandi risultava il giornalista più ricevuto da Mussolini a palazzo Chigi» (M. Canali, Telesio Interlandi, in

Dizionario Biografico degli Italiani, Istituto della Enciclopedia italiana, Roma 2004, vol. 62, pp. 519-520) In questo

modo Interlandi poteva tranquillamente attaccare apertamente, con beneplacito del Duce, personalità politiche o intellettuali.

181 compito da assolvere: dare un’impronta tipica all’arte e l’architettura dell’Era

fascista.»148.

Per ovviare a questi problemi, Prampolini avanza allora dei suggerimenti:

« 1) In materia d’arte e d’artisti è la qualità che vale e non la quantità, è necessario quindi fare opera di rigorosa selezione distinguendo negli inquadramenti sindacali gli autentici artisti professionisti, dai mestieranti e dilettanti.

2) Valorizzare ed esigere, che nella [eman]azione dei direttori, nazionali e regionali ci siano le rappresentanze di tutte le tendenze – come Ella ha dichiarato – e soprattutto quelle d’avanguardia destinate a mantenere il primato italiano nel mondo e perpetuate nel tempo lo spirito creatore. 3) Limitare l’attività intorno alle [quest]ioni delle mostre che costano milioni e rendono pochi centesimi agli artisti.»149.

E chiude con un’ultima proposta significativa:

« 4) Le esposizioni d’arte pura hanno fatto il loro tempo. Le arti plastiche dell’Italia d’oggi, se vogliono ambire ad un nuovo primato, devono orientarsi verso l’architettura e riprendere così la propria funzione vitale, ciò che deve tenere presente il sindacato delle belle arti. Esso in collaborazione con quello degli architetti dovrebbe quindi assumere d’autorità l’accentramento e la distribuzione agli artisti di tutti i progetti architettonici e di decorazione plastica o pittorica destinati agli edifici pubblici che sotto l’impulso del Regime Fascista si costruiscono in tutta l’Italia da parte statale, parastatale, delle provincie e dei comuni, degli enti pubblici o privati.»150.

Queste proposte di Prampolini, accanto a quelle di Mario Sironi che tra 1932 e 1933 si batte per l’unità delle arti, ne fanno uno dei pionieri nel dibattito sul rapporto tra arte e architettura in Italia, anticipando di pochi mesi la già citata circolare emanata da Benito Mussolini e di quasi un decennio le direttive della “legge del 2%”.

Nel maggio del 1934 Prampolini ripubblica, pressoché identico, questo articolo sulle pagine di “Augustea”, rivista diretta da Franco Ciarlantini, censurando i nomi di Calza Bini e Maraini e con un nuovo titolo: L'arte-vita. Per una riforma sindacale151. L’articolo è riproposto come risposta alla pubblicazione, sempre su “Augustea” di un articolo di Mario Sironi intitolato Arte ignorata, ripreso dalla “Rivista Illustrata del Popolo d'Italia” del 31 marzo dello stesso anno, e seguito da un commento dello scultore Domenico Rambelli.

148

E. Prampolini, I diritti delle Avanguardie e la riforma sindacale, in “Il Tevere”, XI, 21 febbraio 1933. Anche se Prampolini in quegli anni risiedeva a Parigi (1925-37), i suoi interventi sulle riviste e quotidiani italiani, come anche la sua presenza alle mostre, erano considerevoli e ben aggiornati sulle vicende del paese. Quest’intervento di Prampolini è segnalato anche da M. Cioli, Il fallimento del sindacalismo artistico, in M. Cioli, Il fascismo e la ‘sua’ arte…, cit., pp. 224-225.

149 Ibid. 150

Ibid.

151

182

L’articolo di Sironi auspicava una «necessaria rinascita artistica che parta dall'architettura, nonostante che la modernità abbia sollecitato arte e architettura in modo diverso. Gli artisti infatti sono andati verso l'architettura, non questa verso quelli»152. Alle parole di Sironi facevano eco quelle di Rambelli che affida all’arte il compito di illustrare le gesta del popolo italiano per riscaldare l’«architettura nuda in mezzo alla strada».153

Prampolini si riallaccia ai discorsi di Sironi e Rambelli affrontando la questione da un punto di vista pratico: a suo giudizio, occorre «esigere che queste verità vengano ascoltate da chi di competenza, dobbiamo segnalare soprattutto i problemi più gravi che attendono una soluzione pronta e integrale, affinché la nostra attività artistica sia potenziata, con alta comprensione di mezzi e orientamenti, aderenti alla ascesa spirituale e sociale della nuova Italia fascista di oggi.»154.

Temi centrali del dibattito di questi anni, dunque, al quale Prampolini partecipa da protagonista, sono gli intrecci tra le necessità economiche degli artisti e le commissioni pubbliche, e la volontà di collaborazione tra artisti e architetti per meglio rappresentare l’Italia del regime Fascista.