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Il movimento futurista e il polimaterismo

2. DALLA PLASTICA MURALE ALL’ARTE POLIMATERICA

2.2. L’ARTE POLIMATERICA

2.2.1 Il movimento futurista e il polimaterismo

Il “polimaterismo”, inteso come impiego di materiali eterogenei al concorso di un’unica opera, è pratica diffusa sin dall’antichità: le civiltà primitive usavano materiali naturali riuniti in un oggetto ciascuno mantenendo una propria fisionomia.

L’uomo ha da sempre utilizzato materie diverse nella produzione di manufatti, dalla “dimensione artigianale” dell’oreficeria e del mobilio fino alle “arti maggiori” architettura, pittura e scultura. L’impiego di materiali diversi era motivato da fini pratici e funzionali legati a determinate condizioni ambientali, ma anche da valori simbolici o magico/religiosi82.

Nel Novecento, con le Avanguardie storiche, si assiste a un momento di discontinuità con questa lunga tradizione storica, poiché si supera il concetto tecnico di materiale per concentrarsi sul valore della materia come protagonista dell’opera, la quale assume un valore estetico autonomo. Il “polimaterismo” diventa così vera e propria “arte polimaterica” con diverse accezioni e declinazioni.

All’interno del movimento futurista, in particolare, è Umberto Boccioni (1882-1916) che inizia a parlare di uso di materie differenti nel Manifesto tecnico della scultura futurista dell’11 aprile 1912, senza però utilizzare il termine polimaterismo e riferendosi più che altro ad un «insieme scultoreo»83. Il polimaterismo di Boccioni è legato sin da principio ad una nuova concezione di scultura, che, allontanatasi dai dettami accademici e tradizionali, vede la plastica soggetta alle

82 A. Marabottini Marabotti, Polimaterico, in Enciclopedia Universale dell’arte, Istituto per la collaborazione culturale, Roma, 1972, vol. X, p. 698.

83 U. Boccioni, Esposizione di scultura…, cit., p. 6; ora in M. Drudi Gambillo, T. Fiori (a c. di), Archivi del

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influenze provenienti dall’ambiente e strettamente legata all’architettura: la scultura futurista deve a suo giudizio avere un «fondamento […] architettonico […] in modo che il blocco scultorio abbia in sé gli elementi architettonici dell’ambiente scultorio in cui vive il soggetto» per arrivare ad avere «una scultura d’ambiente»84

. Il suo scopo è quello di ottenere dinamismo in scultura attraverso l’interpretazione della forma e l’utilizzo di materie diverse: «scomponendo questa unità di materia in parecchie materie, ognuna delle quali servisse a caratterizzare, con la sua diversità naturale, una diversità di peso e di espansione dei volumi molecolari, si sarebbe già potuto ottenere un elemento dinamico»85.

L’esigenza di spaziare nell’uso dei diversi materiali è prerogativa dell’intero gruppo dei futuristi, difatti oltre a Boccioni ne parlano Gino Severini86, Carlo Carrà87, Giacomo Balla e Fortunato Depero nel manifesto Ricostruzione futurista dell’Universo del 1915 e Ardengo Soffici nel suo volumetto Primi principi di una estetica futurista del 1920, nel quale dedica un sezione di due pagine alla Materia.

Anche Filippo Tommaso Martinetti (1876-1944), il noto letterato leader del gruppo è in sintonia con le dichiarazioni del Manifesto tecnico della scultura futurista: in particolare, nel Manifesto tecnico della letteratura futurista pubblicato nel maggio del 191288 scrive:

«Distruggere nella letteratura l'«io», cioè tutta la psicologia. L'uomo completamente avariato dalla biblioteca e dal museo, sottoposto a una logica e ad una saggezza spaventose, non offre assolutamente più interesse alcuno. Dunque, dobbiamo abolirlo nella letteratura, e sostituirlo finalmente colla materia, di cui si deve afferrare l'essenza a colpi d'intuizione, la qual cosa non potranno mai fare i fisici né i chimici. Sorprendere attraverso gli oggetti in libertà e i motori capricciosi, la respirazione, la sensibilità e gli istinti dei metalli, delle pietre, del legno ecc. Sostituire la psicologia dell'uomo, ormai esaurita, con l'ossessione lirica della materia. […] Le intuizioni profonde della vita congiunte l'una all'altra, parola per parola, secondo il loro nascere illogico, ci daranno le linee generali di una psicologia intuitiva della materia. Essa si rivelò al mio spirito dall'alto di un aeroplano. Guardando gli oggetti, da un nuovo punto di vista, non più di faccia o per di dietro, ma a picco, cioè di scorcio, io ho potuto spezzare le vecchie pastoie logiche e i fili a piombo della comprensione antica. […] Con la conoscenza e l'amicizia della materia, della quale gli scienziati non possono conoscere che le reazioni fisico- chimiche, noi prepariamo la creazione dell'uomo meccanico dalle parti

cambiabili.»89.

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U. Boccioni, La scultura futurista, in M. Drudi Gambillo, T. Fiori (a c. di), op. cit., vol. I, p 70.

85 U. Boccioni, Esposizione di scultura…, cit., p. 3; ora in M. Drudi Gambillo, T. Fiori (a c. di), op. cit., vol. I, p. 118; E. Crispolti (a c. di), Nuovi archivi …, cit., p. 75.

86 D. Fonti, Gino Severini. Catalogo ragionato, Mondadori, Milano, 1988, p. 146.

87 Nella Lettera di C. Carrà ad A. Soffici, in M. Drudi Gambillo, T. Fiori (a c. di), op. cit., vol. I, p. 338, l’artista piemontese parla di lavori eseguiti con carte colorate e stoffe. Si veda inoltre D. Guzzi, Il percorso di Carrà. Costanti e

variabili della pittura, in A. Monferini (a c. di), Carlo Carrà 1881-1966, Electa, Milano 1994, nota n. 28 p. 54.

88 Secondo quanto riferito da Maurizio Calvesi, Giovanni Lista avrebbe ipotizzato che fosse stato pubblicato prima il Manifesto tecnico della letteratura futurista rispetto al Manifesto tecnico della scultura futurista di Boccioni, entrambi frutto di scambi d’idee fra i due futuristi. Si veda M. Calvesi, Il problema di Boccioni scultore, in M. Calvesi, E. Coen (a c. di), Boccioni opera completa, Electa, Milano 1983, p. 109 e M. Calderoni, Arte polimaterica di Enrico

Prampolini, tesi di laurea, Facoltà di conservazione dei beni culturali, relatrice E. Bagattoni, Bologna, 2005, pp. 20-21.

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Una delle prime opere futuriste realizzata con diversi materiali, come precedentemente accennato, era stata Fusione di una testa e di una finestra del 1912 di Boccioni che, sulla stessa linea, realizza anche Testa + casa + luce (1912) e successivamente, Cavallo + case (1915). Balla e Depero ideano i “Complessi plastici” nei quali vengono impiegati materiali come «fili metallici, di cotone, lana, seta, […] vetri colorati, carte veline, […] specchi, lamine metalliche, […] congegni meccanici, elettrotecnici, musicali e rumoristi»90, in grado quindi di muoversi: in particolare, di Balla si possono ricordare Complesso plastico colorato di linee-forze e Complesso plastico colorato di frastuono-velocità (1915) e di Depero Complesso plastico motorumorista simultaneo di scomposizioni a strati e Complesso plastico colorato motorumorista di equivalenti in moto (1915)91. Gino Severini, che già nel 1912 aveva impiegato i lustrini nel Geroglifico dinamico del Bal Tabarin e in Ballerina blu , nel 1913 sperimenta tecniche miste nel quadro Natura morta con il giornale “Lacerba”.

Lo stesso Marinetti sottolinea l’importanza della materia a livello pratico in occasione della mostra alla The Dorè Galleries di Londra nell’aprile del 1914, dove si cimenta nell’esecuzione dell’opera Portrait of Marinetti by himself, che stando alle parole in catalogo sarebbe stata una «dynamic combination of objects», così come l’altra opera eseguita in collaborazione con Francesco Cangiullo Mademoiselle Flicflic Chapchap 92.

In questa fase di elaborazione delle teorie e dei lavori “plurimaterici” del movimento futurista, trova posto la nota “polemica del cerchio”, che vede protagonisti nel 1914 Papini e Boccioni sulle pagine de “Lacerba”. Nell’articolo Il cerchio si chiude, Papini critica il procedimento del collage, delle tavole parolibere e degli intonarumori, constatando in queste realizzazioni lo strappo fra creazione e azione e un ritorno dell’arte alla natura delle cose, alla realtà nuda e cruda e alla materialità dell’oggetto che poneva in una posizione passiva l’artista93

.

La replica di Boccioni, con Il cerchio non si chiude!, non si fa attendere. Boccioni insiste sui caratteri lirici ed emotivi della ricerca plurimaterica e sostiene la necessità di «tornare direttamente alla realtà» per riconoscervi nuovi elementi emozionali, ed evidenziando come nella produzione futurista elementi di nuda realtà vengono «assorbiti, sintetizzati e deformati nell’astrazione dinamica»94. Segue la contro-risposta di Papini, il quale accusa Boccioni di non rispondere realmente alle questioni sollevate e di aggirare soprattutto le domande che lo riguardano direttamente95.

Nell’ambito della polemica tra Papini e Boccioni, Prampolini si schiera con il secondo: caricando di valenze “altre” la materia, oltre che fonte di evocazioni tattili e cromatiche, fonte di fascinazione

90 E. Crispolti, Per un breve rapporto sul Futurismo figurativo, in E. Crispolti, Il mito della macchina e altri temi

del Futurismo, Celebes Editore, Trapani 1971, p. 29.

91 A proposito dei complessi plastici di Depero cfr. Il complesso plastico motorumorista 1915-27 in F. Depero,

Depero Futurista, Dinamo Azari, Milano 1927.

92 Exhibition of the Works of the Italian Futurist Painters and Sculptors, catalogo della mostra, Londra 1914, ora in E. Crispolti (a c. di), Nuovi archivi …, cit., p. 89.

93 G. Papini, Il cerchio si chiude,in “Lacerba”, 15 febbraio 1914, pp. 49-50. 94 U. Boccioni, Il cerchio non si chiude!, in “Lacerba”, 1 marzo 1914, pp. 67-69.

95 G. Papini, Cerchi aperti, in “Lacerba”, 15 marzo 1914, pp. 83-85. Questo articolo segnerà il divorzio del gruppo fiorentino legato a “Lacerba” dal futurismo di Marinetti e Boccioni.

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narrativa ed emotiva e riunendo in uno stesso momento il “surrealismo organico” di Ernst, Arp e Mirò e l’assemblaggio incoerente ed enigmatico alla De Chirico96.

Nel 1920 Ardengo Soffici nel suo Primi principi di un’estetica futurista scrive che «La materia impiegata dall’artista resta tutta e sempre inerte, morta, inespressiva, se non è condotta dal genio a SPIRITUALIZZARSI; a divenire cioè puro elemento di raffigurazione lirica simbolica. Il che equivale a sparire in quanto materia»97. In sostanza, per Soffici solo se la materia perde la sua funzione rappresentativa può essere utilmente adoperata nella creazione artistica.

Anche i futuristi di “seconda generazione” Benedetta, Azari e Fillìa mantengono viva la lezione di Boccioni. Nel 1927 nella presentazione della mostra alla Galleria Pesaro di Milano, firmata dai tre insieme a Marinetti, si riscontra la volontà del gruppo di «far vivere la materia», dato che il solo colore su tela non poteva più essere sufficiente a generare stati di elevata emotività: «Superata la pittura come stemperamento di colori lisci su piatte superfici, si entra nel vasto campo dei complessi plastici polimaterici rumoristi in cui visivamente tattilmente si odono i rapporti fra colore e materia, fra forma e peso, fra colore ed emotività»98.

È proprio qui che, finalmente, il termine “polimaterico” fa la sua prima comparsa ufficiale: in precedenza, all’interno del movimento futurista si parlava di usare materie diverse, ma senza darne una definizione specifica. Un contributo fondamentale alla definizione di “polimaterismo” viene, in tal senso, proprio da Enrico Prampolini che, sin dagli esordi all’interno del movimento futurista, punta sull’impiego di materiali eterogenei per esprimere il suo estro.