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E’ ANCORA UN MINISTERO SNELLO?

3.5. Le funzioni del Ministero

Il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare svolge funzioni e compiti propri dello Stato in quattro grandi aree: la salvaguardia della qualità dell'aria con la necessità di un utilizzo sempre più diffuso di energia pulita (solare, geotermico, eolico, idroelettrico), la tutela quali-quantitativa del sistema idrico e l’ottimizzazione delle risorse idriche nei diversi settori di utilizzo (civile, industriale ed irriguo), la protezione e conservazione della biodiversità, al fine di mantenere alta la qualità dell'ambiente in termini di conservazione e gestione delle risorse naturali e lo smaltimento dei rifiuti e il risanamento dei siti inquinati. Si tratta di attività, in special modo lo smaltimento dei rifiuti e la bonifica dei siti inquinanti, di grandissima attualità,con implicazioni di forte impatto sociale ed economico.

La gestione dei rifiuti, gli interventi di bonifica dei siti inquinati e la tutela delle risorse idriche rientrano tra i principali obiettivi del Dicastero, unitamente alla sorveglianza, il monitoraggio e il recupero delle condizioni ambientali, con particolare riferimento all’inquinamento atmosferico, acustico, elettromagnetico e marino.

Per quanto riguarda il mare, è opportuno ricordare come il nostro Paese faccia riferimento ad un’importante e composita economia marittima che trae

sostentamento proprio dal mare inteso come bene da utilizzare per le vie di comunicazione, che offre al trasporto marittimo, e per le stesse risorse biologiche e alimentari messe a disposizione della collettività.

Né va sottaciuto che l’estensione delle nostre coste ha uno sviluppo di circa 8.000 chilometri, queste ultime utilizzate sia dal punto di vista turistico balneare che contraddistinte dalla presenza di oltre cento porti commerciali e più di trecento porti/approdi turistici.

Al fine di salvaguardare l’utilizzo sostenibile di tali beni (mari e coste), al Ministero sono state attribuite specifiche competenze in materia di tutela e difesa del mare, assumendo, nel tempo, con la Direzione generale per la protezione della natura e del mare, un ruolo significativo anche nel contesto europeo e nell’ambito del Mediterraneo che, in particolare, rimane un’area marina particolarmente sensibile e vulnerabile per l’alta presenza di navi mercantili (trasportanti anche carichi inquinanti) che quotidianamente lo attraversano131.

L’attribuzione di funzioni esclusive e la riorganizzazione interna del Ministero sembrano avere migliorato l’insieme degli strumenti politici in grado di garantire maggior autorevolezza e forza propulsiva all’apparato statale, indispensabili per perseguire politiche pubbliche sostenibili anche dal punto di vista ambientale. Tuttavia, sarebbe stata forse auspicabile una razionalizzazione ulteriore dell’assetto organizzativo ministeriale, eliminando pericolose sovrapposizioni di competenze, per esempio laddove permane l’attribuzione in capo al Ministero per i beni e le attività culturali delle funzioni in tema di paesaggio, comprese fra le

competenze statali in materia di beni culturali e ambientali ai sensi dell’art. 52 del d.lgs. n. 300 del 1999.

La considerazione dell’ambiente e del paesaggio all’interno di un unico centro decisionale avrebbe infatti facilitato la considerazione unitaria di interessi per molti aspetti omogenei, influendo in termini di semplificazione e di effettività della tutela nell’ambito dei procedimenti amministrativi che oggi vedono moltiplicarsi i soggetti pubblici chiamati ad intervenire a tutela di interessi apparentemente inconciliabili, ma che di frequente diventano tali per il solo fatto di essere rappresentati autonomamente, senza alcuna visione d’insieme132.

A questo punto, dopo questa breve panoramica sulla struttura del Ministero, si può passare alla seconda parte di questa riflessione.

132 Come sottolinea M. RENNA, L’allocazione delle funzioni normative e amministrative, in ROSSI G., Diritto dell’ambiente, cit., 137, la forte settorializzazione della legislazione ambientalesi traduce inevitabilmente in una grande complessità organizzativa e nel disegno di procedimenti amministrativi spesso assai bisognevoli di dialogare tra loro, ma incapaci di farlo. Secondo l’A., poi, ad ostacolare una razionale organizzazione delle funzioni amministrative contribuisce un ulteriore fattore tipico del diritto ambientale, consistente nella creazione legislativa, in aggiunta alle amministrazioni territoriali, di vari organismi ed enti appositi ai quali demandare la cura di specifici interessi nazionali.

Si fa riferimento, per esempio, agli enti parco di cui all’art. 9 della legge n. 394 del 1991, ovvero alla conferenza istituzionale permanente delle nuove autorità di bacino istituite dall’art. 63 del d.lgs. n. 152 del 2006.

CONCLUSIONI

Ancora un Ministero snello. Ma è la scelta giusta?

Come abbiamo visto, fino all’istituzione del Ministero dell’ambiente, le funzioni che potevano avere incidenza in materia ambientale erano suddivise tra numerose amministrazioni: quella dei lavori pubblici, dell’agricoltura e foreste, dei trasporti, dell’industria, solo per citarne alcune.

Su questa ripartizione di competenze si sovrappose il Ministero dell’Ambiente, con la L.349/86.

La scelta per la struttura dicasteriale formò oggetto di valutazioni contrastanti: da un lato, si sostenne che si era persa l’occasione di creare una struttura amministrativa di tipo “nuovo”, sul modello delle agenzie o delle autorità amministrative indipendenti, che sarebbe stata di certo più adeguata alla gestione di interessi che si collocano in modo “trasversale”, rispetto a tutte le tradizionali ripartizioni di materia; da un altro lato, venne sottolineato come in Italia, proprio la struttura tradizionale di tipo ministeriale, in quanto struttura centrale e consolidata, garantisse la presenza “forte” degli interessi cui deve prendere cura nel circuito di decisione politica133.

Gli scopi del nuovo Ministero erano indicati, in modo generico, all’art. 1 della legge istitutiva: “E’ compito del Ministero assicurare, in un quadro organico, la promozione, la conservazione e il recupero delle condizioni ambientali conformi agli interessi fondamentali della collettività e alle qualità della vita, nonché la

conservazione e valorizzazione del patrimonio naturale nazionale e la difesa delle risorse naturali dall’inquinamento”.

Tuttavia, nonostante le intenzioni contenute nelle prescrizioni legislative, il processo di unificazione funzionale posto in essere attraverso l’istituzione del nuovo Ministero non fu realizzato compiutamente.

Infatti, inizialmente, gran parte delle competenze settoriali rimasero ad appannaggio degli originari organi ministeriali e il neo istituito Ministero dell’ambiente non riuscì mai a proporsi come reale centro di imputazione dell’interesse ambientale.

D’altronde c’è da sottolineare come la sua struttura iniziale, così snella, fosse coerente con le funzioni di indirizzo.

Solo con gli interventi legislativi degli anni Novanta del secolo scorso, in particolare con il d.lgs. n. 300 del 1999 di attuazione della Legge n. 59 del 1997, si è assistito a un primo vero processo di riorganizzazione e di razionalizzazione dell’intero apparato amministrativo che ha interessato anche l’estensione delle competenze attribuite al Ministero dell’ambiente, dapprima rinominato Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e successivamente divenuto Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare (legge n. 233 del 2006)134. Alla luce di quanto sin ora detto ci si chiede dunque se la struttura del Ministero è coerente con le sue funzioni.

Sul piano istituzionale, le scelte fatte negli ultimi anni sembrano guardare più al passato che al futuro.

A 31 anni dalla sua nascita, il giovane Ministero rischia di scomparire a causa della progressiva erosione delle risorse che garantiscono l’efficacia e l’efficienza del governo dell’ambiente.

Le cose appaiono tanto gravi da mettere in discussione il ruolo stesso del Ministero dell’Ambiente, la possibilità materiale d’incidere nelle politiche, di contare nei contesti internazionali, di guidare ed indirizzare le azioni settoriali d’interesse nazionale anche in ambiti delicati dove si gioca la vita delle persone come quelli della difesa suolo e dell’assetto idrogeologico.

In questi anni il Ministero dell’ambiente è stato il più colpito da tagli della spending review e ridotto, nella sostanza, ad un Ministero senza portafoglio, di cui non viene garantita l’operatività e la necessaria e rigorosa professionalità135. Nel 2009 il bilancio del Ministero ammontava a 1,649 miliardi di euro, nel 2010 era di 1,265 miliardi di euro, nel 2013 è sceso al minimo storico, 468 milioni di euro, 306 dei quali destinati alle spese correnti per garantire l’attività ordinaria del Ministero136.

Oggi il Ministero ha visto il suo bilancio nuovamente ridursi da 831 dello scorso anno a 651 milioni di euro per il 2017137.

Ma è una scelta conveniente? Riparare i danni ambientali ci costa molto più che prevenirli: il nostro Paese è tra quelli che collezionano più multe ambientali per infrazioni delle normative e delle regole europee, mentre la magistratura deve intervenire sempre più spesso sui disastri ambientali.

Il Ministero oggi riesce a malapena ad esercitare le sue funzioni tradizionali per la protezione della natura, della difesa del suolo, delle bonifiche, del controllo delle

135 Fonte: www.greenreport.it 136 Fonte: www.greenreport.it

emissioni inquinanti e dei gas serra e della gestione del ciclo dei rifiuti e rischia di non avere risorse per affrontare le indispensabili tematiche di frontiera della green economy, dei piani di adattamento a cambiamenti climatici e delle strategie di de- carbonizzazione.

Nell’attuale situazione di crisi e di profonda trasformazione dell’Italia, è assolutamente necessario che il nostro Paese abbia una governance ambientale adeguata alla sfida ecologica ed economica necessaria a garantire il nostro comune futuro.

Sintomatico dell’attuale ruolo del Ministero è anche il fatto che, sino ad ora, nessun dipendente del Ministero è stato assunto per concorso: il personale è composto da funzionari trasferiti da altre amministrazioni.

La SOGESID, società in house che fornisce supporto al Ministero dell'Ambiente, si occupa anche di “tappare i buchi” dell’organico del dicastero, che ha bisogno di personale qualificato, di cui evidentemente è sprovvisto, in settori che vanno dalle bonifiche alla tutela delle risorse idriche, passando per la gestione dei rifiuti e il dissesto idrogeologico, e che arriva a pagare fino a 700 euro al giorno a persona.

Questo nonostante le ripetute censure della Corte dei Conti sull’abitudine del Ministero di aggirare il blocco delle assunzioni ricorrendo a costoso personale esterno138.

138 www.ilfattoquotidiano.it articolo di C.Brusini 8/11/16. Sul fatto quotidiano del 23/06/17 è comparsa anche la notizia di un esposto dell’Anac contro la stessa SOGESID in cui «ipotizza, tra l’altro, che le perdite di bilancio dell’azienda siano state “mascherate” grazie agli sgravi contributivi su centinaia di contratti a tempo indeterminato attivati nel 2015. Sgravi goduti due volte, sostiene la denuncia, grazie al meccanismo delle tariffe versate dal dicastero di Gian Luca Galletti per i servigi dei dipendenti SOGESID».

Si pensi che la maggiore mole di attività della SOGESID consiste proprio nell’assistenza tecnica alle direzioni generali del MATTM, che ha rappresentato nel 2015 il 66% dell’intero valore della produzione139.

Si aggiunga a questo proposito che la legge istitutiva disponeva, in fase di prima applicazione, che i dipendenti pubblici che svolgevano funzioni e attività connesse a materie ambientali potessero optare per l’inserimento nell’organico del Ministero.

Una sola volta il Ministero ha fatto ricorso all’assunzione di vincitori di concorso pubblico – 5 architetti - bandito dalla Funzione Pubblica.

La rilevante quantità e la qualità delle funzioni attribuite ad ogni Direzione fanno emergere, in maniera molto evidente, l’inadeguatezza di una struttura amministrativa che cerca di far fronte come può alla sempre maggiore specializzazione richiesta.

Nell’attuale situazione risulta sempre più difficile che il Ministero riesca a seguire in maniera adeguata questioni normative, amministrative e procedurali, che riguardano ambiti di intervento e di presidio istituzionale sempre più complessi e che implicano risposte articolate e declinate a seconda degli interlocutori per rispondere in maniera soddisfacente alle istanze degli stakeholder di riferimento (cittadini, comitati e associazioni ambientaliste, forze imprenditoriali sociali, mondo della università e della ricerca, ecc).

In sostanza, la domanda di sempre maggiore specializzazione risulta inversamente proporzionale all’offerta che l’Amministrazione è stata messa in grado di dare e che, nonostante tutto, continua a dare.

Sarebbero necessarie scelte lungimiranti che spostino risorse sugli interventi necessari per la tutela del territorio, dell’ambiente, della salute.

Sarebbe anche necessaria una riconsiderazione politica del Ministero, che purtroppo, sembra diventato un Ministero di serie B140.

Anche perché negli ultimi anni le politiche ambientali, anche le più importanti, sono state decise altrove.

Un esempio è la legge sugli Ecoreati, approvata su iniziativa del Parlamento, o le politiche per l’innovazione energetica o la green economy, nelle mani del Ministero dello Sviluppo Economico.

Anche per quanto riguarda l’applicazione della VIA e dalla VAS, di derivazione comunitaria, negli ultimi anni le associazioni ambientaliste rilevano come sia stata fortemente viziata: le normative speciali derivanti dalla Legge Obiettivo che hanno infatti consentito di estendere le procedure semplificate al 90% delle grandi opere programmate nel nostro Paese, svuotando le funzioni di verifica tecnica delle competenti commissioni costituite presso il Ministero dell’ambiente e rendendo di fatto inutili le osservazioni presentate da cittadini ed enti locali”141. Le norme derivanti dalla Legge Obiettivo, assorbite dal Codice Appalti, oggi (come stimato dal VII Rapporto del Servizio Studi della Camera dei Deputati,

140 Gian Antonio Stella si è spinto fino a considerare il Ministero un “regalino ai partiti minori

(vedi Alfredo Biondi o Valerio Zanone), a esponenti anomali del Psi craxiano (Giorgio Ruffolo o Carlo Ripa di Meana) e giù giù a figure e figuri di varia umanità, da Valdo Spini a Willer Bordon, da Stefania Prestigiacomo ad Altero Matteoli fino a Corrado Clini, il «tecnico» del governo Monti poi finito nei guai con l’accusa di corruzione. Tutta gente che appunto, al di là di meriti e demeriti, ebbe quel posto proprio perché era uno strapuntino. Magari in attesa di una poltrona «vera» come accadde ad Andrea Orlando promosso poi alla Giustizia. Ma uno strapuntino. E come tale concesso anche a Galletti, bollato subito come il «commercialista di Casini» perché scelto da Renzi («dammi un nome dei tuoi») secondo le più vecchie tradizioni cencelliane..” http://www.corriere.it/politica/15_dicembre_29/quel-ministero-di-consolazione-a-galletti-il- manuale-cencelli-43d9440c-adfd-11e5-a515-a44ff66ae502.shtml

141 www.inu.it dove è presente un dossier a firma delle principali associazioni ambientaliste, sottoposto al Ministero dell’Ambiente nel 2016

realizzato in collaborazione con l’Autorità nazionale sui contratti pubblici e con il supporto del CRESME e dell’Istituto Nova)142 si applicano non ad un numero limitato di infrastrutture strategiche di rilevo nazionale, ma a ben 390 opere, per un valore complessivo (aggiornato al settembre 2012) di 375 miliardi di euro. Alle considerazioni sull’insufficienza e debolezza della governance ambientale c’è anche da aggiungere, sempre secondo le predette associazioni ambientaliste, lo snaturamento della procedura di VIA operato proprio dalle norme derivanti dalla L. n. 443 del 2001 (Legge Obiettivo) che hanno ridotto la procedura di VIA ad essere nella sostanza un certificato di “compatibilizzazione”, rilasciato sulla base di una decisione assunta a maggioranza dal CIPE nella fase immatura di progettazione preliminare, che, come abbiamo visto è valido per la stragrande maggioranza delle opere di maggiore impatto sul territorio, sull’ambiente e sul paesaggio143.

Non si ricorda, infatti un solo parere negativo sulle infrastrutture strategiche reso dal 2003 ad oggi dalla Commissione speciale VIA, che addirittura, sul progetto definitivo del ponte sullo Stretto di Messina ha deciso, a conclusione dell’iter amministrativo, di non poter esprimere nessun parere.

Parimenti critica appare la situazione per quel che concerne la Valutazione Ambientale Strategica (VAS) prevista a livello comunitario dalla Direttiva Europea 2001/42/CE e introdotta nel nostro ordinamento dal d.lgs. 152/06.

Anche questa procedura di derivazione comunitaria è stata costantemente elusa nelle scelte pianificatore e programmatorie fondamentali per il Paese che riguardano le infrastrutture di trasporto e le scelte energetiche; né a suo tempo il

142 Reperibile su http://www.camera.it/leg17/1014 143 www.flodigiano.it

Programma delle infrastrutture strategiche (Delibera CIPE n. 121 del 2001), né più recentemente la Strategia Energetica Nazionale sono state sottoposte a VAS. E’ bene ricordare che Commissione tecnica di verifica dell’impatto ambientale VIA - VAS, istituita dalla norma anzidetta, è costituita da 50 membri ivi inclusi il Presidente ed il Segretario, nominati con decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, tra liberi professionisti ed esperti provenienti dalle amministrazioni pubbliche con adeguata qualificazioni in materie tecnico- ambientali.

Con decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare GAB/DEC/150/07 del 18 luglio 2007 (all’epoca era Ministro l’on.le Stefania Prestigiacomo) sono stati stabiliti il funzionamento e l’organizzazione della Commissione.

Va evidenziato che nella composizione della attuale commissione, mentre ci sono 8 giuristi (7 avvocati e 1 magistrato), non vi è alcun naturalista e c’è solo un biologo, a sottolineare l’importanza marginale attribuita alla conservazione della biodiversità e alla tutela e valorizzazione dei servizi eco-sistemici garantiti dai sistemi naturali144.

144 L’attuale commissione (scaduta nel lontano 2014) risulta essere quella addirittura nominata dall'allora ministro Prestigiacomo rinnovata da Clini e prolungata dal ministro Galletti che nel 2015, sotto la spinta di forze politiche e movimenti ecologisti, si decise a promulgare un bando di "pubblico interesse", che aveva visto l'interesse di 598 candidature. La CdC -sezione centrale del controllo di legittimità su atti del governo e delle amministrazioni dello Stato- con la deliberazione n. SCCLEG/09/2016/PREV ha però ricusato le lettere di incarico dei membri della nuova Commissione Via contestando al Ministro una serie di addebiti tra cui la modalità di scelta dei membri stessi, l'adeguatezza dei loro CV, la conoscenza della lingua inglese, la troppa vicinanza alla politica e poco alla tecnica ed addirittura una violazione della rappresentatività di genere essendo presenti solo 8 donne su 40 posti disponibili.

Anche la vicenda di ISPRA (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale)145, è esemplare per valutare come appaia “spuntato” il sistema di governance dell’ambiente146.

Nell’art. 28 della legge 133/2008 si specifica infatti che ISPRA svolge le funzioni, con le inerenti risorse finanziarie, strumentali e di personale, già dell'Agenzia per la protezione dell'ambiente e per i servizi tecnici (APAT) di cui all’articolo 38 del Decreto Legislativo n. 300 del 30 luglio 1999 e successive modificazioni, dell'Istituto Nazionale per la Fauna Selvatica (INFS) di cui alla legge 11 febbraio 1992, n. 157 e successive modificazioni, e dell'Istituto Centrale per la Ricerca scientifica e tecnologica Applicata al Mare (ICRAM) di cui all'articolo 1-bis del decreto-legge 4 dicembre 1993, n.496, convertito in legge, con modificazioni, dall’articolo 1, comma 1, della legge 21 gennaio 1994, n. 61.

E’ il Decreto interministeriale (Ambiente ed Economia e Finanze) 21 maggio 2010 n. 123, che dovrebbe chiarire, al di là dell’accorpamento quali siano le nuove funzioni attribuite a ISPRA. Ma all’art.1 del Decreto interministeriale 123/2010 ci si limita a stabilire che ISPRA è ente pubblico di ricerca.

Di fatto, anche se ISPRA assume, senza svolgerle, le funzioni dell'Agenzia per la protezione dell'ambiente e per i servizi tecnici - APAT, bypassando il problema con una tecnica legislativa consolidatasi in questi ultimi 20 anni, non appare perfezionata, né consolidata volutamente quella evoluzione di cui si trova cenno all’art. 38 del decreto legislativo n. 300/1999, che al comma 3 prevedeva che ad

145 V. sopra cap. 2 par. 6 146 www.inu.it, cit.

APAT afferisse il coordinamento del sistema nazionale dei controlli in materia ambientale147.

Era già questo un timido ma sostanziale scostamento della funzione dell’Agenzia Nazionale per la Protezione dell’Ambiente - ANPA, soppressa con il comma 5 dell’art. 38 del Dlgs n. 300/2009, che con la legge 21 gennaio 1994 n. 61, conversione del decreto legge 4 dicembre 1993 n. 496, delineava l’Agenzia quale organo di consulenza e supporto tecnico-scientifico del Ministero dell’ambiente e, tramite convenzione, di altre amministrazioni ed enti pubblici.

Per certi versi l’attuale funzione di ISPRA, quale istituto di ricerca, appare ancora più depotenziata rispetto anche ai compiti attribuiti originariamente ad ANPA. In sostanza, sembra difficile negare che il Ministero oggi sembri l’ultimo dei dicasteri con portafoglio che sopravvive a se stesso, avendo a malapena le risorse per pagare il personale e che vede praticamente azzerata la propria capacità operativa, mettendo in seria discussione nei fatti non solo la sua vocazione alla tutela dell’ambiente, del territorio e del mare, ma la sua stessa esistenza.

147Solo recentemente, il 17 gennaio 2017 è entrata in vigore la legge di Istituzione del Sistema nazionale a rete per la protezione dell'ambiente e disciplina dell'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale

BIBLIOGRAFIA

- AA.VV., Manuale Ambiente 2016

- Albamonte V.A., Il diritto all’ambiente salubre:tecniche di tutela, Giust. Civ., 1980, II

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- Bettini R., Modernizzazione delle istituzioni: l’ambigua sfida del