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L’istituzione del Ministero dell’Ambiente e del Territorio

IL MINISTERO DELL’AMBIENTE NASCITA ED EVOLUZIONE

2.3. L’istituzione del Ministero dell’Ambiente e del Territorio

Dopo quindici anni dall’istituzione del Ministero dell’ambiente era divenuta ormai pressante l’esigenza di riformare la struttura ministeriale. Nell’ambito della più ampia riforma della pubblica amministrazione e del processo di riorganizzazione delle funzioni amministrative tra tutti i livelli di governo statale, regionale e locale, la legge n. 59/97 delegava il governo ad approvare uno o più decreti legislativi diretti a razionalizzare l’ordinamento della Presidenza del Consiglio dei Ministri e dei Ministeri, anche attraverso il riordino, la soppressione e la fusione di Ministeri, nonché di amministrazioni centrali anche ad ordinamento autonomo. Il Governo, nell’ambito che qui ci interessa, esercitava la delega provvedendo da un lato con il citato D.Lgs. n. 300 del 1999 e dall'altro lato, con il D.Lgs n. 112 del 1998. Con il primo provvedimento il Ministero dell’ambiente veniva sostituito dal Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e alla

nuova struttura ministeriale venivano trasferite le funzioni e i compiti spettanti al dicastero dell’ambiente79 e a quello dei lavori pubblici, limitatamente alla difesa del suolo ed alla gestione delle risorse idriche in precedenza gestite in forma “condominiale” dai due Ministeri, ed “eccettuate quelle attribuite ad altri ministeri e agenzie fatte salve le funzioni conferite alle regioni e agli enti locali”80; inoltre, venivano trasferite le funzioni del Ministero delle politiche agricole in materia di polizia forestale ambientale. Concordo pienamente con Manna, quando rileva come “rimaneva, invece, la diarchia in materia di beni culturali ambientali, dal momento che il ribattezzato Ministero per i beni e le attività culturali era riuscito ad ottenere la conferma della propria competenza sulle bellezze naturali d’insieme e di quelle di vasta area individuate dalla L. 431/85, con evidente violazione del principio direttivo generale, posto a fondamento del riordinamento dei Ministeri dalla L. n. 59/97, di eliminare le duplicazioni organizzative e funzionali esistenti tra amministrazioni diverse”81 . Ai fini di una migliore visione d’insieme delle novità, è utile tentare di leggere il decreto 300/99 coordinandolo con le norme del decreto 112/98.

In particolare, per quanto concerne le linee fondamentali dell’assetto del territorio nazionale, la cui identificazione è riservata allo Stato82, erano stati trasferiti al Ministero dell’ambiente soltanto i compiti che si riferiscono “ai valori naturali e ambientali ed alla difesa del suolo”, mentre al Ministero delle infrastrutture sono stati assegnati quelli relativi “all’articolazione territoriale delle reti

79 L’Art. 35, comma 2, del D.Lgs. n. 300/99 attribuisce al Ministero le funzioni e i compiti spettanti allo stato nelle seguenti materie: tutela dell’ambiente e del territorio; identificazione delle linee fondamentali dell’assetto del territorio con riferimento ai valori naturali ed ambientali; difesa del suolo e tutela delle acque; protezione della natura; gestione dei rifiuti; inquinamento e rischio ambientale; promozione di politiche di sviluppo sostenibile; risorse idriche.

80 Art. 35, comma 2, D.Lgs. n. 300/99.

81 Art. 12, comma 1, lett. g). Cfr. M. Manna, cit. pag. 52 82 Art. 52, D.Lgs 112/98.

infrastrutturali e delle opere di competenza statale, nonché al sistema delle città e delle aree metropolitane”83.

In dottrina, se era apparsa condivisibile la sottrazione delle opere pubbliche al trasferimento, per ragioni di natura sistematica, visto che il Ministero dell’ambiente non è un organismo di gestione, ma di indirizzo e controllo, qualche perplessità era stata avanzata, invece, sulla riserva implicita delle funzioni di tipo urbanistico al Ministero delle infrastrutture84. E’ vero, si diceva, che esse spettano alle regioni85, ma la riconosciuta rilevanza nazionale della definizione delle linee fondamentali , non sarebbe valsa di per sé a giustificare l’imputazione soggettiva adottata dal legislatore delegato. Secondo Manna, si trattava, in realtà, “di una conseguenza della scelta del D.Lgs. n. 112/98, che aveva espunto dalla materia “territorio ed urbanistica” la funzione “tutela dell’ambiente” . Si è reiterata in tal modo un’aporia già presente nel D.P.R. n. 616/77, laddove da un lato si definiva la materia urbanistica con il “superconcetto” omnicomprensivo di assetto ed utilizzazione del territorio, definendo, come detto, “l’urbanistica come la disciplina relativa alla salvaguardia e alla trasformazione del suolo nonché alla protezione dell’ambiente”86, dall’altro, invece, si codificava una nozione a sé stante di tutela dell’ambiente dagli inquinamenti”87. In dettaglio, il D.Lgs. n. 112/98 aveva stabilito, che il piano territoriale di coordinamento provinciale (tipico strumento di natura urbanistica) assumesse il valore e gli effetti dei piani di tutela nei settori della protezione della natura, della tutela dell’ambiente, delle

83 Art. 52, D.Lgs 112/98 84 P. Dell’Anno, cit., pag. 115 85 Art 56 D.Lgs n. 112/98. 86 Art. 80 D.P.R. n. 616/77, 87 M. Manna, cit., pag. 53

acque e della difesa del suolo e delle bellezze naturali88 . Questa evoluzione nella pianificazione territoriale aveva trovato concorde gran parte della dottrina, ma si era colorata di un significato contrastante con la riconfermata separatezza tra urbanistica ed ambiente, dal momento che i contenuti prescrittivi del piano tendevano ad assorbire ed unificare in questo strumento anche tutte le funzioni di pianificazione ambientale89. Le formule organizzatorie per assicurare il governo dell’ambiente avevano subito, come detto, un’evoluzione, ma del tutto disomogenea. In una prima fase, il cardine dell’azione dei pubblici poteri era tornato ad essere quello centrale, mentre la tendenza degli anni successivi sembrava spostare di nuovo l’asse verso il sistema delle autonomie regionali e locali. Alla centralizzazione si era arrivati, oltre che mediante la predominanza assegnata alla programmazione finanziaria, attraverso moduli di intervento di tipo organizzativo. Si era verificato, infatti, un progressivo rafforzamento del ruolo di amministrazione attiva del Ministero dell’ambiente, per ciò che concerneva non solo le funzioni tradizionali di promozione, di coordinamento ed indirizzo, di disciplina tecnica, ma anche di intervento diretto e sostitutivo, in nome dell’indivisibilità del fenomeno dell’inquinamento e della preminente responsabilità che incombe sull’apparato statale per il tempestivo ed efficace adempimento degli obblighi comunitari. “Al culmine di un processo riformatore di notevole ampiezza e incisività, avviato con l’obiettivo del “federalismo amministrativo” dalle leggi n. 59/97 e n. 127/97 (cd. “Bassanini”), il D.Lgs. n. 112/98 aveva apportato profonde trasformazioni nell’assetto organizzativo statuale, attraverso la devoluzione di interi settori amministrativi nella competenza

88 Art. 57: con il solo vincolo, confermato della disciplina precedente, della previa intesa con le amministrazioni statali competenti.

del sistema regionale-locale. Il comparto ambientale era rimasto sostanzialmente “impermeabile” alla devoluzione in favore delle regioni, se non per aspetti secondari”90. Per quanto riguarda la semplificazione amministrativa, la delegificazione avviata per alleggerire il carico burocratico gravante sui cittadini e sulle imprese, aveva prodotto un’abnorme proliferazione di regolamenti e di normative tecniche, con l’effetto della progressiva “amministrativizzazione”91 del diritto ambientale. Il regime autorizzatorio si era progressivamente esteso a nuovi settori senza cedere significativi spazi nelle materie di più tradizionale disciplina. La peculiarità di questo processo di trasferimento di funzioni, adottato con il provvedimento citato in riferimento al settore ambientale, si manifestava sia nel rapporto Stato-regioni, sia per quanto concerneva i processi di delegificazione92. La massiccia devoluzione di competenze alle regioni operata dal D.Lgs. n. 112/98, il quale sembrava riservare allo Stato soltanto compiti specifici e predefiniti (anche se la formula dell’interesse nazionale era sempre suscettibile di interpretazioni estensive, a seconda delle vicende contingenti), denotava una significativa asimmetria in materia ambientale, ove si considerasse che non solo quest’ultima era rimasta attratta alla competenza statale, ma che la concorrente azione regionale era stata limitata all’assetto già determinato per effetto della pregressa legislazione .

L’unica esclusione di rilievo dal novero delle funzioni statali riguardava la potestà di pianificazione. Erano infatti stati soppressi quasi tutti i piani nazionali, tranne quello relativo alla difesa del mare e delle coste dall’inquinamento, il piano per la depurazione delle acque reflue e i piani di bacino idrografico nazionale.

90 P. Dell'Anno, cit. pag. 155 91 M. Manna, cit., pag. 55

“Per altro verso, l’attuazione dei principi fondamentali affermati dalla legge n. 59/97 sul duplice versante della riforma dell’amministrazione pubblica e del potenziamento delle autonomie regionali e locali, aveva, invece, manifestato la sua influenza anche sulla tutela dell’ambiente, soprattutto sotto i profili organizzativi e procedimentali.

In base ai principi di sussidiarietà e di unicità dell’amministrazione, veniva contemplata l’istituzione generalizzata di un modello di organizzazione amministrativa tendente a fornire una sede unitaria alla trattazione delle istanze relative alla realizzazione di nuovi insediamenti produttivi (lo sportello unico per le attività produttive), prevedendosi nel contempo che l’esame e la ponderazione dei molteplici interessi pubblici venissero affrontati mediante l’istituto della conferenza dei servizi, il cui concreto impiego ne ha posto in luce le rilevanti potenzialità di semplificazione e efficacia tanto sul piano organizzativo, quanto su quello procedimentale”93. Il principio di sussidiarietà sembrava essere stato applicato soprattutto là dove si promuoveva l’esercizio delle funzioni amministrative al livello più vicino possibile agli amministrati, e dunque con privilegio per i comuni; al contrario, apparve fin da subito sottovalutato il principio di differenziazione nell’allocazione delle funzioni, che imponeva di considerare in modo adeguato le diverse caratteristiche demografiche territoriali e strutturali degli enti riceventi94 .

93 Cfr. sul punto M. Manna, cit. pag. 57

2.4. Il riordino dei Ministeri ad opera della legge 59/1997 e dei D. Lgs nn. 300