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Le funzioni del resoconto

4. Il resoconto clinico come processo narrativo

4.1 Le funzioni del resoconto

Secondo Rossano Grassi, l’importanza del resocontare, da un punto di vista clinico, è data da tre principali fattori.

Primo, il resoconto, così come il colloquio, è un atto di tipo semiotico cioè è un atto che, oltre a mettere in relazione i simboli con le esperienze vissute, produce un effetto di trasformazione dell’esperienza stessa.

In secondo luogo, chi scrive riporta la descrizione di un processo in cui è coinvolto in prima persona e attraverso il resoconto deve affrontare la duplice difficoltà di comunicare agli altri e di confrontarsi con l’immagine che ha di se stesso.

In ultimo, è necessaria l’attenzione al rapporto che esiste tra il contenuto della narrazione e le situazioni relazionali entro cui la narrazione si origina e si sviluppa:

seguire questo processo consente di affrontare un “doppio livello di analisi, testuale e contestuale, livelli tra loro così variamente interrelati da rendere difficile una decodifica dell’uno senza fare riferimento all’altro” (Grassi, 2002, p. 141).

Secondo Grassi “il resoconto è qualsiasi tipo di narrazione che consente a chi racconta di descrivere un’esperienza e le emozioni ad essa correlate” e “non è costituito da affermazioni che riguardano i contenuti del racconto, bensì è esso stesso il contenuto”

(Grassi, 2002, p. 138).

L’autore individua diversi modelli del resocontare:

- il resoconto come memoria storica: corrisponde a ciò che lo psicologo scrive di getto subito dopo che il cliente è uscito dalla stanza di consultazione. Può contenere i fatti accaduti, le idee che vengono in mente o riferimenti agli elementi più importanti.

Questo tipo di resoconto restituisce a distanza di tempo i momenti e le riflessioni significative dell’intervento;

- il resoconto come oggetto di supervisione: riporta le narrazioni scritte che lo psicologo porta al supervisore o ad altri colleghi per avere un punto di vista altro rispetto al proprio, che possa aiutarlo in particolare nei momenti di empasse dell’intervento;

- il resoconto come comunicazione scientifica: si trova nei casi in cui la relazione clinica di un caso è così significativa da ritenere che sia utile renderla di dominio pubblico e questo comporta un ulteriore lavoro di attenzione nel testo per proteggere la privacy del cliente;

- il resoconto come relazione tecnica: quando esiste una committenza, una commissione o un tribunale, nei casi di assessment professionale, nelle richieste di pensionamento anticipato, nei casi di perizia giudiziaria (Grassi, 2002, p. 160-162).

Inoltre, Grassi individua tre principali funzioni nel resoconto:

- la funzione di “ragionamento metarappresentativo” che indica la possibilità per il clinico di raccontare non solo gli eventi così come si svolgono, ma soprattutto di raccontare le rappresentazioni che egli stesso fa di quegli eventi. Ciò implica un impegno diretto nel mettere in gioco la propria “equazione personale”: il clinico deve scegliere che cosa è da considerare rilevante e che cosa non lo è, e quindi, nel tentativo di organizzare e trovare un senso, arriva a determinare l’esperienza stessa (Grassi, 2002, p. 157);

- la funzione di “comunicazione scientifica e verifica dell’intervento”, cioè la

“possibilità di strutturare un confronto tra la dimensione privata del proprio operare e quella pubblica. Il resoconto diventa uno strumento di auto ed etero controllo, per evitare la referenzialità verso se stessi e verso il proprio gruppo professionale di appartenenza” (Grassi, 2002, p. 158);

- la funzione di “mezzo per apprendere a categorizzare”, cioè la possibilità di “articolare i rapporti fra le teorie e gli eventi clinici” (Grassi, 2002, p. 159).

Una funzione ulteriore del resoconto è quella di “costruzione sociale di un senso condiviso”: la capacità del clinico di leggere il narrato ed il vissuto in termini di categorie, consente la condivisione dell’esperienza all’interno del contesto professionale e la riflessione ne risulta ampliata e riccamente complessa.

Il narrare infatti può essere visto anche come evento individuale, mentre il resocontare è sempre un evento di comunicazione sociale (Carli & Paniccia, 2005, p. 19).

In altri termini, il resocontare produce un miglioramento nella qualità dell’espressione simbolica. L’operatore si deve impegnare per trovare la giusta corrispondenza tra il proprio sentire, i pensieri e le emozioni che emergono nell’ascoltare il paziente e la

“simbolizzazione affettiva” che ne fa di tale esperienza.

Inoltre il resocontare crea uno spazio ed un tempo protetto e riservato, in cui poter sviluppare la propria capacità riflessiva.

Il resocontare costringe a fermarsi, a fare una pausa necessaria affinché quell’espressione simbolica possa arrivare ad una forma significativa e dotata di senso da mettere in relazione con il proprio repertorio teorico e metodologico di riferimento (Grassi, 2002).

Carli e Paniccia vedono nel resoconto un’opportunità per stimolare la capacità di

“elaborazione categoriale delle emozioni vissute entro una relazione”, necessaria per evitare l’“agito emozionale all’interno del setting”. La “sospensione dell’agito” è considerata infatti come la principale competenza clinica dello psicologo.

Anche in questo caso il resoconto viene visto come uno spazio riflessivo che permette di “connettere gli eventi tra di loro e di formulare ipotesi sulla genesi degli eventi stessi”

(Carli & Paniccia, 2005, p. 17-18).

Nell’azione del resocontare è presente la responsabilità verso se stessi e verso il proprio operato:

“L’interazione che il resoconto propone è alquanto complessa. Rimanda anche alla possibilità che chi resoconta, resoconti se stesso. Che tra sé e sé ricostruisca, esplorando, ripensando ciò che si va dicendo, un senso. Chi stila un resoconto [...] racconterà della fatica che la resocontazione ha comportato. Di come si sia accorto dei vuoti di senso di cui era costellata l’esperienza che si è accinto a raccontare. Di quanto questi vuoti fossero ben più numerosi di quanto non potesse supporre prima di mettersi nell’impresa. Chiunque rifletta sulla sua esperienza si potrebbe dire che resoconti; ma chi scrive, riorganizzando l’esperienza stessa, procede oltre in questo lavoro. Quindi si resoconta su se stessi.” (Bucci, Bonavita, Terenzi & Paniccia, 2007, p. 145-146).

Il resoconto viene considerato dagli autori come un “attivatore di connessioni, di nessi”

e il contesto narrato come “costruito” e non “descritto” dalle proprie categorie e ne viene sottolineata la dimensione trasformativa.

Possiamo affermare che il resoconto rappresenta sempre uno strumento di feedback23 in grado di attivare un processo circolare di comunicazione riflessiva.

Per l’operatore, resocontare è prima di tutto restituire un feedback a se stesso; poi all’altro in quanto collega o supervisore, ad un eventuale committente e alla comunità professionale e scientifica.

Come già evidenziato da Grassi, questi tipi di restituzione hanno una propria valenza e specifiche modalità e l’operatore ne deve conoscere il diverso utilizzo (Grassi, 2002).

La circolarità del processo può essere quindi agevolata attraverso l’attenzione alle comunicazioni simboliche e alla capacità di riflettere su tali comunicazioni.

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Il feedback verso se stessi attraverso l’elaborazione di un resoconto, proprio grazie alla ricchezza che porta nello scambio comunicativo intrapsichico, costituisce un efficace strumento a condizione che venga utilizzato in modo appropriato.

Ad esempio, essere giudicanti verso se stessi a seguito di un comportamento ritenuto non idoneo è un feedback ma potrebbe non essere utile, nel senso che non crea le condizioni per poter utilizzare quell’informazione.

Una modalità strutturata di restituzione delle informazioni consente invece di accogliere e utilizzare quante più informazioni possibili, in modo “nutriente” (self-emphaty)24. È quindi importante assumere una posizione che consenta un’osservazione di tipo

“fenomenologico”, una postura relazionale in cui sospendere il giudizio (epochè)25 verso di sé e restituire gli eventi (fenomeni) così come sono visti e percepiti.

23 Il termine feedback o retroazione indica, nel linguaggio della fisica, la capacità di un sistema dinamico di tenere conto degli effetti del proprio funzionamento, al fine di migliorare il funzionamento del sistema stesso, cioè la capacità di autoregolarsi.

24 Il riferimento è al concetto di “cliente interno” elaborato da E.T. Gendlin (Gendlin, 1978).

25 Il concetto di “sospensione dell’agito” proposto da Carli e Paniccia, può essere considerato come una lettura in termini di “comportamento” del più ampio concetto di “sospensione del giudizio”.

Diventa importante saper distinguere le diverse componenti che costituiscono l’esperienza:

- elementi oggettivi/fenomenici: eventi, fatti, azioni e comportamenti che avvengono fuori di sé e che sono osservabili anche dall’altro;

- elementi soggettivi dei vissuti personali: sentimenti, emozioni, sensazioni e modificazioni corporee che avvengono dentro di sé, a seguito dei precedenti eventi;

- dimensione relazionale e di scambio: ipotesi su di sé, sull’altro, sulla relazione e i sentimenti, emozioni, pensieri, fantasie che vengono attribuiti all’altro.

Secondo Grassi, il resoconto può assumere diverse forme narrative più o meno strutturate: appunti scritti di getto, descrizioni attente che seguono alla riflessione del clinico o narrazioni strutturate in base a specifici punti di osservazione.

In particolare, per utilizzare il resoconto come strumento di osservazione all’interno dei processi formativi, riteniamo necessario dotarlo di una struttura narrativa definita. Si tratta cioè di “tradurre” quelle diverse componenti dell’esperienza in una forma linguistica fruibile.

Quindi, il resoconto dovrà contenere i seguenti elementi:

- informazioni preliminari, descrizione del contesto e delle condizioni entro cui si è svolta l’esperienza;

- che cosa è stato osservato e ascoltato, specificare quale evento è oggetto del resoconto, quale azione o comportamento proprio o dell’altro è rilevante per sé;

- quando è accaduto, in quale fase dell’esperienza;

- come ci si è sentiti, quale effetto ha avuto su di sé, specificare la qualità del sentimento/emozione/sensazione corporea;

- perché, cioè attribuire un senso all’esperienza, formulare delle ipotesi su di sé e sulla relazione con l’altro.

La resocontazione così strutturata consente all’operatore di effettuare un auto-osservazione guidata.

Compiendo un’ulteriore azione di riduzione di complessità rispetto ai contenuti del processo narrativo, possiamo individuare come “organizzatori dell’esperienza”, tre principali dimensioni:

- la sensazione, che fornisce alla persona le informazioni nuove che possono generare instabilità nel sistema-persona;

- il pensiero, che rappresenta in termini simbolici, quindi comunicabili, la relazione esistente tra lo squilibrio e la nuova informazione che ne è causa e progetta e pianifica le azioni con lo scopo di ripristinare un equilibrio;

- l’azione, che fornisce una risposta concreta, in direzione di una nuova, diversa stabilità per il sistema;

- la riflessione, che informa il sistema sui propri modi di funzionamento, cioè meta-comunica, e a seguito di ciò consente l’apprendimento e la retroazione per il “riavvio”

del sistema verso nuove esperienze.

Queste stesse dimensioni possono essere rintracciate nella definizione delle funzioni del Sé nel teoria della Gestalt (vedi nota cap. 3.2).

Inoltre, come già detto in riferimento al concetto generale di narrazione, anche nella forma del resoconto è possibile leggere la successione in termini temporali, in quanto organizzata attraverso collegamenti tra una fase e l’altra, secondo una successione di momenti di preparazione e di svincolo, come struttura propria del “ciclo del contatto”.

Quanto descritto può rappresentare una traccia per l’organizzazione di un resoconto da sviluppare dopo un’esperienza, ad esempio un intervento di tipo individuale o nelle attività con i gruppi.

Riteniamo che il resoconto così strutturato rappresenti una tappa fondamentale nel percorso formativo per ogni operatore e per lo psicologo in particolare.

Le riflessioni sul proprio comportamento professionale attuate in termini di processo relazionale e di ascolto di sé, rappresentano la possibilità di ridurre la distanza concettuale tra sviluppo professionale e sviluppo personale, particolarmente importante per le professioni d’aiuto.

Inoltre, rappresenta un ancoraggio per l’operatore al proprio contesto professionale, perché il confronto e la condivisione proteggono il setting dai rischi che l’isolamento professionale può rappresentare.

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