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Il racconto di un’esperienza

4. Il resoconto clinico come processo narrativo

4.2 Il racconto di un’esperienza

Riferiamo ora di un’esperienza svolta all’interno di un percorso di formazione/supporto professionale in gruppo proposta da un’agenzia formativa26, presso la quale opero in qualità di formatore e responsabile dei processi di erogazione.

L’esperienza che proponiamo ha avuto come valore aggiunto per i partecipanti, quello di consolidare la competenza del narrare-resocontare come strumento di auto-formazione.

In questo paragrafo andremo a rintracciare alcune delle idee espresse nel corso dell’elaborato, individuandole nella “trama” del racconto dell’esperienza.

Per chiarire il contesto e le condizioni entro cui si è svolto il processo di osservazione, e narrazione è necessario fare alcune premesse.

Negli ultimi dieci anni è notevolmente aumentata la domanda di formazione per le professioni d’aiuto, cioè la formazione dedicata a chi si occupa di sostegno alle persone appartenenti a categorie disagiate. Si tratta principalmente di operatori che, avendo una formazione centrata sul “saper fare”, necessitano tuttavia di integrare le proprie competenze in termini di “sapere” e “saper essere”.

In questo contesto assume un ruolo centrale la competenza del “narrare” perché a nostro avviso rientra nel più ampio contesto dell’ascolto che è funzione centrale della comunicazione interpersonale.

Ascoltare, narrare e in senso più ampio comunicare sono alcune delle cosìddette “soft skills” competenze trasversali a tutte le professioni della relazione d’aiuto e al centro delle Skill for Life27. Ascoltare se stessi, mentre si è in relazione con l’altro, è la

26Associazione COME, agenzia accreditata presso la Regione Umbria per l’erogazione della formazione professionale per le macrotipologie superiore e continua.

27 L’importanza di queste competenze viene sottolineata dall’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) che nel 1992 introduce il termine “Skill for Life” con cui si intendono tutte quelle abilità che è necessario apprendere per mettersi in relazione con gli altri e per affrontare i problemi e le pressioni della vita. La mancanza di tali skill socio-emotive può causare l’instaurarsi di comportamenti a rischio e disadattivi in risposta allo stress. L’OMS ha individuato un nucleo di dieci competenze fondamentali tra cui: Comunicazione efficace, Skill per le relazioni interpersonali, Autocoscienza, Empatia, Gestione delle

competenza necessaria per promuovere la propria “salute professionale” e prevenire le possibili situazioni di burnout.

In sintesi ascoltare, narrare, riflettere, sono le azioni che consentono all’operatore di leggere la propria esperienza all’interno di un quadro organico di attribuzione di senso.

Il contesto che descriviamo è quello relativo ad un percorso. di formazione e sviluppo28 dedicato ad operatori socio-sanitari e dell’area educativa.

Il gruppo si è formato con persone che avevano già partecipato ad attività gratuite con carattere divulgativo o a corsi brevi e che a partire dall’espressione del disagio in ambito professionale hanno chiesto di poter approfondire alcuni aspetti del proprio lavoro. Ne è scaturita la proposta di uno spazio in cui poter condividere le proprie esperienze lavorative; raccontare se stessi, le sensazioni, le emozioni ed i pensieri che si incontrano nel lavoro di tutti i giorni a contatto con il disagio dell’altro e in cui poter riflettere sui modelli teorico-metodologici utilizzati per trovare un senso alla propria esperienza.

I partecipanti hanno diversa provenienza professionale: tre operatori di comunità, due educatori professionali, uno psicopedagogista, un’assistente sociale, un infermiere e un’insegnante di scuola primaria. Il gruppo è composto da sei donne e tre uomini.

Il percorso è condotto e agevolato dallo psicologo dell’Associazione che coadiuvo personalmente nell’organizzazione logistica e nell’osservazione dei processi relazionali all’interno del gruppo.

Lo scopo che il Gruppo29 si è proposto, in fase di costituzione, è di sviluppare le capacità di comprendere se stessi in rapporto con gli altri ed arrivare in tal modo ad attuare interventi competenti, coerenti con i modelli applicativi adottati.

emozioni (Marmocchi, Dall’Aglio & Zannini, 2004). A nostro avviso, tali competenze sono particolarmente importanti nella formazione degli adulti.

28 Il ciclo, composto da dieci incontri, si è svolto durante il 2019 ed ha avuto una frequenza mensile.

29Utilizziamo il carattere maiuscolo per l’iniziale del termine “Gruppo” per evidenziare il riferimento al pensiero secondo cui una forma elettiva di apprendimento sia narrare le storie all’interno dei gruppi di lavoro. “[…] Il raccontare e il condividere storie è la forma privilegiata di discorso attraverso cui è costruita e distribuita la competenza professionale esperta della comunità” (Zucchermaglio, 2008, p. 61).

Quindi la “narrazione di gruppo” vista come strumento di apprendimento e trasformazione, finalizzata al

Il foglio informativo utilizzato per promuoverne la partecipazione, recitava inoltre: “Il percorso si snoda in un itinerario che va dal ‘raccontarsi in gruppo’ al ‘raccontare il Gruppo’. Il Gruppo infatti non esiste prima che si formi, non è un contenitore da riempire, bensì un’esperienza da creare insieme ed insieme da attraversare”.

Si è trattato quindi di uno spazio di formazione e, al tempo stesso, di trasformazione. In questo itinerario le persone hanno potuto attivare processi di scambio e di apprendimento.

Durante gli incontri erano previsti momenti in cui i partecipanti potevano reciprocamente essere ascoltati e agevolati da un collega (primo livello della narrazione). Alcune di queste sessioni sono state videoregistrate (secondo livello della narrazione) ed utilizzate come stimolo per la riflessione. In alcuni casi sono state effettuate anche le trascrizioni delle registrazioni (terzo livello della narrazione). La riflessione in gruppo e l’attribuzione di un senso condiviso, rappresenta un ulteriore livello della narrazione e contemporaneamente l’obiettivo stesso dell’azione formativa.

Riteniamo che la singola esperienza di difficoltà in ambito professionale, ri-narrata, rielaborata attraverso la condivisione e resa significativa, possa risultare valorizzata e diventare parte integrante del bagaglio professionale, quindi fruibile per successive esperienze.

La trascrizione che proponiamo è stata realizzata, nei giorni a seguire l’incontro, da una delle due persone direttamente coinvolte e più precisamente da chi ha fornito il primo livello di ascolto. Tutti i nomi personali riportati sono nomi di fantasia, al fine di garantire l’anonimato.

Bruno, partecipante esperto (nel senso che partecipa al gruppo da più tempo) ascolta ed agevola il racconto di Andrea, partecipante neofita nel ruolo di narratore, un giovane educatore professionale che lavora da qualche anno come operatore all’interno di una comunità di accoglienza per persone tossicodipendenti sottoposte a provvedimento giudiziario e in collocamento obbligatorio sostitutivo della pena.

“cambiamento di gruppo”, dove “di gruppo” assume una valenza non strumentale, bensì è considerato esso stesso come un obiettivo.

Per approfondimenti sulla narrazione di gruppo: Badolato & Di Iullo, 1979; Benson, 1987; Yalom &

Leszcz, 1974; Rogers, 1970.

[…] Bruno. Prima hai detto che ci volevi raccontare una cosa…

Andrea. Si. Cosimo, un’ospite della comunità, l’altra notte è stato beccato fuori dal cancello e si è preso col collega di turno che lo voleva far rientrare. Abbiamo parlato mezz’ora.

Bruno. Cioè, avete parlato tu e il collega?

Andrea. No, no, io ero di turno la mattina dopo. Daniele m’ha chiamato prima del cambio. Dico Cosimo, è con lui…

Bruno. Hai palato con Cosimo.

Andrea. Sono successe delle cose. Io stavo entrando che m’è venuto subito incontro e ha iniziato a parlare. Sapevo che era successo e lo sapevo che mi voleva dire qualcosa. E infatti appena sono arrivato m’ha chiesto se potevamo fare due chiacchiere e io mi sono irrigidito.

Bruno. Ti sei irrigidito.

Andrea. Un po’ volevo dedicargli attenzione: è la prima volta che si rivolge a me direttamente e mi fa piacere. Però c’avevo paura che mi metteva in mezzo e poi… con tutte le sue cose...

Bruno. Quindi, da una parte ti faceva piacere accogliere una sua prima richiesta nei tuoi confronti. Dall’altra c’era un po’ un senso di paura e ti sei irrigidito.

Andrea. Non è che mi sono irrigidito, proprio. Ho sentito una stretta (si tocca il torace) e c’avevo voglia, come ho fatto altre volte in situazioni simili, d’inventare una scusa e fare altro. Sapevo che Daniele c’aveva ragione ma sapevo anche che Cosimo, poveraccio, non lo sta mai a sentire nessuno. Quello c’ha bisogno di parlare...

Bruno. Non proprio irrigidito, hai sentito qualcosa al torace (si tocca il torace). Una stretta dici?

Andrea. Si, come una pompa che ti succhia l’aria e non ti escono più le parole.

Bruno. La senti anche ora? Una specie di sottovuoto? Beh, quando metti sottovuoto una cosa diventa dura, rigida…

Andrea. Si…(silenzio) È quella sensazione… (silenzio, ha gli occhi lucidi) Come quando mio fratello mi veniva a raccontare i cazzi suoi e io c’avevo paura… non volevo che me le diceva le cose. C’avevo paura di quello che faceva e poi c’avevo paura che i miei lo scoprivano e che poi c’andavo di mezzo io. Io volevo scappare e invece stavo li come un cojone…

Bruno. Avevi paura e rimanevi fermo, anche se pensavi che era meglio andare via da quella situazione.

Andrea. Lui era più grande, non mi doveva mettere in mezzo.

Bruno. Ti metteva in mezzo. Sei arrabbiato?

Andrea. (silenzio) No, ora no… Mi fa un po’ pena.

Bruno. Ora no…

Andrea. Prima mi faceva incazzare! Ora rosico che non gli ho mai potuto chiedere niente.

Bruno. Ti dispiace che non ci puoi contare?

Andrea. Già, come al solito dovevo fare tutto da solo.

Bruno. Come al solito?

Andrea. Si, si, pure i miei. Alla fine comunque ero io che mi ciucciavo le cose. Loro lo sapevano benissimo ma tanto c’avevano… erano belli incasinati (silenzio).

Bruno. C’è ancora quella sensazione della pompa che succhia?

Andrea. (silenzio) Ora no, cioè …boh… mi sembra che s’è allargata, è più morbido (silenzio).

Bruno. Che è successo poi l’altro giorno con Cosimo?

Andrea. Niente, poi, dopo gli ho detto di metterci sulla panchina in fondo al giardino, e appena ci siamo seduti ha cominciato “...e poi ti volevo dire una cosa. Sai, c’è quell’altro, Daniele che mi sta sempre addosso e non mi lascia respirare. Stanotte volevo fare due passi e lui subito stamattina l’ha detto alla responsabile”. Mentre parlava era agitato, non mi guardava…

Bruno. Quindi, invece, poi hai scelto di ascoltarlo …e di guardarlo!

Andrea. Si è vero. (sorride). Questa volta è diverso, ho avuto paura ma ho continuato a stare lì a sentire. E così forse ho fatto anche meglio di Daniele che attacca per coprirsi le spalle ma poi non ottiene niente. Poi Cosimo è stato più tranquillo. Sono contento, penso d’aver fatto bene.

[…]”

Nell’incontro successivo il Gruppo ha commentato la trascrizione che era stata inviata a tutti e si è proceduto con l’analisi delle fasi della narrazione attraverso il processo dell’esperienza, secondo il modello della Gestalt Therapy.

I partecipanti hanno individuato nella parte centrale, che abbiamo riportato, l’esperienza significativa con valore e qualità di “esperienza unitaria”, di Gestalt. Sono state quindi decodificate le dimensioni di: sensazione, pensiero, azione, retroazione, esperite dai due partecipanti che rappresentano le fasi stesse del processo.

Il Gruppo ha evidenziato due momenti “cardine”: il primo, quando Andrea dice “mi sono irrigidito” come momento che può essere ricondotto alla “sensazione corporea emergente”. Il secondo, quando Andrea dice “È quella sensazione…[…] Come quando mio fratello […]” come momento di contatto pieno nel qui e ora con la sua emozione.

La narrazione dell’evento consente ad Andrea di accogliere la sensazione e di dargli uno spazio, cosa non possibile mentre si trovava nel vivo dell’esperienza con l’utente.

L’ascolto del Gruppo tutto ed in particolare quello di Bruno gli consentono di allargare il “campo percettivo” e di associare il vissuto del qui e ora con la sua storia personale;

in particolare la situazione narrata lo riporta al vissuto che provava rispetto al fratello.

Dopo la condivisione la “sensazione della pompa che succhia” si alleggerisce e Andrea esprime la sua soddisfazione per l’azione proattiva nei confronti di Cosimo, l’utente della comunità.

Questi descritti, sono anche stati definiti da Andrea, rispettivamente come i momenti in cui “ho sentito qualcosa” e in cui “qualcosa è cambiato”.

Quello che segue è parte del resoconto del Gruppo, successivamente redatto in forma scritta, che è stato denominato “racconto del racconto” (quarto livello della narrazione)30.

“Andrea ha trovato una sensazione collegata alla situazione (irrigidito) e aiutato da Bruno a mantenere un contatto con l’esperienza corporea, ha continuato a verificare la corrispondenza dell’esperienza con la storia narrata. Quando ha ri-conosciuto i suoi sentimenti, questo gli ha consentito di ‘ristrutturare’ il suo pensiero attuale rispetto alle esperienze del passato, attribuendo un nuovo senso. È questo meccanismo che, prima, ha reso possibile una scelta diversa nei confronti di Cosimo e, dopo, una consapevolezza del proprio valore. Il processo può essere raccontato anche attraverso la metafora dell’‘eroe’: un evento mette in difficoltà il protagonista (antefatto, dimensione del sentire) e lo costringe ad intraprendere un viaggio (iniziazione, dimensione dell’azione) che lo porterà a fare delle scoperte grazie alle quali (trasformazione, dimensione del pensiero) potrà tornare più forte di prima (la vittoria, dimensione della retroazione)”.

Il Gruppo concorda sul fatto che il narrare abbia facilitato i processi di simbolizzazione e che l’azione del trascrivere e del resocontare poi (prima Bruno e a seguire tutto il

30 il Gruppo stesso ha individuato i diversi livelli della narrazione e quindi del resoconto: Andrea racconta il colloquio con Cosimo; Bruno trascrive l’esplorazione avvenuta con il Gruppo; Il Gruppo racconta le ipotesi su Andrea. Una persona del gruppo trascrive il resoconto del gruppo. Inoltre il presente scritto racconta di tutta l’esperienza e quindi rappresenta il quinto livello della narrazione/resoconto.

gruppo) abbia prodotto un’amplificazione/espansione dell’esperienza, divenuta poi risorsa per il tutto il Gruppo.

A partire da questa narrazione ogni partecipante ha attivato le proprie riflessioni tanto che il “racconto del racconto” è un prodotto dell’osservazione che non appartiene più solo al singolo, ma a tutti i partecipanti. La trasformazione nasce dall’esperienza di Andrea e viene vissuta come tale dal resto del Gruppo.

In questo caso, sembra che attraverso il resoconto sia stato possibile attuare un

“riconoscimento della complessità delle variabili in gioco” (Carli & Paniccia, 2005, p.

126), cioè solo attraverso la narrazione è stato possibile comprendere la complessità della dinamica intrapsichica e relazionale di Andrea e con il Gruppo.

L’operatore si deve infatti impegnare nel trovare la giusta corrispondenza tra il proprio sentire, i pensieri, le emozioni che emergono nella propria esperienza e la rappresentazione simbolica che ne fa, cioè come egli la racconta. Di conseguenza, il resocontare crea una momentanea sospensione del tempo, una sorta di area protetta riservata, in cui poter sviluppare la propria capacità riflessiva.

Costruire il resoconto costringe a fermarsi, a fare una pausa necessaria affinché quell’espressione simbolica possa arrivare ad una forma significativa e dotata di senso, cioè a nuove categorie di pensiero che si colleghino a quelle già esistenti nel proprio repertorio teorico e metodologico di riferimento.

Qualcosa di “complicato” (da plicum, piega) può essere capito attraverso una spiegazione, cioè con l’eliminazione delle pieghe.

Qualcosa di “complesso” (da plexum, intreccio) può essere compreso solo attraverso il racconto di quell’intreccio di trama e ordito che emerge proprio dall’atto del narrare.

Facciamo in tal modo riferimento ai cosiddetti “paradigmi di complessità”, ponendoli in contrapposizione ai “paradigmi di semplificazione”. Come sostiene Massimo Grasso, è necessario confrontarsi con tale dimensione della complessità, nell’ottica che

“l’interazione tra il fenomeno, l’osservatore e gli strumenti utilizzati nel processo di conoscenza non solo è inevitabile, ma deve essere considerata l’oggetto del conoscere”

(Grasso, 2010, p. 44, corsivo nel testo).

I partecipanti, a partire dall’osservazione, hanno formulato ipotesi utilizzando i diversi modelli di lettura a loro disponibili. Questo modo di avvicinarsi all’esperienza sviluppa il senso di competenza e autonomia.

Redigere resoconti sulle proprie esperienze professionali e condividerli costituisce forse l’unica fonte di informazioni per la verifica della qualità e dell’efficacia dell’intervento e dovrebbe diventare una consuetudine.

Per consolidare una best practice è necessario trasmetterla sin dai primi momenti della formazione ed alimentarla durante tutta la vita professionale, affinché possa essere integrata non come un “utile accessorio”, bensì come parte del “bagaglio di base” di un professionista.

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