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Fuori campo: l’esplosione e le conseguenze della violenza

Finora si è analizzata la violenza nei film di Tarantino principalmente a livello narrativo: quando è protagonista della scena, essa con i suoi eccessi stilistici è solitamente equilibrata da un contrappunto comico, fornito da un elemento di ordinarietà che risulta fuori luogo nell'economia della situazione. E’ un pacchetto unico e una soluzione azzeccata. Il regista, nello spirito della cultura pop che permea i suoi film, paragona opportunamente questa equazione a un Reese, snack popolare soprattutto negli Stati Uniti: “I think it’s like a Reese’s Cup, two great tastes that taste great together.” 55

Tarantino è per antonomasia un regista che usa molto sangue e per questo, ogniqualvolta che in uno dei suoi film si presenta un conflitto, lo spettatore si può aspettare una risoluzione più o meno cruenta della faccenda – da uno sparo preciso, che, in ​Django Unchained​, va ad annaffiare alcuni fiori di cotone con una spruzzata di rosso, all'effettivo bagno di sangue in cui finisce l’emporio di Minnie dopo che il colonnello Warren, in The Hateful Eight, ​espone le sue teorie su chi tra i presenti sia complice della ricercata Daisy Domergue. E’ proprio con tali aspettative che il regista ama giocare nel momento in cui mette in scena la violenza, soprattutto quando indugia nell’attesa di una sua esplosione, annunciata o prevedibile. Un esempio su larga scala è dato precisamente dall’impostazione narrativa di ​The Hateful Eight​. Per tutta la prima metà del film, infatti, non parte uno sparo: i personaggi passano il tempo a parlare, confinati in una baita del Wyoming a causa di una tormenta di neve. Nel frattempo

55 G. Peary, ​Quentin Tarantino: Interviews, Revised and Updated​, University Press of Mississippi, Jackson, 2014, p. 116

però si accumulano, all’interno dell’eterogeneo gruppo di viaggiatori, tensioni sociali ed odi razziali, retaggio della guerra civile da non molto tempo conclusa. Lo spettatore sa bene che prima o poi esploderanno, e così viene immerso in una “suspense dell’attesa”, come osservato da Morsiani.

Ora, [il film] si chiude in se stesso, creando un microcosmo concentrazionario e claustrofobico, in cui, giocoforza, le tensioni tra i personaggio sono destinate prima o poi ad esplodere. Ecco dunque la suspense dell’attesa: quando e come comincerà la resa dei conti? Nel frattempo, per scaricare la tensione, si discute e si chiacchiera 56

Quando la violenza esplode dopo circa un’ora e mezza di chiacchiere, il sangue diventa protagonista assoluto, da quello vomitato da John Ruth e O.B. dopo essere stati avvelenati a quello che imbratta completamente Daisy Domergue quando viene infine impiccata da Warren e Mannix – anch’essi comunque gravemente feriti e prossimi a morire per le emorragie. Da un punta di vista strutturale, è una soluzione equilibrata: per metà film si indugia nel dialogo, nella scoperta dei sospetti e degli antagonismi reciproci e nella “suspense dell'attesa”, cosicché la violenza estrema della seconda metà del film possa ricevere un senso. Questo gioco di attese e aspettative si può ritrovare anche su scala più ridotta, nella messa in quadro di certe scene in cui si assiste ad una costruzione progressiva dell’azione violenta in corso, per poi deviare lo sguardo proprio nel suo momento culminante. Un esempio piuttosto eloquente si può rintracciare già nella prima pellicola del regista.

4.1.1. ​Le iene​: il taglio dell’orecchio

Ne ​Le iene infatti la scena fortemente criticata come la più violenta del film, quella del celebre taglio dell’orecchio del poliziotto da parte di Mr. Blonde, non fa vedere in effetti il taglio dell’orecchio. Durante la tortura del poliziotto, si assiste alla preparazione e alla costruzione di aspettative verso un gesto di violenza emblematica: parte con il ballo di Mr.

Blonde con il rasoio in mano e approda con il gangster che, ripreso di quinta, si abbassa sulla vittima. A questo punto però l’inquadratura non cambia per mostrare ciò che Blonde è intento a svolgere: egli resta di quinta, così che la sua figura copre alla vista quello che si immagina stia facendo al volto del poliziotto torturato. La m.d.p. si muove solo per spostarsi e restare su un punto vuoto dello sfondo, come per distogliere lo sguardo, anche se il suono fuori campo, tra le grida soffocate della vittima imbavagliata e la musica dalla radio accesa, mantiene l’attenzione su ciò che sta accadendo oltre i bordi dell’inquadratura. Lo spettatore viene a sapere con certezza quello che è successo solo a conti fatti, quando vede infine il risultato dell’azione: Mr. Blonde con in mano un orecchio tagliato.

A Tarantino infatti interessa certamente l’esplosione della violenza in tutte le sue potenzialità estetiche; ma egli è anche particolarmente interessato alle ​conseguenze​delle esplosioni: alla gestione dei detriti, della poltiglia − del “pulp”, nel senso di “massa di materia informe”, come si legge all’inizio di ​Pulp Fiction​. Questo duplice interesse emerge chiaramente da quanto il regista dichiara nel 1993 in relazione al modo in cui tratta la violenza nei suoi film: a somiglianza di quella della vita reale, che, una volta deflagrata, va gestita nelle sue conseguenze imminenti.

Violence is part of this world and I am drawn to the outrageousness of real-life violence. (...) Real-life violence is, you’re in a restaurant and a man and his wife are having an argument and all of a sudden the guy gets so mad at her, he picks up a fork and stabs her in the face. (...) I am interested in the act, in the explosion, and in the aftermath. What do we do after this? Do we beat up the guy who stabbed the woman? Do we separate them? Do we call the cops? Do we ask for our money back because our meal has been ruined? I am interested in all those questions. 57

Nella prospettiva della rappresentazione delle conseguenze, ovvero di ciò che succede a seguito di un evento di massima intensità, ​Le iene è emblematico − e non solo perché presenta la scena del taglio dell’orecchio, in cui, come visto, viene messa fuori campo

57 G.Peary, ​Quentin Tarantino: Interviews, Revised and Updated​, University Press of Mississippi, Jackson, 2014, p. 59

l’esplosione della violenza (in seguito a una costruzione anticipatoria della stessa e a favore della rappresentazione delle sue conseguenze materiali: l’orecchio tagliato). Di tale meccanismo, infatti, l’intero film si pone come una versione in larga scala, una grande metonimia: è un film che ruota intorno ad una rapina, ma quest'ultima non viene mai mostrata, anche se di essa i personaggi parlano costantemente. Con le parole di Morsiani: “l’idea di partenza (...) era quella di fare una pellicola su di una ​hold-up dal punto di vista dell’incontro successivo alla rapina, quando tutti si danno appuntamento per spartirsi il bottino” . Terribili, in più, sottolinea come tale impianto narrativo si configuri come un58 contributo originale al genere da parte dello sceneggiatore Tarantino:

Tarantino mette in atto un procedimento di scrittura a lui particolarmente caro: lo scarto temporale, che contiene in sé quello che abbiamo precedentemente definito “evento dinamico”. Mentre nelle sceneggiature che abbiamo esaminato precedentemente, l’evento dinamico veniva recuperato successivamente, in questo film tutti parlano di un avvenimento che non vediamo mai: la rapina. 59

4.1.2. ​Django Unchained​: il combattimento tra mandinghi

Il duplice interesse di Tarantino per l’esplosione della violenza e per le sue conseguenze si può quindi ritrovare in tutte quelle scene in cui, proprio al culmine di un’azione, la m.d.p. sposta lo sguardo e va a mostrare, piuttosto, le conseguenze immediate di quell’azione oppure le reazioni parallele degli astanti. L’acme della violenza in corso viene perciò messo fuori campo. Ora, il campo non è che un ritaglio di mondo, di conseguenza, come osservano

Gianni Rondolino e Dario Tomasi, tutto ciò che non viene mostrato ma fa parte

dell’inquadratura costituisce il fuori campo . Luca Malavasi sottolinea inoltre due possibili 60

nature di questo spazio: come prolungamento del campo oppure come spazio incerto. Nel primo caso si ha una dimensione prevista, sia in senso visivo che in senso psicologico, in

58 A. Morsiani, ​Quentin Tarantino​, Gremese, Roma, 2018, p. 70

59 D. Terribili, ​Quentin Tarantino. Il cinema “degenere”​, Bulzoni, Roma, 1994, p.103

quanto immaginabile come realtà contigua a quella mostrata in campo. Nel secondo caso invece il fuori campo diventa un luogo nascosto e potenzialmente inquietante; in tale prospettiva assume i tratti di un “limbo fantasmatico”, in cui “c’è sempre qualcosa di imprevisto, suscettibile di assumere le forme più diverse”. Considerando tutto ciò, nel momento in cui si allontana dal vivo dell’azione, lo sguardo va a rifugiarsi in uno spazio rassicurante che prima stava fuori campo. Ecosì quello spazio fuori campo diventa un luogo angoscioso – anche se non propriamente inquietante, in quanto si può ben immaginare quello che sta accadendo oltre i bordi della cornice.

In quello spazio, come succede in ​Django ​Unchained​, a un uomo vengono cavati gli occhi tra la concitazione degli astanti. La scena in questione si svolge all'interno di un club privato in Mississippi, gestito dal ricco possidente Calvin Candie, che vi organizza combattimenti all’ultimo sangue tra schiavi mandinghi . Django e il dottor Schultz vi si recano con61 l'obiettivo di avvicinare Candie come finti acquirenti di lottatori. In una delle sale del lussuoso club, trovano il proprietario mentre sta esultando e incitando il suo campione, Big Fred, nel mezzo di un sanguinoso combattimento corpo a corpo che si svolge su uno spicchio di parquet davanti al camino acceso. Gli altri astanti comprendono: l'italiano Amerigo Vesseppi, proprietario del mandingo opponente, che chiama Luigi; il suo avvocato, seduto in disparte dietro ai divanetti in prima fila; la guardia del corpo di Candie, che si intrattiene facendo qualche tiro a biliardo; il barman nero e una donna anch’essa nera, Sheba, che, vestita elegantemente, si aggira con disinvoltura per la sala, in quanto favorita del padrone. Ad essi si aggiungono quindi i due protagonisti, oltre che Moguy, avvocato di Candie, e una delle cameriere del club, i quali li hanno scortati fino alla sala. Schultz e la cameriera si siedono in prima fila sullo spazio del combattimento, a fianco del padrone di casa e Amerigo Vesseppi.

61 uno dei principali gruppi etno-linguistici dell'Africa occidentale, tra XVI e XX secolo coinvolto pesantemente nella tratta degli schiavi. Non esiste alcuna documentazione che attesti la storicità di un fenomeno come l'organizzazione negli Stati Uniti di lotte tra schiavi neri per il divertimento dei loro proprietari bianchi. E' stato invece rappresentato con frequenza nella cultura popolare, ad esempio nel film

Mandingo ​(1975), che Tarantino ha citato come uno dei suoi preferiti (Aisha Harris, ​Was There Really

‘Mandingo Fighting,' Like in Django Unchained?​, Slate, 24 dicembre 2012, https://slate.com/culture/2012/12/django-unchained-mandingo-fighting-were-any-slaves-really-forced-to-fi ght-each-other-to-the-death.html).

Dopo il momento introduttivo al contesto della scena – ​establishing shot​, primi piani dei diversi personaggi coinvolti e dettagli di alcuni drink – l’attenzione si focalizza sul combattimento davanti al camino, che prosegue in modo sanguinoso, tra il tifo particolarmente entusiasta di Candie e quello di Vesseppi. Le inquadrature continuano comunque a susseguirsi numerose. Un primissimo piano di Sheba, che beve un sorso di champagne seduta in una zona più distante rispetto al punto della lotta tra mandinghi, è seguito da un mezzo busto di Django, che si accende una sigaretta davanti al bar, dando le spalle allo spettacolo: da parte degli astanti di colore c’è quindi distacco rispetto all’azione in corso.

Le immagini dei lottatori, riprese con la steadicam, sono ravvicinate, dinamiche e inframmezzate da inquadrature più statiche, principalmente in mezzo busto, dei tifosi Candie e Vesseppi. A un certo punto Big Fred rompe il braccio all'opponente Luigi, mentre fuori campo la voce di Candie continua a gridargli di fare “come h[a] detto”: “Cavagli gli occhi, giovane!”. Da un primo piano di Big Fred, finalmente e per un attimo fermo, la m.d.p. si sposta fulmineamente su un infervorato Candie, che ripete per un’ultima volta: “Ho detto cavaglieli!”. Altrettanto fulmineamente lo sguardo torna quindi su Big Fred, che guarda in basso sul rivale disteso a terra, oltre il bordo inferiore della cornice, e comincia ad eseguire l’ordine. Il dottor Schultz, reclinato di peso sullo schienale del divano così da evidenziare un atteggiamento di apertura verso lo spettacolo, accenna un sorriso recitato e nervoso. E’ ripreso con un’inquadratura in piano medio leggermente dal basso, la quale, includendo nella composizione il ginocchio della gamba che il dottore tiene accavallata sull’altra, sottolinea la presenza di una barriera psicologica tra il personaggio e la violenza che ha davanti; anche la posizione del corpo tende vistosamente verso il lato opposto rispetto al punto dello spettacolo. Nella stessa inquadratura, di fianco a Schultz si vede la cameriera, che ha sul volto un’espressione disgustata. È in realtà abbastanza grottesca perché il personaggio è presentato come piuttosto sciocco e infantile; ciononostante, nella sua smorfia si può leggere un terrore genuino.

Dopo un altro breve sguardo su Vesseppi, che lamenta la sconfitta imminente del suo mandingo, la camera torna su Big Fred in modo simile a come era stato lasciato: in primo piano ed escludendo l’oppositore dall'inquadratura. Stavolta Big Fred spinge in profondità nelle orbite della vittima, la quale però continua a non venire mostrata. Il compimento del

lavoro è rappresentato, piuttosto, attraverso la reazione della cameriera e con un rimando metaforico agli occhi cavati: parallelamente infatti la donna si alza di scatto, gridando e facendo cadere le caramelle a forma di biglia che teneva in grembo, che si disperdono per il pavimento tra le scarpe dei personaggi.

La costruzione della scena appena descritta pone il pubblico nella condizione di vedere riflesso il proprio “innocuo” divertimento da spettatore in quello degli spettatori della diegesi. Concettualmente la violenza sta, più che nella lotta tra i due mandinghi, nel cieco tifo di

Candie, Vesseppi e Moguy, in quanto fondato su un sistema di oppressione e

disumanizzazione del prossimo. Il pubblico ne è consapevole: vedendo riflesso e amplificato il proprio divertimento in quello esagerato degli schiavisti bianchi, dovrebbe quindi essere capace di percepire l’indegnità della violenza in atto. E’ quello che osserva Kate E. Temoney: “far from encouraging us to avert our gaze or assume the role of voyeur, Tarantino implicates us in the violence, exposing a portion of our dark nature” . In questa prospettiva, 62

interrompere la successione delle immagini della lotta tra i due mandinghi con una (quella delle biglie versate sul pavimento) che rimanda metaforicamente allo strappo dei bulbi oculari, ovvero a ciò che sta accadendo fuori campo, significa interrompere l’immersività determinata dal montaggio e dalle inquadrature ravvicinate. Subito dopo l’immagine delle biglie, infatti, inquadrando infine il volto pieno di sangue del mandingo sconfitto, lo spettatore viene messo di fronte al risultato disumano dello spettacolo a cui ha appena assistito.

4.1.3. ​Pulp Fiction​: l’iniezione di adrenalina

Nel cinema di Tarantino la rappresentazione fuori campo dell’acme di una violenza si inserisce nei contesti più svariati, anche (e per la maggior parte dei casi) molto meno urgenti di quella appena analizzata, estratta da ​Django Unchained​: anche solo, cioè, per un puro interesse per le conseguenze del gesto. L’esplosione non viene mostrata, a favore invece di una costruzione di aspettative verso di essa e della rappresentazione delle sue conseguenze. Si può osservare in questo senso la scena da ​Pulp Fiction in cui Vincent Vega esegue

62 K. E. Temoney, ​The “D” Is Silent, But Human Rights Are Not: ​Django Unchained ​As Human Rights

Discourse​, in Oliver C. Speck (a cura di), ​Quentin Tarantino's Django Unchained. The Continuation Of

un’iniezione di adrenalina dritta al cuore di Mia Wallace per salvarla da un’overdose. Nonostante sia atta a salvare una vita piuttosto che a toglierla, l’azione viene costruita come un atto violento – letteralmente come una pugnalata.

Alla fine della serata al Jack Rabbit Slim’s, Vincent riaccompagna Mia a casa Wallace: sono entrambi soddisfatti per la vittoria al contest di ballo che si è tenuto nel locale. Mentre Vincent è in bagno, Mia accende la radio e continua a festeggiare per poi gettarsi sul divano, fumando una sigaretta; trovando una dose di quella che pensa essere cocaina nella tasca della giacca di lui ne assume un po’. Si tratta però di eroina, che il gangster aveva comprato quello stesso giorno dallo spacciatore Lance su consiglio di quest’ultimo: “La coca è bella ch’è morta da anni. Da un pezzo. L’eroina sta rivoltando in un modo pazzesco”. Alla prima sniffata Mia si accascia all’indietro sullo schienale del divano, perdendo i sensi e sanguinando dal naso in primissimo piano. Nell’inquadratura successiva è ormai caduta con la testa sul pavimento, il volto segnato dagli effetti dell’overdose, tra sudore, sangue dal naso e schiuma dalla bocca.

Dopo una frenetica corsa in macchina, Vincent la porta a casa di Lance perché lo aiuti a risolvere la situazione. Lo spacciatore Lance, che si presenta in ciabatte e accappatoio, vive con la moglie Jody, ragazza con taglio di capelli grunge e piena di piercing. Nonostante l’aspetto di lei e il lavoro di lui, la coppia abita in una normalissima casa con giardino di un quartiere residenziale – tutto il contrario della villa dei Wallace, con i suoi ambienti spaziosi, moderni e minimalisti. Al confronto, l’abitazione di Lance è un ambiente più modesto ma anche molto più accogliente, pieno di tappeti, cuscini da divano, piante e abat-jour; due scatole di giochi da tavolo sono sistemate sopra un tavolino portaoggetti, sulla sinistra dell’inquadratura sul soggiorno. Una volta adagiata Mia sul pavimento del salotto, la steadicam segue i personaggi, tra panico e discussioni, in un piano sequenza girato essenzialmente da un unico punto, dal quale si guarda la concitazione in sala e si segue il movimento di Lance verso e nel caotico studio adiacente; qui l’uomo cerca il libretto medico tra la confusione dei suoi oggetti personali, ripreso attraverso la porta aperta, della quale si vede soltanto uno spiraglio, data la posizione defilata della m.d.p.. L’effetto però non è tanto di intrusione nella scena, come è il caso, ad esempio, dell’inquadratura dal corridoio con la quale, ne ​Le iene, ​vengono sbirciati Mr. White e Mr. Pink nel bagno del magazzino: è piuttosto quello di stare in mezzo alla confusione della casa, quasi per non essere d’intralcio.

Tale impressione è amplificata proprio dalla presenza di così tanti oggetti sparsi per l'ambiente e dai movimenti limitati della steadicam, che non fa altro che ruotare sul proprio asse verticale.

Il piano sequenza si interrompe quando Lance trova finalmente l’occorrente per l’iniezione di adrenalina e si butta sul pavimento di fianco a Mia, dal lato opposto rispetto a Vincent. L’inquadratura è ora statica; il punto di ripresa è quasi ad altezza terra, posto dietro la cima della testa di Mia, ed è angolato verso l’alto, ad includere le figure intere di Lance e Vincent, seduti sulle ginocchia, oltre che quelle sullo sfondo di Jody e dell’amica Trudi, che in quel momento si trova in casa. L’ ​establishing shot si alterna a particolari del torace di Mia nel punto in cui andrà fatta l’iniezione, che Vincent segna con un pennarello rosso, e dettagli della preparazione della siringa da parte di Lance. Nel momento in cui tutto è predisposto, Lance si rifiuta di eseguire lui stesso l’iniezione, così, dopo qualche esitazione, Vincent assume l’incarico. Lance gli spiega quindi come fare, mimando il gesto per tre volte di fila e