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spettacolo del dialogo / spettacolo della violenza

La messa fuori campo dell’apice di una sequenza conflittuale e l’inserzione a sorpresa di immagini di particolare impatto grafico tramite il flashback, viste nei capitoli 4.1. e 4.2., sono strategie estetiche che danno una forma, una griglia di contenimento, alla deflagrazione della violenza. Più tipicamente però quest’ultima viene messa in scena in modo schietto, senza argini estetici: d’altronde nell’universo tarantiniano la violenza semplicemente accade. Spesso il regista si diverte a rinviarne l'innesco, in special modo attraverso il dialogo, che per spettacolarità si mostra in grado di competere con la violenza stilistica tipica dei suoi film: tiene alto l'interesse del pubblico e al contempo coltiva una tensione di fondo che sfocia infine nell’esplosione del sangue.

I dialoghi più memorabili del regista presentano una certa artificiosità: i personaggi discorrono con padronanza linguistica e capacità retoriche notevoli, a dispetto del fatto che l’argomento di conversazione spesso riguardi dettagli ordinari o comunque di bassa priorità nell’ottica del dramma incombente. Come già analizzato nel secondo e terzo capitolo, la deflagrazione della violenza viene puntualmente equilibrata, a livello narrativo, dall’aderenza a un dominio di ordinarietà. Proprio l’attaccamento dei personaggi alla loro natura umana li porta non solo a trattare la violenza come “azione quotidiana e quasi banale” , ma anche a 84 indugiare nella chiacchiera, tra conversazioni sul più e il meno e monologhi che espongono personalissimi punti di vista.

Nel corso del presente lavoro sono stati analizzati gli elementi di ordinarietà che contraddistinguono personaggi come Mr. Blonde ne ​Le iene​, Jules Winnfield in ​Pulp Fiction e Aldo Raine in ​Bastardi Senza Gloria​. Tutti e tre tendono ad utilizzare la parola, dilungandosi nel racconto o pronunciando battute sardoniche, prima di compiere azioni di grande efferatezza; in particolare, Winnfield e Raine hanno l’abitudine di introdurre la violenza con un vero e proprio monologo rituale. Quando il dialogo porta all’esplosione del sangue, esso assume la funzione di rinvio dell’azione e quindi di deposito di aspettative; ma proprio attraverso l’attesa lo spettacolo del dialogo genera suspense.

La macchina della suspense funziona in modo complesso, ma generalmente, come segnala Stefano Calabrese sulla base delle osservazioni di Meir Sternberg, per prima cosa essa “anticipa un evento che attira l’attenzione del destinatario” e quindi “sospende il suo effettivo verificarsi per allontanare il momento in cui le attese iniziali saranno soddisfatte” . Nel caso 85

dell'esplosione della violenza, Tarantino può partire da una posizione avvantaggiata e lavorare direttamente sul “rinvio dell’esito ultimo” . Tale esito non ha bisogno infatti di86 venire segnalato per mezzo di prefigurazioni o esche interne al racconto , perché è già dato a 87 livello extra-testuale: lo spettatore dovrebbe essere già a conoscenza del peso narrativo ed estetico che il regista attribuisce alla violenza. In questa prospettiva è come se i film di Tarantino costituissero un proprio genere. Il paragone regge se si considera l’approccio semantico-sintattico di Rick Altman, secondo il quale i film di genere presentano un repertorio di ricorrenze figurative e narrative che si articolano attraverso una sintassi riconoscibile. E’ per questo che il pubblico, scegliendo di vedere un horror o una commedia romantica, può entrare in sala con già un’idea di ciò che si troverà davanti, ovvero con un insieme di aspettative relative al genere. Inoltre, come ricorda Alberto Morsiani, è lo stesso Tarantino a considerare i film d’autore come appartenenti a un genere proprio – forte del fatto che ogni regista, nella misura in cui è considerato autore, presenta cifre ricorrenti nel suo cinema, non solamente narrative e/o figurative ma anche estetiche.

Per Tarantino, del resto, non esiste una sostanziale differenza tra film di genere e film d'autore. È questa una delle sue grandi forze. Per lui, ogni film è in qualche modo di genere. Un film di Eric Rohmer è un film di genere: appartiene al genere film di Eric Rohmer. È un genere in sé, non diversamente da un noir o da un crime movie. Le due cose si confondono. 88

85 S. Calabrese, ​La suspense​, Carocci, Roma, 2006, p. 59

86 ibidem

87 Sono gli due strumenti narrativi attraverso i quali solitamente viene segnalato un determinato esito. Con la prefigurazione viene proposta una situazione o un evento che rimanda a tale esito grazie ad elementi di specularità. L’esca è invece un elemento narrativo che viene presentato in modo apparentemente casuale in una prima parte del racconto e il cui significato si rende chiaro successivamente, quando si ripresenta contestualizzato nella realizzazione dell’esito che era servito a segnalare. (S. Calabrese, ​La suspense​, Carocci, Roma, 2006, p. 7)

Nei film di Tarantino l’esplosione della violenza segna quindi un’aspettativa e un esito che avrà certamente luogo nel corso della vicenda, anche più volte. Tuttavia nell’ottica di una singola sequenza di dialogo la sua effettiva realizzazione è solo probabile, perché il regista si diverte a giocare con le aspettative dello spettatore, soddisfandole e disattendendole a piacimento. Ad ogni modo, quando la sequenza di dialogo finisce effettivamente nel sangue, il discorso viene elaborato e allungato finché l’argomento di conversazione non arriva a un punto di stallo e implode – mentre la violenza esplode di conseguenza: come visto nel primo capitolo analizzando ​Le iene​, è quando finisce il dialogo che subentra la violenza. Il dialogo pare configurarsi così come un deposito in cui si accumulano tensioni che prima o poi deflagreranno in un eccesso di violenza. Pertanto la suspense sta nell’attesa, che Tarantino paragona ad un elastico che va tirato fino al suo punto di massima tensione e quindi rilasciato, provocando il più forte schiocco possibile:

the suspense is like a rubber band that’s being stretched throughout the scene, getting tighter and tighter and tighter. And if I’m pulling that off, if I am successful in that, then the idea isn’t to make the scene shorter. The idea is to see how long I can stretch that rubber band out. The scene should be as long as it can be, as long as the rubber band will hold. It should take it to its finest, finest point. And then — snap! 89

In una celebre intervista con François Truffaut, Alfred Hitchcock invece spiegava il meccanismo della suspense nei suoi film ricorrendo all’immagine di una bomba che sta per esplodere, piazzata sotto un tavolo. Se questa detona all'improvviso, il pubblico proverà sorpresa, mentre prima del momento di shock non stava assistendo che ad una “scena ordinaria, di alcun particolare rilievo” . Tuttavia se per mezzo di qualche indizio esso viene 90 informato anticipatamente dell’esplosione, sarà portato a prospettarsi il momento, vivendo

89 Ferzina Banaji, ​The Nazi Killin’ Business: A Postmodern Pastiche of the Holocaust​, in A. Bangert, R. S. C. Gordon, L. Saxton (a cura di), ​Holocaust Intersections: Genocide and Visual Culture at the New

Millennium​, Leeds, Manley Publishing, 2013, p. 110

90 cit. «The public is surprised, but prior to this surprise, it has seen an absolutely ordinary scene, of no special consequence.» (https://www.youtube.com/watch?v=md6folAgGRU)

così un prolungato stato di ansia – tanto più se gli ignari personaggi si vedono impegnati in questioni irrilevanti nell’ottica di quello che sta per accadere, come ad esempio nel caso di una semplice conversazione:

In these conditions this innocuous conversation becomes fascinating because the public is participating in the scene. The audience is longing to warn the characters on the screen: ‘You shouldn’t be talking about such trivial matters. There’s a bomb beneath you and it’s about to explode!’ 91

Nelle sequenze di dialogo che finiscono nel sangue, Tarantino calca la mano sulla scarsa rilevanza di ciò di cui si parla nell’attesa dell’esplosione. Un breve esempio è dato dalla scena dell'uccisione dell'ultimo dei fratelli Brittle in ​Django Unchained. Django e il dottor Schultz si sono presentati alla piantagione Spencer per stanare tre ricercati, i fratelli Brittle, che vi lavorano come sorveglianti degli schiavi. Django ha già avuto a che fare con loro, ed essendo l'unico a poterli riconoscere, gira per la piantagione alla loro ricerca, mentre Schultz distrae Spencer discutendo di presunti affari. Nel capitolo precedente, sul flashback a sorpresa, si è già descritto il momento in cui il protagonista riconosce Ellis Brittle nel mezzo di un campo di cotone, osservandolo attraverso il cannocchiale. Ellis è il primo dei tre fratelli ad apparire, ma sarà l'ultimo a venire ucciso. Django infatti si dirige prima verso gli altri due sorveglianti, che stanno per frustare una schiava per aver rotto delle uova. Dopo averli eliminati entrambi, Schultz lo raggiunge, accorrendo al galoppo, e il giovane gli indica il Brittle mancante, che sta scappando a cavallo attraverso i campi, in lontananza.

La m.d.p. inquadra quindi la tentata fuga in un campo lunghissimo: il primo piano è occupato interamente da arbusti di cotone, in mezzo ai quali sono sparsi alcuni braccianti, chini per la raccolta; verso lo sfondo Ellis Brittle, al galoppo, attraversa l'inquadratura orizzontalmente. L’immagine è seguita da un controcampo sui due cacciatori di taglie, ripresi frontalmente in mezzo busto. Il dottor Schultz segue il movimento di Ellis Brittle con la canna del fucile puntato. Nel frattempo si fa assicurare da Django di avere sotto tiro l'uomo giusto,

introducendo così uno scambio di battute: il movente del dialogo è pertinente all’azione in corso, ma si perde in ragionamenti di altro ordine, oltre che in una certa ridondanza dall'effetto comico.

SCHULTZ: Sicuro che sia lui? DJANGO: Sì.

SCHULTZ: Persuaso? DJANGO: Non lo so.

SCHULTZ: Non sai se sei persuaso? DJANGO: Non so che vuol dire ​persuaso​. SCHULTZ: Vuol dire ​sicuro​.

DJANGO: Sì. SCHULTZ: Sì cosa?

DJANGO: Sì, sicuro che è Ellis Brittle.

La breve interazione inizia con il ​clic dello scatto del cane e si conclude con lo scoppio dello sparo, quasi sovrapposto alle ultime parole di Django. Nei dieci secondi che servono per prendere la mira e fare fuoco viene quindi inserito uno scambio di battute del tutto superfluo dal punto di vista narrativo. Esso tuttavia intrattiene il pubblico e ne tiene viva la curiosità, spiazzandolo con quello a cui i personaggi paiono dare importanza. Lo spettacolo del dialogo così configurato è seguito da una rappresentazione stilistica della violenza. La caduta di Ellis Brittle, colpito a morte, viene corredata infatti da un eccesso di sangue. Inoltre il tempo del racconto viene dilatato rispetto a quello della storia attraverso la presentazione di diversi momenti dell’azione; in questo modo la sequenza viene a durare dieci secondi, tanto quanto quella di dialogo che l’ha preceduta.

Dopo lo sparo, lo sguardo si sposta quindi sulla caduta di Ellis Brittle, che viene ripresa in una successione di cinque inquadrature: due coppie di campi lunghi da angolazioni diverse, inframezzate da un dettaglio. Il primo campo lungo guarda dalla stessa prospettiva del precedente campo lunghissimo che mostrava Brittle in fuga, indicato da Django: il fuorilegge, di profilo, sta ancora correndo in sella al suo cavallo quando viene centrato dal proiettile, che

gli trapassa l’addome; un consistente fiotto di sangue zampilla dal foro di entrata sulla

schiena. Segue un secondo campo lungo, stavolta frontale rispetto al soggetto, angolato dal

basso e leggermente inclinato verso destra: la composizione anticipa e rimanda all’imminente

caduta del fuorilegge. La sequenza viene inframmezzata dal dettaglio di uno spruzzo di

sangue rosso intenso che macchia a pioggia alcuni fiori di cotone. Riprendendo il campo

lungo di inizio sequenza, Ellis Brittle si accascia sul cavallo in corsa; spostando lo sguardo in

posizione frontale, la m.d.p. segue la caduta dell'uomo dalla sella al suolo e quindi il

rotolamento del corpo, che si ribalta un paio di volte, avvicinandosi così al punto di ripresa e

finendo in primo piano, supino e con ben visibile il dettaglio del foro di uscita del proiettile

nell'addome. Solitamente dunque la violenza che deflagra a seguito del dialogo viene resa in modo

altamente stilistico, con un eccesso di sangue e spesso anche scelte di regia marcate – quasi a

reggere il confronto con il dialogo che l’ha introdotta: per mostrarsi altrettanto spettacolare,

se non con le parole, con la forza delle immagini. Il dialogo d’altra parte è spettacolare perché

“artificioso”: è linguisticamente elaborato e retoricamente coinvolgente; è teatrale e

vagamente grottesco, perché la sua forma ospita contenuti ordinari o comunque tangenziali

rispetto al dramma della violenza, il cui corso viene sospeso e rinviato dal dialogo stesso. La

suspense qui sta tutta nell’attesa, nella consapevolezza che la violenza prima o poi esploderà,

e che quando lo farà sarà messa in scena con livelli di stilizzazione direttamente proporzionali al tasso di spettacolarità del dialogo.

Bibliografia

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Filmografia

Nota:

Nell’analisi sono stati presi in considerazione tutti i film di Tarantino ad eccezione di ​C’era una volta a… Hollywood​, in quanto uscito in Italia poco prima che si iniziasse a elaborare questa tesi. Inoltre due degli otto film considerati sono stati solo menzionati nel corso del lavoro, senza alcuna analisi approfondita: ​Jackie Brown​ e ​Grindhouse - A prova di morte​.

Le iene (Reservoir Dogs)

Regia: ​Quentin Tarantino

Soggetto:​ Quentin Tarantino

Sceneggiatura:​ Quentin Tarantino

Fotografia: ​Andrzej Sekuła

Montaggio:​ Sally Menke

Musica:​ AA.VV.

Interpreti: ​Harvey Keitel (Mr. White), Tim Roth (Mr. Orange), Michael Madsen (Mr.

Blonde), Chris Penn (Eddie “il Bello” Cabot), Steve Buscemi (Mr. Pink), Lawrence Tierney

(Joe Cabot), Kirk Baltz (Marvin Nash) Produttore:​ Lawrence Bender Casa di produzione:​ Live America Inc., Miramax Durata:​ 99 min Anno: ​Stati Uniti d’America, 1992 Trama Una banda di rapinatori, assemblata dal boss Joe Cabot, rapina una gioielleria, ma il colpo

viene interrotto dal pronto intervento della polizia. I complici vengono quindi messi in fuga,

disperdendosi prima di riunirsi nel luogo di ritrovo prefissato: un magazzino dismesso. I

primi ad arrivare sul posto sono Mr. White e Mr. Orange, il quale è gravemente ferito e sul

punto di morire. Vengono raggiunti da Mr. Pink. Pink e White arrivano alla conclusione che

la polizia deve essere stata informata anticipatamente della rapina da un infiltrato all’interno

della banda. Mr. Blonde, sopraggiunto anch’egli, mostra loro il poliziotto che è riuscito a

catturare durante la fuga. Arriva anche Eddie “il Bello”, figlio del boss, e insieme a White e

Pink esce per recuperare i diamanti che sono riusciti a rubare. Mr. Blonde tortura il poliziotto

sequestrato, ma sul punto di dargli fuoco, Mr. Orange si ridesta e spara all’aguzzino. Si

scopre quindi che è lui l’infiltrato della polizia. Gli altri rapinatori tornano al capannone;

suoi sospetti sono confermati dal padre, ma White è convinto che Orange sia innocente. I complici si puntano le pistole addosso, mentre Pink si nasconde: ad avere la peggio sono i due Cabot. Pink riemerge dal suo nascondiglio e scappa con la valigetta dei diamanti. A questo punto Orange confida la verità a White, il quale, disperato, gli spara, mentre i poliziotti irrompono nel locale.

Pulp Fiction

Regia: ​Quentin Tarantino

Soggetto:​ Quentin Tarantino, Roger Avary

Sceneggiatura:​ Quentin Tarantino, Roger Avary (non accreditato)

Fotografia:​ Andrzej Sekuła

Montaggio:​ Sally Menke

Musica: ​AA.VV.

Interpreti: ​John Travolta (Vincent Vega), Samuel L. Jackson (Jules Winnfield), Uma Thurman (Mia Wallace), Bruce Willis (Butch Coolidge), Tim Roth (Ringo "Zucchino"), Amanda Plummer (Yolanda "Coniglietta"), Ving Rhames (Marsellus Wallace)

Produttore: ​Lawrence Bender

Casa di produzione:​ Miramax, A Band Apart, Jersey Films

Durata:​ 154 min

Anno:​ USA, 1994

Trama

Nel film si intrecciano tre vicende diverse in ordine non cronologico.

Due gangster, Vincent Vega e Jules Winnfield, recuperano una misteriosa valigetta nell’appartamento di alcuni ex-soci del boss Marsellus Wallace. Eliminano gli inquilini con l’eccezione di un ragazzo, a cui Vincent, però, spara per sbaglio mentre sono in macchina. Si fermano in casa di un amico, dove li raggiunge il professionista Winston Wolf per ripulire la scena del crimine.

La stessa sera Vincent accompagna a cena Mia, moglie di Marsellus. Alla fine della serata, passata in un locale anni Cinquanta, Mia va in overdose per aver assunto l’eroina di Vincent. Il gangster la porta di corsa a casa del suo spacciatore e grazie a un’iniezione di adrenalina dritta al cuore riesce a rianimarla.

Il pugile Butch Coolidge contravviene all’ordine di Marsellus di perdere un match truccato. Si dà quindi alla fuga insieme alla fidanzata Fabienne, ma quest’ultima si è dimenticata di

portare con sé il suo orologio di famiglia. Butch va a recuperare l’oggetto, ma finisce per

imbattersi proprio nel boss. Inizia un inseguimento che termina in un negozio di pegni: il

proprietario stordisce i due uomini e, insieme a un amico poliziotto, intende abusare

sadicamente di loro. Butch riesce a fuggire e libera anche Marsellus, il quale, in cambio, lo