• Non ci sono risultati.

La legittimazione della violenza: il caso di ​Bastardi senza gloria

Bastardi senza gloria è un film che ribalta le coordinate della Storia, ponendo gli oppressi nelle condizioni di reagire e in ultima istanza eliminare i loro oppressori. Esemplare in questo senso è la vicenda dell’ebrea francese Shosanna Dreyfus, che si apre con l'eccidio della sua famiglia per mano delle SS: una situazione quindi ricorrente nei film di guerra incentrati sul nazismo, che fissa gli invasori tedeschi in una posizione di autorità assoluta e i perseguitati ebrei in una di totale impotenza – come d’altronde i fatti storici prescrivono. Ma al contrario di altri film dello stesso genere, la superstite Shosanna non passa il resto della vicenda tentando di sopravvivere; anzi, nel suo piccolo mette in atto una straordinaria vendetta nei confronti della Germania intera. Chiudendoli all’interno del suo cinema, infatti, arriva a bruciare vivi gli alti vertici nazisti, Hitler compreso, riuniti per la prima di un film propagandistico. Parallelamente alla vendetta privata della ragazza si svolge la missione di alcuni soldati ebrei americani, inquadrata all’interno della grande Operazione Kino, architettata dagli alleati. Essi si infiltrano alla prima del film con un carico di esplosivi, e, prima di farsi saltare in aria, raggiungono Hitler nel suo palco privato per massacrarlo con insistenti scariche di mitragliatrice, mentre in platea divampa l’incendio appiccato da Shosanna.

Chiaramente il cinema, nelle sue diverse declinazioni, ha grande rilievo nel nucleo tematico della vicenda . Tuttavia esso si configura anche come una metafora, ovvero come un’arma30

30 E’ inteso innanzitutto come luogo fisico: nel cinema di Shosanna vengono a congiungersi tutti i fili narrativi, ha luogo il climax del racconto e viene proiettata la pellicola propagandistica ​Stolz der Nation (​Orgoglio della Nazione​), che si configura come un film nel film. Il cinema è inteso poi come repertorio filmico, ricorrendo spesso nelle conversazioni dei personaggi: si veda, ad esempio, la scena in cui Frederick Zoller incontra per la prima volta Shosanna e le parla di Max Linder, di Charlie Chaplin, de ​La

tesa a correggere la Storia e a perfezionare la realtà. Proprio la metafora del cinema, insieme ad un'impostazione fiabesca, permette a Tarantino non solo di deviare il racconto dal corso reale della Storia, ma anche di agitarne le acque, immettendovi la violenza iperrealista che è cifra della sua poetica. Gli eccessi stilistici infatti non godono qui di quella certa impunità che lo spettatore tendeva ad accordare ai film precedenti del regista, perché ​Bastardi senza gloria prende le mosse da una tematica storica che rappresenta ancora un nervo scoperto per la società occidentale contemporanea. Per questa ragione, a più riprese e soprattutto in concomitanza con le scene violente, Tarantino si impegna a ricordare allo spettatore che quello che sembra un mondo reale non è altro che cinema, e che quello che sembra Storia non è altro che una fiaba.

Mentre la metafora cinematografica viene tanto macinata da costituire una presenza tematica, quella fiabesca opera a livello strutturale, ma senza restare tra le righe, perché viene esplicitata sin dall’inizio. Dopo i titoli di testa infatti la vicenda si apre con la classica formula introduttiva “C’era una volta” – come già notato da Alberto Morsiani, il quale allaccia l’osservazione alla struttura a lieto fine del film:

La prima riga dello ​script ​recita: «C’era una volta nella Francia occupata dai nazisti…». Si tratta di una fiaba, ovviamente raccontata con lo stile di Tarantino, che come tutte le fiabe ha un lieto fine: il grosso lupo cattivo nazista viene ucciso. 31

tragedia di Pizzo Palù di G. W. Pabst. Quest’ultimo, tra l’altro, ritorna in una conversazione tra l’infiltrato inglese Archie Hicox e il maggiore Hellström della Gestapo, nella scena ambientata nel locale La Louisiane. Il cinema come tema viene considerato inoltre come apparato produttivo: nella vicenda si dà spazio a Goebbels in quanto produttore di ​Stolz der Nation e a Zoller in quanto star dello stesso; inoltre Hicox racconta a Hellström di aver partecipato alle riprese de ​La tragedia di Pizzo Palù ​. Ma il tema del cinema si presenta persino sotto le vesti della critica: il tenente Hicox prima della guerra era infatti un critico cinematografico specializzato nei film d’avanguardia tedeschi, e per questa regione viene convocato dal generale Fenech e da Churchill in persona per partecipare all’Operazione Kino; la sequenza in questione si configura non solo come spiegazione dell’operazione a beneficio dello spettatore, ma anche come un commento ideologico alla produzione cinematografica nazista, che, nelle parole di Hicox, intende proporsi come un’alternativa al “cinema intellettuale ebreo-tedesco degli anni Venti” e al “dogma hollywoodiano dominato dagli ebrei”.

Ma forse la metafora fiabesca riguarda soprattutto l’impianto morale della vicenda. Come una fiaba, infatti, ancor più che protagonisti e antagonisti il film sembra opporre buoni e cattivi, gli uni moralmente distinti dagli altri per la prima volta in Tarantino. Qui i cattivi della fiaba corrispondono agli oppressori della Storia e i buoni agli oppressi – non importa quanto spietati, sadici o spericolati questi ultimi siano in realtà: i cattivi lo saranno sempre di più. Per questo gli oppressi devono reagire, come è perfettamente possibile nel mondo messo in scena dal film, perché esso fa parte di quell’universo “più reale della vita reale” nel quale la violenza è alla portata di tutti e la vendetta privata ha valore di giustizia.

In particolare, Leonardo Gandini nota che la vendetta personale di Shosanna non fa giustizia solamente sul piano diegetico: in questo caso infatti “la violenza diventa il luogo di una doppia riparazione morale, che riguarda al contempo l’intreccio del film e il genere a cui appartiene”. L’atto di violenza si configura come un grande incendio, appiccato da una donna all’interno di un cinema di sua proprietà; è alimentato da metri di pellicola in nitrato, accatastati dietro a uno schermo sul quale poco prima si proiettava “un film canonico per il genere bellico, dedicato alle imprese di un eroe maschile”. E in un film di guerra Shosanna, personaggio femminile, si appropria di un ruolo centrale, precisamente grazie a un grande “atto di violenza morale”. Esso va a risarcire non solo il popolo ebraico nel quadro della vicenda e della Storia, ma anche i personaggi femminili nel contesto della storia del cinema. In questo senso le pellicole date alle fiamme rappresentano il cinema del passato. Simbolico è anche il luogo del dolo, ovvero una sala cinematografica di proprietà della stessa Shosanna e precedentemente appartenuta a tale Madame Mimieux: il posto nella storia del cinema di cui la figura femminile si appropria non è da reclamare, ma le appartiene di diritto. 32

Tuttavia restano da legittimare tutti quegli atti di violenza, proclamati o effettivamente mostrati, che Raine e i suoi soldati perpetrano ai danni dei nazisti nel corso della vicenda. In questo senso ha funzione quasi programmatica il monologo con il quale viene introdotto il personaggio di Aldo Raine, all’inizio del secondo capitolo della vicenda. Assegnato al comando di una squadra speciale, il tenente Raine si presenta ai suoi otto soldati ebrei americani, allineati davanti a lui in una piazza “da qualche parte in Inghilterra”, come riporta la sceneggiatura. La sequenza prevede una geografia semplice e scarna, la cui mappatura

32 L. Gandini, ​Voglio vedere il sangue. La violenza nel cinema contemporaneo​, Mimesis, Milano-Udine, 2014, p. 109-111

viene fornita in modo preventivo con un ​establishing shot​dall’alto. In seguito la prospettiva dello spettatore verrà spesso schierata dietro la linea dei soldati, ma ancor più spesso dovrà orientarsi tra frequenti scavalcamenti di campo, oltre che passaggi a primissimi piani di Raine, il quale si muove di continuo non solo sul piano frontale, ma anche in profondità. Il tenente Raine illustra quindi la missione assegnata all’unità: paracadutarsi in Francia e, “come guerriglieri in agguato alla macchia”, uccidere quanti più nazisti possibile, così da facilitare l’arrivo degli alleati, che stanno preparando la ben più celebre Operazione Overlord – la stessa che culminerà nello sbarco in Normandia.

RAINE: Ora, non so voi, ma io sicuro come l’inferno non sono sceso dalle Smoky Mountains, non ho attraversato cinquemila miglia d’acqua, non ho combattuto per mezza Sicilia per buttarmi da un aeroplano dal cazzo e dare ai nazisti lezioni di umanità. I nazisti non hanno umanità. Sono i soldati di un pazzo che odia gli ebrei e pratica l’omicidio di massa, e devono essere eliminati. Ecco perché ogni figlio di puttana che indossi un’uniforme nazista dovrà morire.

Nel capitolo precedente, il primo del film, i poli morali erano stati espressi in modo limpido, rispettando il paradigma storico: un ufficiale delle SS, Hans Landa, venuto a scovare una famiglia di ebrei nascosta nell’abitazione di un vicino, Perrier LaPadite, fa confessare l’uomo e fucilare la famiglia; ma uno dei suoi componenti, Shosanna, riesce a fuggire. La violenza finora è quindi perpetrata unicamente dai nazisti; ma poi, a partire dal secondo capitolo, la Storia entra in collisione con l’universo tarantiniano, dove i cosiddetti buoni sono capaci di azioni terribili, ognuna delle quali verrà di volta in volta legittimata, ricordando allo spettatore che “i nazisti non hanno umanità”. Gli oppressori infatti, anche quando sembrano vittime – a volte addirittura integerrime – in balia della vendetta degli oppressi, alla fine fanno sempre qualcosa che li palesa nella loro natura di cattivi. E’ il caso, ad esempio, del soldato ed eroe di guerra tedesco Frederick Zoller, che per gran parte del film viene ritratto come un ragazzo modesto e gentile, intento a fare la corte ad un’insensibile Shosanna: proprio un momento prima di venire ucciso da lei si rivela invece imperioso e intimidatorio. Ma i casi più esemplari sono legati alle sevizie che gli americani perpetrano ai danni dei

nazisti – in particolare quelle ai danni del sergente Rachtman, messe in scena subito dopo il monologo di Raine, con un’ellissi che porta la squadra dei “bastardi” dalla teoria immediatamente alla pratica.

La missione della squadra di Raine è volta non solo ad eliminare quanti più nazisti di stanza in Francia, ma anche a diffondere il terrore tra le loro fila attraverso sevizie compiute appositamente sui cadaveri dei soldati tedeschi. Quest’ultimo punto viene macinato a lungo nel discorso introduttivo del tenente. Proprio tale eccesso di zelo conferisce al monologo un’aria vagamente grottesca e, unito al tipico linguaggio colorito ed esso stesso eccessivo dei protagonisti di Tarantino, tende a svuotarlo di credibilità agli occhi dello spettatore.

RAINE: Io sono il discendente della guida di montagna Jim Bridger. Perciò ho un po’ di sangue indiano nelle vene. Il nostro piano di battaglia sarà quello della resistenza Apache. Saremo crudeli coi tedeschi, e attraverso la crudeltà sapranno chi siamo. Troveranno le prove della nostra crudeltà sui corpi dei loro fratelli smembrati, dilaniati e sfigurati che ci lasceremo dietro. E allora i tedeschi non potranno fare a meno di immaginare le sevizie che i loro fratelli avranno subito per nostra mano e con la punta dei nostri coltelli e col tacco dei nostri stivali. E i tedeschi avranno paura di noi, e i tedeschi parleranno di noi, e i tedeschi avranno la nausea di noi.

Il fatto stesso di volersi presentare come mezzo indiano con una specie di sillogismo – semplicemente perché discendente di una guida di montagna – concorre a proporre Aldo Raine come l’ennesimo personaggio sopra le righe di Tarantino, spietato e letale, ma pur sempre simpatico, perché profondamente umano. Sulla propria affinità con gli Apache Raine fonda tutto il suo metodo di lotta contro i tedeschi. In particolare, come chiarisce in chiusura al monologo, pretende da ognuno dei suoi otto soldati cento scalpi di nazisti – riprendendo così un’usanza tipica degli Apache nei confronti dei loro nemici. A livello retorico quest’ultima parte si basa, ancor più che nel resto del discorso, sulla ripetizione e sul polisindeto, con frasi che, nella versione italiana del film, che ben rende quella originale, iniziano con la congiunzione coordinativa “e”. Ciò concorre a rendere palese l’iperbole che

caratterizza il tono dell’intero monologo e quindi a fare in modo che lo spettatore non prenda troppo sul serio le sue parole.

RAINE: Ma ho una parola di avvertimento per gli aspiranti guerrieri. Quando sarete al mio comando avrete un debito. Un debito con me personalmente. Ogni uomo sotto il mio comando mi dovrà cento scalpi di nazisti. E io li voglio i miei scalpi. E ciascuno di voi mi darà cento scalpi nazisti, strappati dalla testa di cento nazisti morti. O ci resterà secco nel farlo. 33

Come anticipato, la squadra di Raine viene presto mostrata in azione, impegnata a tagliare scalpi dopo lo scontro in una foresta con una pattuglia di soldati tedeschi che evidentemente ha avuto la peggio. Due ​establishing shot presentano la geografia della scena. Il primo, una carrellata orizzontale, si muove da un lato all’altro di un sentiero, dato dall’avvallamento tra due porzioni di terra più rialzate; lungo quest’ultime corrono da una parte la muraglia di un baluardo e dall’altra una serie di archi in mattone costruiti scavando nella collinetta . Il 34 paesaggio è autunnale e tra le foglie cadute al suolo sono sparsi nazisti morti – qualcuno già privato dello scalpo, mentre sugli altri è in progresso il “lavoretto” degli uomini di Raine. Con una carrellata verticale, il secondo ​establishing shot discende dall’alto della collinetta, sulla quale altri americani sono in posizione di guardia, e si ferma in un campo lungo alle spalle di tre prigionieri in uniforme nazista, a terra in ginocchio e con le mani dietro alla testa. Sullo sfondo un uomo emerge quindi da una delle campate costruite nella collina, l’unica a non essere interrata, in quanto punto di apertura del fortino nascosto. Il personaggio viene introdotto da un dettaglio: il calcio del suo fucile, che viene piantato per terra e reca la scritta “inglourious basterds” – probabilmente incisa con lo stesso coltello con cui Aldo l’Apache,

33 la versione originale presenta lo stesso schema di ripetizioni:

RAINE: But I got a word of warning for all you would-be warriors. When you join my command, you take on debit. A debit you owe me, personally. Each and every man under mycommand owes me 100 Nazi scalps. And I want my scalps. And all y'all will get me 100 Nazi scalps taken from the heads of 100 dead Nazis. Or you will die trying!

34 Il set è situato in un forte prussiano del secondo Ottocento, costruito scavando nella collina di Hahneberg, alle porte di Berlino.

proprietario dell’arma, è solito incidere svastiche sulla fronte dei nazisti che decide di lasciare in vita, a testimonianza delle azioni terroristiche dell’unità.

Raine fa arrivare davanti a lui uno dei prigionieri tedeschi, un sergente. Il prigioniero avanza con carrellata a precedere, in leggero ralenti e inquadrato con un mezzo primo piano che ne mette in evidenza l’andamento circospetto. Al contempo la ripresa non manca di mostrare l’ambiente alle sue spalle, dove il sergente continua a lanciare occhiate – come accentuato dall’inserzione di una soggettiva sugli americani che lo tengono sotto tiro dall’alto. Inoltre, nonostante sia fuori fuoco, lo sfondo alle sue spalle resta comunque abbastanza ingombrante a causa della continua entrata in quadro degli elementi che lo popolano, determinata proprio dal movimento del sergente: gli altri prigionieri in ginocchio dietro di lui, altri soldati che lo tengono sotto tiro, il rivelarsi della forma del baluardo che nel primo ​establishing shot si vedeva al lato del sentiero, opposto alla serie di campate. Pare allora crearsi una sorta di specularità tra l’atto di scandagliare lo sfondo da parte dello spettatore e quello di osservare i suoi dintorni da parte del sergente. Per questo primo segmento della scena, infatti, il prigioniero nazista è presentato come un personaggio con cui poter simpatizzare, e che addirittura tende a suscitare un certo rispetto nello spettatore grazie alla dignità che dimostra nell’affrontare la situazione sfavorevole in cui si trova.

Seduti a terra uno di fronte all’altro, come in un colloquio in qualche accampamento indiano, il tenente Raine interroga il sergente Werner Rachtman. L’interrogatorio viene ripreso con una classica serie di campi e controcampi, inframmezzata – al di là di un inserto dedicato a Hugo Stiglitz, ex-soldato tedesco che ha fatto strage di ufficiali della Gestapo e che ora tiene Rachtman sotto tiro insieme ai nuovi commilitoni – da un totale dei due interlocutori di profilo, ai lati opposti del quadro. Nel totale lo sfondo è ancora una volta fuori fuoco ma piuttosto ingombrante, data la presenza degli archi in mattone, la cui fila corre da sinistra a destra lungo il piano prospettico e si interrompe con il profilo di Rachtman, oltre il quale è situato quindi il punto di fuga. Quest’ultimo coincide con la zona più limpida dell’immagine: della luce infatti vi filtra in lontananza tra il verde degli alberi, l’unico colore vivido nell’immagine – insieme ad un punto nell’angolo specularmente opposto, di un rosso intenso: è la carne viva della testa di un nazista privata dello scalpo. Tra Raine e Rachtman si estende un campo di morte, dove sono seminati alcuni cadaveri.

Nel momento in cui Rachtman “rispettosamente” si rifiuta di collaborare, inizia ad echeggiare il rimbombo di alcuni colpi, a cadenza lenta, da dentro la fortezza scavata nella collina.

RAINE: Sentito? RACHTMAN: Sì.

RAINE: E’ il sergente Donny Donowitz. Magari lo conosci meglio con il suo soprannome, l’Orso Ebreo. Se hai sentito parlare di Aldo l’Apache, avrai sentito parlare anche dell’Orso Ebreo.

RACHTMAN: Ho sentito dell’Orso Ebreo. RAINE: Che hai sentito?

RACHTMAN: Che uccide i soldati tedeschi con una mazza.

RAINE: Gli spappola il cranio con una mazza da baseball, ecco che fa. Ora, Werner, te lo chiedo un’ultima volta e se tu rispettosamente rifiuti, chiamerò qui l’Orso Ebreo, lui porterà quella grossa mazza e comincerà a colpirti fino ad ammazzarti.

L’entrata in scena dell’Orso Ebreo viene quindi preparata verbalmente, annunciata insieme alle modalità con cui verrà compiuto il destino del sergente Rachtman: percosso a morte con una mazza da baseball. Un primo contrappunto è quindi relativo al fatto che l’imminente violenza avrà per mezzo un attrezzo sportivo peculiarmente americano e ridicolmente ordinario: lo spettatore deve solo attendere la sua deflagrazione. I rintocchi della mazza da baseball scandiscono il tempo dell’innesco della sequenza di brutalità e ne dilatano la percezione.

Un mezzo primo piano evidenzia a questo punto l’espressione contenuta e dignitosa del sergente, il quale guarda dritto verso l’ingresso del fortino completamente buio. Successivamente la m.d.p. comincia ad eseguire un lentissimo avvicinamento sul suo volto, interrotto da un totale che mostra l’uomo di profilo, sempre immobile e con lo sguardo in avanti, nella stessa inquadratura con Raine. Seduto a terra in posizione leggermente sopraelevata, Raine è ripreso frontalmente, con lo sguardo che vaga, come quello di uno spettatore già stufo dell’attesa. In questo modo Rachtman viene fissato prima in un’atmosfera drammatica, focalizzata sulla sua soggettività; e poi calato nell’ambiente circostante e

soprattutto messo a confronto con Raine, in un accostamento che annulla la solennità del momento. In modo simile un secondo avanzamento della m.d.p. su Rachtman viene fatto seguire da un altro sguardo su Raine, stavolta isolato, il quale approfitta del tempo dell’attesa per masticare qualcosa. Il terzo avanzamento poi arriva ad inquadrare il sergente tedesco in primissimo piano. A questo punto Donny Donowitz entra in scena tra gli applausi dei