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L’esempio di “The Bonnie Situation”; l’importanza del nome

Ultimo capitolo nella successione del film, riprende il punto da cui si era interrotto il secondo, ovvero quello del recupero della valigetta di Marsellus Wallace. L’episodio inizia quindi con Vincent e Jules che, dopo aver eliminato i ragazzi dell’appartamento eccetto uno, lasciano il luogo della strage con la valigetta e il ragazzo risparmiato, che tengono legato nel sedile posteriore. La successiva sequenza si svolge in auto: Jules sta guidando e Vincent tiene distrattamente sotto tiro il ragazzo. La presenza dell’ostaggio è tenuta fuori fuoco sullo sfondo dei primi piani dei due killer, che stanno parlando tra di loro; resta fuori fuoco in secondo piano anche nel momento in cui Vincent, gli rivolge una domanda. Il ragazzo è chiaramente solo una presenza in più, irrilevante, almeno finché per errore parte uno sparo che lo prende “in piena faccia”: la m.d.p. si sposta allora all’esterno dell’automobile, che viene inquadrata dal lunotto improvvisamente schizzato di sangue. Sangue e cervella si ritrovano ora sparsi su sedili e finestrini, oltre che addosso a Vincent e Jules.

JULES: Che cazzo è successo, si può sapere? Ah, che schifo! VINCENT: Ho preso in piena faccia Marvin!

Il ragazzo era entrato in scena presto all’interno del film, ma il suo nome, Marvin, viene citato solo verso la conclusione, proprio nel momento in cui viene eliminato, ovvero quando infine assume rilevanza nella storia. L’eliminazione di Marvin, con tutte le sue conseguenze imminenti, è infatti il pretesto narrativo che innesca l’ultimo capitolo di ​Pulp Fiction​, avviandolo verso la conclusione. Secondo l’analisi della narrazione delineata da Casetti e Di Chio, la presenza di un nome, e per estensione di un’identità, è il più basilare dei criteri per distinguere gli esistenti di una storia tra “personaggi” e “ambienti”. Il personaggio infatti è definito anzitutto da un nome proprio, mentre gli ambienti restano per lo più non identificati – e quindi a questa categoria appartengono non solo paesaggi e oggetti che fanno da sfondo alle azioni dei personaggi, ma anche le comparse . In questa prospettiva, l’assegnazione di un 49

nome all’ultimo dei ragazzi dell’appartamento segnala il nuovo peso che questi ha assunto nella vicenda, pur non passando pienamente allo status di personaggio – d’altronde, come si può dedurre dalla classificazione di Casetti e Di Chio , la distanza tra personaggio e 50 ambiente si sviluppa in un continuum nel quale le due categorie si sovrappongono in misure differenti.

In modo simile a quanto accade con Marvin in ​Pulp Fiction​, ne ​Le iene il nome del poliziotto torturato da Mr. Blonde viene rivelato giusto prima di venire ucciso da Eddie il Bello. Per tutta la durata della sequenza di tortura, il poliziotto è rilevante solo quale oggetto dell’azione di Mr. Blonde, personaggio attante in quanto “operatore” che realizza la dinamica in gioco - ricorrendo ancora una volta alla terminologia di Casetti e Di Chio . Nel momento in cui Mr. 51 Orange, per salvarlo, spara al suo aguzzino, il torturato assume una rilevanza nello sviluppo della vicenda: la sua presenza svela il doppiogiochista all’interno della banda, innescando così l’epilogo del film. La sequenza successiva vede infatti un breve dialogo tra i due poliziotti ricoperti di sangue, in cui si parla della vera identità di Mr. Orange; ad essa seguono l’ultimo dei capitoli-flashback del film, dedicato al retroscena del reclutamento di Orange nella banda di rapinatori, e quindi l’epilogo, inaugurato dalla pronta eliminazione del poliziotto da parte di Eddie il Bello. E’ Mr. Orange a chiedere il nome al poliziotto: Marvin – lo stesso nome, tra l’altro, del ragazzo che viene colpito in faccia da Vincent Vega.

MR. ORANGE: Come ti chiami? MARVIN: Marvin.

MR. ORANGE: Marvin come? MARVIN: Marvin Nash.

MR. ORANGE: Marvin, ascoltami, io sono… ascoltami, Marvin, io sono un poliziotto

MARVIN: Sì, sì, lo so. MR. ORANGE: Lo sai?

MARVIN: Sì, ti chiami Freddy non-so-come. MR. ORANGE: Newandyke. Freddy Newandyke.

50 ibidem

MARVIN: Frankie Ferchetti… ci ha presentati circa cinque mesi fa.

Nei film di Tarantino i nomi occupano un certo spazio: non a caso anche al personaggio più circostanziale ne viene assegnato uno. Ad esempio in ​Bastardi senza gloria il contadino francese Perrier LaPadite, interrogato dal colonnello Landa all’inizio del film, ha tre figlie, ognuna delle quali viene nominata (Suzanne, Julie, Charlotte), nonostante compaiano per meno di tre minuti e in ruoli assolutamente marginali. Una volta fatto accomodare il colonnello Landa, LaPadite rivolge loro, nominandole una per una, tre brevi richieste, finalizzate a predisporre la casa per l’imminente colloquio: a Suzanne domanda di servire da bere al colonnello; a Julie di chiudere la finestra; a Charlotte di accompagnare le sorelle fuori dalla casa. Durante l’interrogatorio Landa chiede poi a LaPadite di elencare i nomi dei cinque Dreyfus, la famiglia ebrea che non era stata rinvenuta durante un primo rastrellamento della zona: il padre Jakob, la madre Miriam, lo zio Bob, i figli Amos e Shosanna. A nessuno di loro, con l’ovvia eccezione dell’ultima elencata, è riservato del tempo sullo schermo; vengono comunque nominati uno per uno e in una sequenza che dura quasi due minuti, proprio perché, come nel caso del poliziotto Marvin Nash e del suo omonimo in ​Pulp Fiction​, i nomi segnalano l’assunzione di peso nello sviluppo della vicenda da parte dei personaggi che li portano. Proprio la sequenza in questione, infatti, porta alla rivelazione del fatto che LaPadite sta effettivamente nascondendo la famiglia sotto il pavimento della sua casa, e quindi alla trasformazione in suspense del mistero che aveva caratterizzato la prima parte dell’interrogatorio. La sequenza della trascrizione dei dati sui Dreyfus comincia con un

establishing shot sui due interlocutori, seduti al tavolo dalla parte opposta rispetto al punto di vista dello spettatore. La percezione del tempo della scena viene enfatizzata poi da una lenta carrellata semicircolare, che, con uno scavalcamento di campo, porta il punto di ripresa dalla parte del tavolo in cui sono seduti Landa e LaPadite. Dopo un dettaglio sul nome di Shosanna stampato nell’elenco del colonnello, la m.d.p. isola LaPadite in un primo piano, quasi da dietro le sue spalle, per poi scendere con una carrellata verticale fino al di sotto del pavimento e rivelare così la presenza dei Dreyfus: l’immagine è scura e la figura di Shosanna in campo medio, sdraiata come il resto della famiglia nello spazio buio e ristretto, occupa quasi per intero l’inquadratura.

Una vicenda che gioca con il contributo del nome nella definizione di un personaggio è quella di ​Kill Bill​. Nel Volume 1 e per parte del Volume 2 viene omesso infatti il nome della protagonista. Non si evita semplicemente di citarlo: quando si presenta viene censurato con un ingombrante segnale acustico, esplicitando così il fatto che esso ha in effetti un ruolo specifico nella narrazione. L’omissione risulta ancora più stridente se si considera che la vicenda tratta della vendetta della protagonista nei confronti di una serie di nemici, i quali hanno tutti un nome, un cognome e pure un alias. La lista in cui la Sposa li ha appuntati a caratteri cubitali viene persino inquadrata in dettaglio più volte nel corso dei due film. L’omissione del nome della protagonista concorre a configurare il personaggio come attante più che come persona : il Volume 1 infatti si concentra a mostrare la Sposa nelle vesti di52 macchina letale, per la quale provare più ammirazione che comprensione. Non a caso il film sembra assegnare un ruolo altrettanto centrale alla rivale principale, O-Ren Ishii, dando grande spazio al suo passato tragico ed estremamente cruento. Lo spettatore assiste al percorso che ha portato O-Ren ad incrociare il cammino della Sposa, oltre che a diventare capo della yakuza di Tokyo – condizione in cui si trova nel momento in cui la Sposa cerca la sua vendetta. Lo spettatore pertanto viene a conoscenza dei moventi dell’antagonista, a cui si sente prossimo. Per di più il capitolo dedicato alle origini di O-Ren si distingue in modo marcato dal resto del film: si tratta infatti di un inserto di animazione giapponese – scelta che rimanda non solo alle origini del personaggio, ma anche all’ambientazione di tutta la seconda parte della vicenda, che mette in scena l’addestramento della Sposa presso il leggendario forgiatore di spade Hattori Hanzo e il compimento della sua vendetta nei confronti di O-Ren a Tokyo. Dal punto di vista della rappresentazione del personaggio della Sposa, il Volume 1, con la sua attenzione al passato e alle ragioni di O-Ren Ishii, prepara il terreno per il secondo film. Infatti se nel primo volume la Sposa viene caratterizzata anzitutto come una macchina letale, il Volume 2 è dedicato all'esposizione del suo passato, quindi delle sue ragioni: dalla relazione con Bill Gunn fino allo svelamento del desiderio di abbandonare la vita da killer per dedicarsi a quella di madre. A tutto ciò è correlata la rivelazione del suo nome, Beatrix Kiddo. Viene pronunciato per la prima volta senza censura da Elle Driver, altro nome dalla lista nera della Sposa, e la sua importanza viene enfatizzata con l’inserzione di un brevissimo inserto: un siparietto, in realtà, che vede Beatrix, adulta, rispondere all’appello della maestra

52 secondo la classificazione già menzionata di Casetti e Di Chio (​Analisi del film​, Bompiani, MIlano, 2012, pp. 171-172)

in una classe delle scuole elementari. Pertanto i nomi propri nei film di Tarantino, nel momento in cui vengono riportati o svelati, si configurano come segnale di un qualche sviluppo nella vicenda, e così facendo conferiscono peso agli esistenti che li portano, o anche solo ad un lato differente di personaggi già rilevanti, come nel caso della Sposa di ​Kill Bill​. Tornando al tema delle priorità incerte in ​Pulp Fiction​, lo sparo a Marvin porta logicamente a due compiti, che guideranno il corso d’azione di Jules e Vincent all’interno del capitolo: togliersi dalla strada e sbarazzarsi del cadavere, oltre che della macchina imbrattata di sangue e cervella. L’imperativo è in effetti quello di non farsi notare dalla polizia ed evitare l’arresto, ma il timore delle conseguenze legali viene trattato sotto il segno della scocciatura. Ciò di cui si preoccupano i due killer infatti è anzitutto l’inconveniente connesso all’incidente; si danno la colpa a vicenda e si lamentano dello “schifo” prodotto dal sangue schizzato.

JULES: Ma mi dici perché l’hai fatto?

VINCENT: Ma non volevo farlo, è stato un incidente.

JULES: Senti, bello, ne ho viste di stronzate nella mia vita, ma questa…

VINCENT: Datti una calmata! E’ stato un incidente probabilmente. Probabilmente hai preso una buca, ecco!

JULES: La macchina non ha preso nessuna maledetta buca!

VINCENT: Senti, basta, non volevo. Non volevo sparare a questo a figlio di puttana, è partito un colpo, ecco!

JULES: Ma guarda che casino hai combinato!

E’ una reazione normale, tanto ordinaria che nel suo contesto risulta surreale. In effetti, usando le parole di Daniela Terribili, i film di Tarantino giocano proprio su una “fusione di elementi realistici in sé, ma inequivocabilmente surreali nel momento in cui si uniscono gli uni agli altri” . 53

Per togliersi dalla strada, Vincent e Jules si nascondono provvisoriamente a casa di un amico di quest’ultimo, Jimmie Dimmick; qui li raggiungerà Winston Wolf, professionista che si

occupa di ripulire scene del crimine per conto di Marsellus Wallace. In casa di Jimmie l’atmosfera dell’episodio si fa ancora più paradossale. La prima sequenza si svolge nel bagno: Vincent e Jules si lavano le mani dal sangue e nel frattempo discutono su come comportarsi, mentre la m.d.p. li spia dal corridoio. La ragion d’essere dell’episodio, ovvero la necessità di sbarazzarsi del cadavere di Marvin e della macchina imbrattata, pare ormai dispersa in una galassia di preoccupazioni dalla rilevanza discutibile, addirittura retrocessa nella gerarchia delle inquietudini dei due gangster: al vertice sta ora la necessità di rabbonire Jimmie, scontento della visita improvvisa – non solo perché rischiano di venire cacciati di casa, ma anche perché Jimmie è un amico e come tale va trattato.

JULES: Insomma, Jimmie è un amico. Non vai a casa di un amico e cominci a dirgli che cosa deve fare.

VINCENT: Digli solo di non rompere troppo le palle. Voglio dire, si è messo a dare i numeri quando ha visto il nostro Marvin.

JULES: Beh, prova a metterti nei suoi panni. Sono le otto del mattino, si era appena svegliato, non se l’aspettava questa cosa. In fondo, cazzo, dobbiamo ricordarci che è lui che sta facenda un favore a noi.

VINCENT: Ma se questo significa che devo essere trattato di merda, può infilarselo dritto nel culo il favore, non mi interessa.

JULES: Ma porca puttana, che cazzo stai facendo con questo asciugamano?

L’accento sulla buona educazione è una costante nelle preoccupazioni dei personaggi di Tarantino. Ad esempio, in ​Grindhouse - A prova di morte una delle protagoniste, Abernathy,

insiste affinché l’amica Kim riformuli gentilmente la richiesta che le ha appena fatto senza troppo riguardo, posticipando così l’imminente sequenza di azione in cui Kim e un’altra ragazza ancora, Zoe, provano un numero da stuntwoman con un’auto da corsa. O ancora, in

Kill Bill: Volume 1 la Sposa e Vernita Green sospendono il loro scontro nel soggiorno di casa di quest’ultima quando si presenta la figlia tornata da scuola, inaugurando così una breve sequenza in cui, per rassicurare la bambina, le due opponenti si comportano da vecchie amiche. In ​Django Unchained​, poi, è proprio una cortesia negata a scatenare una strage in

casa di Calvin Candie: il dottor Schultz si rifiuta di dare la mano allo schiavista Candie per suggellare una transazione appena avvenuta, anzi preferisce sparargli. Nei film di Tarantino quindi sono spesso le piccole cose che, degenerando, fanno muovere la narrazione – ovvero “sono fesserie come questa che poi fanno finire la situazione in vacca”, come dice Jules rimproverando Vincent quando sporca di sangue gli asciugamani di Jimmie.

In realtà non sono solo i due gangster ma è anche Jimmie ad agire secondo priorità singolari. Jimmie infatti si dimostra reticente ad aiutare Jules e il suo collega non per problemi morali o per la paura dei rischi legali, bensì per il terrore di venire scoperto dalla moglie Bonnie, infermiera, che a momenti tornerà a casa dal lavoro.

JIMMIE: Ma non ti rendi conto, cazzo, che se Bonnie torna ora e trova quel cadavere qui dentro, mi tocca divorziare? Niente consulente matrimoniale, niente periodo di prova. Devo affrontare il divorzio, capito? E io non ho voglia di affrontare il divorzio! Ora, senti, ecco, cazzo, io voglio darti una mano ma non voglio perdere mia moglie per questo, è chiaro?

JULES: Jimmie, Jimmie, lei non ti lascerà….

JIMMIE: E basta, smettila di ripetermi “Jimmie”, Jules! Chiaro? Non fai che ripetermi “Jimmie”, ma non esiste niente che tu possa dire che mi farà dimenticare che sono innamorato di mia moglie!

La paura di venire scoperti dalla signora Dimmick si configura quindi come motore degli eventi successivi: è per questa che l’imperativo di sbarazzarsi del cadavere di Marvin e della macchina diventa una corsa contro il tempo, ed è perciò che Marsellus Wallace manda Winston Wolf, solitamente chiamato per risolvere le emergenze. Con le parole di Morsiani:

Una volta di più, personaggi del genere noir hanno a che fare con preoccupazioni ordinarie, della vita reale, che li stanno danneggiando. Non sono spaventati dalla

polizia, ma dalla moglie del loro amico che sta per tornare a casa dal lavoro. E’ assurdo perché assomiglia tanto a ciò che capita nella vita reale. 54

Con l’arrivo di Winston Wolf nella gestione del problema, il capitolo assume poi una certa valenza parodica. Wolf indossa la giacca con il papillon; guida una macchina sportiva, con la quale fa in dieci minuti un tragitto che ne richiederebbe trenta; e gestisce la situazione in casa Dimmick non solo con professionalità impeccabile ma anche con un atteggiamento di routine, impartendo indicazioni con grande rapidità. Egli si configura allora come una parodia dello stesso professionista tarantiniano. Se nella prima parte del film erano Vincent e Jules a calzare il ruolo dei professionisti, ora essi sembrano aver perso parte del loro sangue freddo: non a caso è proprio Wolf che, dopo averli presi in giro per gli abiti casual con i quali hanno sostituito i completi imbrattati di sangue, ricorda a tutti lo scopo della sua presenza: “Forza, signori miei, se restiamo a ridere finiamo in prigione, non fatevi pregare”.

Una volta ripuliti, i due gangster e Wolf si avviano verso lo sfasciacarrozze. La scena successiva a quella della loro doccia in giardino con il tubo dell’acqua si apre con una ripresa dall’alto sul bagagliaio della macchina aperto, nel quale il cadavere di Marvin, con il volto insanguinato e rivolto all’insù, è riposto in mezzo ai panni sporchi utilizzati per ripulire gli interni dell’auto. L’immagine è fulminea: uno dei personaggi vi getta il sacco con i vestiti imbrattati dei gangster e in un attimo chiude il bagagliaio. Nell’ultimo capitolo di ​Pulp

Fiction il contrappunto comico alla violenza ha completamente la meglio sulla presenza della violenza stessa, che resta non solo sullo sfondo, ma quasi nascosto da una spessa patina di comicità; allo stesso modo il corpo di Marvin non compare per l’intero episodio e ritorna solo in chiusura, seppellito tra panni e sacchi. In definitiva “The Bonnie situation” rappresenta forse il punto più alto di quella comicità che serve a stemperare la violenza tipica del cinema di Tarantino.

Capitolo 4

Estetica della violenza:

l’esplosione e le conseguenze, l’attesa e la sorpresa