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NARRAZIONE ed ESTETICA:la violenza nel cinema di Tarantino L , C , C C L M

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Academic year: 2021

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Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia D

IPARTIMENTO DI STUDI LINGUISTICI E CULTURALI

C

ORSO DI

L

AUREA

M

AGISTRALE IN

L INGUE , C ULTURE , C OMUNICAZIONE

NARRAZIONE ed ESTETICA:

la violenza nel cinema di Tarantino

Prova finale di:

Meiqi Vuong Relatore:

prof. Leonardo Gandini

Correlatore:

prof. Marc Seth Silver

Anno Accademico 2018/2019

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Abstract (IT)

La rappresentazione stilistica della violenza è la cifra autoriale più riconoscibile del cinema di Tarantino. Il presente lavoro intende analizzare le griglie narrative ed estetiche che la contengono, osservandone il funzionamento all’interno di sequenze e scene particolarmente emblematiche. Dall’analisi emerge che proprio l’eccesso stilistico, in combinazione con un impianto narrativo specifico, rende percepibile la mediazione linguistica del film, e così confina l’ultraviolenza tarantiniana in una dimensione schiettamente cinematografica.

Come premessa si è considerata la violenza dal punto di vista dell’analisi della rappresentazione: nei film essa costituisce un motivo e mai un tema, perché non è mai la ragion d’essere della narrazione. La parte più ampia della tesi è dedicata quindi alle modalità in cui la violenza si integra nella narrazione di Tarantino: tipicamente viene equilibrata da un contrappunto che va rintracciato nella configurazione del mondo rappresentato nel film.

Si tratta di un mondo analogo a quello reale; tuttavia le sue pretese di realismo si traducono in un dominio di ordinarietà talmente pervasivo che trova applicazione anche ai contesti più estremi. L’effetto è grottesco, ma proprio il distanziamento che questo provoca rende percepibile il ​medium​. Si nota inoltre che il metodo di scrittura tarantiniano segue un principio deterministico; viene così messo a confronto con il meccanismo del romanzo naturalista francese, sulla base delle linee guida tracciate da Emile Zola ne ​Il romanzo sperimentale​. Restano problematici però i casi in cui la violenza entra in collisione con temi delicati per la società contemporanea; il presente lavoro si ferma quindi ad analizzare il caso di​ Bastardi senza gloria​, che tratta il tema dell’Olocausto in maniera inedita.

L’ultima fase dell’analisi è di ordine estetico e riguarda due particolari soluzioni di messa in scena della violenza, che fanno riferimento alle strategie di suspense e sorpresa. Si nota come esse rispondono a un duplice interesse del regista: per l’esplosione della violenza nelle sue potenzialità estetiche e per le sue conseguenze immediate. In chiusura si osserva come anche la messa in scena del dialogo, posponendo l’esplosione di una violenza prefigurata, venga utilizzata per creare suspense. I dialoghi di Tarantino sono capaci di rivaleggiare con la violenza più stilistica, opponendo lo spettacolo della retorica alla forza delle immagini.

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Abstract (EN)

The stylistic representation of violence is one of the most conspicuous leitmotifs of Tarantino’s cinema. The purpose of this dissertation is to analyze the narrative and aesthetic grids that support it, and to examine how they function in the context of particularly emblematic sequences and scenes. The analysis shows that stylistic excess, combined with a particular narrative framework, makes the film linguistic mediation perceptible, and thus confines Tarantino’s use of extreme violence into an intelligibly cinematographic dimension.

From the perspective of Casetti and DiChio’s analysis of representation, violence is a film motif and never a theme, as it is never the ​raison d’être of the narrative. The better part of the analysis thus explores the ways in which the motif of violence is incorporated into Tarantino’s narration: it is typically balanced by a counterpoint to be found in the configuration of the world represented in the movie. Such a world is analogous to the real one, but its claim of realism translates into a dominion of ordinariness, which is so pervasive that it applies to all contexts – especially to the most extreme situations. The result is grotesque but the distancing it causes is what makes the ​medium perceptible. It is noted then that Tarantino’s method of writing follows a deterministic principle; it can be compared to the mechanism of the French naturalistic novel, following the guidelines provided by Emile Zola in ​Le Roman Expérimental​. However, problems arise when the tarantinian violence collides with sensitive subjects for our contemporary society: the analysis focuses on studying the case of ​Inglourious Basterds​, a film dealing with the subject of the Holocaust.

The last part of this dissertation examines two particular techniques of staging violence, which refer to the opposite strategies of suspense and surprise. They correspond to the director's interest in both the aesthetic potentialities and in the consequences of the deflagration of violence. On a final note, the main means of suspense deployed by Tarantino is the ​mise-en-scène of dialogue, which creates tension by postponing a prefigured deflagration. In terms of spectacularity, dialogue can measure up to the most stylistically rendered violence, as it opposes the show of rhetoric to the visual impact of the gore.

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Abstract (ES)

La representación estilística de la violencia es el sello más reconocible del cine de Tarantino.

La presente investigación analiza los esquemas narrativos y estéticos que la contienen, abordando descripciones de secuencias y escenas particularmente emblemáticas en este sentido. Del análisis se desprende que precisamente el exceso estilístico, en asociación con un implante narrativo peculiar, permite reconocer la mediación lingüística de la película y luego inscribe la ultraviolencia tarantiniana en una dimensión inteligiblemente cinematográfica.

Para comenzar, la violencia se estudió desde la perspectiva del análisis de la representación:

en el cine siempre constituye un motivo y nunca un tema, ya que nunca es la razón de ser de la narración. La parte más amplia de la tesis está dedicada a los modos en que la violencia se integra en la narración de Tarantino: típicamente, está equilibrada por un contrapunto que ha de remontarse a la configuración del mundo representado en la película.

Se trata de un mundo análogo del real. Sin embargo, su pretensión de realismo se traduce en un dominio de ordinariedad tan invasivo que se aplica aún en los contextos más extremos. El efecto es grotesco, pero el distanciamiento que provoca es exactamente lo que permite percibir el médium. Se constata, además, que el método de escritura de Tarantino sigue un principio determinista; se puede comparar con el mecanismo de la novela naturalista francesa, sobre la base de las directrices trazadas por Emile Zola en ​La novela experimental​. Aún así, siguen planteando problemas todos los casos en que la violencia colisiona con temas sensibles para la sociedad contemporánea; la presente tesis se centra entonces en analizar el caso de ​Bastardos sin gloria​, que aborda el tema del Holocausto de modo inédito.

La última fase de la investigación es de orden estético y examina dos particulares técnicas de escenificación de la violencia, basadas en las estrategias opuestas de suspenso y sorpresa.

Corresponden a un doble interés del guionista: tanto por la deflagración de la violencia como por sus consecuencias inmediatas. Concluyendo, cabe señalar que el principal instrumento de suspenso en Tarantino es la puesta en escena del diálogo, que pospone la explosión de una violencia prefigurada, oponiendo el espectáculo de la retórica a la fuerza de las imágenes.

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Indice

Introduzione ​………...….………...… 1

Capitolo 1. Analisi della rappresentazione

1.1. Cifra, tema e motivo ……….…….……... 3 1.2. Violenza come motivo: l’esempio de ​Le iene​ ………..……….... 5

Capitolo 2. Contrappunto: il dominio dell’ordinarietà

2.1. Un universo “più reale della vita reale” ………...…... 14 2.2. L’ordinarietà dei personaggi: Vincent Vega in ​Pulp Fiction​ ……….… 18 2.3. “Determinismo tarantiniano”: confronto con il romanzo naturalista francese ….. 21 2.4. Lo svuotamento di serietà della violenza ……….………….…. 24 2.5. La legittimazione della violenza: il caso di ​Bastardi senza gloria​ ………..…...… 27

Capitolo 3. Contrappunto: l’anarchia delle priorità

3.1. L’esempio dell'incisione della svastica in ​Bastardi senza gloria​; la “soggettiva del cadavere” ………....……….……….... 37 3.2. Effetto degradante dell’ordinarietà: la parodia del Ku Klux Klan in ​Django

Unchained​ ………...……….………..…… 44

3.3. Effetto potenziante dell’ordinarietà: Jules Winnfield in ​Pulp Fiction​ ………..….. 47 3.4. L’esempio di “The Bonnie Situation”; l’importanza del nome ……….………... 51

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Capitolo 4. Estetica della violenza: l’esplosione e le conseguenze, l’attesa e la sorpresa

4.1. Fuori campo: l’attesa e le conseguenze della violenza ………..……. 59

4.1.1. ​Le iene​: il taglio dell’orecchio ………..…… 60

4.1.2. ​Django Unchained​: il combattimento tra mandinghi ………...…… 62

4.1.3. ​Pulp Fiction​: l’iniezione di adrenalina ………... 65

4.1.4. ​Kill Bill Vol. 1​: lo scalpo di O-Ren Ishii ………... 69

4.2. Flashback: l’esplosione e la sorpresa ……….…. 78

4.2.1. ​Kill Bill Vol. 2​: l'occhio destro di Elle Driver ………..…. 79

4.2.2. ​Django Unchained​: tre flashback ……….… 82

4.3. Spettacolo del dialogo/spettacolo della violenza ……… 87

Bibliografia ​………...……….…… 93

Sitografia ​………...………....…. 96

Filmografia ​………...……….. 97

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Introduzione

La messa in scena della violenza è una delle cifre autoriali più riconoscibili del cinema di Tarantino, dati gli eccessi stilistici che spesso la accompagnano. Essa però non è mai gratuita, come invece potrebbe apparire: è sempre arginata da griglie narrative ed estetiche precise ​– le quali poi, rendendo percepibile la mediazione linguistica del film, vanno a confinare la violenza in una dimensione schiettamente cinematografica. Il presente lavoro intende quindi analizzare le modalità di rappresentazione della violenza nel cinema tarantiniano, osservando il loro funzionamento all’interno di sequenze, scene e film particolarmente emblematici. La tesi si divide essenzialmente in tre parti: una parte introduttiva che inquadra la violenza come motivo [Capitolo 1]; una sezione centrale dedicata a come la violenza si integra nella narrazione di Tarantino [Capitoli 2 e 3]; e una parte finale [Capitolo 4] in cui si analizzano alcune soluzioni estetiche, con riferimento alle strategie di suspense e sorpresa che esse attivano.

Il primo capitolo prende le mosse dall’analisi della rappresentazione di Casetti e Di Chio: in tale prospettiva, la violenza nei film va classificata come motivo e mai come tema – ovvero come un mezzo per sviluppare la vicenda e mai come ragion d’essere della narrazione.

L’applicabilità di tale assunto al cinema di Tarantino viene dimostrata attraverso un’analisi del film ​Le iene​, con particolare attenzione alla scena della tortura del poliziotto, proprio perché a prima vista parrebbe contraddirla.

Il secondo capitolo osserva come l'ultraviolenza tarantiniana viene tipicamente equilibrata da un contrappunto comico, rintracciabile nella configurazione stessa del mondo rappresentato nel film. L'universo cinematografico di Tarantino ha infatti pretese di realismo radicali, che si traducono in un dominio dell’ordinarietà talmente pervasivo da valere anche e soprattutto nei contesti violenti. Si deduce pertanto che il metodo di scrittura di Tarantino si basa su un principio deterministico; esso viene quindi messo a confronto con il meccanismo di funzionamento del romanzo naturalista francese, sulla base delle linee guida tracciate da Emile Zola nel saggio ​Le roman Expérimental​ (1880).

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Dato il contrappunto comico, la violenza nel cinema tarantiniano viene svuotata di serietà e sottratta così a qualsiasi tentativo di lettura profonda. D’altra parte però il tono grottesco che la accompagna rende lo spettatore consapevole della presenza del ​medium ​e quindi del fatto che ciò che sta guardando è sempre e pur sempre un film. Pertanto, quando la sua messa in scena è supportata da una robusta griglia narrativa oltre che estetica, non è la violenza a essere problematica, semmai la spettacolarizzazione di temi delicati per la sensibilità contemporanea, come la schiavitù in ​Django Unchained e l’Olocausto in ​Bastardi senza gloria​. Analizzando quest’ultimo caso, si nota come per “legittimare” l’ultraviolenza del film entrano in gioco strategie di svelamento del medium ancora più avanzate.

Il terzo capitolo si concentra sul rapporto tra ordinarietà e violenza: spesso i personaggi vengono distratti da preoccupazioni del tutto circostanziali rispetto al dramma in corso.

Questo può risultare in un effetto di degradazione o di potenziamento della credibilità dei personaggi stessi: in ​Django Unchained​, ad esempio, va ad intaccare la pericolosità di alcuni pionieri del Ku Klux Klan, con scopi che vanno quindi al di là della diegesi.

Il quarto capitolo è dedicato principalmente all’analisi di due soluzioni estetiche utilizzate per dare forma alla violenza. Esse rispondono a un duplice interesse del regista: per l’esplosione della violenza in tutte le sue potenzialità estetiche e per la gestione delle sue conseguenze immediate. La prima soluzione analizzata consiste nella messa fuori campo dell’apice di un’azione violenta a seguito di una costruzione di aspettative verso di essa e a favore, piuttosto, della rappresentazione delle sue conseguenze. La seconda consiste invece nell’improvvisa inserzione sotto forma di flashback del momento più acuto di una violenza di cui si stava parlando al primo livello della narrazione. Proprio il dialogo viene spesso utilizzato dal regista per rinviare l’esplosione della violenza, creando attesa e quindi suspense. Lo spettacolo del dialogo è l’altra grande cifra stilistica del cinema di Tarantino: è capace di rivaleggiare con la messa in scena della violenza, al punto che quest’ultima pare ricorrere all’eccesso proprio per reggere il confronto con il dialogo che l’ha introdotta – per mostrarsi altrettanto spettacolare, se non con le parole, con la forza delle immagini.

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Capitolo 1

Analisi della rappresentazione

1.1. Cifra, tema e motivo

A livello della rappresentazione cinematografica, il mondo messo in scena da un film si articola attraverso un'estesa quantità di dati. Ricorrendo alla classificazione di tali unità contenutistiche così come presentata da Casetti e Di Chio , gli informanti, ad esempio 1 ​, comunicano “nella loro letteralità” ciò che viene allestito per lo schermo: non solo nomi o indicazioni spazio-temporali, ma anche i comportamenti dei personaggi o le loro intenzioni.

Gli indizi, per contro, puntano a pieghe più celate, come i presupposti di un’azione o il lato nascosto di un carattere. Ma le unità di contenuto che compongono e che sostengono il nucleo della vicenda in scena, e che quindi ne costituiscono la stessa ragion d’essere, sono i temi e i motivi. Più dettagliatamente, i temi indicano “le unità di contenuto attorno a cui il testo si organizza; in breve, ciò attorno cui il film ruota, o ciò che esso mette esplicitamente in evidenza” . Dall’altra parte, i motivi si configurano come: 2

delle unità di contenuto che ritornano lungo il testo: situazioni o presenze emblematiche, ripetute, la cui funzione è quella di sostanziare, chiarire e rafforzare la vicenda principale, sia attraverso una sorta di sottolineatura, sia attraverso un gioco di contrappunti. 3

1 F. Casetti, F. Di Chio, ​Analisi del film, Bompiani, Milano, 2012

2 ivi, pp. 118-119

3 ibidem

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Tra temi e motivi si possono poi trovare delle cifre autoriali che tendono a ritornare nei film di un regista – e quindi in tutti, o quasi, i mondi possibili da lui o lei messi in scena.

Addirittura, nel caso di Quentin Tarantino, i mondi rappresentati in ognuno dei suoi film sembrano gravitare all'interno di un unico universo condiviso. Non a caso, le pellicole di Tarantino sono punteggiate non solo, com’è ben noto, da citazioni provenienti dalle fonti più disparate, dai classici western ai film di serie B, ma anche da autocitazioni: in ​Pulp Fiction​, ad esempio, il personaggio di Vincent Vega riprende quello ne ​Le iene di Vic Vega, ovvero Mr. Blonde; in ​Grindhouse - A prova di morte​, il telefonino di una delle protagoniste squilla con il motivetto che Elle Driver fischia in ​Kill Bill Vol. 1​; oppure, spingendo sul pedale delle speculazioni, in ​Kill Bill Vol. 2 viene profanata la tomba di una certa Paula Schultz, i cui estremi leggono 1823-1853, e che quindi potrebbe essere legata al personaggio di King Schultz in ​Django Unchained​, la cui vicenda ha luogo nel 1858. E in effetti, già dai tempi di Pulp Fiction il regista ha confermato la teoria del cosiddetto “Tarantinoverse”, come dimostrato da un’intervista del 1994 alla rivista ​Film Comment​: “To me they’re all living inside of this one universe”. 4

Tornando ad una prospettiva di analisi della rappresentazione, la violenza è certamente la cifra più riconoscibile dell’opera di Tarantino, data la sua ingombranza nell’economia delle vicende, nonché il suo contributo al loro stesso sviluppo. Come Daniela Terribili segnala ricorrendo a sua volta a conclusioni tratte da Stuart Kaminsky, la violenza nel cinema va analizzata come motivo, piuttosto che come tema . A livello narrativo, infatti, anche nei film5 che più la esibiscono, essa viene messa in scena come mezzo per sviluppare la vicenda principale, sostenendo o declinando diversamente il tema, o uno dei temi, del film. Nel cinema di Tarantino la si può già trovare in pressoché tutte le sue declinazioni narrative già dalla prima pellicola: ​Le iene​, uscito nel 1992.

4 citato da J. Bailey, ​Pulp Fiction: The Complete Story of Quentin Tarantino's Masterpiece, Voyageur Press, Minneapolis, 2013, p. 186

5 D. Terribili, ​Quentin Tarantino. Il cinema “degenere”, Bulzoni, Roma, 1994, p. 55

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1.2. Violenza come motivo: l’esempio de ​Le iene

Le iene vede sulla scena una banda di gangster professionisti, reclutati con cura dal boss Joe Cabot per svaligiare una gioielleria; ma la rapina non è che un semplice pretesto narrativo, il cui imprevisto risvolto tragico innesca il racconto. E’ all’interno del luogo di ritrovo dopo il colpo, un magazzino dismesso, che si svolge infatti l’interezza della vicenda. In questa vengono però interpolati alcuni capitoli-flashback che mostrano separatamente come i protagonisti siano entrati a far parte della banda. Il magazzino abbandonato diventa teatro delle tensioni tra i personaggi sulla scena ​, le quali si esprimono attraverso lunghe sequenze di dialogo ma si traducono in nulla di fatto sul piano dell’azione, almeno fino al finale. Per la più parte del tempo infatti i rapinatori non fanno altro che discutere e puntare il dito l’uno contro l’altro, alla ricerca dell’elemento che deve essersi infiltrato nella banda e quindi aver avvertito la polizia del colpo, mandandolo a monte. Il tema principale intorno al quale la vicenda de ​Le iene si sviluppa, ovvero la sua ragion d’essere, è evidentemente la scoperta di un traditore in mezzo ai complici, e quindi lo smascheramento della verità, oltre che il cameratismo, il tradimento e la fiducia − temi, tra l’altro, tipici del genere noir, a cui Tarantino attinge creativamente per la scrittura del film . I dialoghi tra i personaggi mettono 6 in scena accuse e congetture in maniera “spettacolare”, per mezzo di un linguaggio forte che pare compensare la sostanziale mancanza nel film di azione in senso stretto. Ma, come ricorda Mr. Pink, il dialogo, per avere luogo, deve sottendere l’unità delle parti:

MR. WHITE: Tu sei dalla sua parte.

MR. PINK: No, fanculo le parti, cazzo. Dobbiamo restare uniti, altro che parti. Ci hanno ficcato in culo una mazza da baseball e io voglio sapere chi è stato.

E’ quando i complici sono divisi che il dialogo cessa e subentra la violenza. In questo modo la violenza come motivo supporta i temi del film, agendo soprattutto in sovrapposizione ad essi: la spia, Mr. Orange, viene sparata allo stomaco durante la fuga dalla gioielleria, e, lungo

6 A. Morsiani, ​Quentin Tarantino, Gremese, Roma, 2018, p. 71

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la quasi interezza della vicenda, giace svenuta in una pozza di sangue, restando quindi esclusa dalle congetture tra i rapinatori; la sfiducia di Mr. White in Mr. Blonde si basa sulle inclinazioni eccessivamente violente di quest’ultimo, il quale, durante la rapina, ha scatenato una sparatoria; e i sospetti in ultima istanza si esprimono puntando le pistole – fino ad arrivare allo stallo finale e all’eliminazione reciproca dei membri della banda, dettata appunto dai reciproci sospetti. All’interno di un tale quadro il celebre episodio della tortura di un poliziotto ad opera del sadico Mr. Blonde sembrerebbe configurarsi allora come una sorta di anomalia, in quanto metterebbe in scena una violenza dichiaratamente fine a sé stessa.

Nell’economia narrativa il sequestro del poliziotto da parte di Mr. Blonde si potrebbe motivare con il fine di ottenere informazioni riguardo all’infiltrato. Tuttavia, al momento della rapina e della fuga dalla gioielleria, Blonde nemmeno pensava che ci possa essere un traditore da individuare – e in realtà non se ne preoccupa neppure dopo essere stato informato dell’ipotesi. Il gangster appare nel magazzino dopo Mr. White, Mr. Orange (la cui presenza sulla scena è per la più parte del tempo neutralizzata dalla sua condizione di ferito morente) e Mr. Pink – o perlomeno appare dopo di essi. E lo fa in modo del tutto inatteso, non annunciato:

Si noti (...) la teatralità tutta cinematografica con cui è introdotto nel magazzino il personaggio di Mr. Blonde: Mr. White e Mr. Pink stanno litigando, la macchina da presa carrella indietro di qualche metro e inquadra di spalle Mr. Blonde, immobile. E’

di lui che gli altri due hanno parlato a lungo in precedenza, del fatto che si è messo a sparare all’impazzata durante la rapina, e adesso sembra che sia rimasto lì a guardarli e ascoltarli a loro insaputa (e a insaputa dello spettatore). 7

La macchina da presa indugia alle spalle di Mr. Blonde, proponendo una semi-soggettiva che guarda alla situazione di stallo tra White e Pink, con le pistole estratte e puntate l’uno contro l’altro. Inoltre la presenza scura del nuovo personaggio sulla scena occupa la parte destra del quadro; insieme alla colonna a cui è appoggiato, vera e propria linea verticale che corre

7 ivi, p. 75

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parallela al bordo destro della cornice, pare chiudere White e Pink all’interno di una cornice nella cornice. Nell’inquadratura successiva Mr. Blonde, in mezza figura, è mostrato mentre beve una bibita da fast-food, sempre appoggiato alla già citata colonna, con una mano in tasca e gli occhiali da sole ancora indosso. La sua posizione nel quadro è decentrata e lo sfondo mostra una varietà di elementi scenografici, tra una scala a pioli sulla sinistra, un tavolino pieno di oggetti vari posto quasi al centro e, addirittura, alcuni fili di edera che scendono dall’alto. Mr. Blonde non si è nascosto per spiare i complici né ha misteriose finalità.

Semplicemente era rimasto sullo sfondo, facendosi notare quando decide che è l’ora – ovvero quando il dialogo è arrivato ad una fase di stallo e i personaggi sono passati alla violenza:

MR. BLONDE: Ragazzi, non fate giochi pesanti. Poi qualcuno si fa male e si mette a piangere.

Si apre così una nuova fase di discussione, a seguito della quale Mr. Blonde conduce Pink e White alla sua auto. Senza contare i capitoli-flashback interpolati nel racconto, la vicenda esce per la prima volta dallo spazio chiuso del magazzino – per tornare in un altro ambiente chiuso: un bagagliaio. Con il primo dei ​trunk shot​, ovvero la ripresa dal bagagliaio, che si ripresenteranno di frequente nel cinema di Tarantino, il poliziotto sequestrato da Mr. Blonde entra in scena. Il suo sequestratore propone ai complici di interrogarlo:

MR. BLONDE: Si potrebbe chiedere qualcosa al nostro amico qui sulla questione della spia di cui parlavate.

MR. WHITE: Hai fatto un bel capolavoro, amico mio.

MR. PINK: E’ una buona idea, tiriamolo fuori.

E’ chiaro che fra le intenzioni originali di Mr. Blonde nel gettare nel bagagliaio il poliziotto non rientrasse quella di chiedergli qualcosa sulla “questione delle spia” di cui si parlava − anche se nessuno dei suoi complici se ne fa un problema. Ciò viene definitivamente

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esplicitato sul piano verbale dopo che White, Pink ed Eddie “il Bello” – figlio di Joe Cabot, nel frattempo sopraggiunto sul luogo – escono dal magazzino, lasciando Mr. Blonde a controllare il poliziotto e Mr. Orange. Così come per tutti i personaggi dei film di Tarantino, la caratterizzazione di Blonde non prevede zone d’ombra, per quanto brutali ne siano le inclinazioni e i conseguenti comportamenti: ogni tendenza dei personaggi viene manifestata, ogni intento reso esplicito. In particolare, Terribili nota una correlazione con la modalità di messa in quadro del film, in totale opposizione con quella tipica delle pellicole noir, alle quali Tarantino pure si ispira per la scrittura de ​Le iene​:

Nelle pellicole di Quentin Tarantino, vengono messi da parte proprio gli effetti di contrasto luminoso tipici del noir, a favore di una notevole profondità di campo ed una messa a fuoco totalizzante. Ai personaggi, soprattutto nel caso di ​Reservoir Dogs​, sono negate quelle zone d’ombra astratte, nelle quali nascondersi. Tutto è disperatamente “a vista”. 8

Dall’interno del magazzino, Mr. White, Mr. Pink ed Eddie “il Bello” escono di scena attraverso il portone sullo sfondo, in un campo totale che li colloca al centro dell’immagine.

Mr. Blonde è posto in campo medio, in alto a destra dell’inquadratura, seduto su quello che sembra essere un macchinario ingombrante coperto da un telo di plastica. A lui diametralmente opposto si trova il poliziotto: in basso a sinistra, in primo piano, seduto sulla sedia alla quale è stato legato. La sua presenza occupa una buona porzione dell’immagine.

Senza cambiare il punto di osservazione, con un ​reframing​, l’altezza della ripresa si alza poi leggermente, riducendo così la presenza in quadro del poliziotto e dando progressivo risalto a quella lontana di Mr. Blonde, nell’atto di scendere dal macchinario e togliersi la giacca.

Segue quindi un’inquadratura in primo piano del gangster, il quale, accompagnato da una carrellata indietro, avanza verso la vittima. L’azione viene punteggiata da una soggettiva del poliziotto legato, il quale a questo punto ha il volto già tumefatto, avendo già avuto la sua buona dose di botte da Mr. White e Mr. Pink mentre veniva interrogato da loro.

8 D. Terribili, ​Quentin Tarantino. Il cinema “degenere”, Bulzoni, Roma, 1999, p. 47

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Va notato come, mentre i complici conducevano il brutale interrogatorio, Mr. Blonde se ne fosse rimasto seduto su una struttura situata alla stessa profondità della colonna alla quale, poco prima, si era appoggiato guardandoli discutere. Il comportamento manifestato sulla scena da Mr. Blonde è quindi costantemente rilassato e spesso beffardo; a ciò, si aggiunge un’inclinazione violenta, rivelata sul piano verbale da Mr. White e Mr. Pink, i quali avevano ricordato di come, durante la rapina, Blonde si fosse messo a sparare all’impazzata. Questi due lati di Mr. Blonde si sovrappongono nella sequenza della tortura del poliziotto, e, l’uno neutralizzando l’altro, generano un’atmosfera sopra le righe, bizzarra, per cui “si ride e, l’attimo successivo, c’è del sangue sul muro” . Non a caso la prima cosa che il gangster fa,9 una volta arrivato di fronte al poliziotto, è prenderlo in giro, per poi ridere alla sua stessa battuta: “Ah, mi sa che forse ho parcheggiato in divieto di sosta”. Poco dopo, però, chiarisce una volta per tutte le sue intenzioni, e inizia a “divertirsi” davvero:

MR. BLONDE: Allora, io non voglio prenderti per il culo, ok? Non me ne frega un beneamato cazzo di quello che sai, di quello che non sai. Tanto ti torturo lo stesso.

Comunque sia, non per avere informazioni. Il fatto è che mi diverte torturare uno sbirro. Puoi dire quello che vuoi, tanto non mi fa nessun effetto. Tutto quello che puoi fare è invocare una morte rapida. Cosa che, tanto, non otterrai.

Un intero episodio del film è dedicato quindi all’esecuzione e all’esibizione di una violenza del tutto gratuita, finalizzata al solo divertimento di un personaggio − e, con lui, dello spettatore, che si ritrova ad assistere, più che ad una scena di puro orrore, ad una sorta di

“commedia grottesca” , troncata dall’atto del taglio dell’orecchio e poi dal terribile tentativo10 di Mr. Blonde di dare fuoco al poliziotto. Questa alternanza si configura come un vero e proprio metodo di impostazione della scena di violenza, spiegato dal regista stesso in un’intervista del 1994:

9 A. Morsiani, ​Quentin Tarantino, Gremese, Roma, 2018, p.72

10 ivi, p. 92

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If you were to tape an audience watching ​Reservoir Dogs and play it back, you’d swear you were listening to people watching a comedy. (...) Part of the way I think is having you laugh, laugh, laugh, laugh until I stop you from laughing. That’s what I did on ​Dogs​. 11

La sequenza della tortura del poliziotto è composta prevalentemente da una serie di piani sequenza girati con la camera a mano, che segue i movimenti del torturatore e i suoi spostamenti con delle carrellate: Mr. Blonde che va a prendere lo scotch con cui imbavagliare il poliziotto; o che si abbassa per accendere la radio e sintonizzarsi sul suo canale preferito.

Mr. Blonde è perlopiù ripreso in campi medi per mostrarne i continui movimenti nell’ambiente circostante; mentre il poliziotto, che pure appare spesso, di spalle, nelle medesime inquadrature su Blonde, viene ripreso direttamente o in primo piano o in primissimo piano, per metterne in evidenza l’espressione agonizzante.

Presto nella sequenza si inserisce un primo piano che sale dallo stivale di Mr. Blonde, indugia su una lametta da barba che da lì viene estratta e si chiude su un primissimo piano del gangster, con parte della lama ancora in quadro; contemporaneamente, attivando l’ennesimo contrappunto grottesco, Mr. Blonde chiede al poliziotto, imbavagliato, se ascolti mai Supersound degli anni Settanta di DJ K-Billy: “E’ il mio programma preferito”. Nel momento in cui il DJ alla radio attacca una canzone pop, ​Stuck in the Middle with You degli Stealers Wheel, il torturatore inizia ad improvvisare qualche passo di danza, sempre con la lametta in mano; i campi medi su di lui vengono contrapposti a primissimi piani del poliziotto, nervoso e agitato. A questo punto il punto di ripresa viene prima posto con un’angolazione dal basso dietro la vittima, che ha Mr. Blonde di fronte a sé e che da lui viene afferrato in faccia; e poi davanti alla vittima, con Mr. Blonde di quinta, in piedi − creando così una cornice aperta che ben rende l’incombere del gangster sul poliziotto, e l’incombere di qualcosa di ben più terribile di un taglio sulla guancia.

Quando Mr. Blonde si abbassa infine sul poliziotto, il quadro scivola invece verso l’alto, fermandosi su una parte spoglia della parete sullo sfondo, e su di essa soffermandosi per quasi dieci secondi − mentre il suono diegetico offscreen, tra rantoli di dolore in forte

11 G. Peary, ​Quentin Tarantino: Interviews, University Press of Mississippi, Jackson, 1998, p. 91

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contrasto con lo scanzonato pezzo pop che continua a suonare alla radio, mantiene l’attenzione e la curiosità su ciò che sta accadendo oltre i bordi dell’immagine. Tra l’altro, il punto del magazzino inquadrato comprende un varco nel muro sopra il quale, come di frequente accade, è scritto l’avvertimento “Watch your head” − che, nel contesto, potrebbe fungere sia da rimando alla violenza in corso fuoricampo che da contrappunto ironico.

Quando il punto della ripresa torna ad abbassarsi leggermente, Mr. Blonde invece si alza: ha in mano un orecchio insanguinato. Ma presto si torna a scherzare, col gangster che, avvicinando alla bocca l’orecchio che tiene in mano, dice: “Pronto, mi senti?”; oppure, rivolgendosi alla vittima legata: “Non ti muovere, torno subito”. Mr. Blonde esce quindi nel parcheggio, prende una tanica di benzina dal bagagliaio, rientra – sempre seguito dalla camera a mano in un piano sequenza – e sparge la benzina sul poliziotto. L’intera scena si conclude infine quando, sul punto di dare fuoco alla vittima, Blonde cade sotto alcuni colpi di pistola esplosi a tradimento da Mr. Orange.

L’episodio della tortura del poliziotto, che pure rappresenta una vera e propria pausa rispetto alla vicenda principale, si rivela in ultima istanza non solo funzionale, ma addirittura cruciale allo sviluppo della vicenda stessa. La violenza che esibisce viene eseguita da Mr. Blonde per puro divertimento, ma è proprio essa a spingere l’infiltrato a rivelarsi, innescando così il tragico epilogo del film. Il gesto estremo di Mr. Orange rappresenta un punto di non ritorno nel racconto, a seguito del quale la verità viene finalmente svelata: prima attraverso una sequenza di dialogo tra l’infiltrato e il poliziotto torturato, poi con l’inserzione del capitolo-flashback dedicato a Mr. Orange. Infine, tornando al racconto, Mr. Orange dovrà giustificare il suo gesto con gli altri membri della banda. In tale ottica l'episodio della tortura del poliziotto si rivela perfettamente incastonato nella struttura del testo filmico perché era stato preceduto dal capitolo sul passato di Mr. Blonde, da cui si era compreso come egli sia legato ai Cabot da un rapporto di grande amicizia e di fedeltà. Per questa ragione quando Mr.

Orange racconta al resto della banda di aver dovuto uccidere Blonde perché questi avrebbe avuto l’intenzione di scappare col bottino, Eddie Cabot capisce che Orange è la spia. Joe Cabot, sopraggiunto, dà manforte alla sua certezza. Ma la fiducia, malriposta, di Mr. White in Mr. Orange e la sua sfiducia in Mr. Blonde conduce ad una fase di stallo nella vicenda, la quale corrisponde ad uno stallo del dialogo – il quale, sul piano della messa in scena, si traduce in uno stallo alla messicana. Il dialogo, sempre auspicato dai personaggi, a questo

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punto è ormai impossibile, come dimostra un ultimo disperato appello al compromesso da parte di Eddie Cabot, caduto nel vuoto.

EDDIE: Larry [Mr. White], ascolta. Ci conosciamo da tempo. Abbiamo lavorato parecchio insieme. Non c’è bisogno di fare così. Adesso mettiamo giù le pistole, e sistemiamo le cose a parole, ragionando.

In conclusione la violenza ne ​Le iene non è mai fine a sé stessa, ma va a rafforzare i temi della vicenda, addirittura intrecciandosi con essi: si potrebbe dire infatti che un altro dei temi attorno al quale il film si organizza e sviluppa sia proprio il fatto che quando finisce il dialogo subentra la violenza. Una versione ridotta di ciò è data dalla scena in cui Mr. White e Mr.

Pink arrivano a picchiarsi dopo aver discusso per pressappoco un quarto d’ora – appena prima dell’entrata in scena di Mr. Blonde. Non a caso, inoltre, un film estremamente

“verboso”, basato sulla parola, si conclude con la morte violenta di tutti i suoi protagonisti – con l’eccezione di Mr. Pink, che durante lo stallo finale si era nascosto ed è poi scappato col bottino.

Ora, nella sequenza della tortura del poliziotto si rintraccia la caratteristica narrativa fondamentale che accompagna la messa in scena della violenza tarantiniana: la giustapposizione a un elemento di normalità, rappresentato dal comportamento profondamente ordinario dei personaggi. Si crea così un’atmosfera comico-grottesca, che pone lo spettatore nelle condizioni di riconoscere l’assurdità della situazione in corso e quindi la presenza della mediazione linguistica del film. A livello estetico, inoltre, la violenza della sequenza in questione viene rappresentata attraverso una modalità che il regista riproporrà nei film successivi: la resa fuoricampo dell’apice della violenza in corso (in questo caso il taglio dell’orecchio del poliziotto) a seguito di una costruzione di aspettative verso di essa e a favore, invece, della messa in scena delle immediate conseguenze del gesto (Mr. Blonde che rigira in mano l’orecchio tagliato) – oppure, come si vedrà nei film successivi a ​Le iene​, delle reazioni degli altri personaggi sulla scena. Di ciò si parlerà nel quarto capitolo della tesi,

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dedicato all’analisi estetica, mentre nel secondo e terzo capitolo ci si concentrerà ad analizzare il contrappunto comico alla violenza: la sua origine nella configurazione stessa del mondo rappresentato nel film e le sue declinazioni nel comportamento e nelle azioni dei personaggi.

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Capitolo 2

Contrappunto: il dominio dell’ordinarietà

2.1. Un universo “più reale della vita reale”

I personaggi di Tarantino sono spesso assassini di professione, dunque con professionalità svolgono il loro lavoro. Si muovono tipicamente in divisa: emblematici in questo senso sono gli eleganti gangster de ​Le iene e di ​Pulp Fiction​, così come la Sposa di ​Kill Bill, nell’iconica tuta gialla. Tra questi si potrebbe inserire anche Django Freeman, che per la sua prima missione da cacciatore di taglie esibisce un appariscente costume azzurro; inoltre, porta a termine la sua vendetta nei confronti di Calvin Candie ed affiliati indossando un completo porpora con dettagli ricamati d’oro, piuttosto simile ad uno già sfoggiato da Candie − solo più vistoso, più brillante. Ma soprattutto, il killer di Tarantino è professionale perché uccide in maniera pressoché meccanica, così come un manager partecipa a una riunione o un rappresentante di commercio fa il giro delle case del quartiere. E’ Daniela Terribili a classificarlo come una ​persona comune​, uno che “si [guadagna] da vivere come chiunque altro” : 12

Il gangster disegnato da Tarantino, infatti, non è un giovane costretto suo malgrado a lasciarsi corrompere pur di sopravvivere, o un pericoloso sociopatico, bensì un

“​ordinary man​” che si guadagna da vivere, svolgendo mansioni illecite, ma che affronta con un professionismo quasi rispettabile. 13

12 D. Terribili, ​Quentin Tarantino. Il cinema “degenere”, Bulzoni, Roma, 1999, p. 56

13 ibidem

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Il professionismo da solo non basta però a contestualizzare la meccanicità nella violenza dei personaggi: prima che del loro lavoro, essa è infatti parte della loro natura. In tal senso spicca la figura della Sposa di ​Kill Bill​, che si profila come un vero e proprio emblema letale: non solo infatti è capace di provocare profluvi di sangue e piogge di arti amputati, resi sulla scena in modo assolutamente manieristico, ma arriva ad eliminare l’ex-capo Bill con il solo tocco delle dita, ricorrendo alla “mossa più letale di tutte le arti marziali”. Paradossalmente la cruenta vendetta della Sposa nei confronti di Bill e della sua squadra di killer − tema principale dell’intera saga − è innescata proprio dal suo desiderio di abbandonare la vita da sicario, e quindi di sposarsi e fare da madre alla figlia che portava in grembo all'inizio della vicenda. Prima di andare incontro alla morte, alla fine del ​Vol. 2​, Bill le ricorda però come lei non potrà mai condurre una vita da persona comune, perché inconciliabile con la sua natura di assassina:

BILL: Sto dicendo che sei un killer, un killer per diritto di nascita. Lo sei sempre stata e lo sarai sempre. Trasferirti a El Paso, lavorare in un negozio di dischi usati, andare al cinema con Tommy, collezionare punti premio - quella sei tu che cerchi di camuffarti da ape operaia, sei tu che cerchi di mimetizzarti nell’alveare. Ma tu non sei un’ape operaia. Sei un’ape killer ribelle. E puoi bere tutta la birra che vuoi, mangiare hamburger e ingrassare il culo a dismisura, ma niente al mondo cambierà tutto questo.

In realtà tutte le attività ordinarie elencate e denigrate da Bill sono le stesse in cui spesso si trovano impegnati i protagonisti degli altri film di Tarantino, compresi quelli della trilogia di ambientazione storica − sebbene qui l’ordinarietà risulti meno familiare per lo spettatore perché plasmata sulla quotidianità dell’epoca di ambientazione della vicenda. In questo contesto la saga di ​Kill Bill costituisce quindi una sorta di anomalia, e infatti il mondo che mette in scena viene posto dal regista stesso in una dimensione alternativa all’interno di un universo a sua volta alternativo: un “movie movie universe”, come ricorda Jason Bailey nella sua ricostruzione del cosiddetto “Tarantinoverse”.

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By the time he made the Kill Bill ​movies, Tarantino had not only embraced the fan theory of a “Tarantinoverse”, but also had chopped it up into three subdivisions.

There was the “movie universe”, where films like ​True Romance, Reservoir Dogs and ​Pulp Fiction ​took place (“That universe is realer than real life,” he told Entertainment Weekly​); there were those films set in the “movie movie universe,”

that were the pictures that those other characters would go see (like Kill Bill, From Dusk Till Dawn and ​Natural Born Killers​); and then there’s the Elmore Leonard universe, with that author’s own running characters and situations, which ​Jackie Brown​ fits into (...). 14

L’universo in cui Vincent Vega spara in faccia ad un ragazzo mentre sono in auto perché Jules, alla guida, deve aver preso una buca è quindi definito da Tarantino come “più reale della vita reale”: qui la violenza semplicemente accade. Non viene trattata dai personaggi come un fatto fuori dall’ordinario, ma al contrario come “azione quotidiana e quasi banale” ; 15 ciò è possibile solo nella quotidianità del mondo allestito nel film: analogo sì, ma soprattutto alternativo a quello reale. In questo mondo personaggi spietati si comportano in modo ridicolmente ordinario − non importa quanto estrema la situazione in cui si trovano possa apparire invece a chi si trova nel mondo reale. Il dominio dell’ordinarietà è talmente pervasivo che le sue regole vanno ad applicarsi persino alla gestione della violenza: proprio questo, ne ​Le iene, fa fermare Mr. Blonde a prendere da mangiare durante la fuga dalla gioielleria, giusto prima di raggiungere i complici nel luogo di incontro, e nel mentre che tiene un poliziotto dentro al portabagagli − come si può presumere dal fatto che nel magazzino appare con una bibita da fast-food in mano. Oppure dettagli ordinari e di poca importanza possono innescare fatti violenti: in ​Jackie Brown − film che pure presenta “un intreccio meno sadico e farsesco” rispetto ai precedenti, come notato da Morsiani − Louis, 16 braccio destro del trafficante d'armi Ordell Robbie, spara a Melanie, altra complice di Ordell,

14 J. Bailey, ​Pulp Fiction: The Complete Story of Quentin Tarantino's Masterpiece, Voyageur Press, Minneapolis, 2013, pp. 186-189

15 D. Terribili, ​Quentin Tarantino. Il cinema “degenere”, Bulzoni, Roma, 1994, pp. 55-56

16 A. Morsiani, ​Quentin Tarantino, Gremese, Roma, 2018, p. 116

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nel mezzo del parcheggio di un centro commerciale perché non si ricordava dove avesse parcheggiato l’auto e la ragazza lo stava prendendo in giro per questo.

Ma i personaggi di Tarantino si rivelano capaci di azioni efferate anche quando non sono assassini professionisti. Il caso più notevole è forse quello di Shosanna Dreyfus in ​Bastardi senza gloria​: una ragazza ebrea nella Francia occupata dai nazisti che sopravvive alla strage della sua famiglia e che successivamente riesce a nascondersi a Parigi, assumendo l’identità della proprietaria di una sala cinematografica. Il suo piccolo cinema viene scelto dai gerarchi nazisti come luogo per la prima di un film propagandistico, e Shosanna coglie l’occasione per ottenere giustizia privata. In questo modo, una ragazza inerme che all’inizio della vicenda era stata vista in fuga e in lacrime, vestita di stracci e coperta di sangue, diventa alla fine il volto della “vendetta ebrea”. Organizza un vero e proprio eccidio, bruciando vivi all’interno del cinema tutti i nazisti convenuti alla prima e, nel farlo, si preme che le vittime in sala, Hitler e Goebbels compresi, siano consapevoli dell’ironia della loro sorte. Interrompe infatti la proiezione del film di Goebbels proprio nel momento in cui il suo protagonista, l’eroe di guerra Frederick Zoller, guarda in camera dopo aver fatto strage di un intero battaglione di soldati alleati, chiedendo: “Chi vuole mandare un messaggio alla Germania?”. In quel punto si inserisce l’inserto girato da Shosanna, in cui, anch’essa in primissimo piano e guardando in camera, la ragazza risponde alla domanda: “ ​Io ho un messaggio per la Germania, Voi state per morire tutti. E voglio che guardiate bene in faccia l’ebrea che vi ucciderà.” Chiude il messaggio con una risata minacciosa, mentre le fiamme consumano lo schermo di proiezione e si espandono velocemente nella sala grazie ai trecentocinquanta film di pellicola in nitrato accatastati dietro allo stesso schermo.

Ora, la violenza è un aspetto della natura umana ed è spesso protagonista della quotidianità, ma nella vita reale, fatta di conseguenze, non è e non può essere considerata normale o chiaramente si rischia l’annullamento della vita stessa. Detto ciò, il mondo dei film di Tarantino è certamente analogo a quello reale ma pur sempre alternativo: la violenza qui rappresentata viene trattata in tutto e per tutto come un’azione quotidiana, ma d’altra parte essa è confinata all’interno di una dimensione puramente cinematografica. Innanzitutto, infatti, la violenza del film non ha ripercussioni sul mondo reale (ad esempio, l’eliminazione di un personaggio sulla scena non reca alcun danno fisico all’attore o all’attrice che lo interpreta). Inoltre nei film esiste una mediazione linguistica di cui lo spettatore può essere

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più o meno cosciente, e Tarantino tende ad evidenziarla, se non ad esibirla, attraverso scelte di regia marcate. Essa però è percepibile già a partire dalla configurazione dell’universo messo in scena, perché il realismo ad oltranza che la caratterizza si traduce in un dominio della normalità talmente ostentato da risultare grottesco e fuori luogo quando si presentano contesti estremi. In questo senso personaggi straordinari – per la loro professione, o comunque per il loro potenziale letale – vengono resi ordinari e il mondo del film si può considerare “più reale della vita reale”.

2.2. L’ordinarietà dei personaggi: Vincent Vega in ​Pulp Fiction

La formula di ordinarietà e spietatezza trova forse la sua miscela più memorabile nei sicari Vincent Vega e Jules Winnfield di ​Pulp Fiction​. Entrambi calzano alla perfezione il modello tarantiniano del killer professionista, ma al contempo fanno mostra di vezzi visceralmente umani, oltre che di gusti pop assolutamente comuni nella società americana trasposta nel film. Come sottolineato da Alberto Morsiani:

I due killer sono presentati come spietati uccisori, ma riescono simpatici proprio perché pieni di vizi e virtù molto umane. (...) E’ la spontaneità a rendere affascinante il personaggio di Travolta, che è pure uno spietato killer. 17

In particolare il personaggio di Vincent si distingue da quello di Jules e di altri killer spietati ma simpatici perché il suo carattere ordinario tende a metterne in ombra l’indole brutale, che pure occupa gran spazio nella vicenda. Jules infatti viene mostrato unicamente in situazioni legate al suo ruolo di gangster − e in questi contesti esibisce il proprio repertorio di

17 ivi, p. 88

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comportamenti peculiari, come l’abitudine di recitare lo stesso (fittizio) passo della Bibbia ogni volta che deve premere il grilletto. Vincent al contrario viene mostrato mentre è impegnato in attività ordinarie per buona parte del tempo a lui dedicato − più ampio, tra l’altro, di quello di tutti gli altri personaggi. E’ visto accompagnare a cena la moglie di Marsellus Wallace, ballare con lei nel locale anni ‘50 in cui stanno mangiando, o parlare da solo in bagno per imporsi di non provarci con la signora; ma in bagno viene mostrato persino mentre è seduto sulla tazza, leggendo un romanzo di Modesty Blaise. E proprio uscendo dal bagno Vincent viene ucciso. In quest’occasione il gangster si trova nell’appartamento del pugile Butch Coolidge, mandato da Wallace a ucciderlo perché è contravvenuto all’ordine di perdere un match truccato. L’evento si inserisce nel capitolo del film dedicato a Butch, e quindi viene messo in scena dal suo punto di vista. Ciò collide con il ruolo implicitamente da protagonista che Vincent Vega ricopre nell’intero film, essendo l’unico ad apparire in tutti i capitoli e l’unico, pertanto, a trovarsi nelle situazioni più diverse, dal recupero di una valigetta di preziosi ad una gara di ballo. E’ quindi un personaggio più “operatore” rispetto agli altri – ovvero, nella definizione di Casetti e Di Chio, “un elemento che vale per il posto che occupa nella narrazione e per il contributo che dà a portarla avanti” . Privare il 18 personaggio di Vincent del monopolio della prospettiva proprio nella scena in cui viene fatto fuori è una strategia in linea con il principio di ordinarizzazione dei personaggi. Anche le scelte di regia concorrono a porre il gangster in una marcata posizione di secondarietà rispetto a Butch. E’ bene quindi soffermarsi un momento ad analizzare la scena.

A seguito del match, Butch Coolidge, ora ricercato, si avvia ad abbandonare la città, ma fa brevemente ritorno a casa per recuperare il prezioso orologio di famiglia, che la fidanzata Fabienne, sua compagna nella fuga, ha dimenticato di mettere in valigia. Butch si avvicina al suo appartamento a piedi, seguito dalla steadicam ad una certa distanza − ben rendendo così il furtivo avanzare dell’uomo per vie secondarie, in mezzo alla sterpaglia di cortili in stato d’incuria. L’atto di aprire la porta di casa viene reso nella sua cautela da un’alternanza tra primissimi piani del ricercato, nervoso, e dettagli della serratura nella quale viene girata la chiave. Ma nell’appartamento non sembra esservi alcuno ad attenderlo. Butch si sente ora al sicuro, e anche le inquadrature assumono un tono disteso, facendosi statiche. A questo punto l’uomo si ferma nel cucinotto per mangiare qualcosa. Una successione di dettagli portano al

18 F. Casetti, F. Di Chio,​ Analisi del film, Bompiani, Milano, 2012, pp. 176-177

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momento in cui si accorge che uno dei sicari di Marsellus Wallace si trova in casa sua: il primo mostra una scatola di ​toaster pastries alla cannella, che Butch tira fuori dalla dispensa;

il secondo un paio di ​pastries ​che vengono infilate nel tostapane; il terzo una mitraglietta, appoggiata sul bancone.

Al rialzarsi della guardia, le inquadrature tornano ad essere dinamiche: la camera esegue un avvicinamento prima sul volto di Butch e poi sulla mitraglietta, per rendere una soggettiva dell'uomo che si avvicina all’arma. All’udire il rumore dello sciacquone, Butch, in primo piano con un’espressione incredula per la fortuna capitatagli, volge lo sguardo in direzione della porta del bagno, comunicante col cucinotto. Con una carrellata indietro il campo si allarga per mostrare il ricercato che si mette in posizione, puntando il mitra; subito dopo, girando la macchina di 180°, una carrellata avanti spinge la ripresa verso la porta del bagno, la quale si apre rivelando la presenza del sicario Vincent Vega. Segue un gioco di campi-controcampi tra Butch, fermo con la mitragliatrice in posizione, e Vincent, impietrito con il libro di Modesty Blaise in mano, quello che è solito portarsi dietro sulla tazza, come viene mostrato in un altro punto del film. Nel momento in cui, in un dettaglio fulmineo, il tostapane scatta rigettando le ​pastries​, Butch apre il fuoco e Vincent cade sotto i suoi ​colpi. Il ricercato va infine a controllare il sicario, caduto all’indietro verso il bagno. Nell’aprire la porta insanguinata, l’ennesimo dettaglio mostra il libro di Modesty Blaise a terra tra i piedi penzolanti di Vincent; con una panoramica verticale la ripresa risale infine sul suo corpo:

pieno di sangue, seduto nella vasca tra vetri rotti, sul volto ancora una certa espressione stupita. Come nota Daniela Terribili:

Il procedimento messo in atto da Tarantino (...) è di prelevare dei personaggi di

“genere” dal proprio determinato contesto, e di porli in situazioni di vita reale, facendoli così sottostare a regole che non li riguardano direttamente perché proprie della realtà. 19

19 D. Terribili, ​Quentin Tarantino. Il cinema “degenere”, Bulzoni, Roma, 1994, p. 39

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In questo modo è possibile che un sicario venga sì ucciso in missione − come spesso capita nei film di genere alle figure subalterne, quelle “espost[e] ai rischi maggiori e facilmente rimpiazzabili in caso di decesso”, come ricordato sempre da Terribili − ma anche che venga 20 colpito con la sua stessa arma, e proprio da chi doveva eliminare, perché si era assentato in bagno.

2.3. “Determinismo tarantiniano”: confronto con il romanzo naturalista francese

Ricapitolando, i personaggi di Tarantino uccidono senza nessuna remora perché la violenza è in loro connaturata, come peraltro lo è anche una psicologia del tutto ordinaria. Ora, proprio quest'ultima determina il loro comportamento sulla scena, anche e soprattutto in quei contesti violenti nei quali spesso si ritrovano, data la loro identità professionale.

A dimostrazione di ciò si potrebbe esaminare la figura di Mr. Blonde ne ​Le iene​. Tra le caratteristiche del personaggio si annoverano: inclinazioni sadiche, un modo di fare rilassato, una certa passione per la musica, e il fatto di essere un fedele ascoltatore del programma radiofonico del DJ K-Billy. Dati tutti questi tratti, durante la tortura del poliziotto che ha sequestrato, Mr. Blonde accenderà la radio per sintonizzarsi sul suo programma preferito. In quel momento K-Billy trasmette una canzone che Blonde conosce e apprezza, tanto da accennare qualche passo di danza. Infine, come divertimento massimo, taglierà un orecchio al poliziotto con la lametta da barba che tiene nello stivale. Sembra quasi un’applicazione al racconto cinematografico del meccanismo del romanzo naturalista francese – o romanzo sperimentale, come è chiamato da Émile Zola nel suo saggio del 1880. Considerato manifesto del naturalismo, il saggio accosta infatti il processo di scrittura al metodo scientifico sperimentale, e paragona così il lavoro del romanziere a quello dello scienziato, che impianta esperimenti e osserva i fenomeni naturali:

20 ivi, p. 34

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(...) en revenant au roman, nous voyons également que le romancier est fait d'un observateur et d'un expérimentateur. L'observateur chez lui donne les faits tels qu'il les a observés, pose le point de départ, établit le terrain solide sur lequel vont marcher les personnages et se développer les phénomènes. Puis, l'expérimentateur paraît et institue l'expérience, je veux dire fait mouvoir les personnages dans une histoire particulière, pour y montrer que la succession des faits y sera telle que l'exige le déterminisme des phénomènes mis à l'étude. 21

Chiaramente un meccanismo creativo così configurato funziona solo sulla base delle teorie deterministiche sviluppate dal pensiero positivista ottocentesco, secondo le quali la psicologia e i comportamenti di ogni essere umano sono vincolati dalle sue caratteristiche genetiche e dal contesto storico-sociale in cui egli si trova a vivere. Solo su queste premesse, infatti, una volta poste le condizioni di azione, è possibile dedurre la sorte dei personaggi di una storia. Il merito artistico del romanziere sta proprio nella selezione dei tipi umani da osservare e nella definizione degli eventi in cui farli agire:

Nous partons bien des faits vrais, qui sont notre base indestructible; mais, pour montrer le mécanisme des faits, il faut que nous produisions et que nous dirigions les phénomènes; c'est là notre part d'invention, de génie dans l'œuvre. 22

21 É. Zola, ​Le Roman Expérimental, G. Charpentier Éditeur, Parigi, 1881, p. 7

trad. it.: «(...) ritornando al romanzo, vediamo ugualmente che il romanziere è insieme un osservatore ed uno sperimentatore. L’osservatore per parte sua pone i fatti quali li ha osservati, individua il punto di partenza, sceglie il terreno concreto sul quale si muoveranno i personaggi e si produrranno i fenomeni. Poi entra in scena lo sperimentatore che impianta l’esperimento, cioè fa muovere i personaggi in una storia particolare, per mettere in evidenza che i fatti si succederanno secondo la concatenazione imposta dal determinismo dei fenomeni studiati.» (E. Zola, ​Il romanzo sperimentale, Pratiche, Parma, 1980, p. 56)

22 ivi, p. 10

trad. it.: «(...) noi partiamo da fatti veri, che sono la base indistruttibile del nostro lavoro; ma, per metterne in evidenza la concatenazione causale, bisogna preparare e orientare i fenomeni; questa è la nostra parte di invenzione e di genialità nell’opera.» (E. Zola, ​Il romanzo sperimentale, Pratiche, Parma, 1980, p. 58)

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In modo simile, Tarantino, nelle parole di Morsiani, ​“al momento di scrivere si sforza di lasciare la massima libertà ai personaggi” . La sua “parte di invenzione” non si limita però 23 alla sola definizione delle vicende ma si assume anche la piena paternità delle psicologie dei protagonisti. Come già accennato precedentemente, anche le sceneggiature di Tarantino sembrano basarsi su un qualche principio deterministico, secondo il quale, posti in un qualsiasi contesto, i personaggi si comporteranno aderendo fedelmente alla loro identità. E’

su questa premessa che è possibile prevedere i loro comportamenti sulla scena e impostare quindi “una drammaturgia che sembra lasciare [loro] una certa libertà” . A tal riguardo,24 analizzando ​Pulp Fiction​, Morsiani nota:

Tutti i personaggi del film, del resto, conservano un attaccamento alla propria identità, una fedeltà alla propria natura, fosse pure brutale, che li rende assai diversi dallo stereotipo hollywoodiano del film d’azione, in cui ogni scelta viene molto dibattuta nel sacro terrore che l’eroe possa risultare sgradito allo spettatore. 25

In modo simile, anche i personaggi dei romanzi naturalisti dimostrano un cieco attaccamento alla propria natura – spesso meschina, perversa, anche brutale. Si vedano ad esempio, in Palla di sego (1880) di Maupassant, i passeggeri opportunisti di una diligenza, in fuga dagli invasori prussiani nella Francia del 1870-71. Essi provengono da diverse classi sociali, ma tutti in egual misura disprezzano la prostituta a bordo con loro, chiamata Palla di sego per via della sua corporatura. Davanti ai gesti di grande generosità della donna, i viaggiatori sembrano mitigare i loro pregiudizi, per poi ripristinarli, immutati, una volta che la situazione di emergenza è cessata.

Un altro punto di contatto tra i romanzi dei naturalisti francesi e le sceneggiature di Tarantino sta nella densa patina di crudeltà e di crudezza che riveste le vicende messe in scena. Come quelli tarantiniani, infatti, anche gli intrecci naturalisti si configurano non di rado come un groviglio di azioni efferate − tra crudeltà gratuite, omicidi scabrosi e terribili sfigurazioni. Un

23 A. Morsiani, ​Quentin Tarantino, Gremese, Roma, 2018, p. 14

24 ivi, p. 179

25 ivi, p. 88

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esempio è la fine che fa il protagonista non vedente de ​Il cieco (1882), altro racconto scritto da Maupassant: condotto dai familiari a fare l’elemosina in un gelido giorno d’inverno, viene abbandonato e successivamente ritrovato cadavere, con gli occhi dilaniati dagli uccelli.

I tipi prediletti per l’osservazione dai naturalisti francesi sono i membri dei ceti sociali più bassi perché considerati portatori di un bagaglio genetico particolarmente “tarlato” – determinato, a rigor di logica, dall’ambiente di vita più ostile. E proprio per i loro “tarli”, l’iracondo capostazione Roubaud de ​La bestia umana (1890) di Zola, o l’alcolizzato Coupeau de ​L’ammazzatoio ​(1877) sono personaggi radicalmente umani, anche e soprattutto nei loro risvolti più infimi: l’autodistruzione, l’egoismo, la brutalità. Allo stesso modo si è già visto che i personaggi di Tarantino sono “persone comuni”, nello specifico criminali e reietti – come è il caso di Budd in ​Kill Bill: Vol. 2​, che, dopo essersi dissociato dal fratello Bill, è diventato alcolizzato, vive in un camper nel mezzo del deserto texano e lavora come buttafuori in uno strip-club. Ma soprattutto i protagonisti di Tarantino presentano sempre qualche vezzo talmente ordinario da rasentare il parodico: “tarli” comici, quindi, piuttosto che tragici, contrariamente a quanto accade nei romanzi naturalisti – anche se pure qui alla volte si raggiungano vette altamente grottesche. 26

2.4. Lo svuotamento di serietà della violenza

Nei film di Tarantino gli effetti del cieco attaccamento dei personaggi alla loro natura

“tarlata” non possono che essere comico-grotteschi, se si considerano le situazioni-tipo in cui essi si ritrovano: estreme, spesso mortali, seppur gestite come fossero quotidiana amministrazione. Proprio un modo di fare così indiscriminatamente ordinario va a minare la serietà della sequenza di violenza, sottraendola dai toni gravi che normalmente la

26 si veda ad esempio il racconto ​Le Horla di Maupassant, in cui l'allucinato protagonista arriva a dare fuoco alla propria casa, servitù compresa, nel tentativo di liberarsi della persecuzione di quello che pensa essere il suo doppio

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caratterizzerebbero, e immergendola invece in un'atmosfera sopra le righe. Lo scontro tra ordinarietà ed efferatezza genera infatti un contrappunto grottesco, che stempera l’esibizione della violenza sulla scena, o almeno ammortizza i rischi di essere presa troppo sul serio dallo spettatore. A proposito della dimensione puramente ludica della violenza nei suoi film, Tarantino aveva dichiarato in un’intervista del 1993:

I don’t take the violence very seriously. I find violence very funny, especially in the stories that I’ve been telling recently. Violence is part of this world, and I am drawn to the outrageousness of real-life violence. 27

Nel cinema tarantiniano la violenza viene quindi intenzionalmente svuotata di serietà, banalizzata − al punto che nel mondo del film non ha conseguenze sul piano etico-morale, tantomeno su quello sociale. Ad esempio, in ​Grindhouse - A prova di morte in nessun modo va incontro alla giustizia un uomo che con la sua vettura da stuntman travolge l’auto su cui viaggiano quattro ragazze, le quali muoiono dilaniate dal violentissimo impatto. Le ragazze avevano bevuto, l’uomo no, il barista lo ha confermato, quindi ogni accusa banalmente non sussiste, e Stuntman Mike può tornare sulla strada a fare il serial killer. Farà i conti con le sue azioni solo quando prenderà di mira il gruppo di ragazze sbagliato, le quali, attaccate, reagiranno di conseguenza, arrivando a massacrarlo di botte. Come evidenziato da Vincenzo Buccheri, il mondo rappresentato da Tarantino manca di qualsiasi “fondamento trascendente, metafisico o religioso che sia” : la giustizia allora può coincidere con la vendetta. A tal 28 proposito, nota Terribili:

Nella società americana che fa da sfondo alle pellicole tarantiniane, non vengono contemplate possibilità di riflessioni di carattere morale, etico o sociale. Non si vive

27 G. Peary, ​Quentin Tarantino: Interviews, University Press of Mississippi, Jackson, 1998, p. 58

28 V. Buccheri, ​Pulp Fiction, in V. Zagarrio (a cura di), ​Quentin Tarantino, Marsilio, Venezia, 2009, p. 69

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