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FUORI L’USCIO DI CASA

Nel documento De Ferraro Domenico - Teatro Canzoni Jazz (pagine 56-60)

Fuori l’uscio di casa , aspetto passi il morbo . Il moribondo porti la morte altrove in fondo a quella valle , dove vivono tanti assassini , tante donnine di bell’aspetto. Dove non c’è differenza nella bellezza nella sorte e nella morte . Una canzone , riposa

sopra una muro di vergogne , mentre un amore divora se stesso .

E sotto l’albero, aspetto e vorrei uscire , andare laggiù dove vive la mia bella , dove il gatto si morde la coda da solo , dove la signora balla con il grasso di passaggio . E sono consapevole che sapere cantare , comporta una metodica , un modo di dire, non per nulla inusuale. Non c’è differenza con quello che dico , da quello che scrivo , nel trascendere ciò che cerco attraverso la logica , giungo dove vive il vecchio babbo natale, il quale si liscia la barba e corre sopra la neve alla ricerca di una regalo da donare a te.

Sconfinate periferie, immaginarie, povere e oscure ,case spettrali ove s ’aggirano anonimi omini ,anime erranti ,migranti lunatici che trascinano seco strane storie esistenziali . I quali imperterriti alzano il gomito al bar , mentre bevono, alzano la mano mentre babbo natale , sconvolto si copre il volto per non vedere quello che accade . Una fila interminabile di storie, sofferte in silenzio , sulla scia di desideri malati , simili a filanti stelle nei colori dell'inverno che passa . Stelle, nella grammatica , nello scorrere dei versi che emergono dalla forma negletta , di un morire o ridere per sommi capi , siamo alle solite, chi prima arriva, meglio alloggia.

Questa doveva essere la storia d'un angelo. Che un giorno vidi in lacrime, seduto in un angolo di strada.

Il quale ,aveva smarrito la retta via in questa vita misera . Il quale s’affannava a salire le scala

musicali , le mille espressione congeniali , racchiudenti il senso di una storia insolita , sotto forma di morale. E l’angelo avrebbe, voluto scappare via, avrebbe voluto portare, tutti i poveretti in paradiso. E non era mai stanco di ricercare l’essenza stessa delle cose che perseguiva sotto forma di consonanti o inferme congiunture sillabiche che si ubriacano alle prime luci dell ’alba . Lo vedi, perduto in acerbi amori di giovane fanciulle, graziose assai , bagnate nell ’acqua chiara , rinfrescante il viso pallido, gli occhi loro celesti i quali risplendevano di luce ribelle e perversa.

Speranze allevo nel mio animo, coltivando, vado sonetti ed endecasillabi , rime metaforiche , rime metriche . Dalla terra e dalla volgare lingua in cui maturò la mia favella , sorella degli infermi, con istrioniche sciantose, finii per gridare nella tromba d’Eustacchio . Un mondo pidocchioso , fatto di bassi e alti . Conosco a dire il vero poco. Nei modi di dire temo la menzogna , il pacco e il contro pacco di questo misero strambotto.

Ricordo il mondo , sotto forma di un verso algebrico . Sei mai stato in india o sulle Ande , sei mai stato condannato per non aver compreso il prossimo

Non mi curo , della sorte in genere , sò di essere stato spedito, sulla terra alla ricerca di una felicita , di una filosofia conservata dentro una calzetta. E se non trovo il senso, di queste storie muoio, nell ’attimo trascorso ,come fossi un orso alla ricerca del miele. E la speranza mi raccoglie , lungo una strada infreddolito , sotto questo albero , impaurito, ho tirato la coda al gatto, ho perduto la donna di cuori , impiccato la donna di picche. E le guardie , vengono a prendermi per portarmi in carcere, dove marcirò per il resto dei miei giorni.

Non credi che il signore del cielo e della terra, voglia sollevarti dal peso della tua missione. Voglia portarti nella sua grande casa situata sopra le nuvole , dove si può vedere i monti innevati , dove si può vedere il mare andare e ritornare , le barche navigare e la signora sperare per un bacio in un sogno fatto di varie espressioni.

In questi giorni freddi in cui s ’ascolta il canto del capro si scansa il contagio in luoghi oscuri . E mi delizio, assai in mezzo all’onde, sfidando il periglioso destino che sotto mentite spoglie, s ’affaccia alla mia vita a reclamare crediti e cambiale scadute.

Vivo in grande centro, in tante periferie ,sobborghi antropologici , culture identiche

nello stesso canto di libertà perseguite .

Ricchezze, certezze, plebei divenuti grassi borghesi. Camminare a ritroso tra la folla , aggrappato ad una ragione poetica, ammirare compiaciuto l ’urbana

prole.

E nulla ha senso, sé non il dire panciuto e furbesco intriso di profumi orientali , idee simili a modelle elette in parlamento . Macchine ed alambicchi

ed altri aggeggi infernali, capace di tramutare il vile metallo in oro, il male in bene .

Giorni passati , aspettando l’amore confinato in un luogo ,senza alcuna

possibilità di riscatto , senza poter dire ciò che si pare.

Finire i propri giorni in un misero letto d ’ospedale con la bronchite cronica o una terribile malattia di cui nessuno conosce la cura per guarire.

In questo inferno , smarrita è la mia cartella clinica Imbrogli ed altre inganni , questa terra ahimè né piena .

Sé solo la fortuna, m’avesse baciato la fronte quanta gloria, avrei donato agli altri.

Ma quando provò a fare il conto dei miei averi , mi ritrovo a parlare con un demone impertinente , ad avere un conto corrente sempre più nero.

Ma , non dispero e gioisco nell ’esprimere ciò che provo , vivo nella malasorte che continua a colorare mesta e solitaria , questa grande tela che è la storia , comune ad uomini e donne dall'usato nome ,

Nel documento De Ferraro Domenico - Teatro Canzoni Jazz (pagine 56-60)