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Gestione della pesca nel Mar Adriatico

2. IL CONTESTO BIOLOGICO, SOCIO ECONOMICO, ISTITUZIONALE

2.5 Gestione della pesca nel Mar Adriatico

2.5.1 La legislazione in Unione Europea ed Italia

Come membro dell’Unione Europeo l’Italia24 è soggetta a una serie di regolamenti predisposti in sede comunitaria. Il primo per importanza e ordine cronologico è il Regolamento del Consiglio (CE) n. 3760/92, successivamente modificato dal Reg (CE) n. 2371/02 (che costituisce la base della nuova politica comune della pesca), dove si stabilisce che tutte le imbarcazioni da pesca comunitarie devono essere dotate di una licenza da pesca. Nella licenza appaiono i dati personali del proprietario, le caratteristiche tecniche dell’imbarcazione e il tipo di attrezzi consentiti trasportati a bordo.

Le licenze vengono accordate per l’uso di particolari attrezzi da pesca. La legislazione italiana riconosce solo 13 categorie di attrezzi, o sistemi, classificati nel Decreto Ministeriale del 26 luglio 1995 sulla base degli standard europei e internazionali per le pratiche di pesca sostenibili.

Sulla base del Reg (CE) n. 2371/02 non è possibile accedere a licenze di pesca per nuove imbarcazioni senza che in precedenza un’imbarcazione dello stesso tipo sia stata demolita o destinata a un differente utilizzo25. Inoltre, se la nuova imbarcazione supera le

100 GT, per poter accedere a un aiuto pubblico, l’imbarcazione da sostituire deve avere un tonnellaggio almeno 1,35 volte superiore. Questa norma sottintende la chiara intenzione da parte dell’Unione Europea di ridurre nel tempo la capacità di pesca della flotta comunitaria.

24 Gli stessi regolamenti europei valgono evidentemente anche per la Slovenia.

25 Nel caso dell’Italia già dal 1989 il Governo aveva deciso per un blocco delle licenze da pesca per le

Fra i principi generali della nuova politica comune della pesca (PCP) spicca infatti la preoccupazione per la conservazione e l’uso sostenibile delle risorse ittiche. La nuova PCP si basa sul principio precauzionale26 citato nell’articolo 174 del Trattato Europeo e su quanto previsto dall’articolo 117 della Convenzione delle Nazioni Unite sulla “Legge del mare”. Per il principio precauzionale, l’assenza di un’adeguata informazione scientifica non può essere presa come pretesto per evitare o ritardare misure di gestione volte alla conservazione di alcune specie target. Coerentemente con la stessa linea di azione (Spagnolo, 2009) il commissario Borg ha presentato al Parlamento Europeo due comunicazioni: la prima relativa al massimo rendimento sostenibile (MSY) in cui, in seguito agli impegni assunti alla Conferenza di Johannesburg, si prevede che entro il 2015 le condizioni degli stock ittici vengano recuperati per raggiungere nuovamente il MSY; la seconda, del 2007, riguardante la possibile diffusione dei diritti di proprietà.

Attualmente in Italia si possono individuare tre differenti forme di gestione delle risorse ittiche, intese dal punto di vista dei diritti di proprietà (MRAG et al., 2009). Il caso generale, diffuso per la quasi totalità degli stock, è quello basato sul sistema delle licenze da pesca brevemente descritto sopra e implementato a partire dal 1982. Da questo schema si differenziano soltanto la pesca del tonno, basato su TAC condivise fra sette nazioni mediterranee e suddivise in quote individuali, e la pesca delle vongole, basata su diritti territoriali e cogestione delle risorse.

Il Regolamento (CE) n. 1967/2006 relativo alle misure di gestione per lo sfruttamento sostenibile delle risorse della pesca nel Mar Mediterraneo stabilisce le norme generali per la pesca in tutti i mari italiani, fra le quali la definizione delle specie e habitat protetti, le procedure per l’istituzione di zone di pesca protette, l’elenco delle pratiche e attrezzi vietati, la dimensione minima delle maglie, i valori minimi di distanza e profondità per l’uso di determinati attrezzi, le taglie minime degli organismi marini. Nel caso specifico dei piccoli pelagici si vieta l’uso degli attrezzi da traino (volanti) entro una distanza di 3 miglia nautiche dalla costa o all’interno dell’isobata di 50 m quando tale profondità è raggiunta a una distanza inferiore dalla costa. Per le reti da traino destinate alla pesca della

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L’approccio precauzionale nella gestione delle risorse ittiche, così come stabilito dalla Conferenza di Rio de Janeiro, prevede che in caso di possibile danno grave o irreversibile, e in assenza di certezze scientifiche, è necessario adottare iniziative che comportino il rischio minore. Questa considerazione basa sull’assunto che gli ecosistemi marini sono caratterizzati da elevata complessità e dinamicità, cui si sommano gli effetti dell’attività antropica, difficilmente prevedibili e valutabili.

sardina e dell’acciuga27 la dimensione minima delle maglie è di 20 mm; per le reti da circuizione la dimensione minima è di 14 mm. La taglia minima della sardina e dell’acciuga è rispettivamente di 11 e 9 cm.

Lo stesso Reg. (CE) n. 1967/2006 stabilisce che gli stati membri devono adottare piani di gestione per le attività di pesca condotte con reti da traino, da circuizione e draghe all’interno delle proprie acque territoriali, tenendo conto dello stato di conservazione e le caratteristiche biologiche degli stock, le caratteristiche delle attività di pesca e l’impatto economico delle misure considerate.

È ormai accettato che le diverse caratteristiche dei mari e delle flotte richiedono piani di gestione adeguatamente differenziati (Spagnolo, 2009). Per questa stessa ragione il Programma Operativo italiano previsto dal FEP28 stabilisce piani di gestione per singola GSA e per singolo sistema di pesca quale strumento fondamentale per garantire la sostenibilità ambientale, economica e sociale. Al momento attuale, escludendo i casi citati del tonno e delle vongole (si tratta di pesche specifiche), sembra accettato che il tipo di gestione più adeguato per i restanti sistemi di pesca, chiaramente multispecifici, sia il controllo dello sforzo di pesca e l’applicazione di adeguate misure tecniche.

Nel caso della pesca dei piccoli pelagici dovrebbe dunque venire elaborato un piano di gestione comune per le volanti e le lampare, esteso forse alle GSA 17 e 18 in forma congiunta. Questo dovrebbe integrarsi a quanto già previsto dal Programma Operativo in termini di disarmo: stando infatti alle indicazioni biologiche da cui si evince uno stato degli stock pelagici non particolarmente critico, il Programma Operativo, assumendo un approccio precauzionale, prevede un piano di disarmo limitato al 3% della flotta registrata (in termini di GT e kW; si consideri che per lo strascico è invece richiesta una riduzione del 8%).

Il futuro piano di gestione per le lampare e volanti operanti nell’Adriatico dovrà dunque integrare in maniera coerente il suddetto piano di disarmo, le norme tecniche previste dai regolamenti europei (distanze di pesca, limiti nelle taglie e dimensioni delle maglie) e altre misure quali i fermi biologici (mantenendo o modificando quanto fatto ad oggi) ed eventualmente riduzione dell’attività (numero di giorni), quote di cattura, ecc. E’ auspicabile che tale norme vengano concordate con il coinvolgimento delle diverse OP del pesce azzurro che operano in Adriatico.

27 Tali specie devono rappresentare almeno l’80% delle catture in peso vivo.

2.5.2 La legislazione in Croazia

Anche in Croazia la pesca è soggetta a un sistema di licenze vigente dal 1994 secondo cui le imbarcazioni possono trasportare determinati attrezzi da pesca.

Misure tecniche simili, sebbene non identiche, a quelle europee vengono adottate. Le maglie delle reti da traino pelagico (volanti) devono avere una larghezza minima di 18 mm; quelle da circuizione 16 mm. Le volanti non possono agire a una distanza dalla costa inferiore a una miglia nautica; per le barche che eseguono la circuizione il limite è di 300 metri o 30 metri di profondità. Per entrambi gli attrezzi esiste un fermo delle attività fra il 15 dicembre e il 15 gennaio.

La taglia minima degli individui è rispettivamente di 9 e 10 cm per acciughe e sardine.