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3. QUALITÀ

3.6. Gestione strategica della Qualità

Analizzando il termine Qualità Totale, l’aggettivo “Totale” sta ad indicare, in primo luogo, il coinvolgimento di tutti i settori produttivi e di tutte le funzioni dell’azienda, in secondo luogo una totalità che rimanda al concetto di sistema.

Da qui scaturisce il concetto sistema-qualità dove il primo termine sta ad indicare la “forma”, cioè un metodo: la pianificazione, la gestione, il controllo e l’integrazione armonica di tutte le strutture funzionali e operative per perseguire un obiettivo, concepiti come sottosistema all’interno del sistema aziendale; il secondo rappresenta la “sostanza”, cioè i contenuti: la qualità intesa come garanzia per il cliente e modalità di ottimizzazione delle risorse. Punto estremo e ultima fase dell’evoluzione del concetto di Qualità Totale è la gestione strategica della qualità.

63 L’attenzione è ancora focalizzata sui processi ma emerge il valore “conoscenze” finalizzate alla messa a punto di interventi di miglioramento continuo in vista della funzionalità complessiva dell’azienda che diventa un fattore strategico della competizione.

L’espressione “Total Quality Improvement” risulta così più adeguata rispetto a “Qualità Totale” a definire questa fase.

Questa è una logica che abbraccia entrambe le prospettive della qualità: la prospettiva del mercato, che assume la qualità come fattore strategico di competizione rispetto alla soddisfazione del cliente, al contenimento delle risorse impiegate e al rapporto valore percepito/costi, e la prospettiva dell’azienda, che ruota intorno al radicamento di una cultura e di una prassi della qualità e alla ricerca di strategie che consentano all’azienda di sostenere la sfida competitiva (Conti, 1992).

Secondo Conti (1992) i cardini attorno ai quali ruota questa nuova visione della Qualità Totale sono:

- La competizione sul rapporto valore/costo percepito dal consumatore. Le scelte dei consumatori si basano sul “value for money”, cioè sul rapporto tra il valore percepito e i costi da sostenere, dove per valore s’intende il frutto di percezioni globali determinato dalla corrispondenza alle aspettative dell’insieme del prodotto e del servizio ad esso legato, tuttavia è necessario ricordare che anche l’immagine dell’azienda influisce notevolmente sul valore percepito. Per definire chiaramente tale concetto è necessario richiamare i principi di qualità negativa e qualità positiva.

Si usa definire “qualità negativa” la difettosità dei prodotti, la non conformità agli standard attesi, mentre si definisce “qualità positiva” lo scostamento positivo rispetto alle richieste, cioè il “plus”, tutto ciò che supera le aspettative del cliente o l’offerta della concorrenza. Pertanto, alla luce di queste definizioni, per risultare competitivi nel mercato è necessario minimizzare la qualità negativa e massimizzare invece quella positiva.

64 Per la prima esiste un limite, quello della difettosità zero, mentre invece per la seconda non esiste alcun limite, poiché è sempre possibile individuare un plus di prodotto e/o servizio che permetta di aumentare il valore percepito dall’utente.

Il primo passo per competere nel mercato è, tradizionalmente, quello di ridurre o azzerare la qualità negativa, minimizzando le difettosità. L’utente, infatti, è senza dubbio soddisfatto degli eventuali plus, ma è molto più insoddisfatto per i possibili difetti. Lavorando in questo senso, non solo si accresce la soddisfazione del cliente, ma si riducono anche i costi della non-qualità.

Successivamente, per un’azienda già strutturalmente in grado di mantenere le difettosità ai livelli minimi del settore, è possibile passare alla competizione nel campo della qualità positiva, individuando o inventando nuove opportunità per massimizzare il valore dell’offerta percepito dai consumatori.

Potendo definire due pilastri della qualità competitiva, questi possono essere: la qualità delle realizzazioni, che consiste nel fare le cose bene la prima volta e nel minimizzare i costi della difettosità e la qualità degli obiettivi, ovvero, fare le cose giuste, cioè attese dal mercato e massimizzare il valore per l’utente.

- La qualità riportata ai processi. Secondo la normativa UNI EN ISO 9000:2015 un processo è definito come un insieme di attività correlate o interagenti che utilizzano input per consegnare un risultato atteso.

Le aziende, per realizzare i prodotti o i servizi, predispongono dei processi produttivi ed è proprio attraverso questi che viene creato il valore aggiunto.

La qualità del risultato, che sia un prodotto o un servizio è la conseguenza della qualità di ogni processo coinvolto nella sua realizzazione. In questo senso, qualità del processo è più di qualità del prodotto: il primo è il mezzo, il secondo è uno dei risultati.

65 Inoltre, un processo di qualità non solo genera prodotti/servizi di qualità, ma minimizza anche i costi e i tempi di realizzazione.

Per valutare la qualità di un processo, dunque, vengono presi in considerazione tre parametri, quali:

• Efficacia: la capacità del processo di realizzare prodotti conformi agli standard attesi, minimizzando difettosità e scarti

• Efficienza: la capacità di produrre riducendo al minimo i costi e i tempi di realizzazione

• Elasticità: la capacità di adeguarsi al cambiamento in tempi rapidi. In definitiva, gestire la qualità dei processi significa, per il management, spostare l’attenzione dai risultati ai mezzi per ottenerli. - Il rapporto fornitore-cliente all’interno dell’azienda. Un’azienda organizzata per processi che opera nella prospettiva della qualità vede all’interno di ogni processo una successione di attività ciascuna delle quali fornisce un prodotto a quella successiva. L’attività a monte può essere dunque vista come un fornitore e quella a valle come un cliente.

E’ importante comprendere che un rapporto di partnership tra fornitore e cliente, atto a produrre un prodotto che sia ottimale per il collega a valle, produce vantaggi da entrambe le parti, massimizzando il valore dell’attività e minimizzando i costi globali sostenuti dall’azienda.

Questo approccio, comunque, non risulta spontaneo e deve essere fortemente sostenuto dalla direzione aziendale

- Miglioramento continuo come strategia. Il miglioramento continuo dei processi produttivi è un concetto chiave della Qualità Totale. Può essere definito come una continua ridefinizione degli standard, finalizzata a rispondere in modo dinamico e proattivo alle esigenze degli utenti.

66 Esso permette di incrementare le prestazioni del processo, ridurre progressivamente le difettosità e individuare plus che aumentino il valore percepito dal cliente. Risulta quindi uno strumento fondamentale per sostenere la competizione del mercato.

Affinché il miglioramento si verifichi e sia efficace nel tempo è necessario che esso sia pianificato, che avvenga sulla base di obiettivi ben definiti e che alla fase di modifica segua una fase di mantenimento e consolidamento dei nuovi standard. Quest’ultima condizione risulta importantissima, poiché in mancanza di standardizzazione del nuovo livello può avvenire una regressione allo stato precedente con conseguente perdita dei benefici ottenuti. Il percorso del miglioramento continuo può quindi essere paragonato ad una “scala”, dove a ogni cambiamento strutturale segue una fase di assestamento prima di pervenire al nuovo standard.

Esistono due possibili approcci per realizzare il miglioramento dei processi:

• Il miglioramento a grandi passi (Kairyo) • Il miglioramento a piccoli passi (Kaizen).

Il primo riguarda la pianificazione di progetti innovativi, i quali comportano la revisione generale dei processi esistenti ed eventualmente la realizzazione di nuovi. In pratica, si tratta di mettere in discussione l’esistente a partire dalle fondamenta e riprogettare interamente i prodotti o l’organizzazione dell’azienda. Il management aziendale, sulla base della valutazione del mercato, pianifica le strategie e definisce i macro-obiettivi di miglioramento. In questo caso, i miglioramenti vengono ideati e realizzati da un numero ristretto di persone e solitamente richiedono investimenti considerevoli.

Il secondo approccio è quello introdotto nell’industria giapponese. Esso si basa su piccoli miglioramenti, numerosi e continui, realizzati da tutti i collaboratori dell’azienda. Si tratta di una logica “bottom-up”, in cui viene sfruttata l’esperienza di tutto il personale in funzione di

67 piccoli progressi incrementali, continui nel tempo, ottenuti grazie all’utilizzo delle tradizionali tecniche statistiche e del metodo PDCA. L’effetto complessivo dei singoli contributi porta a un miglioramento sostanziale dei processi, aumenta il valore percepito dagli utenti, riduce i costi di produzione. Questo metodo è tipico delle aziende che hanno assimilato pienamente la cultura della Qualità Totale.

I due criteri esposti possono sembrare incompatibili, ma il massimo risultato si ottiene proprio attraverso la loro conciliazione. Il management aziendale deve definire i macro-obiettivi che devono però confrontarsi con le proposte di miglioramento del personale operativo. Il cambiamento quindi non dovrebbe essere semplicemente imposto dall’alto secondo la logica “top-down”, ma dovrebbe integrare i suggerimenti forniti dall’attività quotidiana.

- Estensione dell’approccio a tutta l’organizzazione aziendale: Questo concetto è quello che, storicamente, ha dato origine alla definizione di Qualità Totale. Eppure, tra quelli citati, è di solito il più difficile da accettare dal management occidentale. Estendere l’approccio della qualità a tutti i settori, i livelli e i processi dell’azienda significa, in sostanza, agire in due direzioni. Innanzitutto vi deve essere un’estensione in orizzontale, intendendo con questa espressione il coinvolgimento di tutte le funzioni aziendali comprese anche quelle di staff in quanto realizzano comunque prodotti o servizi per

68 l’azienda, spesso cruciali per poter sostenere la sfida competitiva, e dunque devono essere valutati con gli stessi criteri dei processi produttivi veri e propri, nell’ottica dell’adeguatezza all’uso e del valore per il cliente.

La seconda direzione è l’estensione in verticale, dal vertice della piramide aziendale fino alla base. I vertici aziendali devono necessariamente assumere in modo deciso la leadership del processo di cambiamento verso la Qualità Totale affinché ciò possa verificarsi.

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