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Lean Production e Qualita: efficienza, efficacia e flessibilita per il successo durevole dell'azienda

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Academic year: 2021

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Università di Pisa

Dipartimento di Economia e Management

Corso di Laurea Magistrale Strategia, Management e Controllo

Tesi di laurea

Lean Production e Qualità: efficienza, efficacia e

flessibilità per il successo durevole dell'azienda

Candidato: Relatore:

Leonardo Olianti Prof. Marco Giannini

Anno Accademico

2016-2017

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Sommario

1. LEAN PRODUCTION ... 10

1.1. Introduzione al Toyota Production System (TPS) ... 10

1.2. Come tutto ebbe inizio: Il Fordismo ... 12

1.3. Crisi del Fordismo ... 14

1.4. Nascita e sviluppo del Toyotismo ... 15

1.5. Caccia agli sprechi, i 7 Muda di Taiichi Ohno ... 20

1.6. I cinque principi del Lean Thinking ... 25

2. I PILASTRI DELLA LEAN PRODUCTION ... 32

2.1. Il tempio del Toyota Production System... 32

2.2. Just in Time: il primo pilastro del TPS ... 33

2.2.1. Sistema Pull e applicazione del Kanban ... 34

2.2.2. Continuous Flow – One Piece Flow ... 35

2.2.3. Take Time ... 37

2.3. Jidoka: il secondo pilastro del TPS ... 39

2.3.1. Jidoka: Procedure, Strumenti e Tecnologie ... 40

2.4. Heijunka ... 41

2.5. Standardiez Work ... 44

2.6. Kaizen ... 46

2.7. Stabilità Operativa ... 48

2.8. Vantaggi e Limiti della Lean Production ... 49

3. QUALITÀ ... 51

3.1. Il Sistema Competitivo Odierno ... 51

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3.3. Evoluzione della Qualità ... 53

3.4. Evoluzione metodologie di approccio alla qualità ... 55

3.5. La Qualità Totale ... 58

3.6. Gestione strategica della Qualità ... 62

3.7. Costi della Qualità e della non Qualità ... 68

3.8. Il controllo della Qualità e gli strumenti per il miglioramento ... 71

3.8.1. Circoli della Qualità ... 71

3.8.2. Il ciclo PDCA ... 72

3.8.3. I 7 Strumenti Statistici per il controllo ... 75

3.9. Gli indicatori della qualità ... 77

3.10. Il Sistema di Gestione della Qualità ... 78

3.11. Scopi e Obiettivi del SGQ ... 80

4. Il Quadro Normativo ... 82

4.1. Norme ed enti normativi ... 82

4.2. La Documentazione del SGQ ... 85

4.3. I Principi di Gestione della Qualità ... 88

4.3.1. Focalizzazione sul cliente ... 89

4.3.2. Leadership ... 90

4.3.3. Partecipazione attiva delle persone... 90

4.3.4. Approccio per processi ... 91

4.3.5. Miglioramento ... 92

4.3.6. Processo decisionale basato sull’evidenza ... 93

4.3.7. Gestione delle Relazioni ... 93

5. La Certificazione del Sistema di Gestione della Qualità ... 95

5.1. Tipologie di Audit ... 95

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5 5.3. Il percorso del miglioramento nell’ambito del SGQ. La logica del

PDCA secondo la ISO 9001 ... 100

5.4. L’iter di certificazione ... 102

5.5. Benefici derivanti dalla Certificazione ... 105

Conclusioni ... 108

Bibliografia ... 113

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INTRODUZIONE

I modelli organizzativi da sempre rappresentano uno strumento indispensabile per le imprese che più o meno consciamente applicano quello che più si avvicina alle loro necessità.

I modelli organizzativi infatti si sono evoluti nel tempo in quanto influenzati da pressioni legate al contesto storico, economico e culturale.

Oggi le aziende devono fare i conti con uno scenario molto complesso dove il fattore che caratterizza l’economia e i mercati è l’incertezza, e di conseguenza si richiede alle organizzazioni moderne, non solo per avere successo ma anche solo per sopravvivere, la capacità di essere flessibili e di cogliere i cambiamenti continui e repentini dell’ambiente in cui operano. Il presente elaborato intende andare ad analizzare una serie di aspetti su cui le aziende devono far leva per competere in un mercato sempre più dinamico e turbolento, e dove i concetti di flessibilità e qualità si affermano sempre più come unica soluzione per garantire la soddisfazione della clientela e il miglioramento continuo dell’azienda.

Il mercato attuale forza le aziende alla produzione di beni e servizi sempre nuovi, fortemente personalizzati, basati su alti standard qualitativi e tutto questo in un contesto di contrazione dei prezzi.

L’obiettivo del presente elaborato è quello di illustrare una serie di elementi e concetti che possono guidare un’azienda a ricercare maggiore flessibilità ed elasticità, e a implementare una gestione consapevole della qualità ad ogni livello di attività.

Il presente lavoro di tesi si apre con un primo capitolo che ha una funzione introduttiva attraverso la quale si intende fornire una breve descrizione del modello organizzativo sviluppato dalla Toyota, trattenendosi poi su una serie di aspetti quali il Fordismo e le cause che hanno contribuito alla sua crisi. Questa prima parte dell’elaborato si conclude poi con una descrizione volta ad approfondire il percorso evolutivo del Toyota Production System evidenziando gli aspetti che ne hanno permesso la nascita e le difficoltà riscontrate durante il suo percorso evolutivo, facendo chiarezza sui 5

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9 principi fondamentali del “pensiero snello” (Lean Thinking) e approfondendo il concetto di spreco attraverso la definizione delle sette tipologie di “Muda”. Il secondo capitolo intende focalizzare l’attenzione sugli elementi caratterizzanti la Lean Production attraverso l’analisi del “Sistema Toyota”, raffigurato come un tempio che mette in evidenza gli elementi cardine del sistema, ovvero il Just in Time e lo Jidoka, e gli strumenti e le logiche, quali lo Heijunka, Standardiez Work e il Kaizen, volti alla caccia e all’eliminazione degli sprechi, al fine di favorire il perseguimento dell’obiettivo principe di questo sistema di produzione: raggiungere la migliore qualità, al prezzo più basso e nel minor tempo possibile.

Nel terzo capitolo andremo a spostare l’attenzione sul “Fare Qualità”, evidenziando una serie di aspetti che hanno fatto della qualità un elemento essenziale per garantire la sopravvivenza e il successo dell’azienda. Il presente capitolo si apre con una descrizione del concetto di qualità e della sua evoluzione nel tempo per poi approfondire l’argomento descrivendo i principi e gli strumenti della Qualità Totale. Infine sposteremo l’attenzione sull’importanza e sul ruolo, all’interno dell’azienda, del Sistema di Gestione della Qualità (SGQ) evidenziando gli scopi e gli obiettivi derivanti da una sua corretta implementazione.

Nel capitolo quattro, intitolato “il quadro normativo”, dopo aver introdotto una serie di concetti legati agli enti normativi in materia di qualità, andremo a trattare il Sistema di Gestione della Qualità, concentrandosi sul sistema di documentazioni e sui principi che la ISO 9001 considera fondamentali per assicurare la guida e la gestione di un’organizzazione che persegue il miglioramento continuo delle azioni a lungo termine.

Con la stesura del quinto capitolo si intende concludere il presente elaborato soffermandosi inizialmente sulla definizione del concetto di “audit” e sulla descrizione delle varie tipologie, con riferimento all’audit di prima, seconda e terza parte, per poi procedere esponendo l’iter per l’ottenimento della certificazione del SGQ, evidenziando, in ultima analisi, i benefici che un’azienda può ottenere, risultanti dall’implementazione e certificazione di un SGQ sulla base dei requisiti espressi dalla ISO 9001:2015.

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Capitolo 1

1. LEAN PRODUCTION

1.1.

Introduzione al Toyota Production System (TPS)

Il Toyota Production System è un sistema manageriale introdotto intorno agli anni’50 da Kiichiro Toyoda e Taiichi Ohno, rispettivamente presidente e direttore della produzione della Toyota Motor Company, i quali svilupparono una serie di principi innovativi nel campo della produzione che vennero poi formalizzati da Ohno nel 1978 nel suo libro “Toyota Production System”.

Il termine Lean Production (Produzione Snella) è stato sviluppato da due studiosi americani, James P. Womack e Daniel T. Jones, che nell’opera “La macchina che ha cambiato il mondo” (1990) hanno per primi esaminato e confrontato i sistemi produttivi dei principali produttori mondiali di automobili con quello sviluppato dall'azienda giapponese Toyota, evidenziando la sua netta superiorità rispetto ai concorrenti.

La Produzione Snella coincide quindi con la generalizzazione e diffusione in occidente del Toyota Production System (TPS) che, facendo leva sull’applicazione del Just in Time e della Qualità Totale intende superare le rigidità del modello Fordista (produzione di massa tradizionale) affermando così un sistema “snello” di organizzazione e gestione della produzione, ma soprattutto un modo di pensare, tanto da poter parlare di Lean Thinking (pensiero snello).

Intorno agli anni ’50, nell’immediato dopoguerra, l’azienda Toyota, così come buona parte dell’industria giapponese, si trovava in gravissime condizioni per mancanza di risorse. Per poter competere con la produzione di massa occidentale, sviluppatasi nel primo dopoguerra del novecento con gli americani Henry Ford e Alfred Sloan, nacque l’esigenza di usare le poche risorse disponibili nel modo più produttivo possibile iniziò un intenso

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11 Gli straordinari risultati ottenuti dalla Toyota portarono all’affermazione del TPS su scala mondiale, diffondendo il concetto di Lean Production e superando i limiti della produzione di massa applicata allora dalla quasi totalità delle aziende occidentali.

Il TPS si concentra sull’eliminazione degli sprechi in azienda in modo da creare un flusso continuo e regolare dei materiali, rimuovendo inutili attese e attività non generatrici di valore, prestando attenzione alla progettazione del layout dei reparti produttivi e attraverso una diligente applicazione dei principi della qualità.

La Lean Production, in sostanza, è così chiamata perché permette di ottenere di più con un minor consumo di risorse, ovvero, consente di dare al cliente esattamente quello che vuole, quando, dove e come vuole, riducendo lo sforzo umano, l'attrezzatura, il tempo e lo spazio necessario, garantendo la soddisfazione della domanda con una qualità perfetta e senza sprechi, cioè in modo “snello”.

Per la corretta implementazione e sviluppo del Toyota Production System assume particolare rilevanza il personale. Questo, a tutti i livelli dell’organizzazione, riveste un ruolo profondamente innovativo in quanto alla base di tutto vi è la completa fiducia nelle capacità delle persone e l’assegnazione di maggiore responsabilità.

Con il TPS si supera la figura del lavoratore classico e viene ad emergere il “membro del team”, in quanto i lavoratori non operano più individualmente ma come appartenenti ad una squadra composta da quattro-cinque persone alle quali si aggiunge un caposquadra (Team Leader).

Uno dei principali obiettivi che si pone il Toyota Production System è quello di realizzare una azione diffusa per il «miglioramento continuo», cioè quello che viene condotto non in un determinato periodo, ma continuativamente nel tempo al fine di perseguire la perfezione. Un percorso di miglioramento continuo, tuttavia, può essere realizzato soltanto da chi è coinvolto nella “produzione” e ciò evidenzia nuovamente l’importanza del coinvolgimento del personale.

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12 Il TPS vede lo sviluppo e l’implementazione di un sistema di gestione totale per la Qualità (Total Quality Management) il quale può essere descritto come una filosofia di direzione che intende guidare il sistema (l’organizzazione) verso la soddisfazione totale del cliente (custumer satisfaction) e la massima razionalizzazione delle risorse interne attraverso il continuo miglioramento dell’efficacia e dell’efficienza dell’organizzazione e dei suoi processi.

Data l’importanza che il T.Q.M. ha assunto nel tempo esso è diventato l’elemento centrale della normativa internazionale ISO della serie 9000. La nuova normativa, difatti, è informata sulla filosofia del T.Q.M. ed è orientata sia alla soddisfazione dei clienti che delle altre parti interessate (stakeholder); esalta il ruolo delle risorse umane e introduce in modo esplicito i concetti di efficienza e di efficacia puntualizzando che ogni organizzazione dovrebbe porsi come obiettivo permanente il miglioramento delle prestazioni al fine di ottenere un successo duraturo.

1.2.

Come tutto ebbe inizio: Il Fordismo

Il termine Fordismo venne definito negli anni ’30 per descrivere il successo ottenuto nell’industria automobilistica a partire dal 1913 dall’industriale statunitense Henry Ford che, ispirato dalle teorie di Frederick Taylor, sviluppò un sistema di organizzazione e gestione della produzione diventando uno dei pilastri fondamentali dell’economia del XX secolo con notevoli influenze sulla società.

L’avvento di nuovi metodi di organizzazione del lavoro nacquero in seguito a numerosi cambiamenti nella società e a una serie di fattori che permisero il superamento della produzione artigianale e l’affermazione della produzione di massa su larga scala.

Tra i principali fattori troviamo:

- Sviluppo di nuove tecnologie, ossia di macchine capaci di compiere una sola o un numero limitato di operazioni, adatte quindi alla realizzazione di prodotti standardizzati;

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13 - Aumento delle dimensioni delle imprese, che assumono una struttura verticalmente integrata, caratteristica fondamentale della produzione di massa;

- Aumento della disponibilità di lavoratori poco qualificati (emigranti e persone che abbandonano le campagne);

- Stabilità e prevedibilità dell’ambiente economico e del mercato (che favoriva la produzione di beni di massa).

L’obiettivo principe del Fordismo era di favorire l’espansione della produzione di massa su scala industriale attraverso l’introduzione di nuove tecnologie e l’applicazione dei principi del Taylorismo che vedono:

- Separazione netta tra progettazione ed esecuzione del lavoro; - Utilizzo di un approccio scientifico volto ad individuare metodi e

strumenti per l’esecuzione efficacie del lavoro; la mansione dell’operaio doveva essere progettata specificando come il lavoro doveva essere eseguito;

- Selezione scientifica delle persone più adatte per espletare le mansioni progettate;

- Controllo che il lavoro dell’operaio sia svolto secondo i principi scientifici definiti e che i risultati raggiunti siano adeguati alle aspettative.

L’organizzazione Fordista era basata sulla rigida distinzione tra lavoro manuale e intellettuale, e sulla suddivisione in operazioni molto semplici dell’intero processo produttivo (divisione verticale e orizzontale del lavoro), ogni operazione veniva cronometrata e misurata al fine di poterla velocizzare e la motivazione degli operai risultava minima, lasciando così spazio ad una completa insoddisfazione ripagata soltanto dal salario. La fabbrica Fordista avviò un processo di cambiamento tale da riuscire a fornire al consumatore prodotti in grande quantità, standardizzati e a prezzi minori rispetto ai prodotti artigiani, di fatto, con la realizzazione del modello T, Ford, sconvolse l’intera industria automobilistica cercando di creare un’auto accessibile sia in termini di facilità d’uso che in termini di costi. La

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14 visione industriale di Ford era quella di produrre un tipo di auto con caratteristiche tecnologiche e commerciali tali da poter essere prodotta e venduta in grandi quantità, concezione industriale che si è poi ufficializzata come “produzione di massa”.

Nella fabbrica Fordista, il personale era selezionato in base al tipo di attività da svolgere, l’addestramento veniva realizzato direttamente sul posto di lavoro e l’incentivazione era basata sulla quantità prodotta.

Il modello vede l’introduzione della catena di montaggio, ovvero, un sistema di movimentazione che aumenta il ritmo del lavoro, poiché evita la creazione di colli di bottiglia che si vengono a formare quando i lavoratori a monte sono più veloci dei lavoratori a valle. Con la catena di montaggio, ad ogni lavoratore era affidata una mansione elementare che doveva svolgere in modo ripetitivo al ritmo imposto dalla catena di montaggio.

Circa la qualità, durante il Fordismo, era intesa come conformità tecnica, i relativi controlli venivano effettuati direttamente sui prodotti finiti e l’attività di manutenzione macchinari veniva svolta, senza alcun tipo di programmazione, da addetti chiamati a riparare i guasti intervenuti.

In conclusione possiamo definire il Fordismo un approccio che riguarda non solo l’organizzazione della produzione ma anche gli obiettivi stessi dell’attività produttiva, di fatto, i metodi Fordisti possono essere considerati una combinazione di diversi elementi, quali, l’organizzazione produttiva Tayloristica, la meccanizzazione spinta dei processi produttivi e la standardizzazione dei prodotti finiti.

1.3.

Crisi del Fordismo

I benefici ottenuti dal Fordismo in termini di aumento dei volumi produttivi e di riduzione dei tempi e costi, furono tali da spingere molte aziende ad adottare tale metodologia con l’unico scopo di ottimizzare la produttività, senza tener conto di attori importanti quali i clienti ed i fornitori.

L’organizzazione interna assunse un carattere fortemente gerarchico e rigido dove la figura dell’operaio perdeva ogni forma di valore.

Verso la fine degli anni ’60, l’impostazione Tayloristica viene rivisitata cercando di sviluppare metodi produttivi più evoluti a fronte dell’emergere

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15 di una serie di cambiamenti che hanno contribuito alla crisi del Fordismo, tra cui:

- Cambiamenti nel personale interno all’organizzazione, in termini di grado di scolarizzazione e aspetti motivazionali legati non solo a fattori economici;

- Rilevazione di problemi connessi alla catena di montaggio e quindi alla ripetitività delle attività svolte con conseguenti disturbi psicologici - Cambiamenti nelle tecnologie in termini di automazione;

- Cambiamenti nel concetto di prodotto, da standardizzato a sempre più differenziato;

- Cambiamenti nel concetto di qualità (non più intesa come rispetto di conformità tecnica);

- Cambiamenti nel mercato del lavoro;

- Cambiamenti nel livello di sindacalizzazione.

I cambiamenti sopra espressi hanno spinto molte aziende a ricercare soluzioni organizzative più efficienti ed efficaci al fine di fronteggiare le dinamicità del mercato e delle aspettative dei clienti.

Attraverso una ridefinizione delle attività svolte, a partire dalla fase di progettazione fino alla distribuzione e consegna, si intendeva agire sulla riduzione dei tempi, dei costi e sulla possibilità di variare l’output offrendo un’ampia gamma di prodotti in grado di soddisfare meglio le richieste dei clienti.

Le logiche e le modalità su cui si basava la produzione di massa avrebbero potuto continuare a sussistere se in Giappone non fosse emersa una nuova industria automobilistica che sviluppò un modo del tutto nuovo di produrre: la produzione snella.

1.4.

Nascita e sviluppo del Toyotismo

Il passaggio al nuovo sistema produttivo avvenne all’interno dell’industria automobilistica giapponese Toyota, fondata nel 1937 dalla famiglia Toyoda. Nel dopoguerra la Toyota aveva deciso di intraprendere la produzione completa di vetture commerciali ma si era trovata di fronte ad alcuni ostacoli

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16 tra cui le caratteristiche del mercato interno (molto limitato ma la cui domanda abbracciava un’ampia gamma di veicoli) e la consapevolezza dei lavoratori di non volere più essere trattati come pezzi intercambiabili. A questi aspetti si sommava il fatto che l’economia giapponese nel dopoguerra soffriva per la mancanza di capitali e questo comportava la mancata possibilità di acquistare le più recenti tecnologie occidentali. Non bisogna inoltre dimenticare come i grandi colossi occidentali fossero interessati ad insediarsi in Giappone e come, contemporaneamente, proteggessero i propri mercati dalle importazioni. Quest’ultima difficoltà comportò una reazione del Governo giapponese che emanò il divieto di investimenti esteri diretti nell’industria automobilistica nazionale e creò barriere protezionistiche con alte tariffe sull’importazione.

Il presidente Eiji Toyoda insieme al direttore Taiichi Ōno riuscirono ad analizzare una serie di aspetti che caratterizzavano la produzione di massa cercando di sviluppare soluzioni innovative necessarie per garantire il successo della propria azienda.

Si evidenziarono una serie di problematiche, inizialmente si riscontrò che le attrezzature della produzione di massa, caratterizzate da massicce e costose linee di stampaggio, non erano adatte al contesto giapponese in quanto queste erano progettate per produrre più di un milione di pezzi di un singolo articolo l’anno, mentre agli inizi l’intera produzione annua della Toyota arrivava a poche migliaia di veicoli. Il direttore della Toyota, Taiichi Ōno pensò quindi di sviluppare procedure semplificate per il cambio degli stampi servendosi di rulli e di semplici meccanismi di regolazione per spostarli e riposizionarli. Così facendo, verso la fine degli anni Cinquanta, riuscì a ridurre notevolmente il tempo necessario per cambiare gli stampi ed aveva eliminato l’esigenza di possedere operatori specializzati.

Inoltre, capì che il costo unitario dello stampaggio di piccoli lotti era inferiore a quello relativo a grandi partite, considerazione che scaturiva da due fattori: in primis che la produzione di quantitativi limitati eliminava le spese di immobilizzo degli immensi stock di pezzi finiti; inoltre la produzione di lotti piccoli favoriva l’individuazione quasi istantanea degli errori sui vari

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17 componenti prima dell’assemblaggio, riducendo così al minimo la produzione di pezzi difettosi e rendendo i lavoratori delle varie fasi più consapevoli della qualità.

Ōno si convinse poi che la linea di montaggio tipica della produzione di massa fosse carica di muda, ovvero di sprechi in termini di tempo, fatica e materiali, inoltre, riteneva che tutti gli esperti addetti alla linea produttiva di fatto non contribuissero a creare plusvalore e che ciascun montatore sarebbe stato capace di compiere le stesse mansioni degli esperti.

Ōno decise quindi di avviare una serie di esperimenti iniziando a raggruppare gli operai in squadre con un caposquadra al posto del caporeparto. Alla squadra venne affidata una parte della linea di assemblaggio, spiegando loro la necessità di collaborare assieme per trovare il modo di eseguire al meglio le necessarie operazioni.

In una fase successiva, alla squadra venne affidato anche il compito di pulire l’area di lavoro e di controllare la qualità, dopodiché, quando il lavoro delle squadre iniziò a funzionare regolarmente, chiese loro di dedicare una parte di tempo a suggerimenti collettivi su come migliorare il sistema. Si riteneva che la prassi tipica della produzione di massa di ignorare i difetti per mantenere la linea in continuo movimento favorisse il moltiplicarsi degli errori all’infinito, considerando che un errore iniziale (un pezzo difettoso o un assemblaggio scorretto) poteva ampliarsi procedendo lungo tutta la linea di produzione, per di più, una volta inserito il pezzo difettoso all’interno di un veicolo, la riparazione dello stesso poteva richiedere molto tempo e lavoro. Per risolvere tali inconvenienti venne applicato un interruttore sopra ogni posto di lavoro affinché gli operai potessero fermare l’intera linea non appena si fosse riscontrato un problema, inoltre, agli operai addetti alla lavorazione si insegnò a rintracciare sistematicamente la causa dell’errore e a trovare la soluzione in modo che questo non accadesse una seconda volta.

Inizialmente si riscontrarono diverse difficoltà con conseguente arresto della linea di montaggio, tuttavia, con la pratica il numero di errori andò a diminuire sensibilmente ma non appena tale sistema trovò il giusto ritmo la

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18 quantità di ritocchi necessari prima della spedizione diminuì in modo costante e anche la stessa qualità delle automobili continuò a crescere. Tuttavia la funzione assemblaggio costituiva il 15% dell’intero processo di fabbricazione delle automobili mentre la restante parte includeva la progettazione e la costruzione di oltre 10000 pezzi distinti e il relativo assemblaggio in circa 100 componenti principali quali motori, sedili, sterzi e così via.

La produzione di massa gestiva tale problematica attraverso l’integrazione verticale delle attività legate alla componentistica ma Taiichi Ōno capì invece che era necessario definire delle modalità attraverso le quali l’assemblatore e i fornitori potessero collaborare per ridurre i costi e migliorare la qualità.

Il sistema di approvvigionamento tipico della produzione di massa presentava infatti importanti problematiche:

- I fornitori, che lavoravano su disegno, avevano scarse opportunità e pochi incentivi per suggerire miglioramenti nella progettazione e produzione dei loro prodotti;

- I fornitori che offrivano i propri modelli standardizzati non avevano alcuna informazione sul resto della vettura e quindi non erano in grado di favorire l’ottimizzazione all’impresa assemblatrice;

- Mettere i fornitori uno contro l’altro alla ricerca del costo migliore bloccava il flusso orizzontale di informazioni tra di essi, soprattutto quelle riguardanti i progressi nelle tecniche di fabbricazione e la qualità.

Per rispondere a questi inconvenienti e per far fronte ad un’impennata nella domanda dovuta allo scoppio della guerra in Corea, la Toyota adottò un nuovo approccio alla fornitura di componenti. Il primo passo fu l’organizzazione dei fornitori in fasce funzionali, dove i fornitori della prima fascia diventavano parte integrante del team di sviluppo di un nuovo prodotto, mentre i fornitori di seconda fascia fornivano i fornitori di prima senza interagire direttamente con l’azienda assemblatrice, oltre a ciò, la Toyota incoraggiava i fornitori di prima fascia a comunicare fra loro sulle

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19 possibilità di migliorare il processo di progettazione, in quanto nella maggior parte dei casi ogni fornitore si specializzava in un tipo di componente e non si trovava in concorrenza con gli altri, il fatto di comunicare fra loro non causava problematiche ed era proficuo per tutte le parti coinvolte.

Infine, Taiichi Ōno sviluppò un nuovo modo di coordinare il flusso giornaliero dei pezzi all’interno del sistema di approvvigionamento, il cosiddetto just in time. L’idea era quella di convertire un vasto gruppo di fornitori in un unico grande sistema, imponendo che i pezzi fossero prodotti nel momento esatto in cui era inoltrata la richiesta degli stessi. Questa semplice idea era però difficile da mettere in pratica in quanto se da un lato eliminava il bisogno di magazzini, dall’altro, rischiava di bloccare l’intero sistema nel caso si fosse verificato un inceppamento in un singolo anello della catena, tuttavia, così facendo era possibile far sì che ogni membro prestasse attenzione all’anticipazione dei problemi prima che potessero divenire abbastanza gravi da compromettere tutto.

Anche il processo di progettazione subì notevoli modifiche rispetto a quanto previsto dall’approccio della produzione di massa. La progettazione avveniva all’interno di squadre, guidate da un leader, composte da soggetti appartenenti alle diverse funzioni aziendali al fine di stimolare la collaborazione tra le aree della progettazione, dell’ingegnerizzazione, della produzione, degli acquisti, del marketing e della qualità, coinvolgendo anche i fornitori più critici per la definizione del nuovo prodotto.

Negli anni Sessanta auto e camion iniziarono a diventare sempre più di uso comune e questo comportò una sempre maggiore richiesta di prodotti diversificati e una sostanziale ricerca dell’affidabilità, caratteristiche che il sistema Toyota era in grado di erogare portandolo a soddisfare la crescente domanda di vetture.

Questo ha permesso alla Toyota di diventare una delle dieci società più grandi del mondo, attualmente produce gli stessi profitti di tutte le altre compagnie automobilistiche messe insieme ed è diventata il più grande produttore automobilistico del mondo nel 2007.

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20 Grazie al successo della sua filosofia di produzione molti dei principi e strumenti “Lean”, dopo essere stati applicati con successo in molte aziende di produzione, sia di grande che di piccole dimensione, stanno riscuotendo un notevole interesse anche nell’ambito “office”, in quanto la necessità di individuare gli sprechi all’interno degli uffici è evidente se si pensa che l’amministrazione pesa, a seconda della tipologia di azienda, tra il 20% e il 60% del totale dei costi aziendali, quindi, ricercare ed eliminare gli sprechi all’interno di tali ambiti può comportare un notevole incremento della performance sia in termini di riduzione di costi che di miglioramento della soddisfazione degli utenti.

1.5.

Caccia agli sprechi, i 7 Muda di Taiichi Ohno

La Lean Production è il risultato di una potente caccia agli sprechi quindi, prima di proseguire con la descrizione dei cinque principi fondamentali, è bene definire cosa si intende per sprechi e fornire una classificazione utile degli stessi.

Identificare gli sprechi è il primo passo per eliminarli.

Taiichi Ohno ha individuato sette tipi di sprechi (Muda) su cui è possibile intervenire:

Figura 1 Tipologie di sprechi individuati da Taiichi Ohno.

• Sovrapproduzione

Si manifesta quando la produzione non segue la domanda e quindi si realizzano pezzi in quantità superiori rispetto alle richieste del mercato. Tra le cause vi sono errori di previsione, forniture sbagliate, ma anche il

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21 tentativo di risolvere il problema di un’eventuale mancata produzione per effetto di guasti e scarti, andando quindi a produrre più del necessario. La scelta di sovrapprodurre è spesso legata anche alla necessità di ammortizzare i costi degli impianti, cosa che spinge ad aumentare la produzione per avere una completa utilizzazione dei macchinari e ridurre il costo diretto per unità di prodotto, dando così l’illusione di abbassare i costi di produzione.

Tra gli effetti generati dalla sovrapproduzione si ha un incremento delle rimanenze che comporta un aggravio di costi quali il valore del prodotto invenduto, lo stoccaggio di una quantità di prodotti non richiesti e anche il rischio di obsolescenza dei prodotti. Altri costi aggiuntivi sono dovuti al fatto che producendo più del necessario si consumano le materie prime in anticipo, vi è la necessità di una maggiore forza lavoro, di un maggior impiego dei macchinari (con conseguente aggravio dei costi di manutenzione), di movimentazioni più frequenti e di maggiore spazio per l’immagazzinamento dei prodotti in attesa di essere commercializzati.

- Attese

È uno spreco che si evidenzia quando si manifestano i “tempi morti” cioè quando un operatore non svolge alcun lavoro, rimanendo in attesa di un evento successivo.

Le cause possono essere occasionali (imprevisti, mancate consegne dei fornitori, rotture di macchinari o manutenzioni straordinarie) e sistematiche (legate alla configurazione del sistema produttivo stesso, ad esempio per mancanza di bilanciamento delle attività). Tali attese hanno come effetto l’allungamento del lead time e un inefficiente utilizzo delle risorse, umane e non, a disposizione.

Rimuovere tutte le cause dei ritardi lungo il flusso produttivo può essere difficile e costoso, dev’essere svolta quindi, un’attenta valutazione dei tempi d’attesa dei prodotti/materiali, possibilmente traducendoli in costi in modo tale da poter fissare obiettivi perseguibili di miglioramento.

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22 - Scorte

Il termine scorte identifica tutto ciò che giace fermo in attesa di un evento, che può essere la vendita così come una lavorazione successiva. Con la produzione a lotti, c’è la tendenza ad accumulare anche delle scorte di sicurezza, per stare tranquilli in caso di incidenti o anomalie.

L’accumulo di scorte però nasconde le lacune del sistema produttivo, come un “velo opaco” che impedisce la rilevazione degli sprechi, ostacolando il miglioramento.

Tra le cause all’origine di questo spreco vi sono l’irregolarità del flusso produttivo, l’assenza di un bilanciamento delle attività, e la scarsa affidabilità del sistema produttivo che porta a guasti o rallentamenti.

Mentre le scorte rimangono in attesa, ai pezzi non viene aggiunto alcun tipo di valore ma, al contrario, aumentano i costi per le attrezzature, i trasporti e i magazzini con conseguente aggravio di sprechi, aumento del lead time e un notevole assorbimento di risorse finanziarie. L’obiettivo è dunque cercare di ridurre al minimo possibile le scorte di materie prime, semilavorati, prodotti finiti in modo da minimizzare il capitale immobilizzato. Operazione difficoltosa in quanto spesso implica una riorganizzazione aziendale che talvolta coinvolge anche protagonisti esterni (es: ridiscutere la quantità minima di approvvigionamento materiali con un fornitore)

- Difettosità

La presenza di difetti nelle lavorazioni e nei prodotti, per il mancato raggiungimento degli standard qualitativi, è una grande fonte di spreco ed è all’origine di scarti e rilavorazioni.

A monte del problema ci può essere un guasto inatteso, oppure l’assenza di un efficace sistema di controllo che identifichi e blocchi subito i pezzi difettosi. La difettosità interna provoca grossi oneri per l’azienda in termini finanziari, rallenta la produzione, incrementa i lead time e genera un impiego inutile di risorse su pezzi che poi non verranno venduti o dovranno essere rilavorati.

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23 Quando le difettosità non vengono rilevate all’interno, ma dal cliente, esse hanno un impatto negativo sia sull’immagine percepita dell’azienda sia sui costi, i quali crescono ulteriormente per poter sostenere le spese di gestione dei reclami e delle riparazioni.

Dev’essere analizzato il bene da produrre in tutte le sue caratteristiche, coinvolgendo se necessario anche i fornitori con lo scopo di minimizzare la possibilità di realizzare pezzi difettosi.

- Movimentazioni non necessarie

Sono tutte le operazioni di movimentazione da una postazione di lavoro all’altra, da un reparto all’altro, che hanno un costo in termini di risorse e non solo, in quanto le movimentazioni non necessarie sono un operazione che non genera V.A. e quindi devono essere ridotte il più possibile.

Vi sono due aspetti d’analisi su cui intervenire:

- Individuare il motivo per cui è necessaria la movimentazione, riducendo i vincoli che rendono necessaria la stessa (es: modificando il layout della linea)

- Analizzare e ottimizzare i metodi di movimentazione, in termini di frequenza, distanza da percorrere e tempi necessari.

L’obiettivo finale è l’eliminazione di tutte le movimentazioni non necessarie, tuttavia spesso vi sono impedimenti insormontabili ed è quindi fondamentale mirare alla massima ottimizzazione possibile.

- Sovraccarichi di lavoro

I sovraccarichi di lavoro possono riguardare persone e macchinari.

Il sovraccarico di lavoro relativo al personale può provocare infortuni e malattie professionali con conseguente assenza dal lavoro, per periodi più o meno lunghi, da parte dei lavoratori e insoddisfazione generale del personale.

Lo sfruttamento eccessivo dei macchinari può portare ad un usura accelerata, a rotture e guasti imprevisti con conseguenti interruzioni del

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24 processo produttivo per la riparazione, o peggio, alla necessità di dover sostituire il macchinario.

L’obiettivo è quindi quello di organizzare il lavoro in modo corretto, ma anche quello di applicare piccoli accorgimenti che possono ridurre il carico di lavoro senza diminuire la produttività.

Assume primaria importanza imparare a individuare gli sprechi per eliminarli e produrre di più con un uso migliore delle risorse.

- Inefficienze dei processi

Nei processi produttivi vengono spesso eseguite delle operazioni che celano degli sprechi, a causa di una progettazione delle fasi imprecisa e/o di una tecnologia degli impianti inadeguata. Per esempio vi possono essere fasi che, pur modificando il prodotto, non sono riconosciute come valore aggiunto dal cliente finale (lavorazioni di finitura), oppure fasi aggiuntive che pongono rimedio a fasi precedenti non ottimizzate (controlli di qualità a valle che non affrontano il problema della qualità alla radice).

Altre inefficienze sono costituite da lavorazioni non necessarie o ridondanti, che generano un inutile consumo di risorse e tempo, che altrimenti potrebbero essere impiegati in altro modo.

Per far emergere i principali sprechi e le attività non a V.A. è necessario eseguire una mappatura dei processi per consentire un aumento della produttività, una riduzione dei costi di produzione, un miglioramento della qualità, della flessibilità produttiva e un miglioramento dei tempi di risposta al mercato.

L’obiettivo è rendere più semplici i sistemi produttivi al fine di consentire una loro gestione più efficiente in termini di flusso dei materiali e di controllo. Si può parlare di:

- Interventi sul layout di stabilimento; eliminazione di percorsi complessi, adozione di linee di flusso più dirette (es: attraverso una riprogettazione dei processi produttivi) e riduzione del lead time grazie alla diminuzione dei tempi necessari per trasportare i pezzi da una lavorazione all’altra.

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25 - Applicazione della tecnica del Kanban; tecnica che consente di

definire in modo semplificato il rapporto fornitore-cliente interni.

- Rivedere i processi di consegna dei prodotti; occorre rivedere i processi di distribuzione con l’obiettivo di rendere disponibili i prodotti ai clienti nei tempi più brevi possibili.

Chiarito il concetto di Muda, andiamo ora ad analizzare più nel dettaglio i 5 principi del “Pensiero Snello” (Lean Thinking), così come sono stati definiti da Womack e da altri autori negli scorsi decenni.

1.6.

I cinque principi del Lean Thinking

Per poter raggiungere risultati concreti, è necessario comprendere in che modo agire per trasformare l'azienda in un'organizzazione snella e quali sono i principi chiave che devono guidare tali azioni. Assume importanza mantenere costantemente una visione d'insieme dei cambiamenti che si stanno apportando, il che significa capire che impatto abbiano sul sistema aziendale nel suo complesso e come siano collegati tra di loro.

Secondo Womack e Jones (nel libro “Lean Thinking: Banish waste and create wealth in your corporation”) il pensiero Lean può essere riassunto in cinque principi:

- Definire il valore; dal punto di vista del cliente per ogni prodotto specifico o famiglia di prodotti

- Identificare il flusso del valore; per ogni prodotto o famiglia di prodotti, identificando così le attività che non generano valore;

- Far scorrere il flusso; far “fluire” il valore senza interruzioni, razionalizzando il flusso e riducendo i tempi di attesa;

- Pull; lasciare che la produzione sia “tirata” dal cliente;

- Ricerca della perfezione; inseguire la perfezione, l'assenza di difetti e di sprechi tramite un miglioramento continuo.

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26 In sintesi, dunque, l’applicazione dei principi Lean consiste nell’identificare e specificare il valore per il cliente finale, identificare il flusso del valore per ogni famiglia di prodotto e rimuovere le attività senza valore, far fluire il prodotto cosicché il cliente possa tirare la produzione, inseguendo la perfezione.

Figura 2 I principi del Lean Thinking.

Primo principio: Definire il valore

Il concetto di Valore è il punto di partenza del pensiero snello (Lean Thinking), questo può essere definito solamente dal cliente finale e assume significato nel momento in cui lo si esprime in termini di uno specifico prodotto (bene o servizio) in grado di soddisfare le esigenze del cliente a un dato prezzo e in un dato momento. Sono gli stessi produttori a creare il valore tramite la creazione vera e propria del prodotto, tuttavia spesso non riescono a dare una chiara definizione di valore, cioè non riescono ad individuare cosa per il cliente finale sia veramente importante.

Generalmente si pensa che progetti articolati, realizzati con impianti complessi e la forte attenzione su raffinamenti e complicazioni possano aggiungere valore al proprio prodotto permettendo di realizzare ciò che il cliente desidera, tuttavia queste caratteristiche aggiuntive possono non trovare alcun interesse per il cliente finale, anche se il prodotto risulta decisamente all’avanguardia rispetto a quello offerto dai concorrenti. La base di partenza per ogni impresa che voglia ridefinirsi in ottica Lean è dunque lo sforzo di ridefinire, attraverso uno stretto contatto con i clienti finali, ciò che per quest’ultimi il prodotto deve rappresentare e contenere, in

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27 modo da sviluppare un prodotto le cui caratteristiche abbiano valore per il cliente finale.

Per poter rispondere a questa esigenza è necessario costituire per ciascun prodotto, un team interfunzionale, composto da addetti al marketing, alla qualità, ingegneri di prodotto e di processo, con il compito di instaurare un dialogo con i principali clienti al fine di focalizzare l’attenzione sul valore di cui il cliente ha effettivamente bisogno.

Secondo principio: Identificare il flusso del valore

Una volta definito cosa rappresenta il valore per il cliente, l’attenzione si sposta sulle attività che riguardano la sua creazione.

Il Flusso del valore è costituito dall’insieme di tutte le attività riguardanti la progettazione, il ricevimento e consegna dell’ordine e la produzione del prodotto.

L’analisi del flusso del valore mette in evidenza tre categorie di attività: - Attività che creano valore percepito dal cliente

- Attività che non creano valore, ma che sono indispensabili (dette Muda di tipo uno)

- Attività che non creano valore e che possono essere eliminate da subito (dette Muda di tipo due)

Esempi di attività che creano valore sono la trasformazione fisica del prodotto, come la verniciatura di un pezzo meccanico o l’assemblaggio di più parti diverse.

Attività del secondo tipo possono essere controlli eseguiti sul pezzo, come ad esempio ispezioni sulle saldature per verificare la correttezza dell’accoppiamento.

Le attività di terzo tipo invece riguardano tutti quegli sprechi relativi a movimentazioni inutili dei pezzi, all’errato flusso di gestione delle modifiche sul pezzo, ecc.

Nel mercato di oggi può verificarsi che il flusso del valore attraverso il quale passa il prodotto contenga attività svolte non più da un’unica azienda, ma da una rete di imprese che collaborano e si coordinano per portare il

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28 prodotto nelle mani del cliente finale producendo maggiori difficoltà nella gestione del flusso dovute al passaggio del prodotto tra diversi enti, portando, potenzialmente, alla creazione di nuovi sprechi. Per evitare questo è necessario rivedere le proprie relazioni interaziendali, ricorrendo a qualche semplice principio che regoli il comportamento tra le aziende e favorisca la trasparenza dei passaggi riguardanti l’intero flusso del valore, in modo tale che ciascun partecipante possa verificare che le altre aziende si comportino secondo i principi concordati.

Terzo principio: Far scorrere il flusso

Dopo aver definito il valore e identificato il flusso eliminando ogni tipo di Muda, si arriva a considerare le attività del primo tipo, ovvero quelle che creano valore.

L’obiettivo è fare in modo che tali attività fluiscano in modo costante e continuo.

La divisione per funzioni, la specializzazione del lavoro e la produzione in grandi lotti, tuttavia non si adattano ai nuovi contesti organizzativi che devono far fronte ad un mercato turbolento, in continuo mutamento e con gusti che cambiano rapidamente.

Le tre tipologie di attività quali la progettazione, la gestione degli ordini e la produzione devono essere fluidificate, è quindi necessario riflettere sui come allineare tutti i passi necessari per l’esecuzione di un certo lavoro secondo un flusso costante, stabile e continuo.

Per far fluire il valore è necessario procedere per singoli passi:

- Concentrarsi sull’oggetto reale come il progetto, l’ordine, il prodotto stesso e non perderlo mai di vista.

- Ignorare i confini tradizionali delle mansioni, delle professionalità e delle funzioni per creare un’impresa snella che non ostacoli la generazione di un flusso continuo per un dato prodotto o famiglia. - Rivedere le pratiche e le attrezzature riferite allo specifico lavoro per

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29 in modo che le tre aree di lavoro quali progettazione, ordine e produzione possano procedere con continuità.

Per poter sostenere questo approccio è necessario dare la giusta collocazione a tutte le attività, infatti, al contrario dell’attuale tendenza a costruire grandi strutture centralizzate e a dare all’esterno la produzione di un numero crescente di componenti, la produzione in piccoli impianti, che siano vicini al cliente, permette di essere a contatto con le sue esigenze e di far scorrere il flusso in modo continuo, evitando la creazione di grandi magazzini, scorte elevate e movimentazioni massicce tipiche della produzione di grandi lotti.

Quarto principio: Fare in modo che il flusso sia tirato dal cliente

La capacità di progettare, programmare e realizzare esattamente quello che il cliente vuole nel momento in cui lo vuole, permette di dimenticarsi delle previsioni di vendita concentrandosi semplicemente su quello di cui i clienti dicono di avere bisogno.

Così facendo si permette ai clienti di “tirare” il prodotto evitando all’azienda di spingere verso i clienti prodotti spesso indesiderati.

Le previsioni di vendita risultano utili per il dimensionamento della capacità produttiva e dei depositi, mentre all’atto pratico della fornitura e della produzione, tutto viene gestito in un’ottica pull.

In sostanza il termine Pull indica che nessuno a monte dovrebbe produrre beni o servizi fino al momento in cui il cliente a valle li richiede, sarebbe insensato infatti portarsi avanti con il lavoro producendo pezzi in più che il cliente potrebbe non desiderare.

Nei sistemi gestiti a previsione si verifica che, a seguito di un ordine del cliente a valle, si generino, procedendo a ritroso lungo la catena di fornitura, forti ondate di ordini senza alcun nesso con la domanda espressa dal cliente effettivo, questo perché a seguito di un ordine del cliente, infatti, il produttore tende ad alzare il livello delle scorte per essere sicuro di possedere il pezzo

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30 a seguito di nuovi ordini, generando così un effetto che rischia di far pervenire ordini spropositati rispetto alla reale richiesta del cliente.

Attraverso una gestione della produzione nella logica Pull tutto questo viene evitato in quanto fa avanzare solo le quantità realmente richieste dal cliente. Un ulteriore beneficio che apporta la gestione “Pull” è la stabilizzazione della domanda finale, in quanto è il cliente che ordina ciò che desidera e non l’azienda produttrice che, per eliminare le scorte dovute alla sovrapproduzione tipica dei lotti, applica delle campagne di sconti e promozioni per forzare la domanda verso un particolare tipo di prodotto.

Quinto principio: Ricerca della perfezione

Una volta definito accuratamente il valore, identificato il flusso, fatto sì che i diversi passaggi fluiscano con continuità e che il cliente possa “tirare” il valore dell’impresa, ci si accorge che non c’è fine al processo di riduzione degli sforzi, degli spazi, del tempo e degli errori, se si vuole offrire un prodotto che sia sempre più vicino alle aspettative del cliente.

Ricercare la perfezione può sembrare presuntuoso, però se tale principio viene visto nel suo giusto significato, ovvero nella ricerca del miglioramento continuo, allora ci si accorge che tale raggiungimento non è un’idea così lontana come sembra.

Questo atteggiamento volto alla continua individuazione ed eliminazione degli sprechi fa sì che il miglioramento sia un processo continuativo anziché puramente transitorio. Per perseguire la strada della perfezione, la filosofia Lean definisce due approcci attraverso i quali apportare miglioramenti al sistema: il kaikaku e il kaizen.

Con il termine kaikaku intendiamo un miglioramento radicale basato sull’innovazione, comprende un cambiamento drastico e sostanziale dei processi, del prodotto/servizio o della tecnologia impiegata, dovuto, ad esempio, a grandi investimenti in attrezzature, macchinari o sistemi di gestione.

Il termine kaizen, invece, rappresenta una serie di piccoli progressi incrementali che si susseguono in modo continuo. Esso genera un

(31)

31 cambiamento graduale con effetti nel lungo termine e per garantirne il suo successo necessita del coinvolgimento costante di tutti i dipendenti.

La combinazione continua di kaikaku e kaizen garantiscono il raggiungimento di miglioramenti infiniti.

(32)

32

Capitolo 2

2. I PILASTRI DELLA LEAN PRODUCTION

2.1.

Il tempio del Toyota Production System

Lean Production, ovvero “produzione snella”, è sempre più un concetto, una filosofia, un modo di pensare e di agire che si sta radicando nelle realtà aziendali tanto da divenire una logica operativa e di riferimento per qualsiasi strategia di miglioramento.

Tale sistema di organizzazione e gestione della produzione, sviluppato dalla Toyota e quindi denominato Toyota Production System, mise in luce come i principi e i criteri della produzione di massa di stampo fordista fossero ormai ampiamente superati dai nuovi principi che miravano al costante aumento della flessibilità, all’innalzamento del livello di qualità, al miglioramento continuo e alla riduzione di tempi e costi, facendo leva su strutture organizzative più agili, sulla partecipazione attiva e intelligente del personale al processo produttivo, ed infine sulla miglior integrazione tra tecnologie e risorse umane.

Andando ad illustrare il Toyota Production System, al fine di poter dare una descrizione dei vari elementi che lo compongono e che ne permettono la sua corretta implementazione, possiamo rappresentare il sistema come un tempio che mette in evidenza gli elementi su cui poggia l’intero sistema “Lean” (Figura 3).

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33

Figura 3 La struttura del Toyota Production System.

L’obiettivo di questo sistema di produzione, indicato sul tetto della casa, è di raggiungere la migliore qualità, al prezzo più basso e nel minor tempo possibile.

Questo sistema utilizza una serie di strumenti che seguono tutti il filo conduttore della caccia ed eliminazione degli sprechi (Muda).

Gli straordinari risultati ottenuti utilizzando questa filosofia produttiva hanno portato all’affermazione mondiale del TPS, ribattezzato anche Lean Production (Produzione Snella) per evidenziare l’aspetto di eliminazione di tutto ciò che essendo superfluo appesantisce il sistema generando costi anziché valore.

2.2.

Just in Time: il primo pilastro del TPS

Il just in time (JIT) può essere definito come un sistema produttivo che garantisce il continuo e preciso adeguamento dell'offerta di beni prodotti alla domanda che proviene dal mercato. Il JIT comporta un complesso sincronismo tra i vari sub-sistemi che intervengono nel flusso produttivo, ma l'idea che ne sta alla base è molto semplice: produrre e consegnare al momento opportuno i componenti da montare nei prodotti finiti o le parti da

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34 assemblare nei sottogruppi e acquisire i materiali da lavorare nel momento adeguato.

Questo modo di organizzare il lancio della produzione permette di agire sulla riduzione, fino alla progressiva eliminazione delle scorte e delle loro inefficienze, consentendo al sistema produttivo di “pulsare come pulsa il mercato” e allo stesso tempo di ottenere il minimo livello di sprechi.

Il Just in Time si compone principalmente di 3 elementi: - Sistema Pull

- Sistema One-Piece-Flow (continuous flow) - Takt Time

2.2.1. Sistema Pull e applicazione del Kanban

La produzione di tipo Pull si pone in contrapposizione ai sistemi tradizionali (Push), basati su programmi di produzione fissati in un tempo precedente e quindi inevitabilmente destinati a non rispecchiare l’effettiva domanda. Con il sistema Pull, invece, l’avanzamento del flusso produttivo è guidato dai clienti, ciò significa che nessuno a monte dovrebbe produrre beni o servizi fino al momento in cui il cliente a valle, sia interno che esterno, non li richiede.

Per produrre il pezzo giusto nel momento giusto e nella quantità corretta, in modo automatico e con funzione autoregolante di fronte a piccole fluttuazioni della domanda, è utile ricorrere al Kanban, ovvero un sistema basato sulla reintegrazione delle scorte mano a mano che vengono consumate. Il Kanban consiste in un cartellino che, originariamente scritto a mano, oggi viene stampato e associato ad un codice a barre che ne permette il tracciamento, e fornisce una serie di informazioni sul pezzo:

- Il nome del prodotto - Il suo codice identificativo - La sua posizione di stoccaggio - La capienza del contenitore

- La descrizione dell’operazione a monte - La descrizione dell’operazione a valle Possiamo distinguere inoltre due tipi di Kanban:

(35)

35 I. il Kanban prelievo: precisa il tipo e la quantità di componente che

viene prelevata dall’operatore sulla linea di montaggio.

II. il Kanban ordine: precisa il tipo e la quantità di componente che la

fase a monte deve approvvigionare per ricostituire il “livello del contenitore”.

Il Kanban ordine viene inviato alla fase a monte quando la quantità di componenti nel contenitore raggiunge un dato livello di riordino che tiene conto dei tempi necessari per rifornire la linea.

La richiesta di componenti è così trainata dalle esigenze del processo di assemblaggio.

2.2.2. Continuous Flow – One Piece Flow

La produzione di massa tradizionale prevede che il materiale sia lavorato a grandi lotti costringendo quindi a interporre tra le diverse fasi di lavorazione dei magazzini intermedi in cui stazionano i semilavorati, formando una “coda” e di conseguenza creando uno spreco significativo in termini di attese: infatti il primo pezzo del lotto, dopo che è stato lavorato, non può passare alla fase successiva finché anche l’ultimo pezzo non è stato lavorato.

Figura 4 Produzione di massa tradizionale a lotti.

La produzione snella o a “flusso continuo” prevede la riduzione progressiva della dimensione dei lotti, tendendo idealmente all’equivalenza “1 lotto = 1 pezzo”, ovvero alla produzione e allo spostamento di un pezzo alla volta (one-piece-flow), soluzione ottimale per la riduzione della Time Line, in tal modo infatti, la produzione fluisce in maniera continua, senza interruzioni, attese e magazzini di semilavorati.

(36)

36 L’avvicinamento delle stazioni di lavoro riduce inoltre lo spazio a disposizione e di conseguenza gli sprechi di movimentazione.

Figura 5 Produzione a flusso continuo (Continuous Flow and One-Piece-Flow)

Idealmente si vorrebbe svolgere tutte le operazioni nella logica One Piece Flow, organizzando dunque l’avanzamento dei materiali “uno alla volta”, con la possibilità di cambiare modello di prodotto, purtroppo però la tecnologia spesso non lo permette, in quanto spesso le lavorazioni a monte del processo adottano macchine con Tempi Ciclo troppo lenti per i livelli produttivi dell’assemblaggio, oppure quando nel processo esiste una lavorazione che ha dei tempi di set-up inevitabilmente più lunghi rispetto alle altre fasi.

In tali situazioni se ci fosse One Piece Flow tutte le altre stazioni sarebbero inattive finché non viene finito il set-up della macchina in questione.

Per questo il One Piece Flow è difficile da applicare e spesso ci si rivolge a soluzioni intermedie.

Generalmente si possono individuare quattro tipi di produzione:

I. Linea Monoprodotto: viene prodotta una sola tipologia di codice (A). La linea scorre in continuo senza bisogno di eseguire set-up. E’ il caso delle grandi industrie di processo, e di impianti produttivi che prevedono linee dedicate ad un unico prodotto con grandi volumi di vendita.

II. Linea a Lotti Tradizionale: vengono prodotte più tipologie di codice (A e B). Il lancio in produzione avviene “per lotti” di pezzi identici. Tra un lotto e l’altro la linea si ferma per dare tempo alle varie fasi di eseguire il set up delle macchine e al magazzino di eseguire il cambio dei componenti nelle stazioni di assemblaggio.

(37)

37 III. Linea Mix Model: vengono prodotti una serie di codici, alternati tra di loro in sequenze prefissate in modo che possano consentire un bilanciamento della linea. E’ probabile infatti che i diversi prodotti richiedano tempi di produzione diversi, e quindi, per consentire di coordinare le varie velocità a cui deve andare la linea, è opportuno studiare sequenze di prodotti che si alternano tra di loro consentendo alla linea di avere carichi bilanciati sulle fasi.

IV. Linea One Piece Flow: i prodotti scorrono sulla linea uno alla volta, senza studiare sequenze fisse di produzione, a seconda di quello che è realmente richiesto dal mercato. Questa soluzione, di gran lunga più flessibile delle altre, è applicabile solo quando il set-up delle stazioni può essere eseguito in tempi zero e in assenza di vincoli tecnici e logistici che impediscono di cambiare tipologia di produzione immediatamente.

2.2.3. Take Time

Il Takt Time, dal tedesco takt (metronomo), è definito come il rapporto tra un tempo disponibile nel quale devono essere consegnati i prodotti e il volume di prodotti da consegnare nel determinato periodo temporale. Il Takt Time possiamo dire che esprime ogni quanto tempo il cliente acquista il prodotto e quindi di conseguenza, affinché ci sia sincronizzazione, ogni quanto tempo il processo dovrebbe produrre un’unità di prodotto.

Il Takt Time è il parametro che lega la produzione al mercato, rappresenta il battito cardiaco della nostra azienda.

È necessario tuttavia non confondere il Takt Time con il Tempo Ciclo, quest’ultimo rappresenta infatti, il tempo richiesto per completare un ciclo di un’operazione e far procedere il pezzo alla fase produttiva successiva. Il Tempo Ciclo può essere migliorato in quanto indicatore della nostra efficienza odierna, mentre il Takt Time essendo definito dal cliente è fuori dalla nostra portata.

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38 Dopo aver descritto i concetti di Takt Time e di Tempo Ciclo è necessario soffermarsi per dare risposta a due domande:

- Come si calcola il Takt Time?

- Di quanti operatori abbiamo bisogno per una data lavorazione?

𝑇𝑎𝑘𝑡 𝑇𝑖𝑚𝑒 = Tempo totale disponibile lavorativo giornaliero (s) 𝐷𝑜𝑚𝑎𝑛𝑑𝑎 giornaliera del prodotto da parte del cliente (pezzo)

È necessario ricordare che il tempo disponibile implica la conoscenza dell’ammontare delle pause programmate, quelle fermate dell’impianto e della manodopera che sono riconducibili ad esempio a manutenzioni programmate, pause pranzo, ecc.

Per comprendere meglio il concetto viene di seguito riportato un caso esemplificativo.

Supponiamo che la domanda del cliente sia di 920 pezzi al giorno e che si disponga di 480 minuti di lavoro (8 ore) con 20 minuti di pausa.

I minuti lavorativi netti sono quindi 460 (27600 secondi), di conseguenza il Takt Time risulta: TT= (27’600/920) = 30 sec/pezzo.

Ciò vuol dire che ogni 30 secondi dobbiamo produrre 1 pezzo per soddisfare la domanda del cliente.

Per rispondere alla seconda domanda, ovvero per conoscere il numero di lavoratori per cui abbiamo bisogno per stare al passo con la domanda del cliente, si utilizza la formula:

𝑁𝑢𝑚𝑒𝑟𝑜 𝑑𝑖 𝑙𝑎𝑣𝑜𝑟𝑎𝑡𝑜𝑟𝑖 = Tempo ciclo(s) 𝑇𝑎𝑘𝑡 𝑡𝑖𝑚𝑒

Continuando con l’esempio sopra descritto, supponiamo che il tempo ciclo (il contenuto totale di lavoro) in una determinata fase sia di 75 secondi, di conseguenza il numero di lavoratori di cui abbiamo bisogno risulta:

NL=75 sec/30 sec = 2,5

Ciò sta a indicare che abbiamo bisogno di 3 persone per effettuare la lavorazione.

(39)

39 Attraverso l’approccio al miglioramento continuo (Kaizen), sul quale si basa il TPS, è possibile agire sulla riduzione del Tempo Ciclo attraverso la continua eliminazione degli “sprechi” per arrivare, ad esempio, ad avere un Tempo Ciclo di 60 secondi e di conseguenza, riprendendo l’esempio sopra proposto, ad avere un numero lavoratori (NL) pari a: (60/30) = 2, evidenziando quindi un aumentato dell’efficienza del processo a parità del Takt Time.

Tale ragionamento permette di definire gli standard per un determinato processo ed estendendolo su tutto il processo produttivo (sommando le lavorazioni singole) e non solo su una singola lavorazione, possiamo pianificare la dotazione di risorse umane in funzione dell’attuale domanda del cliente e quindi definire il personale necessario per portare un prodotto/servizio dal momento del ricevimento dell’ordine cliente fino alla sua consegna.

2.3.

Jidoka: il secondo pilastro del TPS

Il termine Jidoka può essere tradotto come “automazione con un tocco umano” e l’idea che ne sta alla base è quella di rendere i problemi visibili e individuabili in modo tale da poterli risolvere, rendendo possibile per il personale un controllo autonomo del lavoro svolto.

Possiamo parlare di controllo autonomo dei difetti e la sua corretta applicazione richiede un forte coinvolgimento delle risorse umane e una forte motivazione delle stesse.

Il punto fondamentale del Jidoka è garantire la qualità massima dell’output realizzato, impedendo alle unità difettose in uscita da un processo di essere utilizzate in quello successivo.

Qualità al 100% è il solo obiettivo accettabile e per essere raggiunto sono necessarie due condizioni:

- Gli impianti o i macchinari devono fermarsi quando la qualità non è più assicurata.

- Gli interventi su macchinari o impianti non devono alterare la qualità dell’output.

(40)

40 Per poter assicurare queste due condizioni è necessario introdurre grandi dosi di “intelligenza umana” nel sistema produttivo disponendo così di macchine “intelligenti”.

Con il Jidoka, quando si verificano condizioni di non qualità durante il processo, sia nelle linee manuali che in quelle automatizzate, si assiste alla fermata di impianti, macchinari e linee di montaggio manuali, attraverso l’applicazione di appositi dispositivi che rendono il processo a prova di errore, permettendo di fatto all’operatore di controllare la conformità qualitativa dell’output subito dopo la sua realizzazione.

Ogni addetto è responsabile della propria qualità e non sussistono controlli reciproci, l’operatore che rilevi un difetto è autorizzato a sospendere la linea evitando il proliferarsi delle anomalie lungo tutto il processo, consentendo così di rilevare tempestivamente il problema e di rendere più agevole l’identificazione delle origini del difetto.

L’uomo è quindi al centro del processo e gli operatori, detentori di grandi responsabilità operative, sono garanti del risultato finale.

2.3.1. Jidoka: Procedure, Strumenti e Tecnologie

Dopo aver descritto il principio del Jidoka, che può essere racchiuso nella frase “ferma la produzione in modo che la produzione non si fermi mai”, procediamo nell’identificazione degli strumenti, procedure e tecnologie che di fatto permettono di rendere visibili i problemi in modo tale da poterli risolvere ed evitare una loro futura ripresentazione.

Tra le procedure, strumenti e tecnologie che permettono lo Jidoka, troviamo:

- Manual line stop: l’operatore ha la possibilità e la responsabilità di bloccare il processo produttivo nel momento in cui avverta l’esistenza di un problema, anomalia o non conformità, al fine di avviare l’applicazione di opportune correzioni.

- Manual/automatic work separation: l’operatore può supervisionare l’attività di più macchinari che operano automaticamente ma che si arrestano al verificarsi di un’anomalia o errore.

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41 - Error proofing: consiste nell’applicazione di dispositivi volti ad impedire il verificarsi di errori umani in attività semplici e ripetitive, favorendo un notevole miglioramento della qualità. Un esempio ne sono i poke-yoke devices, ovvero guide, fori, costrizioni ed etichette colorate che permettono assemblaggi a prova d’errore.

- Visual control: sono dispositivi che permettono un controllo visivo e immediato delle anomalie, consentendo di agire prontamente. Tra i vari dispositivi troviamo: le Andon Lights, ovvero delle luci la cui accensione segnala un’anomalia (più o meno grave) permettendo un intervento immediato, e gli Andon Panels i quali comunicano visivamente agli addetti del reparto lo stato del processo rispetto agli obiettivi di produzione fissati.

L’insieme di tali tecniche permette di richiamare immediatamente l’attenzione al manifestarsi di un problema, un errore o un’anomalia, rendendo possibile un’immediata risposta da parte dei supervisori, dei capo-squadra o del servizio manutenzione per una rapida individuazione e risoluzione del problema.

2.4.

Heijunka

Heijunka è il termine giapponese che indica il livellamento della produzione. Tale metodo è d’importanza vitale per l'azienda Lean, infatti, se l’obiettivo è avere una produzione che eviti gli sprechi, sia efficiente e recepisca velocemente le richieste del mercato, è fondamentale riuscire non solo a programmare ma a renderere equilirata la produzione.

Tale strumento serve per regolare i livelli della produzione su una linea produttiva o all'interno di una singola cella con l'obiettivo di produrre prodotti o semilavorati ad un ritmo costante, in modo tale che le lavorazioni successive possano procedere anch'esse al medesimo ritmo.

In tal modo sarà più facile:

- Adattarsi rapidamente alla variazione della domanda - Ridurre i carichi eccessivi.

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42 Idealmente, se la domanda fosse stabile, livellare la produzione sarebbe molto semplice, ma sappiamo benissimo che nel mondo reale questa è variabile e per poterla affrontare vengono adottati principalmente due approcci:

- Livellamento della produzione per volume: si calcola la media della domanda per definire il lotto minimo di produzione, con una scorta minima che permetta di coprire eventuali picchi.

Il vantaggio sta nel tenere monitorata sia la media della domanda che le scorte iniziali, in modo tale da poter livellare la produzione.

- Livellamento della produzione per mix di prodotto: il più delle volte le produzioni prevedono un mix di prodotti con altrettante fasi di lavorazione. In tal caso è necessario coordinare la produzione dei vari prodotti in un unico insieme e organizzare lotti e scorte minime secondo il mix di riferimento.

La produzione Heijunka assicura la distribuzione uniforme di manodopera, materiali e movimenti.

Consiste fondamentalmente nel:

- Polverizzare il più possibile i lotti di produzione, anche se vi fosse la possibilità di aggregarli.

- Mantenere costante il volume di output prodotto.

Per poter capire meglio la logica sulla quale si basa lo Heijunka vediamo un esempio che intende mettere a confronto due realtà produttive, quella Tradizionale e quella Heijunka.

Un sistema tradizionale:

- Guarda un orizzonte lontano

- Raccoglie i fabbisogni dei vari articoli

- Minimizza il numero dei vari set-up producendo grandi lotti accumulati

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