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P ARTE P RIMA – I PROFILI GIURIDICI E CONTABILI DELL ’ OPERAZIONE

3. O GGETTO E FORMA DEL PATTO

In ordine all’oggetto del patto, in primo luogo, l’imprenditore può trasferire la propria azienda o un ramo di essa. Se questa è in comunione legale ex art. 177, come disponenti dovranno partecipare entrambi i coniugi.

Si richiamano sul punto le disposizioni del Codice di cui agli artt. 2555 e ss. e la numerose sentenze della Suprema Corte in ordine alla qualificazione del ramo di azienda.

Possono essere inoltre oggetto del patto le partecipazioni societarie, limitatamente alle partecipazioni di rilievo tale che possano far assumere al titolare la qualifica di imprenditore; ciò in linea con la ratio dell’istituto che intende proprio disciplinare il passaggio generazionale e quindi anche nella gestione dell’impresa nonostante la norma nulla specifichi sul punto.

In tal caso si porrebbe il problema della validità delle società di godimento ex art. 2248.

Tale interpretazione restrittiva, tuttavia, è avvalorata dal fatto che si tenderebbe ad evitare fenomeni elusivi, sussistenti nell’intestare beni a nome di una società al solo fine di attrarli al regime del patto di famiglia, realizzandone così il trasferimento a determinati discendenti in modo da metterli al riparo da future azioni di riduzione o pretese di collazione da parte di altri discendenti legittimari e del coniuge.

C’è da aggiungere, infine, che è ammissibile che il disponente si riservi l’usufrutto, in via temporanea o vita natural durante, sull’azienda o parte di essa o

sulle partecipazioni oggetto del trasferimento187; in tal caso si raggiungono due

obiettivi: in primis, il disponente continua a gestire personalmente l’impresa per la durata dell’usufrutto; in secondo luogo si trasferisce con effetto immediato la proprietà dei beni al discendente indicato assicurando così la continuazione dell’impresa consentendo a questi una concreta partecipazione.

                                                                                                                187  PETRELLI,  op.  cit.  

3.1.COMPATIBILITÀ DEL PATTO IN MATERIA DI IMPRESA FAMILIARE

Il trasferimento di azienda o delle partecipazioni societarie disposte con il patto di famiglia è espressamente subordinato dall’articolo di cui trattasi alla sua compatibilità con le norme in materia di impresa familiare e al rispetto delle differenti tipologie societarie.

L’art. 230 bis, infatti, individua l’impresa familiare come un istituto di carattere residuale in cui ciascun familiare “che presta in modo continuativo la sua attività di lavoro nella famiglia o nell’impresa familiare ha il diritto al mantenimento secondo la condizione patrimoniale della famiglia e partecipa agli utili dell’impresa familiare ed ai beni acquistati con essi nonché agli incrementi dell’azienda anche in ordine all’avviamento, in proporzione alla quantità e qualità del lavoro prestato”.

Prima di tutto bisogna verificare se l’esistenza di una impresa familiare in cui, oltre al discendente ed al coniuge del disponente, partecipano anche parenti entro il terzo grado e/o affini entro il secondo grado, sia compatibile con la costituzione di un patto di famiglia.

Ora, poiché la legge del 2006 indica oltre al disponente solo discendenti e coniuge quali parti per la costituzione del patto, deriva che detto istituto sia incompatibile con l’impresa familiare prima che sia liquidata la quota non soltanto ai partecipanti all’impresa, che non sono discendenti e coniuge, ma anche a questi ultimi, per preparare la successione del discendente nell’impresa di famiglia, il cui capitale, ricostituito in capo all’ascendente, può consentire i due trasferimenti previsti dal patto.

Altra problematica è quella connessa al fatto se il diritto di prelazione nel trasferimento di azienda di cui all’art. 230 bis, c. 5 in favore dei collaboratori dell’impresa familiare, sia compatibile con il diritto di famiglia.

La ratio della previsione di tale diritto di prelazione, va infatti individuata nell’esigenza di tutela di tali soggetti, esigenza che in ipotesi potrebbe anche arrecare pregiudizio alla circolazione dei beni; c’è quindi un interesse prevalente a tutela dei familiari che per anni hanno contribuito con il proprio lavoro a creare e mantenere l’impresa.

Parte della dottrina188 propende per una soluzione affermativa atteso che, in mancanza di un prezzo di vendita, si potrebbe argomentare che l’art. 230 bis, c. 4 attribuisca il diritto di prelazione ai collaboratori familiari anche nel caso di divisione ereditaria (focalizzandosi l’attenzione sulla funzione divisoria e di successione anticipata del patto e sul disposto di cui all’art. 732), il che presuppone una valutazione al tempo ad ai fini dell’attribuzione, che certamente non può avvenire nel patto di famiglia.

L’orientamento prevalente189, invece, propende per una soluzione negativa, in

considerazione del carattere gratuito e liberale dell’attribuzione nascente dal patto e della limitazione dell’operatività della prelazione rispetto ai trasferimenti a titolo oneroso; infatti ammettere l’esercizio del diritto di prelazione priverebbe il donante della possibilità di perseguire l’intento liberale.

In base alle considerazioni che precedono, si può concludere che, se unici collaboratori ex art. 230 bis sono i beneficiari del patto, non sorge alcun problema. Se invece vi sono anche altri familiari o solo familiari diversi dai beneficiari, essi dovranno essere messi in condizione di esercitare il diritto di

prelazione con le modalità di cui all’art. 732190 e ciò per assicurare la

continuazione dell’attività imprenditoriale nell’ambito della famiglia.

Quindi, nel conflitto tra il discendente beneficiario del patto, che teoricamente potrebbe non avere mai prestato la propria attività lavorativa nell’impresa, ed i collaboratori che invece questa attività l’hanno prestata, il legislatore ha ritenuto di dare preferenza a questi ultimi.

                                                                                                               

188  OPPO,  Patto  di  famiglia  e  diritti  della  famiglia,  in  Rivista  di  diritto  civile,  2006.  

189  BALESTRA  L.,  Prime   osservazioni   sul   patto   di   famiglia,   in   Nouova   giurisprudenza   civile.  

Commentario,  20066;  PETRELLI,  op.  cit.  

190  Art.  732:  “Il  coerede,  che  vuole  alienare  a  un  estraneo  la  sua  quota  o  parte  di  essa,  deve  

notificare  la  proposta  di  alienazione,  indicandone  il  prezzo,  agli  altri  coeredi,  i  quali  hanno   diritto  di  prelazione.  Questo  diritto  deve  essere  esercitato  nel  termine  di  due  mesi  dall'ultima   delle   notificazioni.   In   mancanza   della   notificazione,   i   coeredi   hanno   diritto   di   riscattare   la   quota  dall'acquirente  e  da  ogni  successivo  avente  causa,  finché  dura  lo  stato  di  comunione   ereditaria.  

Se   i   coeredi   che   intendono   esercitare   il   diritto   di   riscatto   sono   più,   la   quota   è   assegnata   a   tutti  in  parti  uguali”.  

3.2.COMPATIBILITÀ DEL PATTO CON LE DIVERSE TIPOLOGIE SOCIETARIE

Tale problematica, da valutarsi attentamente, si pone nel caso di trasferimento di partecipazioni societarie operato dal disponente a favore di uno o più discendenti e ciò con riferimento alla più volte ricordata ratio del patto di famiglia, ravvisabile nell’esigenza di agevolare la continuità gestionale delle imprese, soprattutto se medie o piccole, nel momento del passaggio generazionale.

C’è poi da aggiungere che il ricorso al patto di famiglia potrebbe trovare un ostacolo nelle clausole statutarie che prevedano un divieto di alienazione o una clausola di gradimento.

Analizziamo quindi le singole tipologie societarie.

Per quanto concerne le società a responsabilità limitata, l’art. 2469 prevede che “le partecipazioni sono liberamente trasferibili per atto tra vivi e per causa di morte” In caso di intrasferibilità prevista nell’atto costitutivo il socio o i suoi eredi possono esercitare il diritto di recesso; è quindi evidente che un patto di famiglia potrebbe essere stipulato solo previa modifica dell’atto costitutivo ex art. 2479 con delibera assembleare. In tal caso, dovrebbe, però, trattarsi di partecipazione maggioritaria, come tale idonea a garantire al socio un potere di indennizzo sulla gestione sociale; è possibile anche per una partecipazione minoritaria, nel caso in cui al socio sia attribuito “un particolare diritto riguardante l’amministrazione” ai sensi dell’art. 2468, c. 3.

Più articolato è il problema relativo alle società per azioni, ciò anche in relazione al fatto che l’art. 768 bis si riferisce alle quote e non alle azioni; tale dato letterale sembrerebbe escludere la compatibilità con il patto di famiglia, tenendo anche presente la volontà del legislatore di prestare una particolare attenzione alle piccole e medie imprese, mentre la struttura di S.p.a. in genere si addice alle grandi imprese.

In ogni caso, non può in alcun modo escludersi la compatibilità del patto di famiglia anche con le S.p.a., quantomeno per le partecipazioni di controllo o di riferimento, le quali attribuiscono il potere di influire in modo rilevante sulla gestione della società.

considerate in genere delle società familiari, quindi le azioni del socio accomandatario di tali società che sono assimiliate per le loro caratteristiche ad una società personale, possono costituire oggetto di un patto di famiglia, proprio perché assicurano la gestione ed il controllo dell’impresa.

Non vi sono particolari problemi per quanto concerne le società di persone, atteso che la disciplina del patto di famiglia è applicabile, attribuendosi in dette società al loro titolare il poter di amministrare e gestire la società; in tale contesto il trasferimento della partecipazione si attua con la partecipazione di tutti gli altri soci.

Dunque in definitiva le partecipazioni sociali possono costituire oggetto di patto di famiglia nella misura in cui al discendente acquirente venga garantito il potere

di concorrere alla gestione della società.191

3.3. REQUISITI FORMALI

A pena di nullità, il patto deve essere concluso solo a mezzo di atto pubblico redatto a cura di un notaio (ex art. 768 ter), escludendosi quindi una diversa figura.

Come emerge dalla norma, i beni d’impresa possono essere attribuiti soltanto ad uno o più discendenti del disponente - escludendosi pertanto il coniuge - anche se l’art. 768 quater, per blindare il patto di famiglia, prevede che per la sua validità vi partecipino anche il coniuge e tutti coloro che sarebbero legittimari ove in quel momento si aprisse la successione nel patrimonio dell’imprenditore.

Ovviamente in tal caso è necessario il consenso di tutti partecipanti, pena, in difetto, la nullità del patto per mancanza di uno dei suoi requisiti essenziali.

                                                                                                                191  PETRELLI,  op.  cit.