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Il gioco scenico di Carlo Cecchi: mimica, gestica e parola

2. S ECONDO TEMPO DI FORMAZIONE: IL CAPOCOMICO (1971 1980)

2.3 Il gioco scenico di Carlo Cecchi: mimica, gestica e parola

Accerchiando progressivamente l‟attore e procedendo dagli elementi esterni del gioco scenico verso quelli pertinenti il corpo e la recitazione, imposteremo una griglia congiunta sul versante mimico, gestuale e linguistico, incentrata sulla descrizione della performance attoriale di Carlo Cecchi. Il tentativo è quello di individuare rimandi, citazioni, richiami, botte e risposta attraverso cui si articola il dialogo che connette il Cecchi/Don Felice delle Statue con il Cecchi/Bajan della Cimice, passando per il gran burocrate Trionfalov, il borghese Signor Balicke e Cardillo, compare di Don Felice e Pulcinella.

466 Aggeo Savioli, Chiara e frizzante l‟acqua del “Bagno”, in «L‟Unità», Milano, 30 dicembre 1971. 467

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Il Cecchi di questi anni felici conferisce a tutti i personaggi un certo grado di deformazione caricaturale, non cede al naturalismo, ma, forte della lezione eduardiana, gioca a combinare su un tessuto prettamente antinaturalistico e straniato momenti di apparente naturalezza, invero più affidati ai compagni di scena. In generale, nella palestra degli anni Settanta, l‟attore tende ad affinare un suo stile in tre punti essenziali: gestualità intermittente e ricca di gesti simbolici del nostro sud; “mimica discreta” in questi anni tendente alla distorsione in biacca bianca espressionista; eloquio spezzato quasi in raggelata citazione, mitigato dalle sonorità delle inflessioni meridionali-napoletane.

Come già anticipato, nel suo primo allestimento petitiano Cecchi si esercita sui modi della recitazione: gli attori dello spettacolo interpretano allora personaggi che vanno dal «naturalismo assoluto di Pulcinella al realismo napoletano della Concettina»468, in mezzo la farsa, la stilizzazione marionettistica, lo straniamento di Carlo Cecchi, «che dà a Felice Sciosciammocca la maschera allucinata e inedita di Buster Keaton giovane e una comicità critica e raziocinante»469. La recitazione di Cecchi/Don Felice è quindi stilizzata, improntata ad una comicità non umorale ma intelligente, che fa leva sui lazzi e le trovate comiche della farsa e della Commedia dell‟arte, in particolare nei momenti di improvvisazione. Bartolucci attribuisce a questo Cecchi «una sensibilità materializzante» che si esprime nel personaggio attraverso «cattiveria» e «distacco»; è questo duplice atteggiamento a segnare la cifra stilistica della sua interpretazione, concreta e mai astratta470.

Il distacco è ancora modalità preponderante dell‟interpretazione di Trionfalov, gran burocrate del Bagno, e ne determina lo stile recitativo improntato ad una stilizzazione burattinesca stratificata da plurimi riferimenti: da un lato è rintracciabile la comicità farsesca meridionale, dall‟altro – e soprattutto a livello gestuale – forte è l‟influenza di Mejerchol‟d e dell‟universo circense. Fanno perno sul distacco le recensioni di Quadri e di Bartolucci. Per il primo «Carlo Cecchi con la sua maschera gessosa di clown dà al burocrate un ritratto glacialmente distaccato ma esilarante, spremendo divertimento (e allusività) letteralmente da ogni sillaba»471. A Quadri, sempre nell‟ottica di quella «esercitazione di equilibrismo», sembra rispondere Paladini che riconduce l‟atmosfera dello spettacolo ad «una certa aria di famiglia

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Carlo Cecchi, Autobiografia del Granteatro, cit., p. 93.

469 Franco Quadri, La politica del regista: teatro 1967-1979, cit., p. 95.

470 Cfr. Giuseppe Bartolucci, «Le statue movibili» esercizio interpretativo, in La politica del Nuovo,

cit., p. 105.

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avvertibile nella mimica meridionale, nell‟accorta inflessione delle parlate, in certo modo gergali, nonostante il trucco violento e la recitazione antinaturalistica»472.

Bartolucci va ancora più a fondo nella descrizione dell‟interpretazione dell‟attore-regista, regalandoci un cammeo di sofisticata precisione tecnica.

Cecchi propone un Trionfalov freddo e distaccato, mai colto in zona di collera esagitata, mai reso nei suoi furori di difesa burocratica, con una parola che gli esce di gola atona e lunga e piana, quasi per calcolo di risparmio e per meglio elevare la sua posizione, e con dei gesti che gli si articolano addosso, mostruosamente per difetto e per privazione anziché per accumulazione ed elevazione473.

Costruzione del movimento che ben si sposa con la nostra definizione di “primo piano rovesciato”474

espressa nel paragrafo relativo a Eduardo. E non a caso con un riferimento al maestro napoletano conclude anche Bartolucci: «Il Cecchi ha derivato questo suo distacco ironico e grottesco da Eduardo senz‟altro, aggiungendovi una sua mobilità nevrotica ed un suo segno alienato»475.

Il «segno alienato» è presente come nota dominante nell‟interpretazione del Signor Balicke, borghese e futuro suocero del soldato Kragler indeciso tra dovere rivoluzionario e tornaconto personale (opterà per il secondo). In questa esercitazione su Brecht, Carlo Cecchi regista sperimenta l‟accostamento di diversi moduli espressivi – anche per rendere la non-omogeneità stilistica del testo.

Cecchi ha tenuto lucidamente conto di contraddizioni e ambiguità mescolando con sicurezza tre moduli espressivi assai complessi come quello espressionista, quello epico-dialettico e quello veristico-popolaresco476.

Del resto lo dichiara il regista stesso:

Tamburi nella notte rimaneva un dramma parecchio ambiguo. […] Si è cercato di far

diventare «commedia» il dramma di Kragler – commedia grottesca, da incubo espressionista – mediante il capovolgimento dei personaggi della storia d‟amore, ridotti a burattini ridicoli da una parte, ma ben atroci dall‟altra477.

472 Aldo Paladini, Anche a Spazio Zero è di scena “Il bagno”, in «Sipario», Roma, aprile 1972. 473 Giuseppe Bartolucci, La politica derisoria del Bagno di Majakovskij, cit., p. 109.

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«Anziché evidenziare e ingrandire l‟immagine del proprio volto attraverso la graduale immobilità del corpo, Cecchi rallenta l‟attività mimica del viso fino a renderlo immobile, più nel senso della non- espressione che della maschera, e attraverso un gioco che è prossemico, coreografico e gestuale, scompare sotto gli occhi del pubblico senza abbandonare la scena. Il procedimento è graduale, Cecchi è evidenziato rispetto al resto della compagnia in quanto costituisce spesso l‟elemento “estraneo” sia a livello linguistico che per il suo particolare portamento. Dal piano paralinguistico l‟evidenziazione diventa coreografica: il ritmo sostenuto dalla recitazione di Cecchi implode differenziandosi da quello del resto della compagnia (solitamente al fermento degli altri corrisponde una sua andatura lenta); lo sguardo dello spettatore che dal volto era passato al corpo dell‟attore lo vede come smaterializzarsi in movimenti appena accennati»; definizione di chi scrive esposta nel capitolo precedente, nata come riflessione sulla tecnica del “primo piano” in Eduardo de Filippo elaborata da Anna Barsotti.

475 Giuseppe Bartolucci, La politica derisoria del Bagno di Majakovskij, cit., p. 109. 476 Edoardo Fadini, Tamburi nella notte, in «Rinascita», anno 29, n. 47, 1 dicembre 1972.

477 Carlo Cecchi, Lo spazio tragico, in Franco Quadri, L‟Avanguardia teatrale in Italia, cit., pp. 388-

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Nei termini del naturalismo («si rasenta il feuilleton naturalista»478, dice Quadri) è resa, per esempio, la scena di osteria risolta attraverso l‟ausilio ai diversi dialetti di casa nostra (veneto, napoletano, romanesco). Di questa schiera fanno parte i rivoluzionari, gli spartachisti, vi si avvicina Kragler ma mai il borghese Balicke, «mercante e profittatore di guerra, nazista in potenza e padre timorato della fidanzata»479. Cecchi sceglie per l‟interpretazione del suo personaggio la chiave ironico-critica e la raggiunge attraverso il ricorso ad uno straniamento così ferocemente alienato da risultare vicinissimo al grottesco. «Da notare» – dice Fadini – «che Cecchi sospende il gesto, la mimica generale del corpo, la voce, con un uso perfetto e originale delle tecniche di straniamento»480. Polacco isola alcune azioni- segnali di Cecchi come ammiccare in platea o «la precisione epica della sua sbornia»481. Il risultato è un «burattino ridicolo e atroce»482, espressionisticamente truccato, col volto bianco e gli occhi cerchiati di nero.

Se nel Woyzeck torinese i personaggi emblemi del potere e dello sfruttamento sono risolti dall‟attore-regista attraverso la stessa chiave ironico-critica che aveva caratterizzato il borghese brechtiano, in A morte dint‟o lietto e Don Felice Cecchi può andare più liberamente «alla ricerca delle sorgenti della comicità»483, in un contatto più diretto con la tradizione comica popolare napoletana da lui prediletta. L‟attore-regista incide meno del solito sul testo di Petito484

; su di esso, in scena, impone una chiave interpretativa che non si limita al recupero della forma farsesca ma, in un certo qual modo, contaminando la farsa con l‟avanguardia russa – con quella convenzione mejercholdiana alla quele si accennava a proposito della scenografia –, trova il modo di citarla.

Come appunto nei sogni, tutto è ricostruito secondo un‟altra logica discorsiva e visiva; […] I tre personaggi Felice, Cardillo, Pulcinella arrivano dalla platea, sotto un immenso ombrello verde; la loro recitazione è stilizzata, vagamente congelata nello stilema “varietà napoletano” ma punta alla comunicazione esilarante, non al museo485

.

Lo spazio ritagliato dal teatrino, anch‟esso stilizzato, che occupa la scena, obbliga gli attori ad una recitazione burattinesca, ricca di riferimenti alla Commedia

478 Franco Quadri, La politica del regista: teatro 1967-1979, cit., p. 95. 479 Edoardo Fadini, Tamburi nella notte, cit.

480 Ibidem. 481

Giorgio Polacco, Un Brecht bellissimo, cit.

482 Carlo Cecchi, Lo spazio tragico, cit., p. 389.

483 Franco Quadri, La politica del regista: teatro 1967-1979, cit., p. 95. 484 Cfr. Franca Angelini, Rasoi: teatri napoletani del „900, cit., p. 93. 485

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dell‟Arte; da qui gli abbondanti lazzi e i momenti lasciati all‟improvvisazione degli attori.

In questo spettacolo Carlo Cecchi interpreta Cardillo, amico di Pulcinella e Don Felice Sciosciammocca; Bertani descrive il personaggio «tutto in punta e scatto»486 mentre Capitta parla di «un appuntito e tremulo Cardillo»487. Dal canto suo Quadri precisa che Cecchi dà vita, in questo allestimento, ad «una maschera inventata e geniale»488, il che ci porta ad ipotizzare una resa non convenzionale, o quanto meno insolita, del personaggio comico napoletano. Cecchi imposta un‟interpretazione critica che gioca e mescola, come d‟abitudine, registri diversi. Anche dal punto di vista linguistico in fondo il dialetto è piegato ad un uso critico, è in citazione, tanto da essere simultaneamente tradotto in scena dagli attori: « vuie comme state nfuso! , volete dire bagnato… giacché, come è giusto, anche il dialetto è citato»489.

Alla fine di questa carrellata sulle interpretazioni di Cecchi nei sui fortunati e formativi allestimenti, ecco ancora un personaggio particolarmente sopra le righe e assolutamente grottesco: Bajan, il borghese ruffiano di La cimice. Nella seconda parte dello spettacolo, con caratteristiche analoghe Cecchi interpreta la parte del Presidente: Bajan e il Presidente sono in fondo due figure di persuasori e “registi” intorno ai quali la trama si struttura.

Nella prima parte domina la scena il personaggio di Oleg Bajan, il faccendiere che regola il gioco di tutti: un Cecchi assai bravo, tagliente, un attore di razza che risolve il suo personaggio in una cifra ghignante (nella seconda parte farà il Presidente)490.

È già stata riportata una sua descrizione a proposito del costume; servirà ricordare che Cecchi sceglie un trucco in linea con quello del Bagno, del Woyzeck e di Tamburi, biacca bianca, occhi cerchiati, anche se qui il viso è colorato per mezzo delle guance evidenziate da un finto tondo rossore. Tutto è giocato sull‟ostentazione della teatralità e sull‟eccesso; a questo personaggio «Cecchi dà i suoi magistrali accenti epici»491, caricaturandolo fortemente in segno negativo. Eppure, soprattutto nella prima parte, quella colorata e baracconesca, con quel banchetto risolto in incendio, il registro popolare nostrano riesce a trovare spazio.

486 Odoardo Bertani, Pulcinella e compagni in una ricerca di modelli comici, cit. 487

Gianfranco Capitta, La farsa napoletana ridiventa moderna, cit.

488 Franco Quadri, La politica del regista: teatro 1967-1979, cit., p. 95. 489 Franca Angelini, Rasoi: teatri napoletani del „900, cit., p. 94. 490 Arturo Lazzari, Il “Granteatro” punta sul tragico-grottesco, cit. 491

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Nel primo tempo il modulo regional-dialettale, consistente in una leggera meridionalizzazione dei toni e dei gesti, funziona egregiamente specie per i personaggi di Prysipkin […] e di Bajan, l‟intellettuale mezzano e trafficone, cui Carlo Cecchi dà la sua comicità tetra e sorniona, in cappello a cilindro e marsina frittellosa, gli occhi abbottati e neri nella faccia bianca di pagliaccio492.

Faccia bianca che è di pagliaccio, ma, ancora, di un pagliaccio di casa nostra: la mimica dell‟attore, alterata dal trucco, e le sue movenze a tratti stilizzate, sembrano «rifare il verso a Petrolini, Totò, Eduardo»493.

Il personaggio interpretato da Cecchi in questa messinscena è stato a più riprese definito faccendiere e persuasore, si è parlato di lui come di chi all‟interno della pièce di Majakovskj riveste un ruolo in un certo senso registico. Dopo La cimice troveremo Cecchi impegnato nell‟allestimento di L‟uomo, la bestia e la virtù in cui il suo personaggio ordisce trame per dissimulare la gravidanza dell‟amante, il «mefistofelico»494 Cecchi/Bajan sembra allora coerente preludio di un altrettanto diabolico Professor Paolino.