1. P RIMO TEMPO DI FORMAZIONE: L‟ATTORE REGISTA (1959-1971)
1.4 Una strana creatura: il Woyzeck di Carlo Cecch
embrione e manifesto di tutto il suo lavoro successivo e insieme compendio del decennio precedente. È questa la stagione in cui il tanto travagliato Woyzeck vedrà la luce e quella in cui Cecchi e compagni sentiranno l‟esigenza di autonomia. Luciano Mariti111, a proposito della fine del decennio Sessanta, individua una tendenza per cui la nascita di nuovi e numerosi gruppi autogestiti permette alla compagnia di tornare ad essere un luogo di creazione e formazione dell‟attore. Di crescita. In un certo senso, aggregandosi in gruppi autogestiti e compagnie sperimentali, fuoriuscendo quindi dal teatro di regia istituzionalmente inteso, è come se l‟attore rivendicasse e ottenesse spazi e spazio per la creazione. L‟attore torna ad essere creatore.
1.4 Una strana creatura: il Woyzeck di Carlo Cecchi
La ricostruzione del primo periodo di formazione di Carlo Cecchi ci ha più volte portato a nominare un autore, Georg Büchner, e una delle sue rare opere, Woyzeck; il giovane attore infatti entra in contatto con questo breve e denso testo già da ragazzo e, non appena cominciato il suo percorso d‟apprendistato teatrale, vagheggia di realizzarlo. Nel 1965, al rientro dalla tournée estiva del Teatro Scelta e all‟indomani del contestatissimo Il vicario, quel gruppo d‟attori-superstiti, capitanato da Cecchi, si oppone alla proposta di Volonté di mettere in scena uno spettacolo originale su La Malfa e preferisce invece applicarsi nelle prove per l‟allestimento della storia del povero soldato Woyzeck che tanto ispira il giovane regista e ben risponde al sentimento ideologico dell‟altrettanto giovane gruppo. Cecchi comincia subito a lavorare all‟adattamento testuale confrontando traduzioni, manoscritti e varianti. Echi della vicenda büchneriana si erano in fondo insinuati come indizi nelle peripezie di Sesto, operaio vessato di Storia di Sesto; adesso, a cavallo tra il 1965 e il 1966, l‟attore fiorentino decide di affrontare il modello e, sulla scorta certamente dell‟influenza della drammaturgia genettiana e delle teorizzazioni aurtaudiane, nonché di quella del Living Theatre, comincia a lavorare ad alcune scene e sulle pagine dell‟opera. Non solo dunque da attore, ma anche da regista.
111 Luciano Mariti, Un po‟ prima del teatro nelle cantine, in Aa. Vv., Memorie dalle cantine: Teatro di ricerca a Roma negli anni ‟60 e ‟70, in «Biblioteca Teatrale», cit., pp. 57-84.
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È nello stesso frangente, e sempre all‟interno dei sotterranei della chiesa di via Belsiana, che avviene l‟incontro con Elsa Morante, a sua volta amante di Büchner e motore essenziale per il passaggio di Cecchi alla regia e alla formazione di un suo gruppo teatrale. Ricorda l‟aspirante regista che era l‟autunno del 1965, la scrittrice lo aveva contattato per dei problemi relativi agli spettacoli del Living, di cui entrambi erano sostenitori, e che durante quella telefonata il discorso era caduto su questo spettacolo in fieri: Woyzeck112. Ma un Woyzeck estremamente innovativo influenzato da Artaud e dal teatro della crudeltà, ma anche da Genet e Brecht. Il primo riferimento si esprimerà, ad esempio, attraverso l‟estrema violenza espressiva che ogni personaggio veicola e, soprattutto, con l‟utilizzo in prova di un manuale di addestramento militare, alla The Brig del Living. Il regista, come vedremo, è colpito inoltre dalla teatralità di Genet e, in misura gradualmente crescente (in particolare poi per la messinscena di un testo come Woyzeck epico fin nella forma, strutturato com‟è per quadri), dal teatro dello straniamento di Brecht.
Le lunghe prove dello spettacolo tuttavia si interrompono quando gli attori vengono scritturati per lavorare a Ricatto a teatro della Maraini, nel 1966-„67. In questa occasione comincia a formarsi il nucleo di base di quello che sarà il Granteatro. Dopo la fortunata tournée del Ricatto, nel quale era impegnato anche Paolo Graziosi, iniziano a manifestarsi volontà di autonomia. È lo stesso Graziosi a raccontare i primi passi di un gruppo non ancora ufficialmente nato:
Era l‟epoca pre-sessantottina, l‟epoca delle compagnie autonome, delle cooperative. L‟anno successivo a questo spettacolo si decise di costituire un gruppo che si chiamava appunto Il Granteatro, e che aveva in programma di fare un testo di Scarpetta. Si cominciò a provare ma il testo non andò in scena. A un certo punto ci si rese conto che non si riusciva a cavare un ragno dal buco. In quel momento la regia dello spettacolo sarebbe stata di Peter Hartmann, il quale era appunto stato precedentemente regista del
Ricatto a teatro. Quindi si decise di tirar di nuovo fuori il testo della Maraini, anche per
ragioni pratiche ed economiche, per far sopravvivere la compagnia, e di mettere in prova un secondo spettacolo, un testo sul quale Cecchi aveva già lavorato parecchio negli anni precedenti113.
Lo spettacolo di Scarpetta al quale Graziosi fa riferimento è Lu curaggio de nu pompiere napulitano, poi effettivamente messo in scena da Cecchi, ma solo negli anni Ottanta. Il gruppo di lavoro, affiatato, nonostante le difficoltà, e coeso nella convinzione che non può esistere teatro al di fuori della reale sperimentazione, del
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Carlo Cecchi, Recitare l‟Edipo di Elsa Morante, in La serata a Colono, cit., p. 27.
113 Paolo Graziosi, Una nuova didattica. Conversazione con Paolo Graziosi, Teatro del Giglio, Lucca,
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lavoro artigianale di compagnia, è composto da Cecchi, Hartmann e Graziosi, da Sergio Tramonti, da Angelica Ippolito e Kadigia Bove, già interpreti di Ricatto a teatro. È con il bene placido della Maraini che viene riproposto proprio questo testo, spettacolo più che rodato, le cui repliche erano il modo migliore per ottimizzare tempi e costi in vista dell‟avviamento di un nuovo e complicato progetto: ancora una volta si tratta dell‟allestimento di Woyzeck. Per l‟occasione la compagnia si allarga: entrano a far parte del gruppo, per esempio, John Phettemplace, Aldo Puglisi, Dario Cantarelli e poi Toni Bertorelli.
In chiusura del precedente paragrafo si è sottolineata la tendenza, in fase di rilancio, che stava portando molte delle neonate formazioni del Nuovo Teatro, ma non solo, a rivendicare una propria autonomia, ponendo così le basi per la nascita di quei gruppi autonomi che saranno lo zoccolo duro del variegato panorama teatrale degli anni Settanta. L‟attore torna ad essere creatore, il gruppo stesso si fa ambiente stimolante per la creazione che si diversifica nell‟introduzione di novità o in vivaci sperimentazioni che, proprio all‟interno del gruppo, toccano tutte le sfere del teatrale. L‟attore acquisisce autonomia, il regista tende in questa fase ad essere quasi sempre anche attore, per cui consapevole in modo diretto delle esigenze dell‟intera compagnia. Anche gli altri codici dello spettacolo, fratelli e sorelle del testo e della parola nella nuova modalità di produzione basata sulla “scrittura scenica” (musica, coreografia, scenografia ecc.) vengono investite da una spinta alla sperimentazione, al rinnovamento. Il Granteatro è un esempio di queste fucine creative.
Woyzeck ha per Carlo Cecchi e per l‟intera compagnia un valore iniziatico, inaugurale, costituisce il primo step nella direzione di una modalità di produzione estetica e organizzativa che caratterizzerà la prassi operativa dei lavori futuri di gruppo e regista. Il processo di creazione di questo spettacolo ha inizio, a livello concettuale, molto tempo prima della sua effettiva realizzazione; tuttavia, anche in prossimità del debutto si è in presenza di processi articolati e travagliati che daranno vita ad una creatura mutevole e interessantissima.
Quando si parla di Woyzeck del Granteatro si parla al plurale: siamo infatti a conoscenza di differenti versioni dell‟opera, e di stadi di differente maturità, di varianti, anche nell‟ambito della stessa versione. Il racconto di questo spettacolo, al di là delle anticipazioni a cui si è già fatto riferimento, ha concretamente inizio nella stagione 1968-1969 e termina con la stagione 1973-1974. Seguire la vita di
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“Woyzeck di Büchner per Carlo Cecchi”114
ci porterà quindi a travalicare le coordinate cronologiche del capitolo al fine di proporre un‟analisi completa dell‟operazione compiuta. L‟analisi di questo spettacolo acquisisce maggiore interesse e necessità laddove è stato finora frainteso dagli studi precedenti: da quelli ad esso contemporanei per mancanza di distanza prospettica utile a dare valore ai singoli steps, dagli studi più recenti per incertezze documentarie o perché basati su conclusioni approssimative. Fare la storia critica di Woyzeck, in questa sede, vorrà dire fare la storia di quattro diverse rappresentazioni: Woyzeck “uno”: Un tragico debutto; Woyzeck “due”: “Studi su alcune scene del Woyzeck in vista di una sua eventuale rappresentazione”; Woyzeck “tre”: La Prova del Woyzeck agli Infernotti; Woyzeck “quattro”: il decentramento teatrale torinese.
A giocare un ruolo fondamentale nella vivace stratificazione operativa che il processo creativo della messinscena ha imposto, a monte, ci sono le caratteristiche intrinseche del testo stesso dal quale è imprescindibile partire; un‟opera frammentaria, incompiuta, per molto tempo inedita e straordinariamente anticipatrice di tendenze future. Dal canto suo l‟autore, Georg Büchner, e la sua biografia sono saldamente legati ai temi e alle ideologie di cui il testo è denso.
Se Giorgio Büchner morì secondo il destino prematuro della prima «generazione perduta» della letteratura mondiale, artisticamente anticipò toni modi e simboli di una civiltà espressiva di quasi un secolo dopo, e ci sembra ormai naturale pensare a lui come al primo grande espressionista115.
Con questi toni Felice Filippini, in una delle prime versioni italiane dell‟opera dell‟autore tedesco, edita per i tipi della B.U.R. da Rizzoli nel maggio del 1955, presenta la figura di Georg Büchner, figlio della cultura “maledetta” della letteratura primo-ottocentesca e nel contempo innovatore e anticipatore di correnti future, l‟espressionismo, e il discorso comprende, superandoli, naturalismo e realismo, insegue echi simbolisti e presuppone derive epico-didascaliche tanto care alla cultura novecentesca. Il giovane autore, morto prematuramente all‟età di 23 anni, nacque nel Granducato d‟Assia nel 1813 e morì a Zurigo per una febbre tifoide nel 1837. Giorgio Delfini, autore di una successiva traduzione per Adelphi, aggiunge:
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Questa felice formula per indicare il lavoro di regia su un testo è presa in prestito dai titoli della collana Narrare la scena. Esercizi di analisi dello spettacolo, diretta da Anna Barsotti e Federica Mazzocchi per la casa editrice ETS di Pisa dal 2003.
115 Felice Filippini, traduzione di, Giorgio Büchner. La morte di Danton, Woyzeck e gli altri scritti,
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Assai scarse sono le notizie sicure sulla vita Georg Büchner, e ciò potrà apparire meno strano se si terrà conto della sua morte precoce e del relativo disinteresse che circondò la sua opera letteraria, sia presso la famiglia che presso i contemporanei116.
Büchner, nel corso della sua breve esistenza, raggiunse significativi traguardi in ambito medico-scientifico (nel quale si era formato, tra l‟Assia e Strasburgo) e fu noto nel panorama politico contemporaneo per il suo sostegno alla causa rivoluzionaria per la liberazione degli stati tedeschi dalla monarchia, che egli considerava «causa di ogni miseria sociale del popolo tedesco»117, lo stesso popolo dal quale sarà deluso.
Già alla precoce età di 23 anni, anno della morte, esercitava la libera docenza presso l‟Università di Zurigo e i suoi scritti politici circolavano clandestinamente da un paio d‟anni, causando all‟autore denunce e mandati di arresto. Lo stato di forte depressione causato dalla consapevolezza dell‟impossibilità della Rivoluzione provoca in Büchner l‟esigenza di gettarsi nella scrittura letteraria, pratica alla quale dedica solo gli ultimi tre anni della sua vita, quasi come cercasse una via d‟uscita. È dunque dalla delusione del rivoluzionario che nasce lo scrittore, ma sia la sua drammaturgia che i suoi scritti sono densi di spirito di osservazione sociale e scandaglio profondo dell‟animo umano. Ciò che Büchner, da materialista, dipinge è il ritratto della coscienza dell‟uomo suo contemporaneo. «La sua letteratura ha una lievitazione notturna: è piena di sogni, di incubi, di allucinazioni», nonché intrisa di un altrettanto notturno fatalismo sulla natura dell‟uomo:
Nella natura umana trovo una uguaglianza terribile, nei rapporti umani una violenza inevitabile concessa a tutti e a nessuno. Il singolo è soltanto spuma sull‟onda, la grandezza è un puro caso, la supremazia del genio una farsa di marionette…118
Così scriveva il giovane deluso alla fidanzata nel novembre del 1833. Di questa forte disillusione o senso di realtà sono grondanti le sue opere, da La morte di Danton (1835), che ripropone in chiave intimistica le fasi finali della Rivoluzione Francese attraverso l‟identica ipocrisia dei sostenitori delle fazioni in lotta; al racconto Lenz (iniziato nel 1835 ma pubblicato postumo nel 1839), fino alla fiabesca commedia, Leonce e Lena (1836). Allegra solo in apparenza, questa fiaba antica è invece carica di un presentimento della fine, della morte o di quel senso opprimente
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Giorgio Delfini, traduzione di, Georg Büchner. Teatro, Milano, Adelphi, 1994 (1966), p. 172.
117 Felice Filippini, traduzione di, Giorgio Büchner. La morte di Danton, Woyzeck e gli altri scritti,
cit., pp. 5-13.
118 Lettera di Georg Büchner, riportato da Gerardo Guerrieri, Introduzione, in Giorgio Delfini,
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di claustrofobia, con cui l‟autore convive, provocato dalla noia perenne nella quale l‟uomo è costretto. A queste opere si aggiunge Woyzeck, ultimo e incompiuto testo, nel quale tutti i temi appena accennati sono esasperati e condotti al punto limite, che è rappresentato, forse, dall‟impossibilità stessa di concludere.
Come accennava Delfini, l‟opera letteraria di Büchner non ebbe grande circolazione tra i contemporanei; causa di ciò fu la rocambolesca storia filologica delle suddette opere, tutte pubblicate postume, e in particolare di Woyzeck, pubblicato con un ritardo maggiore rispetto agli altri testi. Nel 1850 infatti il fratello Ludwig Büchner curò un‟edizione delle opere di Georg sulla base dei manoscritti in suo possesso, escludendo dal novero Woyzeck perché considerato «un frammento privo di unità e coerenza e perlopiù illeggibile»119. Per la pubblicazione del testo si dovrà attendere il 1879, data dell‟edizione critica dello studioso Karl Emil Franzos. Franzos portò avanti un lavoro delicato e non privo di conseguenze sui manoscritti del Woyzeck, infatti per facilitarne la lettura sottopose le carte a un bagno chimico in ammoniaca che, se rese immediatamente più semplice la lettura della grafia, causò col tempo danni irreparabili. Anche dal punto di vista filologico il lavoro di Franzos, seppur meritevole, non fu impeccabile: «specialmente nel caso del Woyzeck che, pervenuto in uno stato frammentario e incompleto, fu reso “unitario” dal curatore attraverso interpolazioni arbitrarie»120.
Bisogna tuttavia tener conto che lo studioso galiziano non era, a fine Ottocento, in possesso di informazioni oggi scontate; basti pensare che il nome dell‟opera era stato decifrato come Wozzeck, e ancora Wozzeck è il titolo che Alban Berg dà al suo libretto d‟opera nel 1922121. Oltre all‟arbitrarietà nella ricomposizione dei quadri che
strutturano il racconto, Franzos aggiunge una didascalia di suo pugno che propone un finale posticcio, là dove quello di Büchner era assente, non sappiamo se volutamente o a causa della sua morte improvvisa. Per Franzos il soldato Woyzeck si suicida nello stagno dopo aver ucciso l‟amante Maria, Büchner lo abbandona nel momento stesso in cui viene scoperto il delitto. Successive edizioni critiche, supportate da nuove scoperte, aiuteranno a delineare il pur contraddittorio profilo di quest‟opera, che non smette di far discutere gli esperti. Tuttavia fu proprio l‟edizione di Woyzeck di
119 Hermann Dorowin, Un testo da ricostruire?, in Hermann Dorowin, Claudio Magris, a cura di, Georg Büchner. Woyzeck, Venezia, Marsilio, 1988, p. 138.
120 Giorgio Delfini, traduzione di, Georg Büchner. Teatro, cit., p. 175. 121
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Franzos quella che naturalisti e simbolisti, Hauptmann, Wedekind, e poi gli espressionisti, Toller e gli altri, si ritrovarono fra le mani e dalla quale furono folgorati122.
La versione “ricostruita” alla quale oggi si fa tendenzialmente riferimento è quella curata da Wilhelm Lehmann nel 1967. Lasciando aperto il finale, Lehmann ricostruisce le possibili varianti della giustapposizione dei 27 quadri dell‟opera. Un testo volutamente frammentario, si è più volte detto, che, rifacendosi alle vicende realmente accadute al soldato di Lipsia, raccontano la storia dell‟omonimo soldato Woyzeck alle prese con la difficoltà della vita.
Una svolta è costituita dal collegamento tra la trama del testo, di cui si dirà a breve, e il riferimento ad un atto giudiziario inerente la condanna a morte del soldato Johann Christian Woyzeck (da qui la dizione corretta del nome del protagonista e dell‟opera), assassino per gelosia della sua amante, giustiziato a Lipsia nel 1823, dopo perizie mediche che lo giudicarono sano di mente. Il documento che, insieme ad una serie di altri casi analoghi, Büchner ebbe modo di consultare fu scoperto nel 1914; queste dunque le fonti del Woyzeck di Büchner in cui i temi dell‟inadeguatezza medico-scientifica-giudiziaria e l‟oppressione sul più debole si fondono col tema della follia e della «violenza inevitabile» che regola i rapporti umani e sociali. Eppure, dallo studio delle testimonianze reali ci si rende conto del fatto che il Woyzeck drammatico, pur nel suo delinearsi come personaggio “pattumiera” di tutti i mali sociali, rimane comunque meno disgraziato ed emarginato del suo modello reale123.
La prospettiva in cui i dati del personaggio storico vengono delineati è quella sociale. Non quella del realismo ripresa poi dal realismo socialista, esattamente il contrario. Büchner parte dall‟uomo reale e dalle sue condizioni reali di vita. Woyzeck, il primo povero della storia del teatro assunto alla dignità dell‟eroe tragico, cessa di essere il povero canonico che è sempre stato e diventa un personaggio definito dal suo essere sociale124.
Per la prima volta il proletariato, in accezione moderna, diventa protagonista di un‟opera drammatica125. Non già infatti l‟autore racconta dei dissidi interiori
dell‟aristocratico annoiato, soggetto caro alla letteratura a lui contemporanea, ma, da
122 Cfr. Hermann Dorowin, Un testo da ricostruire?, cit. p. 142.
123 Cfr. Hermann Dorowin, Le fonti storiche, in Hermann Dorowin, Claudio Magris, a cura di, Georg Büchner. Woyzeck, cit., pp. 145-165.
124 Carlo Cecchi, Lo spazio tragico, in Franco Quadri, L‟avanguardia teatrale in Italia, materiali 1960-1976, Torino, Einaudi, 1977, p. 374. Invero esempi di proletari protagonisti di opere
drammatiche sono già rintracciabili nella letteratura teatrale cinquecentesca di Ruzzante.
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materialista, da rivoluzionario deluso, Büchner si concentra sull‟uomo alle prese con doveri e responsabilità (virtù e morale) in un contesto di estrema povertà, economica e di sentimenti. Woyzeck è la storia dell‟opposizione tra oppressi e oppressori, il racconto dell‟incapacità di sopportare le difficoltà schiaccianti di una vita in cui l‟uomo prevarica sull‟altro uomo.
Il soldato Woyzeck ha avuto un figlio da Maria, ragazza bellissima ma non sua moglie, probabilmente una prostituta; per adempiere ai propri doveri di padre, il soldato cerca di arrotondare il salario facendo altri lavori: raccoglie legna, fa il barbiere per il Capitano, si presta come cavia umana per un medico che sta portando avanti degli strani esperimenti. Tuttavia Maria non gli è fedele, intrattiene una relazione sessuale col Tamburmaggiore; il tradimento scatena la gelosia di Woyzeck che, turbato anche da allucinazioni e voci che crede di sentire, acquista un coltello senza manico e uccide vicino a uno stagno la donna amata, senza preoccuparsi di nascondere il delitto. Qui il dramma di Büchner si interrompe. Facendo riferimento alle fonti storiche che l‟autore ha utilizzato, si potrebbe ipotizzare che l‟azione dovesse concludersi con un processo.
La scarna trama è nell‟opera strutturata per quadri, per lo più ogni quadro presenta e sviluppa una opposizione dialettica tra Woyzeck e un altro personaggio: nel segno della sopraffazione del potere schiacciante si pongono i duetti con il Capitano, il Dottore e il Tamburmaggiore. Più ambigui e allucinati i dialoghi con Maria, in fondo carnefice e vittima, e con il camerata Andres. Si alternano a queste opposizioni a due alcune scene corali, di piazza e fieristiche; queste costituiscono il collegamento dell‟opera ad un universo ancestrale e popolare, permettendo l‟inserimento di saltimbanchi, numeri d‟avanspettacolo e racconti intrisi di saggezza antica. Il panorama contadino impone oltretutto all‟autore l‟utilizzo di un doppio registro linguistico: se i rappresentanti del potere e della cultura si esprimono in lingua (tedesco), il popolo e Woyzeck parlano il dialetto (assiano).
A proposito della struttura frammentaria di questo testo, Dorowin propone l‟interessante lettura di Alfons Glück: