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L‟uomo, la bestia e la virtù: Gran teatro epico

2. S ECONDO TEMPO DI FORMAZIONE: IL CAPOCOMICO (1971 1980)

2.4 L‟uomo, la bestia e la virtù: Gran teatro epico

Nel 1976 e nel 1980-81, ‟81-‟82, con leggere varianti, Carlo Cecchi e il suo gruppo, la cooperativa Granteatro, mettono in scena L‟uomo, la bestia e la virtù496 di Pirandello. È

il punto di arrivo di circa dieci anni di lavoro in cui il Granteatro e Cecchi attore-regista percorrono il territorio dei grandi modelli di fondazione, nel versante di un teatro del conflitto e della persecuzione (Woyzeck di Büchner), politico (Il bagno e La Cimice di Majakowski, Tamburi nella notte di Brecht) e infine della farsa e del comico napoletano (Le statue movibili e A morte dint‟ o lietto e Don Felice di Antonio Petito)497.

Con questa agile retrospettiva Franca Angelini introduce il suo saggio su L‟uomo, la bestia e la virtù di Carlo Cecchi, una messinscena che – dice la studiosa – cambia l‟ottica con cui si torna a leggere, dopo averne visto la rappresentazione, il testo scritto. La sua ricognizione è precipua anche per chiudere i conti con la ricostruzione storico-critica e politica del lavoro di Cecchi e del suo gruppo che ha

492 Roberto De Monticelli, Majakovskij all‟italiana, cit. 493 Anonimo, Il surgelato di Majakovskij, cit.

494 Ibidem

495 Con questo gioco di parole definisce lo spettacolo Franco Quadri, La politica del regista, cit., p.

97.

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L‟uomo, la bestia e la virtù, di Luigi Pirandello, Cooperativa Il Granteatro, Regia: Carlo Cecchi, Scene, costumi e maschere: Sergio Tramonti, Attori: Rosanna Benvenuto (Nonò), Carlo Cecchi (Paolino), Marina Confalone (Governante, Domestica), Luisa De Santis (La signora Perella), Carlo Monni (Il Capitano Perella), Alfonso Santagata (Studente), Aldo Sassi (Medico, Farmacista), Armando Vacondio (Studente), Reggio Emilia, 9 gennaio 1976.

497

Franca Angelini, Su un teatro «teatrale»: L‟Uomo, la Bestia e la Virtù di Carlo Cecchi, in «Rivista di studi pirandelliani», n. 1, marzo 1984, p. 108.

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costituito l‟argomento di questo secondo capitolo, con attenzione particolare a quella che è stata definita “formazione di un repertorio teatrale”. La citazione introduttiva permette inoltre di concentrare la nostra attenzione, proprio in chiusura del capitolo, su un focus dedicato specificamente ad uno spettacolo che, da diversi punti di vista, ha incuriosito critici e studiosi (allo studio appena citato, si aggiunga l‟analisi semiotica di Jansen498, riflessioni di Franco Quadri, ecc.), e che nella sua scoperta e dichiarata teatralità si pone come momento di riflessione maturo sulla sperimentazione degli anni precedenti: “Gli anni d‟oro del Granteatro”. Di L‟uomo, la bestia e la virtù sono state proposte dal Granteatro, tra gli anni Settanta e gli Ottanta, diverse riprese ed è stato inoltre prodotto nel 1991 un adattamento televisivo, curato direttamente dal regista.

Gli anni dal 1968 al 1975, e molto più intensamente dal 1971 in poi, in relazione alle preoccupazioni e alle responsabilità di guida di una compagnia, erano stati per Cecchi molto intensi, segnati da una carica e da una energia non solo artistica ma che trovava sollecitazione dalla società e da quella che veniva definita azione politico-sociale. Nel 1975, anche in seno alla compagnia, sembra subentrare un po‟ di stanchezza. All‟indomani della ventata di aria fresca portata dalle farse napoletane e con il dileguarsi delle iniziative cooperativistiche e sociali di vera matrice popolare il Granteatro si ritrova a vivere un momento di crisi.

Carlo Cecchi, regista e animatore della cooperativa il Granteatro, ricorda senza inibizione la crisi che lo portò allo scioglimento della compagnia l‟anno scorso. «Non si poteva andare avanti senza essere uniti, almeno sul piano del lavoro. Ci eravamo spaccati in due: chi scivolava progressivamente nella routine, nel conformismo. Chi invece tendeva eccessivamente alla sperimentazione senza capo né coda. Allora ho detto basta»499.

Intervistato da Coen in occasione di una recita milanese dello spettacolo Cecchi parla delle problematiche che causarono un riassetto molto significativo, un momento di forte ripensamento, in seno alla compagnia. È cosa ormai nota quale fosse l‟indirizzo operativo di questo regista: egli infatti si batteva per la difesa di uno spazio autonomo di ricerca che avesse delle basi concrete, ben saldato sul lavoro artigianale dell‟attore, in modo da non scadere nella routine o nella ripetizione, ma neppure nella sperimentazione fine a se stessa. Non a caso per arginare la crisi

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Steen Jansen, Lo spazio scenico nello spettacolo drammatico; qualche nota sulle letture di Carlo

Cecchi e Edmo Fenoglio di L‟uomo, la bestia e la virtù di Pirandello, in Giulio Ferroni, La semiotica e il doppio teatrale, Napoli, Liguori Editore, 1981, pp. 248-268.

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l‟attore-regista fiorentino si rivolge a un testo, non di un autore qualsiasi, ma a un testo di Pirandello: una scelta rischiosa per un giovane regista italiano. Dice Cecchi:

Ho scelto un testo, questo di Pirandello. Un atto di coraggio. Pirandello non è affatto una garanzia per chi vuole cercare spazi teatrali (e pubblico) nell‟area del circuito alternativo. È un autore borghese, quindi da non rappresentare, soprattutto dato il rapporto produttivo che abbiamo noialtri. Tuttavia, io lo presentavo in maniera del tutto diversa dalla tradizione. Ho recuperato il testo ma l‟ho modificato nella regia500.

Pirandello, soprattutto negli anni Settanta, è un autore ancora avvolto da una certa aura di rispettoso approccio filologico; nel corso degli anni, grazie anche a questa famosa operazione cecchiana, il timore reverenziale nei confronti d‟autore siciliano si farà meno rigido. In fondo quello che Cecchi decide di mettere in scena è il Pirandello degli anni Venti, un Pirandello vicino alle scene, quelle regolari o “ufficiali”, ma un Pirandello che insieme a Massimo Bontempelli e Rosso di San Secondo era considerato nell‟alveo delle Avanguardie un drammaturgo “anarchico”501

.

Doveva averlo intuito con sagace anticipo Elsa Morante; fu proprio lei, da dramaturg, a consigliare al giovane amico proprio questo Pirandello minore. Dice il regista: «quando decisi di mettere in scena un Pirandello, fu lei a dirmi che L‟uomo, la bestia e la virtù era perfetto per noi»502. In questo spettacolo vengono portati al punto di maturazione tutti percorsi di ricerca aperti e battuti negli anni di lavoro sperimentale e sul campo. Questo Pirandello, nonostante tutto poco affettato, lontano dalle complicazioni concettuali di molto teatro pirandelliano, poco “ragionato”, insomma, e molto più immediato, teatrale; L‟uomo, la bestia e la virtù è un copione per il teatro, già in lingua italiana, per cui si accosta direttamente a quella grande drammaturgia europea che Cecchi dichiara di voler far “reagire” con il teatro popolare italiano.

È una «tragedia annegata nella farsa»503, intrinsecamente imperniata di grottesco, testo riadattato per le esigenze immediate della scena, quindi particolarmente teatrale e teatrabile. In esso la riflessione intellettuale lascia il posto alla satira anti-borghese. Il triangolo amoroso e il salotto casalingo persistono, ma già dal titolo, visibilmente allegorico, l‟autore ci informa che è tutta finzione. Siamo dentro ad un apologo, «fiaba morale in cui si possono introdurre a parlare animali o

500 Ibidem.

501 Cfr. Anna Barsotti, Futurismo e avanguardie nel teatro italiano fra le due guerre, Roma, Bulzoni,

1990.

502

Carlo Cecchi, cit. in Rita Cirio, L‟isola di Carlo, in «L‟Espresso», 11 ottobre 1992.

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cose»504, quindi un salotto sì, ma in un interno che è anche altro, zoo, fiera ecc. A prendere la parola non sono gli uomini ma, fuori d‟allegoria, il marcio della famiglia e della società sotto forma di mostriciattoli e sviliti, finti, sentimenti.

Febbraio 1976. Carlo Cecchi sta per concludere il suo ciclo più felice, una girandola di spettacoli strepitosi attraverso il nostro off off, case del popolo di località mai raggiunte dal teatro, salette di periferia. È il periodo delle audaci e aggressive letture di Majakovskij, Büchner, Brecht, ma anche della riproposizione di Petito e le sue farse. Ed ecco che Cecchi, perseguitando coerentemente una personale ricerca intorno alle potenzialità del teatro popolare italiano, dalla Commedia dell‟Arte al repertorio dialettale, affronta L‟uomo, la bestia e la virtù, un Pirandello particolare…505

Apprestandoci allora alla ricostruzione delle varie fasi ed edizioni dello spettacolo da parte del Granteatro; si comincerà contestualizzando il lavoro di teatralizzazione di Pirandello e l‟operazione che sulle pagine del testo attua Carlo Cecchi, essendo l‟elemento testuale quello meno mutevole nella storia scenica di uno spettacolo che in più di dodici anni di vita vedrà cambiare attori, contesto di riferimento, approccio registico.

«Un Pirandello particolare» – diceva Lucchesini – «una commedia che, ispirata alla novella Richiamo all‟obbligo (1906), sembra accostarsi più a Feydeau piuttosto che al primo teatro di ascendenza siciliana»506. Il soggetto del testo teatrale scritto tra il gennaio e il febbraio del 1919 e presentato con il titolo L‟uomo, la bestia e virtù è direttamente riconducibile alla novella del 1906; la sua riscrittura, l‟adattamento teatrale, denuncia un antefatto che ha il sapore dell‟aneddoto di teatro. Ci informa Alessandro d‟Amico, nell‟edizione critica sul teatro pirandelliano507

, che la commedia fu scritta dall‟autore per la compagnia del famoso attore Antonio Gandusio508; eccellente nel ruolo del “brillante”, Gandusio era avvezzo a rappresentazioni del grottesco509 contemporaneo di Chiarelli, di cui aveva già

504

Roberto De Monticelli, La maschera che non è nuda, in «Corriere della Sera», Milano, 1 aprile 1976.

505

Paolo Lucchesini, Che tragica farsa, in «La Nazione», Firenze, 31 dicembre 1987.

506 Ibidem.

507 Luigi Pirandello, Maschere Nude, a cura di Alessandro d‟Amico, Milano, Mondadori, 1993. 508 Antonio Gandusio, attore italiano classe 1875, si specializza nel ruolo del brillante: «La personalità

del Gandusio si andava via via delineando: attore d'altri tempi, egli riannodava i fili strappati di una tradizione perduta, rivendicando una anacronistica parentela con le antiche maschere della commedia dell'arte; una parentela che, prima ancora che nei modi, il G. portava impressa nella fisionomia. La bocca larga sorretta dalla quadrata mascella sporgente, le sopracciglia foltissime, il gesticolare a scatti con le mani aperte con il palmo rivolto all'insù, la testa incassata nelle spalle, erano infatti gli elementi inconfondibili di cui si componeva la sua "maschera".La voce, ora rauca, ora chioccia, ora stentorea, sempre buffamente stonata, completava il quadro»; Emanuela del Monaco, Voce: Antonio Gandusio, Enciclopedia Treccani.it; (Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 52, 1999).

509 Per maggiori riferimenti sul teatro del grottesco si rimanda a: Gigi Livio, Teatro grottesco del Novecento, Milano, Mursia, 1965; Anna Barsotti, Pier Maria Rosso di San Secondo, La Nuova Italia,

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interpretato La maschera e il volto e La scala di seta, e di Antonelli per L‟uomo che incontrò se stesso510. Legato da anni alla promessa di scrivere per l‟attore una commedia, Pirandello, impegnato sul finire degli anni Dieci in prestigiosi debutti, solo all‟inizio del 1919 metterà mano al progetto.

Il soggetto da cui trarre un grottesco adatto alla „maschera‟ Gandusio non andò neppure a cercarlo lontano. Aprì ancora una volta il volume di novelle intitolato Terzetti, alle pagine che contengono il IV „terzetto‟ – composto da tre moralità sul matrimonio: Non

è una cosa seria, Pensaci, Giacomino! e Richiamo all‟obbligo – e decise che anche

l‟ultimo racconto, come già era avvenuto per i primi due, poteva dar luogo a una commedia511.

Richiamo all‟obbligo, inserita nella raccolta Terzetti edita da Treves nel 1912 era già uscita in rivista su «Il Ventesimo» di Genova del 10 giugno 1906512. Dunque, prassi costante per il teatro di Pirandello, siamo dentro alla casistica di un testo letterario appositamente teatralizzato dal suo autore: come tante sue novelle anche questa infatti conteneva in nuce i presupposti necessari allo sviluppo di azioni teatrali, che per brevità – l‟azione si volge in meno di due giorni – e dinamismo permettevano di creare dei congegni scenici dal ritmo serrato. La commedia riprende fedelmente la fabula della novella:

Il Signor Paolino è in grande agitazione. Da tempo è divenuto il segreto amante della Signora Perella (madre di un ragazzo cui impartisce lezioni private) per consolarla della solitudine e dell‟abbandono in cui è lasciata dal marito, un brutale capitano di lungo corso, che s‟è fatto una seconda e illegittima famiglia in un altro porto. Senonché ora la Signora Perella ha confermato al Signor Paolino la temuta notizia: è incinta; e non certo di suo marito, che non s‟accosta più a lei da anni. Per evitare lo scandalo e il disonore della «virtuosa» Signora Perella c‟è un solo mezzo: che il capitano, il cui arrivo è annunciato per quella sera e che ripartirà il giorno seguente, non trascorra la notte barricato nella sua stanza com‟è solito fare, ma compia una volta tanto il suo dovere di marito. Il Signor Paolino, con l‟aiuto di due amici, un dottore e un farmacista, riesce a somministrare furtivamente al riottoso lupo di mare un afrodisiaco che sortirà il suo effetto. La virtù è salva, lo scandalo evitato, la morale trionfa513.

Il riferimento alla pochade francese, alla pièce bien fait è nella fabula certamente evidente, le cose cambiano nella trasposizione teatrale. Se la trama rimane inalterata il senso e la carica satirica del divertissement sono profondamente inaspriti e, attraverso il grottesco, colorati di scuro. Pirandello appone sulla sua novella la mascherina dell‟apologo, così anche il titolo muta e diventa allegorico: L‟uomo, la bestia e la virtù è cosa ben diversa di Richiamo all‟obbligo, titolo che

510

Cfr. Alessandro d‟Amico, Notizie – L‟uomo, la bestia e la virtù, in Luigi Pirandello, Maschere

Nude, voll 2, pp. 283-297.

511 Alessandro d‟Amico, Notizie – L‟uomo, la bestia e la virtù, cit., p. 286. 512 Cfr. Ibidem.

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peraltro riporta alla memoria la commedia eduardiana Ho fatto il guaio? Riparerò! del 1922, meglio conosciuta con il titolo di Uomo e galantuomo.

È attraverso questa struttura particolarmente cara all‟oralità popolare che l‟umorismo sottile della novella si trasforma in farsa tragica connotata da satira di costume. Il riferimento alla natura dell‟apologo («apologo in tre atti» è l‟avvertenza che Pirandello aggiunge nell‟edizione del 1922514

) può essere colta dall‟esame delle didascalie515, come sempre nell‟autore molto dettagliate, che a proposito dei personaggi fanno riferimento a fattezze animali: Nonò, il figlio della Signora Perella, è accostato a un «simpatico gatto», Rosaria, governante in casa del Signor Paolino, somiglia a una «vecchia gallina», Totò il farmacista rimanda a una «volpe contrita», i due studenti ai quali il Professore Paolino dà ripetizioni ricordano un «capro nero» ed uno «scimmione con gli occhiali», Grazia, cameriera di casa Perella, ha la «faccia cavallina», il Capitano è un «cinghiale setoloso» o un «maialone» e la Signora «apre la bocca come un pesce»; solo il Professor Paolino, il personaggio umano della commedia, non è accostato al mondo animalesco, ma è ambiguamente definito «trasparente». Pirandello riserva a lui il giudizio più amaro, questa sua trasparenza, che sarebbe letta oggi come trasformismo mirato al tornaconto personale, nell‟intreccio della pièce gli consente di mantenere un ruolo da burattinaio su tutti gli altri personaggi.

L‟autore nasconde così la bassezza morale del personaggio dietro lo schermo trasparente della cultura, grande valore borghese; allo stesso modo l‟immoralità è contemplata in quel trionfo ipocrita di una Virtù più baldracca che madonna. In una lettera di Pirandello indirizzata a Gandusio l‟autore dà, a conferma dello slittamento appena tracciato, una sagace definizione della sua commedia; egli scrive: «deve avere una faccia da baldracca questa commedia»516. “Commedia con faccia da baldracca” pare essere un monito tenuto a mente da Carlo Cecchi nella sua lettura scenica.

514

Cfr. Alessandro d‟Amico, Notizie – L‟uomo, la bestia e la virtù, p. 270.

515 Importanti riferimenti sul fronte della didascalia pirandelliana sono costituiti dagli studi di

Giovanni Macchia, tra cui Giovanni Macchia, Pirandello o La stanza della tortura, Milano, Mondadori, 1982, e dal recente lavoro di Carlo Titomanlio, Dalla parola all'azione: forme della didascalia drammaturgica (1900-1930), Pisa, ETS, 2012.

516 Lettera di Pirandello a Gandusio del 22 febbraio 1919, riportata da Alessandro d‟Amico, Notizie – L‟uomo, la bestia e la virtù, cit., p. 289.

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Ma rimaniamo sul testo; in rapporto alle modifiche accorse tra la novella e il testo teatrale d‟Amico individua delle aggiunte di «episodi francamente teatrali»517

; Pirandello apporterà modifiche al testo anche durante il periodo delle prove di Gandusio. Primo atto: scena della lezione privata ai due studenti (I,3 – I,4 e relative occorrenze), arrivo della Signora Perella “boccheggiante” (I,5), per l‟intero corso della commedia dalla quinta scena del primo atto in poi tutte le intromissioni comiche del bambino diabolico. Secondo atto: vestizione e trucco della Signora Perella da parte di Paolino che la trasforma in “baldracca” per provocare il marito (II, 5), la scena estremamente costruita della cena (II,6), scena detta dell‟annunciazione (II,8). Terzo atto: allusioni alle violenze sessuali del Capitano sulla cameriera Grazia (III,1), esposizione dei cinque vasi di fiori (III,4). Risultano insomma aggiunte ex novo dal Pirandello drammaturgo e poeta di compagnia, da quel Pirandello sempre più interessato alla regia, tutte quelle scene in cui l‟azione degli attori è più vivace e articolata. L‟autore non si limita a suggerire le azioni ma arriva a fissarle in dettagliatissime didascalie.

Pirandello segue le prove dello spettacolo di Gandusio con molta apprensione. Il debutto è più volte rimandato: la paura dell‟autore, e quella dell‟attore, è che il pungolo velenoso della commedia, la sua satira intensa nei confronti della famiglia, fosse troppo estremo e quasi offensivo per il pubblico delle grandi piazze teatrali di inizio secolo, in tutto e per tutto borghese. Non incidendo fino in fondo su una recitazione grottesca, Gandusio fece scivolare la rappresentazione in un comico sagace di cattivo gusto. Il 2 maggio 1919 la pièce debuttò all‟Olympia di Milano. Fu un disastro. La messinscena del ‟19 e soprattutto le prove di Gandusio furono però molto importanti per le riflessioni critiche del drammaturgo; Pirandello, in corrispondenza col figlio Stefano, propone delle line interpretative molto interessanti, tutte, peraltro, poco inclini al compromesso col pubblico borghese ma attente a non perdere lo spirito tagliente e per nulla consolatorio dell‟apologo.

Per esempio, per rendere incontrovertibile la recitazione grottesca degli attori, per non lasciare spazio a scivolamenti naturalistici, Pirandello pensò che fosse necessario utilizzare delle maschere (sull‟argomento torneremo). Inoltre secondo la sua opinione la scena cardine di tutta la vicenda, quella alla quale l‟autore teneva di più, si rivelò essere quella della “vestizione”, della trasformazione della Virtù in

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baldracca, scena metateatrale che attraverso il mascheramento smascherava, per l‟unica volta all‟interno della scena, la vera natura dei fatti. Nel 1926 lo stesso autore curò una propria regia dell‟opera con la compagnia Teatro d‟Arte, la Signora Perella era affidata a Marta Abba e gli attori portavano appunto delle maschere. Fu un successo. Da allora la commedia andò incontro a discreta fortuna e fu spesso riproposta in Italia e all‟estero. L‟elenco dei soli teatranti italiani che vi si misurarono è lungo: da Peppino De Filippo a Luciano Lucignani, da Corrado Pavolini a Giancarlo Zagni, da Paolo Giuranna alla rappresentazione di Cecchi, alla quasi contemporanea edizione di Fenoglio, fino a quelle di Squarzina e di Lavia518.

Concentrandoci sul lavoro di Carlo Cecchi sul testo di Pirandello ci accorgiamo che lo spettacolo, dal punto di vista del dialogo, rimane piuttosto rispettoso del testo; i tagli sono minimi e tendono anzi a concentrare l‟attenzione su quelle parti smaccatamente teatrali che lo stesso Pirandello considerava fondamentali: «La messinscena di Cecchi de L‟uomo, la bestia e la virtù nasce dall‟interpretazione del testo scritto e dalla massima fedeltà possibile ad esso, che non esclude naturalmente altre letture e altre fedeltà»519.

Cecchi agisce nel senso di una lettura “teatrale” – con diverse riflessioni metateatrali – di questa drammaturgia pirandelliana. Tenderà dunque a privilegiare alcuni tratti del testo scritto che spingono verso la teatralità e a soffocarne altri. Così Cecchi nelle note di regia: «Lo spettacolo è la rappresentazione del testo di Pirandello. I tagli sono minimi (inizio del secondo atto)»520. Ed è effettivamente vero; il testo, fatta eccezione per il taglio dichiarato dal regista, viene giusto assottigliato con l‟eliminazione dei discorsi più divagatori521

. Il primo atto è riproposto quasi integralmente, con qualche potatura nella scena quarta dove il dialogo con gli studenti è sfrondato per rendere l‟azione più agita e meno parlata, più comica.

Dell‟atto secondo sono estromesse completamente le prime due scene e la terza, quasi dimezzata, diventa la scena iniziale dopo l‟intervallo, nello spettacolo di Cecchi posizionato tra primo e secondo atto per permettere il cambio di scena:

518

Cfr. Alessandro d‟Amico, Notizie – L‟uomo, la bestia e la virtù, cit., p. 287-288.

519 Franca Angelini, Su un teatro «teatrale», cit., p. 118. 520

Carlo Cecchi cit. in L‟uomo, la bestia e la virtù, di L. Pirandello, programma di sala, Firenze,