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Il quadro legislativo giordano attuato in risposta all’afflusso dei rifugiati sirian

Grafico 3: Numero di siriani nei governatorati con campi profugh

3.3 La Giordania rispetta il principio di non-refoulement? Il caso dei palestinesi sirian

Prima del conflitto siriano circa 520.000 rifugiati palestinesi risiedevano in Siria: alcuni vivevano nei campi profughi, altri nelle città e nei villaggi siriani dove potevano godere di molti degli stessi diritti dei cittadini siriani, incluso l’accesso ai servizi pubblici.202 Prima del 2011 il governo siriano garantiva loro l’accesso

all’educazione superiore e al mercato del lavoro senza discriminazioni, per questo risultavano ben integrati a livello socio-economico.203 L’unica differenza tra i

siriani e i palestinesi era che questi ultimi, non avendo la cittadinanza siriana, non potevano essere proprietari di terreni agricoli; questo provvedimento mirava a rispettare e tenere viva l’idea del loro diritto al ritorno.204 I palestinesi giunsero in

Siria in seguito a diversi avvenimenti storici: secondo l’UNRWA la stragrande maggioranza di questi rifugiati arrivò in Siria nel 1948, giungendo dal nord della Palestina; successivamente, altri 100.000 sarebbero arrivati in risposta all’occupazione israeliana delle alture del Golan; qualche migliaio si ritirò in Siria dopo gli eventi occorsi nel settembre 1970 in Giordania, ricordato come “Settembre Nero”; infine, l’ultima ondata di palestinesi si è verificata nel 1982 a seguito dell’invasione israeliana del Libano.205 Sebbene solo i palestinesi arrivati

nel 1948 e i loro discendenti fossero stati registrati dall’UNRWA, tutti, indipendentemente dal loro status legale, fornivano i propri dati per accedere agli aiuti di base di quest’agenzia.206 Il conflitto siriano, iniziato nel 2011, ha

letteralmente sancito l’apolidia di questi palestinesi che hanno perso qualsiasi forma di protezione accordata dallo Stato siriano e almeno 70.000 sono stati costretti a chiedere asilo presso le nazioni vicine.207 Gli scontri tra le parti in

conflitto, nonché i bombardamenti dell’aviazione governativa, si sono concentrati in particolar modo negli agglomerati urbani delle grandi città che erano le principali zone abitate dalla popolazione palestinese.208 In qualunque

paese arabo questi palestinesi vengano accolti, le politiche di ricezione nei loro

202 Human Rights Watch 2014, p. 9. 203 Doraï 2015.

204 Al-Husseini e Doraï 2013, p. 99. 205 Human Rights Watch 2014, p. 9. 206 SNAP 2014, p. 5.

207 Doraï 2015.

83 confronti sono diverse ma accomunate dal fatto di riservare loro un trattamento distinto, giustificato sempre dal pretesto di preservare l’idea del diritto al ritorno: questo atteggiamento è definito “discriminazione positiva”.209

La posizione della Giordania di fronte ai rifugiati palestinesi provenienti dalla Siria appare paradossale. Principale paese d’accoglienza dei rifugiati palestinesi e unico paese arabo ad aver loro accordato la cittadinanza di massa nel 1949 al fine di favorire il loro inserimento socio-economico, la Giordania si è opposta all’entrata di questi a partire dall’aprile 2012, sebbene l’annuncio ufficiale che ha decretato questa decisione sia giunto solo a gennaio 2013.210 Le motivazioni di una

presa di posizione così ambigua riguardano principalmente la sicurezza del paese che, secondo le dichiarazioni del governo, sarebbe influenzata negativamente da uno squilibrio demografico laddove molti palestinesi, non avendo altra scelta che risiedere stabilmente in Giordania, amplierebbero la popolazione di origine palestinese.

Le restrizioni così sancite dalla monarchia hashemita si applicano nei confronti di due categorie di palestinesi: quelli con documenti siriani e quelli residenti in Siria ma che detengono documenti d’identità giordani quali il daftar

al-‘āylah, tradotto dalla letteratura specializzata come “libro di famiglia”211, il

certificato di nascita e il passaporto. In questa seconda categoria figurano, in particolar modo, i discendenti di molti palestinesi che acquisirono la cittadinanza giordana e che fuggirono in Siria a seguito degli eventi del settembre 1970. I palestinesi intercettati dalle autorità sul suolo giordano sono sistematicamente deportati a Cyber City, una struttura detentiva che possono abbandonare solo per tornare in Siria. Stando alle fonti, essi non possono usufruire del bailout. In altre parole, nonostante i pericoli da cui fuggono palestinesi e siriani siano gli stessi, con i primi è stato adottato un atteggiamento differente che intensifica la loro vulnerabilità e li pone costantemente a rischio refoulement.

209 Ivi, p. 101.

210 Human Rights Watch 2014, p. 12.

211 Il daftar al-‘āylah è un documento d’identità utilizzato in tutto il Medio Oriente e Nord Africa comprovante l’esistenza di un nucleo familiare. Esso contiene le foto e le informazioni del marito e della moglie, dei figli e di eventuali persone a carico ed è considerato il documento più diffuso per dimostrare l’identità dei bambini.

Benché la Giordania non abbia aderito alla Convenzione di Ginevra e al Protocollo aggiuntivo essa risulta vincolata al principio del non-refoulement, primo luogo perché questo ha ormai acquisito un carattere perentorio nel internazionale, vale a dire che è diventata una norma così fondamentale da essere rispettata da tutti gli Stati indipendentemente dalla loro in aggiunta, il Regno Hashemita ha volontariamente aderito a diversi internazionali che ribadiscono il seguente concetto, oltre che aver firmato il con l’UNHCR in cui si impegna a rispettare questa norma.

Il principio del non-refoulement è stato ufficialmente sancito dall’Articolo 33 della Convenzione di Ginevra del 1951 che lo definisce quale divieto di espellere o respingere un rifugiato e ne spiega i limiti di applicabilità:

«Art. 33 (1): Nessun paese firmatario potrà in alcun modo espellere o respingere (“refouler”) un rifugiato alle frontiere di territori ove la sua vita o libertà sarebbe minacciata a causa della sua razza, religione, nazionalità, appartenenza a un determinato gruppo sociale o opinione politica.»

«Art. 33 (2): Il beneficio della presente disposizione non può, tuttavia, essere rivendicato da un rifugiato verso il quale esistono motivi fondati per considerarlo un pericolo per la sicurezza del paese in cui si trova o che, essendo stato condannato con una sentenza definitiva per un reato particolarmente grave, costituisce un pericolo per la comunità di quel paese.»213

Ferma restando la non adesione alla Convenzione di Ginevra, il MoU del 1998 all’Articolo 2, comma 1, decreta che al fine di salvaguardare l’istituto dell’asilo in Giordania

«Art. 2 (1): il principio di non-refoulement deve essere rispettato cosicché nessun rifugiato richiedente asilo in Giordania verrà respinto in un paese dove la sua vita o libertà possa essere minacciata a causa della sua razza, religione, nazionalità, appartenenza ad un determinato gruppo sociale o opinione politica.»214

Quello che si nota esaminando questo documento è che il rispetto di questa o quella norma da parte del governo giordano deve essere finalizzato a permettere il normale svolgimento del mandato dell’UNHCR, consistente nella protezione delle persone che ricadono sotto la sua missione. Ma, com’è stato anticipato nel capitolo precedente215, la popolazione palestinese riceve la

212 Human Rights Watch 2014, p.35. 213 UNHCR 1951.

214 UNHCR 1998. 215 Supra, p. 48.

85 protezione di un’altra agenzia che è l’UNRWA. Questo, probabilmente, può spiegare la posizione irremovibile della Giordania verso i palestinesi? Da un punto di vista teorico probabilmente sì, ma la realtà è distante da questa ipotesi. Fondamentalmente vi sono delle lacune nell’esercizio della protezione accordata ai palestinesi: infatti i palestinesi siriani già registrati con l’UNRWA in Siria non possono registrarsi nuovamente con l’UNRWA in Giordania che, difatti, si limita solo a “prendere nota” di essi classificandoli come PRS in forza del loro diritto a tornare in Siria una volta che il conflitto si concluderà.216 In Giordania vi sono

circa 12.500 PRS di cui l’UNRWA ha “preso nota” anche sebbene sia ancora da verificare quale sia il numero effettivo considerando che, per paura di essere deportati, essi evitano di comunicare la loro presenza.217 Allora a chi spetta

proteggere questo particolare gruppo di rifugiati? È evidente che i palestinesi sono rimasti bloccati nel limbo della politica regionale e dei punti ciechi della politica internazionale che li ha resi il gruppo più vulnerabile in Medio Oriente.218

Le politiche adottate nei confronti dei palestinesi variano da uno Stato all’altro per cui, ad esempio, in Libano i PRS sono ammessi previo ottenimento di un visto valido per quindici giorni trascorsi i quali possono rinnovarlo per ulteriori tre mesi senza alcun pagamento; in Turchia ricadono, invece, sotto il mandato dell’UNHCR poiché l’UNRWA non opera in questo Stato e godono dello stesso identico trattamento riservato ai siriani.219 Il gesto della Giordania appare, allora,

l’esempio più singolare e più ostile della regione e nonostante le basi su cui poggia questo rifiuto siano comprensibili, resta il fatto che essa così facendo sta contravvenendo ai suoi obblighi internazionali.

Andando oltre la sola analisi del MoU, il Regno Hashemita ha aderito a un numero non irrilevante di convenzioni contenenti l’obbligo di rispettare il non-

refoulement. In primo luogo, la Giordania fa parte dell’UNHCR ExCom, la

Commissione Esecutiva dell’UNHCR, che nel 1981 si è pronunciata sulla protezione dei richiedenti asilo in caso di afflusso su larga scala con la conclusione numero 22: 216 Akram 2014, p. 69. 217 Ibidem. 218 Hassan 2014. 219 SNAP 2013, p. 5.

«Par. II (A-1): In situazioni di afflusso su larga scala, i richiedenti asilo devono essere ammessi nel primo Stato in cui cercano rifugio e se quello Stato non è in grado di ammetterli su base permanente, esso deve sempre ammetterli almeno su base temporanea e fornire loro protezione (…). Essi devono essere ammessi senza alcuna discriminazione di razza, religione, opinione politica, nazionalità, paese di origine o incapacità fisica.»

«Par. II (A-2): In ogni caso il principio fondamentale del non-refoulement – incluso il non-rifiuto alla frontiera – deve essere scrupolosamente osservato.»220

Successivamente ha ratificato la Convenzione contro la tortura (CAT) del 1984 che così afferma:

«Art. 3 (1): Nessuno Stato espelle, respinge o estrada una persona verso un altro Stato qualora vi siano serie ragioni di credere che in tale Stato essa rischia di essere sottoposta a tortura.»221

La Giordania ha aderito alla Convenzione Internazionale sui Diritti Civili e Politici (ICCPR) il cui commento generale numero 20 del 1992 riporta:

«9. Secondo il parere della Commissione, gli Stati parte [della Convenzione] non devono esporre i singoli individui al pericolo della tortura o di trattamenti crudeli, inumani o degradanti o di pene al momento della restituzione ad un altro paese effettuata tramite estradizione, espulsione o refoulement.»222

Lo stesso principio è stato riaffermato nel commento generale numero 31 del 2004.

In questa analisi è ancora più interessante notare che la monarchia hashemita ha ratificato due ulteriori documenti, anch’essi contenenti la proibizione del refoulement, che specificano chiaramente in quali circostanze il respingimento sia totalmente da escludere. Si tratta della Carta Araba dei Diritti Umani del 2004 e della Convenzione sui Diritti del Fanciullo del 1989. La prima, promulgata dalla Lega degli Stati arabi, asserisce:

«Art. 26 (2): Nessuno Stato parte può espellere una persona che non possiede la nazionalità di quello Stato ma è legalmente nei suoi territori, se non in virtù di una decisione raggiunta in conformità alla legge e dopo che a quella persona è

220 UNHCR 1981.

221 UN General Assembly 1984.

87

stato permesso di presentare un ricorso alle autorità competenti […]. L’espulsione di massa è proibita sotto ogni circostanza.»223

L’importanza dell’Articolo 26 comma 2 è racchiusa nella frase finale che proibisce l’espulsione collettiva, cosa che invece sta avendo luogo in Giordania nei confronti dei PRS. Le dichiarazioni del Primo Ministro ‘Abdallāh al-Nasūr, rilasciate nel gennaio 2013 per rendere pubblica la nuova linea politica in materia di rifugiati, riportavano espressamente che «la Giordania ha preso una decisione sovrana, chiara ed esplicita di non consentire l’entrata in Giordania dei nostri fratelli palestinesi in possesso di documenti siriani».224 La realtà si è poi

dimostrata ancor più grave poiché le restrizioni hanno colpito anche i palestinesi con documenti giordani. È emerso, infatti, che molti discendenti dei combattenti dell’OLP che fuggirono dalla Giordania nel 1970 si sono visti revocare i documenti giordani ormai scaduti, senza possibilità di rinnovarli. La monarchia non ha dichiarato che tale decisione sia legata a questo ricordo storico; in ogni caso questa motivazione sarebbe fuori luogo poiché non si può addossare la responsabilità di azioni commesse più di quarant’anni fa ai discendenti di coloro che si ribellarono all’esercito governativo giordano. Sia che abbia una causa storica o che sia legato alla sicurezza interna del paese, ciò che sta accadendo su questo versante in Giordania sembra avere tutti i connotati di un’espulsione di massa.

Per quanto concerne la Convenzione sui Diritti del Fanciullo, il commento generale numero 6 del 2005, inerente il trattamento dei bambini non accompagnati al di fuori del loro paese di origine, sostiene:

«26. Nel fornire un adeguato trattamento ai bambini non accompagnati o separati, gli Stati devono pienamente rispettare gli obblighi di non-refoulement derivanti dai diritti umani internazionali, dal diritto umanitario e dei rifugiati e, in particolare, deve rispettare gli obblighi codificati nell’Art. 33 della Convenzione del 1951 e nell’Art. 3 del CAT.»

«27. […] gli Stati non devono rinviare un bambino in un paese dove vi siano validi motivi per ritenere che vi sia un rischio reale di danno irreparabile per il bambino […]»

«84. Il ritorno nel paese di origine non è un’opzione se questo dovesse condurre ad un “rischio considerevole” che tale ritorno comporterebbe la violazione dei

223 Ǧām‘at al-duwal al-‘arabiyyah 2004. 224 Al-Samadi 2013.

diritti umani fondamentali del bambino e, in particolare, se si applica il principio di non-refoulement […]»225

Alla luce di queste norme, cui la Giordania è legata ed è quindi tenuta a rispettare, il comportamento del governo risulta ingiustificabile, poiché il respingimento e l’espulsione agiscono indistintamente contro adulti e bambini. È emerso, infatti, che gli ufficiali giordani abbiano fatto irruzione nelle scuole pubbliche per arrestare ed allontanare i bambini palestinesi arrivati dalla Siria e che gli elementi più vulnerabili, quali le donne e i minorenni non accompagnati, siano anch’essi vittime di deportazione e refoulement.226