• Non ci sono risultati.

Proteggere i rifugiati: strumenti internazionali e risposte regional

2.4 La responsabilità dell’UNHCR

L’UNHCR – l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati – fu creato nel 1950 con lo scopo di proteggere e trovare soluzioni durature per i rifugiati risultanti dalla Seconda Guerra Mondiale e, come l’UNRWA, è un’agenzia cui era stato affidato un mandato temporaneo, ma rinnovabile, della durata di tre anni.125

Quest’agenzia nacque dalle ceneri di due organizzazioni che si erano succedute negli anni precedenti: l’UNRRA a cui, poi, seguì l’IRO. Quest’ultima fu creata nel 1947 dalle potenze occidentali che miravano principalmente a risolvere due questioni interconnesse: reinsediare i rifugiati restanti, che potenzialmente potevano destabilizzare l’economia europea che tentava di risollevarsi dalla guerra, e “internazionalizzare” il problema dei rifugiati attraverso una redistribuzione di questi in altri continenti.126 Quando l’IRO si rivelò

eccessivamente esoso e impossibilitato a rilocare un alto numero di persone che vivevano ancora in accampamenti sparsi in giro per l’Europa alla fine degli anni Quaranta, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite si riunì per discuterne la sostituzione con un una nuova agenzia, l’Alto Commissariato, eletta per servire funzioni divergenti dalle intenzioni del suo antesignano e destinata a escludere gli sfollati interni dal suo mandato. Lo Statuto di quest’agenzia fu elaborato sul

123 Suhrke 1995, p. 459. 124 Al-Madmad 2008, p. 60. 125 Betts 2012, p. 121. 126 Betts et al. 2012, p. 12.

55 finire del 1950 ed esplicitava che la sua missione si sarebbe espletata sui rifugiati, già definiti con la stessa formula presente nella Convenzione che fu promulgata poco dopo. In altre parole lo Statuto indicava, implicitamente, che il campo d’azione dell’UNHCR sarebbe stato l’Europa e, esplicitamente, di essere connesso alla Convenzione del 1951.127 I conflitti avvenuti in epoca posteriore e il doloroso

processo di decolonizzazione che stava avendo luogo nel continente africano, resero necessario l’ampliamento del mandato.

L’idea di tutelare anche coloro che furono automaticamente esclusi dall’ambito geografico della Convenzione sullo Status dei Rifugiati è da attribuire all’UNHCR che, consapevole di ciò, avviò un processo conclusosi con la revisione della Convenzione, nella forma del Protocollo del 1967.128 L’UNHCR avviò la sua

azione di protezione dei rifugiati partendo da uno staff di 33 persone e un budget di 30.000 dollari; quella che doveva essere un’agenzia temporanea ha compiuto 64 anni nel 2015, conta al suo interno 7.190 dipendenti e ha un fondo di due miliardi di dollari l’anno, elargito prevalentemente da donatori occidentali che hanno una considerevole influenza sul mandato dell’agenzia e sul suo approccio operazionale.129 La relazione che intercorre tra l’UNHCR e gli Stati che ospitano

rifugiati, e la divisione delle responsabilità sono cambiate nel tempo e differiscono notevolmente da nazione a nazione. Generalmente, l’UNHCR e altre organizzazioni umanitarie hanno rivestito un ruolo primario nel coordinare i lavori di supporto ai rifugiati, laddove i paesi coinvolti si sono limitati a rispettare il principio di non-refoulement e a prestare sicurezza ai rifugiati. In un simile contesto è accaduto che la nozione di “responsabilità dello Stato”, che si può manifestare come obbligo dello Stato a garantire assistenza sociale ai rifugiati dentro il suo territorio, si è indebolita, lasciando all’UNHCR e ai suoi partner umanitari una più ampia gamma di competenze nei paesi firmatari quanto in quelli che non hanno aderito al sistema internazionale per la protezione dei rifugiati. Sotto quest’aspetto si può sostenere che l’UNHCR è passata dall’essere un’organizzazione umanitaria, a una che è partecipe delle stesse caratteristiche di uno Stato.130 Non è un caso se gli studi in materia ne parlino spesso come “Stato

127 Betts 2012, p. 121. 128 Feller 2001, p. 132. 129 Iaria 2013, p. 108.

Surrogato”. Questa percezione è spiegata dal fatto che l’organizzazione possiede, in fin dei conti, gli stessi strumenti di uno Stato: territorio (campi profughi), cittadini (rifugiati), servizi pubblici (educazione, assistenza sanitaria, acqua, servizi igienici…) e persino ideologia (partecipazione della comunità, parità dei sessi).131

Come è stato argomentato, molti Stati musulmani non hanno aderito né alla Convenzione né al Protocollo e pochi di questi, nella regione mediorientale, hanno adottato legislazioni nazionali in materia di rifugiati o hanno attuato processi per esaminare le richieste d’asilo. Eppure, anche le nazioni che non si sono uniformate a quello strumento universale, beneficiano dell’aiuto dell’UNHCR che si occupa della registrazione, documentazione e determinazione dello status di rifugiato, così come di offrire assistenza e cercare soluzioni durature.132 Nello specifico, il Medio Oriente è peculiare giacché produce un alto

numero di rifugiati, a causa dei conflitti che hanno luogo all’interno di una nazione o tra nazioni diverse ma, parallelamente, si attesta come regione che ospita un numero altrettanto significativo di persone che chiedono protezione. Storicamente, però, questi paesi hanno fatto poco o niente per adempiere ai loro obblighi e promulgare legislazioni domestiche, tanto che sotto questi termini il Medio Oriente risulta di gran lunga meno sviluppato rispetto all’Africa sub- Sahariana.133 Ruben Zaiotti, esaminando l’avanzamento delle politiche in materia

di rifugiati nella regione, ha scritto:

«(…) nel corso della loro storia recente gli Stati del Medio Oriente non hanno prestato molta attenzione alle migrazioni forzate. A parte il caso dei palestinesi, la questione ha mantenuto un basso profilo nelle loro agende politiche. Nessun provvedimento formale è stato progettato per regolare lo status dei rifugiati (…) Di conseguenza, i rifugiati hanno goduto di garanzie e protezione minime.»134

Il Medio Oriente è privo di qualsiasi politica sui rifugiati. Un documento che avrebbe potuto essere un punto di inizio per l’istituzione di un regime regionale a protezione dei rifugiati fu la Convenzione Araba sulla Regolamentazione dello Status

dei Rifugiati nei Paesi Arabi del 1994 che non fu mai ratificata.135 Il sistema che viene

131 Ivi, p. 8. 132 Stevens 2014, p.82. 133 Kagan 2011, p. 8. 134 Zaiotti 2006, p.334. 135 Supra, p. 53.

57 messo in atto per i rifugiati in questa regione non rientra nello spettro del pensiero tradizionale della legge internazionale, poiché qui si verifica un palese trasferimento della responsabilità che dallo Stato passa all’agenzia ONU. Per essere precisi, con l’eccezione di Libano, Yemen e Iraq post-Saddam, dove i governi centrali sono molto deboli, è probabilmente un errore dedurre che i restanti governi arabi non siano capaci di gestire la politica dei rifugiati per conto proprio; tutt’altro che incapaci, questi paesi sono, piuttosto, riluttanti.136 Una

lezione imparata da quei primi giorni che videro l’instaurarsi dell’UNRWA in Medio Oriente è che il passaggio di responsabilità offre benefici politici agli Stati ospitanti e, in più, consente il trasferimento degli oneri di modo che non gravino sulle casse dello Stato. In aggiunta, la decisione di non assumersi l’intera responsabilità ha permesso di non scontrarsi direttamente con la sensibilità politica dei cittadini di quel dato Stato. Il fatto che i rifugiati nel mondo arabo giungano da altri paesi della Lega Araba, costituisce un problema per i paesi ospitanti che non vogliono accusare di persecuzione i vicini capi di Stato. Lasciare questo compito all’UNHCR e descrivere la presenza dei rifugiati come temporanea non sono altro che espedienti.137 Il clima in Medio Oriente suggerisce che i governi

arabi acconsentano alla presenza di rifugiati nei loro territori, solo a condizione che la responsabilità per il loro sostentamento e la loro dipartita dal paese siano assegnate a un organismo internazionale.138

Un argomento altrettanto importante e spigoloso, connesso al passaggio di responsabilità, riguarda le possibilità di impiego dei rifugiati. L’emissione di documenti di identità e di permessi di soggiorno, attività fatta su base giornaliera in molti paesi arabi, non apre automaticamente strade legali per ottenere un impiego e procurarsi un permesso di lavoro è pressoché impossibile. Limitare fortemente il diritto dei rifugiati a svolgere un lavoro legale e retribuito non fa che imporre oneri aggiuntivi sui programmi di assistenza nutrizionale e monetaria e riduce le prospettive di integrazione con la comunità locale. Questo ragionamento assume una logica secondo gli occhi dei governi ospitanti: se i rifugiati assumessero la capacità di auto-sostenersi ciò sarebbe l’indicatore di una

136 Kagan 2011, p. 9. 137 Grabska 2008, p. 77. 138 Kagan 2011, p. 13.

loro possibile integrazione, osteggiata duramente dai paesi che li accolgono, il cui principale fine è far sì che tutta la comunità internazionale condivida i costi di questo “fardello”. Considerando che la retorica sulla presenza di rifugiati costituisce una fonte per la ricezione di risorse, è chiaro che i paesi accoglienti siano incentivati a rendere tali persone vulnerabili. L’UNHCR riceve finanziamenti da governi, fondazioni e donatori privati ma con la crisi siriana che dura da più di quattro anni, l’ascesa dello Stato Islamico, la guerra civile in Yemen e altre situazioni di emergenza nel mondo, gli aiuti ricevuti si rivelano insufficienti a tal punto da non raggiungere l’obiettivo previsto ogni anno. Certamente, il comportamento utilitarista dei paesi che ospitano rifugiati non è d’aiuto.

Il trasferimento di responsabilità è un mezzo attraverso cui gli Stati del global

south tentano di redistribuire tra gli Stati del nord gli oneri derivanti

dall’accoglienza dei rifugiati, sebbene non esista ancora un sistema formale attraverso cui realizzare questo intento. L’UNHCR, tra i vari incarichi, ha anche quello di sopperire all’assenza di tale sistema. Il trasferimento aiuta le nazioni che politicamente non potrebbero accettare una totale integrazione dei rifugiati, a tollerare la loro prolungata permanenza e a non dover prendere decisioni chiave che potrebbero ledere i rapporti con le nazioni adiacenti. Perché il passaggio di responsabilità abbia risultati vantaggiosi, Kagan suggerisce di spostare il discorso sulla distinzione tra libertà negative – libertà da – e libertà positive – libertà di – che segue la concezione classica di Isaiah Berlin: lo Stato sarebbe incaricato di proteggere le libertà negative, fondate sulla restrizione del potere statale, tenuto a rispettare dei limiti al fine di non interferire sulle azioni individuali; all’UNHCR, invece, spetterebbe la responsabilità sulle altre tipologie di libertà, la salvaguardia dei diritti sociali ed economici (assistenza sanitaria, educazione…).139

Adottare una linea di demarcazione tra responsabilità che fanno capo a due attori ben distinti avrebbe un’ulteriore fondamentale efficacia: attribuire un eventuale fallimento all’attore incaricato di tutelare quei diritti e libertà che risultano essere violati. Rispondere ai massicci flussi migratori che oggi si verificano nel mondo non è un lavoro semplice e veloce, perché i rifugiati da proteggere sono

59 nell’ordine delle migliaia e, inoltre, le soluzioni devono confarsi a considerazioni di natura politica, geopolitica ed economica del paese ospitante. Quest’assunzione è valida, ormai, anche per i paesi arabo-musulmani dove la cultura tradizionale dell’accoglienza diventa irrilevante di fronte ai fattori sopra elencati. 140 Anche la

Giordania non è esente da questo quadro e le sue scelte, oltre che dagli elementi nominati, sono influenzate dalle difficili condizioni socio-economiche. Alla luce di queste considerazioni, è bene far luce sulla posizione rivestita dall’UNHCR in questo paese, che registra il più alto numero di rifugiati al mondo in rapporto alla popolazione nazionale.141