L’INFORMAZIONE NEL SISTEMA ECONOMICO: IL RUOLO DEL GIORNALISTA ED I “REAT
6. Le regole dell’informazione finanziaria.
6.1 Giornalismo ed informazione economica.
segnali validi per le decisioni economiche. Per raggiungere tali obiettivi, è necessario che le notizie oltre ad essere corrette, raggiungano il pubblico attraverso un linguaggio giornalistico chiaro e semplice e in grado di orientare gli investitori nelle loro scelte; tutto ciò nel rispetto dei concetti economici fondamentali, comunicando, dunque, “senza alterazioni e omissioni che ne alterino il vero
significato, le informazioni di cui si dispone”, così come previsto nella
Carta dei doveri dell’informazione economica e finanziaria in vigore dal 1993.
Perché tutto ciò possa realizzarsi, sarebbe, tuttavia, necessario che la stampa agisse in maniera indipendente e slegata dalle proprietà e, quindi, non soggetta alle pressioni dei poteri forti.
6.1 Giornalismo ed informazione economica.
L’informazione finanziaria, come si è visto, svolge una funzione essenziale al servizio della trasparenza del mercato e della tutela del risparmio.
Fino agli inizi degli anni ’70 il giornalismo economico era di competenza di una stampa specializzata: se ne occupavano, infatti, solamente quattro testate99. Pochi anni più tardi questo particolare settore dell’informazione fu, invece, stabilmente inserito nelle pagine
99 “Il sole” e “24 ore” (poi diventati entrambi di proprietà della Confindustria e fusi
187 di altri quotidiani, quali ad esempio il “Corriere della sera” e “laRepubblica”.
Per i giornalisti che si occupano di economia e finanza si pone, quindi, in maniera ancora più significativa il problema della responsabilità degli stessi rispetto alle notizie trasmesse, in quanto queste ultime possono influire sulle scelte degli investitori. Spesso, infatti, sui giornali di settore o all’interno di pagine economiche dei quotidiani cosiddetti generalisti, si leggono termini quali “outperfom”, “overweight”, “neutral” o report dedicati a “telecomunicazioni”, “energia”, “utilities”; indicazioni che in quanto supportate dal prestigio della testata giornalistica o del buon nome del giornalista sono dotate di una carica potenziale persuasiva molto pericolosa.
La dottrina stessa commentando il previgente art. 5 della L. n. 157/91, laddove prevedeva una ipotesi di circostanza aggravante qualora il fatto fosse stato compiuto con la stampa o con altri mezzi di comunicazione di massa, affermava che la norma doveva essere considerata non come un bavaglio alla libertà di stampa ma al richiamo all’uso serio e credibile di uno strumento così potente100
. L’art. 187–ter, co. 2, del T.U.F. regolamenta oggi la diffusione di informazioni per i giornalisti che operano nello svolgimento della loro attività professionale, ed ammette una differente valutazione della loro responsabilità a seconda che questi abbiano tratto o meno “vantaggio o profitto dalla diffusione” delle stesse: in tale ultima
100 Vedi Crespi, Insider trading e frode sul mercato dei valori mobiliari, in Riv. soc.,
188 ipotesi si prevede l’applicazione anche ai giornalisti delle sanzioni amministrative.
La costruzione della disposizione sembra, ad una prima lettura, circoscrivere l’area della responsabilità dei giornalisti in un ambito più ristretto rispetto a condotte che sono state reputate “sempre
particolarmente gravi proprio qualora siano state da questi poste in essere (…) e quindi appare censurabile la scelta del legislatore”101; il senso tuttavia della disposizione non può non rinvenirsi nello stigmatizzare i particolari doveri che disciplinano la professione del giornalista, compresi quelli deontologici.
Nessun limite al diritto di cronaca se inteso correttamente quale narrazione vera dei fatti, esso non può essere considerato manipolativo; e le notizie “esagerate” o le voci impossibili da controllare, così come quelle notizie che pur non avendo direttamente collegamenti con uno strumento finanziario siano suscettibili di influenzarlo? Ebbene a chi sosteneva (antecedentemente alla stesura della norma) che la fattispecie penale del delitto di aggiotaggio potesse servire da baluardo tale da imporre a mo’ di “precetto culturale” la correttezza, la trasparenza in un settore che spesso vive di “rumors”, eminenti autori non celavano il timore “che lo scarto tra
dimensione giuridica e quella fattuale del fenomeno” potesse
continuare “a mantenersi sui binari di una reciproca indifferenza”102
.
101 Vedi Lunghini, op. ult. cit., p. 1476 ss. 102 Cfr. Seminara, op. ult. cit., p. 566.
189 La nuova disposizione si basa sulla norma prevista dall’art 1, co. 2 lett. c) della direttiva 2003/6/CE. Le finalità di tale disciplina sono tra l’altro menzionate dalla direttiva 2003/125/CE: regolamentare le raccomandazioni di investimento indicando le doverose regole di condotta relative alla diffusione di ricerche o altre informazioni, destinati a canali di distribuzioni o al pubblico intese a raccomandare o a proporre, in maniera esplicita o implicita una strategia di investimento,in merito ad uno o più strumenti finanziari ivi compresi pareri sul valore o sul prezzo di presenti o futuri di tali strumenti.
È evidente che lo scopo è di porre in risalto quella linea di demarcazione, spesso molto labile, che deve limitare e separare l’area delle informazioni riguardanti i fatti, da quella concernente le valutazioni, le opinioni e tutto le indicazioni non fattuali; garantire che tutte le fonti siano attendibili e qualora non lo siano o vi sono dubbi in merito, deve essere chiaramente indicato; così come devono essere indicate come tali, i c.d. target price, le previsioni, nonché le ipotesi per formularle. Inoltre la direttiva stabilisce che gli Stati membri impongano a tutti i soggetti pertinenti di “assicurare con ragionevole
diligenza” di poter dimostrare su richiesta delle autorità competenti, di
avere usato, qualora vi siano state “raccomandazioni”, il carattere della ragionevolezza e prevede sia specifiche modalità di redazione della raccomandazione, sia un onere di prova in merito alle cautele adoperate dal redattore della stessa.
190 Da quanto appena detto si deduce che vi è più di un profilo idoneo a descrivere i parametri della diligenza di coloro che effettuano le raccomandazioni e che se violati sono potenzialmente idonei a fondare la responsabilità per colpa.
La disposizione stabilita dal legislatore per regolamentare le condotte dei giornalisti in merito alla diffusione delle notizie prevede anche la esclusione della disciplina dell’illecito in relazione alla presenza di ordinamenti nei quali questa categoria professionale soggiaccia ad apposite discipline comprese quelle di autoregolamentazione: si ha in sostanza, un rinvio alle norme che regolamentano la categoria professionale quando queste possano garantire un rigore maggiore o almeno uguale al quello sancito dalla direttiva.
Ora, le norme a cui si deve far riferimento sono chiaramente quelle predisposte dall’ordinamento professionale: si richiama sul piano delle regole deontologiche il principio sancito nella Carta dei doveri del giornalista in forza del quale “il giornalista deve sempre
verificare le informazioni ottenute dalle sue fonti, per accertarne l‟attendibilità e per controllare l‟origine di quanto viene diffuso all‟opinione pubblica, salvaguardando sempre la verità sostanziale dei fatti”. Il Consiglio nazionale dell’Ordine dei giornalisti ha poi
previsto nel 2005 una specifica Carta dei doveri per i giornalisti dell’informazione economica e finanziaria, il cui art 1 afferma “il
giornalista riferisce correttamente, cioè senza alterazioni e omissioni che ne alterino il vero significato, le informazioni di cui dispone,
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soprattutto se già diffuse dalla agenzia di stampa o comunque di pubblico dominio. L‟obbligo sussiste anche quando la notizia riguardi il suo editore o il referente politico o economico dell‟organo di stampa”103.
Ferma pertanto l’irrilevanza della scriminante del diritto di cronaca inapplicabile per la pubblicazione di notizie false, il ripetuto richiamo alla verità dei fatti insieme con la necessaria verifica delle fonti fanno sì che non si possa amplificare attraverso i mass-media le voci o i “rumors” le cui origini sono incontrollate, altrimenti si è passibili di sanzioni, sussistendo chiaramente gli altri estremi dell’illecito come ad esempio l’offensività della condotta.
In buona sostanza la normativa introdotta, non applica sanzioni amministrative se non nei casi più gravi in cui il giornalista, direttamente o indirettamente, abbia ottenuto un profitto personale: si è in presenza di una regola specifica di condotta intesa a prevenire ogni forma di strumentalizzazione della pubblicazione di notizie. L’automatismo della conseguente colpa e la sussistenza dell’illecito amministrativo ex art 187–ter del T.U.F. induce a pensare che il vantaggio o il profitto debba essere sensibilmente apprezzabile.
In tutte le altre ipotesi in cui siano state diffuse informazioni false, anche quando si è convinti circa la verità della notizia, stante la rilevanza comunque della condotta sul piano della colpa, viene richiamata invece la normativa predisposta dall’ordine professionale.
103 Vedi la Carta dei doveri del giornalista, consultabile alla pagina telematica
192 Una precisazione tuttavia va fatta visto il rigore della valutazione dell’informazione. Il riferimento è alle diverse tipologie di giornalismo, ancorché il testo della norma non lo permetta, in funzione della diversa pericolosità che caratterizza la notizia in base alla qualità dell’informazione che viene diffusa in relazione alla tipologia di attività informativa: diverse infatti sono nella loro caratteristica decettiva le informazioni riguardante una squadra di calcio quotata in borsa ed espresse in una testata giornalistica sportiva, rispetto alle notizie diffuse sulla medesima società in un giornale finanziario; pertanto si può affermare che la diversa pericolosità di una informazione non diretta ad influenzare le scelte degli investitori si ripercuote anche in una “diversa ricostruzione delle regole di
diligenza: più ci si allontana da una informazione direttamente orientata al mercato e più si attenua il rigore informativo sopra descritto in quanto è più attenuato e sullo sfondo la possibilità che la diffusione possa incidere sulle scelte degli investitori”104.
7. Conclusioni.
A conclusione delle riflessioni di questo capitolo sui profili economici e giuridici che accompagnano la divulgazione di informazioni peculiari connesse ai mercati regolamentati, non sembra fuori luogo il richiamo, secondo una prospettiva più ampia e generale, a quanto osservava James Medison, quarto presidente degli Stati
193 Uniti, sull’importanza della circolazione e dell’accessibilità delle informazioni nei contesti sociali: “un popolo che vuole governarsi da
sé deve armarsi del potere che procura l‟informazione. Un governo popolare, quando il popolo non sia informato o non disponga dei mezzi per acquisire informazioni, può essere solo il preludio a una farsa o a una tragedia, e forse a entrambe”.
Il senso del rapporto tra informazione, comunicazione e sistema delle regole giuridiche è esattamente questo: il diritto, in questa difficile “materia di frontiera”, è stato da sempre chiamato a garantire il diritto degli individui alla conoscenza della realtà (pubblica e privata) che li circonda, nonché a stabilire quali siano i limiti di tale diritto.
Ne deriva, evidentemente, che due dei caratteri peculiari del diritto dell’informazione e della comunicazione siano la variabilità e la mutevolezza. Entrambe le connotazioni sono indotte proprio dal rapporto peculiare che corre tra questo settore della scienza giuridica e l’evoluzione dei mezzi di comunicazione e delle tecnologie informatiche che contribuiscono a definire la realtà.
Di là da provvedimenti normativi tendenzialmente aggreganti, tutti rivelatisi nel tempo fallimentari in sede applicativa, il diritto dell’informazione, dunque, scisso tra una spiccata dimensione pubblicistica ed una altrettanto rilevante anima privatistica, non è una materia omogenea, ma ontologicamente variabile perché assume differenti caratterizzazioni in connessione con i diversi media e con le diverse tecnologie che è destinato a disciplinare.
194 Tali connotazioni si rivelano, per certi versi, “esasperate” ove poste in relazione alla disciplina dei mercati regolamenti ed alla circolazione delle informazioni all’interno degli stessi.
In tal senso, per quanto concerne la specificità del diritto municipale italiano, la prospettiva auspicabile è quella dell’intervento di legislatore che si adoperi nell’adozione di una riforma organica che, pur guardando e valutando le esperienze estere in un quadro normativo comunitario omogeneo, tenga presente la natura e le specificità del nostro capitalismo: il caso Parmalat, in effetti, ha mostrato come i problemi della struttura imprenditoriale italiana possano rivelarsi radicalmente diversi rispetto a quelli del capitalismo americano, modello certamente dominante quale fonte di ispirazione delle soluzioni normative.
Ad ogni modo, in una prospettiva che è sempre più quella del diritto globalizzato, le specificità della singola soluzione disciplinare non dovrebbero far perdere la ratio complessiva dell’intervento normativo nazionale, nel rispetto di un framework precettivo sostanziale quanto più uniforme possibile. Se infatti si ritiene che la stabilità del capitalismo, in Italia come negli Stati Uniti e in altri paesi della Western Legal Tradition, può reggersi su caratteri peculiari dei singoli mercati nazionali, sarebbe semplicistico ed obiettivamente lontano dalla realtà, d’altro canto, immaginare questi ultimi come entità singolari, autonome e prive di profonde interrelazioni reciproche.
195 Eppure, sia detto a conclusione, nessuna riforma normativa è proponibile, qualunque sia il contesto spaziale di riferimento, ove non accompagnata da una profonda opera di “educazione” delle coscienze degli operatori di mercato, ove alla freddezza del dato tecnico- giuridico si affianchi la problematica centrale della necessaria definizione di una nuova etica pubblica e degli affari.
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