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2.3.1 Essenza del giudizio

La nozione di idea universale è il cardine della teoria del giudizio di Bradley. Il giudizio è l’atto proprio del pensiero, «quella funzione, cioè, nella quale si rinviene l’attività del pensiero nella sua forma completa»111

. Esso consiste nel riferimento di un significato universale alla realtà112. Il pensiero procede apprendendo il contenuto ideale e predicandolo di un soggetto reale; la verità del giudizio consiste allora nella conformità del pensiero all’essere: è vero quel giudizio che afferma che è, quel che è; è

110 Cfr. PL, p. 304. 111 Cfr. AR, p. 316.

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falso quel giudizio che afferma che è, quel che non è113: teoria della verità come

adaequatio rei et intellectus, tematizzazione dell’originario riferimento del pensiero

all’essere.

Non sembra una forzatura interpretativa sostenere che il giudizio, così inteso, non è altro che la presenza riconosciuta di un “fatto” o di “uno stato di cose” esistente: con ciò si vuol sottolineare che attraverso il giudizio il pensiero è in grado di conoscere il proprio adeguarsi all’essere, costituendosi perciò non come mera presenza o coscienza dell’essere, bensì come coscienza di sé o autocoscienza.

Può ben essere fatta valere per Bradley quella considerazione di Tommaso per cui la verità è l’oggetto proprio dell’intelletto, cioè del pensiero giudicante, e non dei sensi, ossia della percezione immediata della realtà, poiché è l’intelletto a conoscere l’adeguarsi del soggetto pensante alla realtà114

. Bradley, infatti, scrive che la verità è l’oggetto del pensiero che giudica115

e in maniera analoga a Tommaso pone l’attenzione a quel riconoscimento, che avviene nell’atto di giudizio, dell’adeguamento del pensiero a “ciò che è oltre di esso”, allo stato di cose reale:

«Nell’atto di asserire noi trasferiamo questo aggettivo [l’idea] e lo uniamo al sostantivo reale. E percepiamo al tempo stesso che questa relazione così stabilita non è costruita dall’atto, e non si mantiene solamente in esso o in forza di esso, ma è reale, indipendente e aldilà di esso»116.

Il suddetto “aggettivo” è il contenuto ideale che l’atto di giudizio attribuisce alla realtà, così come uniamo nella predicazione un aggettivo al suo sostantivo. Nell’atto di giudizio, in sostanza, riconosciamo il darsi dello stato di cose che l’idea significa: riconosciamo cioè che la realtà è caratterizzata da quell’idea che intendiamo attribuirle; ma riconosciamo, inoltre, che lo stato di cose così esistente è qualcosa di indipendente

113

«Il contenuto ideale che è anche un fatto, e il contenuto ideale che non è niente aldilà di sé stesso, sono il vero e il falso così come appaiono nel giudizio» (cfr. PL, pp. 33-34).

114 «L'intelletto può conoscere tale rapporto di conformità [al reale], e quindi solo l'intelletto [e non il

senso] può conoscere la verità [...]. Ora, conoscere il predetto rapporto di conformità non è altro che giudicare che così è nella realtà o meno: il che è comporre e dividere [ossia affermare e negare]» (cfr. Tommaso, Expositio libri Peryhermeneias, lib. I, lect. 3, n. 31).

115 «La verità è l’oggetto del pensiero e il suo scopo è di determinare concettualmente l’esistenza»

(Cfr. AR, p. 312).

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da noi: non è un prodotto del giudizio, ma è qualcosa che è riconosciuto come già esistente117.

Ecco che la definizione più comprensiva dell’atto di giudizio, fornita da Bradley, è la seguente: «il giudizio, propriamente, è l’atto che riferisce un contenuto ideale (riconosciuto come tale) ad una realtà che è oltre quell’atto»118

.

Le considerazioni di Bradley sottolineano, in funzione anti-psicologistica, la parziale alterità della realtà intenzionata rispetto all’atto di conoscenza, ma pure è chiaro che se questa realtà per un verso trascende l’atto di giudizio, per un altro gli è pure immanente, ed è in forza di questa immanenza che noi “percepiamo” la sua trascendenza. Ciò equivale a dire che con l’atto di giudizio noi conosciamo la realtà, e non solo le nostre idee. La posizione empiristica costringe infatti a tradurre ogni affermazione sulla realtà in affermazioni sulle nostre idee: così, se dico “la sedia è gialla” sto in realtà dicendo “la mia immagine della sedia è gialla”. Si può dunque precisare il senso del discorso in questo modo: la trascendenza che Bradley invoca non è la trascendenza della realtà rispetto alla coscienza, ma la trascendenza della realtà rispetto alla dimensione ideale. La realtà è, infatti, originariamente data alla coscienza, e grazie a questa presenza possiamo conoscere la trascendenza dell’esistente rispetto all’ideale. Nell’atto di conoscenza, in ultima battuta, riconosciamo che la realtà non è mera idea. Il giudizio è il riconoscimento dell’originaria unità del reale con il contenuto ideale.

Il giudizio esprime la realtà nella sua unione di esistenza e contenuto. In questo senso il giudizio non è altro dalla realtà, ma ne è la piena manifestazione: il giudizio è l’apparire dello stato di cose.

2.3.2 Le idee fluttuanti

L’approfondimento del carattere astratto dell’idea conduce Bradley al rifiuto della teoria delle cosiddette “idee fluttuanti” (floating ideas). L’idea è un contenuto privo di esistenza, e dunque non è un oggetto reale. La conseguenza che Bradley ne ricava è che non esiste un’idea separata dalla realtà: «non esiste e non può esistere qualcosa di simile

117

«E l’affermazione, o giudizio, consiste nel dire: “Questa idea non è una mera idea, ma una qualità del reale”. L’atto attacca l’aggettivo fluttuante alla natura del mondo e, al tempo stesso, mi dice che essa era già lì presente» (cfr. PL, p. 11).

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ad una mera idea, un’idea che se ne stia o fluttui in solitudine»119

. Tutte le idee, in qualche modo, qualificano la realtà120.

Ciò significa che, in realtà, ogni volta che si apprende un’idea la si riferisce, anche solo implicitamente, alla realtà, e dunque si giudica121. Così, quando qualifichiamo un contenuto come “immaginario”, lo stiamo mettendo in relazione alla realtà esistente, appunto perché lo distinguiamo da essa122. Oppure, se neghiamo la realtà di un contenuto, come quando affermiamo “S non è P”, stiamo comunque riferendo il contenuto P alla realtà S: P qualifica S, sebbene la qualifichi come una realtà che esclude P.

Più in generale, ma questo è uno sviluppo dell’intuizione di Bradley che non è esplicitamente svolto dal pensatore inglese, ogni volta che consideriamo un’idea, anche senza metterla direttamente in relazione alla realtà attuale, come quando ad esempio ne analizziamo il contenuto e ne constatiamo la non contraddittorietà, stiamo implicitamente riferendo quel contenuto alla realtà, giudicandolo ad esempio come un contenuto possibile.

La negazione dell’esistenza delle floating ideas è la radicalizzazione del motto per cui “pensare è giudicare”. Non esiste la mera noesi (l’atto di apprendimento dell’essenza senza l’affermazione di alcun giudizio) separata dalla dianoesi (l’atto di giudizio propriamente detto). Sviluppando la posizione del filosofo inglese, possiamo dire che i due atti possono essere distinti, ma non separati, essendo in realtà sempre all’opera l’atto di riferimento di un’essenza alla realtà: «essere pensato equivale sempre ad essere considerato, e quindi giudicato, reale»123.

119 Cfr. PL, p. 640. 120

«Ora, un’idea che sia solo “nel mio cervello”, una mera idea separata da ogni relazione con il mondo reale, è una falsa astrazione: noi abbiamo visto che concepire qualcosa significa riferirlo più o meno vagamente alla Realtà, per cui un’idea assolutamente irrelata sarebbe una contraddizione» (cfr. AR, p. 550).

121

«Non c’è mai un atto di mera astrazione in cui l’idea astratta dall’esperienza data non sia anche “riattaccata” alla realtà in un atto di sintesi costruttiva (o predicazione)» (cfr. P. Ferreira, Bradley and the

structure of knowledge, SUNY Press, New York 1999, p. 49). 122

«L’immaginario, come abbiamo visto, non è qualcosa di indifferente, a cui si possa semplicemente aggiungere la realtà. L’immaginario è qualificato tramite l’esclusione dalla realtà, e separato da questa esclusione perde la propria identità [character]» (cfr. F.H. Bradley, Essays on Truth and Reality, Claredon Press, London 1914 [=ETR], p. 46). Bradley poi aggiunge: «Un contenuto non è reso immaginario tramite una mera privazione e attraverso un semplice fallimento. Se astrai da tutte le relazioni con quello che è chiamato il mio mondo reale, non hai ancora raggiunto l’immaginario. […] Questo reame è costruito tramite un’effettiva esclusione [positive exclusion] da quel mondo specifico che io chiamo reale» (cfr. ETR, p. 47).

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3 Struttura del giudizio 3.1 Forma logica del giudizio

L’atto di giudizio consiste nel riferimento di un contenuto ideale alla realtà. Bradley sviluppa la teoria illustrando l’autentica struttura logica del giudizio. Bradley nega, infatti, che il soggetto grammaticale del giudizio sia l’autentico soggetto logico dello stesso. Normalmente siamo propensi a pensare che in giudizi come “la sedia è gialla” il nome “sedia” si riferisca al soggetto del giudizio, mentre l’”essere giallo” si riferisca al predicato. In realtà, secondo Bradley, l’intero contenuto proposizionale (di norma grammaticalmente espresso nella forma “S è P”) è il contenuto ideale del giudizio, e perciò il predicato dell’autentico soggetto. La forma grammaticale in cui esprimiamo i nostri giudizi, cioè, non corrisponde all’autentica forma logica (si noti solo di passaggio quanta fortuna sarà destinata ad avere questa intuizione di Bradley - di origine hegeliana - che, veicolata da Russell, troverà terreno fertile nel pensiero di Wittgenstein e dell’empirismo logico).

Questa tesi implica che il predicato del giudizio non sia semplice, ma complesso. Il contenuto ideale che riferiamo alla realtà è cioè una costruzione ideale di significati connessi tra loro. Bradley afferma, tuttavia, che il contenuto che attribuiamo alla realtà è un organismo concettuale costituito come una totalità. Contro la tesi che nel giudizio siano all’opera due idee, quella del soggetto e quella del predicato, Bradley ammette che all’opera nel giudizio sia un’unica idea124

.

Ebbene, se il contenuto proposizionale espresso nel giudizio grammaticale corrisponde autenticamente al predicato, non è ancora stato determinato il soggetto logico del giudizio. Il soggetto autentico del giudizio non può essere un oggetto specificabile dal pensiero: un tale oggetto sarebbe determinato idealmente, e così ricadrebbe all’interno del contenuto del predicato125. Da ultimo, l’autentico soggetto

124

«Non è vero che ogni giudizio ha due idee [soggetto e predicato]. […] Le relazioni tra le idee sono esse stesse ideali. Non sono relazioni psichiche tra fatti mentali. Non esistono tra i simboli, ma sussistono nel simbolizzato. Sono parte del significato e non dell’esistenza. E il tutto in cui consistono è ideale, e così un’unica idea» (cfr. PL, p. 11).

125

«La realtà che deve essere assunta come il soggetto logico definitivo del nostro pensare ogni volta che pensiamo qualcosa, sia pure con verità o con falsità, non può essere identificata con alcun oggetto specificabile del nostro pensiero, senza badare a quanto ampia o stretta sia la rete ideale che gettiamo» (cfr. G. Stock, Bradley’s theory of judgement, p. 149).

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logico dell’atto di giudizio è, per Bradley, la realtà stessa126

. La forma autentica del giudizio è: «Reality is such that S is P», “la Realtà è tale che S è P”127.

Ora, Bradley non si esprime mai utilizzando il termine “essere” nell’accezione classica, preferendo impiegare piuttosto il termine “realtà”. Per accentuare i richiami parmenidei, in quest’occasione utilizzeremo i due termini come sinonimi: la forma logica del giudizio assume, in tal caso, la forma “l’Essere è tale che S è P”.

Questo giudizio è composto da due affermazioni di identità: “S è P” e “R è (S è P)”. “S è P” è il contenuto ideale del giudizio: questo contenuto è identificato con l’essere. Quando diciamo che il giudizio attribuisce l’essere a un contenuto stiamo in realtà dicendo che il giudizio attribuisce un contenuto ideale all’essere e che, da ultimo, il giudizio identifica l’essere con questo contenuto. Concretamente inteso, l’atto di giudizio è per natura un atto di identificazione dell’essere con un contenuto ideale. Secondo Bradley, ogni giudizio intende definire la natura della totalità della realtà.

In questo contesto si può rilevare uno dei tratti “parmenidei” di Bradley: ogni giudizio è un giudizio di esistenza, il che per Bradley significa essere un giudizio di identità che afferma la sintesi di un qualche contenuto con il significato “Essere” (o “Realtà”). Ogni atto di giudizio intenziona l’essere. In questo senso l’essere è l’orizzonte trascendentale del pensiero, il riferimento costante di ogni atto di pensiero.