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1. Primo tentativo

1.1 Struttura dell’inferenza

Bradley offre un primo tentativo di inferenza nei Principles of Logic. La struttura dell’inferenza consiste nel problematizzare l’esperienza chiedendo se essa coincida con la Realtà. L’inferenza è cioè il risultato della mediazione dell’esperienza alla luce del concetto di Realtà. Da una parte l’esperienza attesta il concetto della realtà, come di ciò deve essere «autosussistente, sostanziale e individuale»; dall’altra, ciò che appare è relativo e dipendente da altro.

Bradley comincia con il chiedersi se la realtà coincida con l’apparenza momentanea (in queste pagine “apparenza” è sinonimo di “fenomeno” - ciò che appare - e non ha ancora assunto il significato che avrà in Apparenza e Realtà.) Ora, se consideriamo la mera “apparenza” momentanea, il divenire ci attesta che essa è in relazione ad altro: ogni attimo esclude l’attimo precedente e il successivo, così che il contenuto di ciascun istante non è sussistente in sé, ma dipende dal contenuto degli altri istanti.

Nei Principles Bradley ritiene, infatti, che la forma generale dei fenomeni sia quella spazio-temporale. Ogni contenuto è inserito in una serie spazio-temporale ed ha quindi consistenza ontologica solo in quanto membro di questa serie. Ogni fenomeno si riferisce quindi all’altro da sé, cioè agli altri membri della serie. L’apparenza momentanea è solo uno dei membri di questa serie, e quindi è priva dell’individualità propria della realtà.

L’aspetto rilevante da notare è che il divenire non costituisce problema di per sé, in quanto non è concepito da Bradley come la vicenda della produzione e annientamento dell’ente. Piuttosto, il divenire è ciò che consente di constatare la relatività del fenomeno. In realtà, Bradley concepisce il divenire come la vicenda dello “scomparire” [disappereance] dei fenomeni250. Sono pertanto estranee alla concezione del filosofo

250 «Abbiamo capito che la realtà è autosussistente, sostanziale e individuale; tuttavia, per come essa

appare entro la presentazione, non ha nessuna di queste caratteristiche. Il contenuto è completamente affetto dalla relatività e non solo esso è accidentale [adjectival] rispetto alla realtà, ma anche tutti gli elementi che lo compongono lo sono. Sebbene sia data come un fatto, ogni parte è data come esistente in riferimento ad altro. Il mero e perpetuo scomparire nel tempo del dato è esso stesso una negazione della sua pretesa autosussistenza» (cfr. PL, p. 70).

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inglese le preoccupazioni ontologiche che hanno invece caratterizzato il dibattito “neoclassico” italiano sul divenire251

.

Il tentativo di fare coincidere la realtà con l’apparenza momentanea si risolve in un’autocontraddizione, poiché il fenomeno particolare contraddice la natura autosussistente della realtà. Questo conduce dunque il pensiero ad affermare la trascendenza della realtà rispetto alla presenza attuale: «il reale non può essere identico al contenuto che appare nella presentazione. Esso lo trascende sempre»252.

Se la Realtà trascende il contenuto dell’esperienza, è comunque ancora da determinare la natura della realtà trascendente. A questo proposito dobbiamo rilevare che i fenomeni appaiono e in quanto appaiono sono dotati di qualche positività. Il pensiero deve quindi determinare la relazione tra la Realtà e i fenomeni in modo tale da salvare la positività che essi possiedono. La Realtà non può essere ridotta all’apparenza momentanea, ma deve contenere in sé il contenuto che appare.

È allora possibile concepire la Realtà come l’intera serie dei fatti spazio-temporali. In questo modo verrebbe mantenuta la trascendenza del reale sul fenomeno, ma verrebbe anche mantenuta l’esistenza dell’apparenza momentanea.

Bradley però pensa che nemmeno la serie dei fenomeni possa essere fatta coincidere con la Realtà:

«la serie dei fenomeni è così affetta dalla relatività che, così com’è, non può essere resa assoluta. La sua esistenza si riferisce a ciò che è oltre di essa, e se non fosse così, essa cesserebbe di esistere. Un fatto finale, una connessione ultima non è solamente una cosa che non possiamo conoscere, ma è una cosa che non può propriamente esistere. La nostra catena per natura non può avere alcun supporto. La sua essenza esclude un fissaggio finale. Non ci limitiamo a temere che essa sia appesa in aria, ma sappiamo che deve essere così. E quando la base è priva di supporto, tutto il resto lo è»253.

La serie dei fenomeni non è identica alla realtà perché anch’essa è priva di individualità e autosussistenza. Capire le ragioni di questa affermazione non è però

251 Si fa qui riferimento in modo particolare alla disputa tra Bontadini e Severino. I testi centrali di

Severino sull’argomento sono ora raccolti in Essenza del Nichilismo, e sono: Ritornare a Parmenide,

Poscritto e le Risposte ai critici (cfr. E. Severino, Essenza del Nichilismo, Milano 1981). I testi di

Bontadini sono raccolti nelle Conversazioni di Metafisica. I testi centrali sono Sòzein tà fainòmena e

Dialogo di Metafisica (cfr. G. Bontadini, Conversazioni di Metafisica, Milano 19952).

252 Cfr. PL, p. 72. 253 Cfr. PL, p. 100.

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semplice, poiché l’argomentazione di Bradley è piuttosto contratta. Ci aiuteremo con l’analisi dell’argomento fornita da Richard Wollheim.

La serie dei fenomeni è tale che «ogni connessione, non appena la raggiungiamo, ne richiede un’altra»254

. Questo significa, stando a Wollheim, «che ogni fatto presente è condizionato da qualche fatto passato senza cui non potrebbe esistere»255. Anche questo secondo fatto sarà però condizionato a sua volta, e quindi avrà le proprie condizioni in un nuovo fatto ancora.

Wollheim a questo punto afferma che «o questa serie ha un primo membro, oppure non ha un primo membro». Ora, se anche la serie avesse un primo membro, esso sarebbe così costituito da avere le proprie condizioni fuori della serie. Le sue condizioni perciò non esisterebbero e dunque il fatto stesso non esisterebbe. Ora, questo fatto è stato posto come il primo fatto della serie, dunque se esso non esiste, non esiste l’intera serie. In conclusione, se anche proviamo ad ammettere l’esistenza di un primo fatto fondamentale, esso si rivela autocontraddittorio, e siamo così costretti ad ammettere che l’intera serie dei fatti non può esistere.

L’argomento impostato da Bradley ha così, secondo Wollheim, lo scopo di dimostrare l’impossibilità dell’esistenza dei fatti che compongono la serie spazio- temporale, e con ciò l’impossibilità della serie stessa.

L’interpretazione di Wollheim sembra però scorretta. L’intento di Bradley non è tanto quello di dimostrare l’impossibilità simpliciter dei fatti, quanto quello di dimostrare la disequazione tra la Realtà e i fatti. Bradley cioè vuole mostrare che non è possibile identificare la Realtà con una serie spazio-temporale di fatti.

L’argomento di Bradley dunque sembra avere autenticamente questa forma: ogni fatto richiede un altro fatto come propria condizione; questo però apre la possibilità di un regressus in indefinitum. Questo regresso, qualora si costituisse, renderebbe impossibili i fatti. I fatti però appaiono e quindi esistono: la serie dei fenomeni deve perciò avere un termine. Questo termine però non può essere un fatto, poiché sarebbe altrimenti un’entità autocontraddittoria, come mostra giustamente Wollheim. Il termine finale della serie dei fatti deve essere allora un termine che non sia perciò esso stesso un fatto.

254 Cfr. PL, p. 100.

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Bradley intende perciò porre una realtà ulteriore alla serie dei fatti, al contrario di quello che pensa Wollheim, per cui l’argomento di Bradley intende escludere che ci sia un “fatto ultimo”. Wollheim pensa cioè che l’ultimo termine della catena o è un fatto o non è niente, quando in realtà è possibile introdurre un nuovo termine, che non sia però un “fatto” esso stesso.

Che questa sia la reale intenzione di Bradley lo si evince quando egli afferma che l’esistenza della serie dei fenomeni «dipende da ciò che è oltre di essa, e se non fosse così, essa cesserebbe di esistere». Un “fatto finale” è certamente impossibile, ma non per questo la serie è ancorata al nulla. Il termine ultimo è la Realtà stessa, che quindi è connessa alla serie dei fenomeni, senza coincidere con essa256. La Realtà è l’Incondizionato da cui dipende la totalità delle condizioni, senza essere condizione essa stessa.

I fenomeni e la serie che li raccoglie sono “irreali” (unreal) in quanto non sono identici alla Realtà, ma al tempo stesso i fenomeni esistono e sono dunque connessi alla Realtà. Bradley deve così conciliare la positività dei fenomeni con la loro “irrealtà”. Egli afferma allora che la Realtà appare “nella serie” dei fenomeni, ma non “come la serie”.

I fenomeni sono il modo in cui la Realtà si manifesta a noi. I fenomeni però non manifestano completamente la Realtà. Ne deriva che i fenomeni sono e non sono identici alla Realtà. Sono cioè identici ad essa in quanto sono l’apparire della Realtà, sono però diversi da essa in quanto la Realtà non coincide con essi, e cioè è “ulteriore” ad essi. La Realtà si manifesta nei fenomeni sotto forma di fatto, ma la sua natura autentica non è riducibile a quella di un fatto né tantomeno a quella di una serie di fatti.