1. Primo tentativo
1.3 Realtà e apparenza
L’inferenza che va dai fenomeni alla Realtà trascendente compare nel secondo capitolo dei Principles. In queste pagine il giudizio è concepito come l’autentica espressione concettuale dei fenomeni, e non è cioè ancora posto come l’espressione
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distorta della realtà immediata. La realtà che appare è il fenomeno, il quale ci si mostra nella forma del “fatto”, e in quanto “fatto” è espresso dal giudizio257
.
La necessità che i termini del giudizio si trasformino, se considerati in concreta unione con la Realtà, è così identica alla necessità che i fenomeni si trasformino. Nelle pagine dei Principles a cui ci riferiamo, però, questa necessità non è affermata.
Le considerazioni sulla trasformazione dei termini del giudizio compaiono infatti nei saggi aggiunti ai Principles nell’edizione del 1922. I primi capitoli, in cui compare l’inferenza metempirica che abbiamo considerato, risalgono invece alla prima edizione del 1883. Tra le due edizioni è comparso Apparenza e realtà, pubblicato per la prima volta nel 1893, in cui il tema del mutamento delle apparenze è centrale. I saggi del 1922 sono allora la rielaborazione in termini logici del tema metafisico delle apparenze.
Sebbene la questione della trasformazione dei fenomeni non sia direttamente affermata nella prima edizione del testo di logica, essa è però implicita. I fenomeni sono infatti il modo distorto e parziale in cui la Realtà ci si manifesta. Essi sono reali, ma non sono la Realtà. In quanto essi sono reali, sono uniti con la Realtà.
L’implicito di queste pagine è che i fenomeni non possono essere uniti con la Realtà così come essi si danno a noi. Se la Realtà contenesse i fenomeni nella loro forma attuale, essa sarebbe infatti inquinata dalla loro relatività. Ne consegue che, in quanto i fatti sono uniti con la Realtà, essi devono essere diversi da come si manifestano a noi. I fatti che appaiono sono reali, ma non nella forma in cui appaiono. Ecco che allora i fenomeni sono “apparenza”, nel significato che il termine acquisterà con Apparenza e
Realtà.
Tra il testo di logica e il testo di metafisica vige perciò un rapporto di approfondimento ed esplicitazione. Ora, nei Principles si afferma che i fenomeni esistono ma sono irreali, nel senso sopra precisato, poiché sono relativi. In Apparenza e
Realtà la relatività dei fenomeni viene però determinata come immediatamente
contraddittoria, così che la precedente proposizione si trasforma in: le apparenze esistono ma sono irreali, perché sono contraddittorie.
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Il giudizio esprime adeguatamente il fatto quanto alla sua relatività e astrattezza. Questa tesi verrà in fondo confermata anche in Apparenza e Realtà, quando si dirà che il pensiero è il riconoscimento dell’idealità del fatto. Non c’è quindi contraddizione tra le posizioni dei due testi. La posizione di
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Nei Principles è chiaro che la relatività dei fenomeni non è una mera ipotesi, ma un dato di fatto. Se allora leggiamo i Principles come un’anticipazione del saggio di metafisica (e identifichiamo la relatività dei fenomeni alla contraddittorietà delle apparenze), diventa allora evidente che in Apparenza e Realtà, analogamente a quanto accade per la relatività dei fenomeni, la contraddittorietà delle apparenze non è da intendersi come il contenuto di un’ipotesi, ma come una realtà che è possibile, per così dire, “toccare con mano”. La contraddizione esiste e deve essere superata ponendo l’Assoluto trascendente.
Con Apparenza e Realtà il pensiero di Bradley raggiunge la piena maturità e l’inferenza metempirica acquista la sua veste definitiva. La forma finale dell’inferenza presenta analogie con quella impostata nei Principles, ma acquista in radicalità speculativa. Essa non fa più riferimento alla sostanzialità della Realtà e alla relatività dei fenomeni, bensì all’incontraddittorietà della Realtà e alla contraddittorietà del contenuto molteplice dell’esperienza.
Tematizzando il principio di non contraddizione come principio supremo della Realtà diviene così esplicita la convergenza della metafisica bradleyana con il senso classico della metafisica come “scienza dell’ente in quanto ente”, che trova nel detto principio il proprio fulcro speculativo. Gli esiti della metafisica di Bradley però mostreranno un’ancora più profonda vicinanza con il pensiero eleatico, come tenteremo di evidenziare.
È arrivato dunque il momento di raggiungere il vertice della filosofia di Bradley e analizzare l’inferenza metempirica proposta in Apparenza e Realtà.
2 Secondo tentativo: base dell’inferenza 2.1 L’antinomia
L’inferenza metempirica nella veste finale consiste nella mediazione dell’esperienza alla luce del concetto dell’Assoluto. L’Assoluto è la stessa Realtà, ossia l’Intero dell’essere (senza che questo concetto abbia connotati insiemistici o comunque quantitativi).
Ciò che cambia tra la prima veste dell’inferenza, quella dei Principles, e l’inferenza di Apparenza e Realtà è il ruolo della contraddizione. Nella prima inferenza la contraddizione è il risultato dell’ipotetica assolutizzazione dell’esperienza. Nella
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seconda inferenza la contraddizione è invece attestata al livello dell’esperienza: la contraddizione è reale. La contraddizione appare nel sentire ed è riconosciuta dal pensiero: «l’unione del pensiero e del senso in ogni percezione, la compresenza di fatto e idealità in ogni apparenza: questa è l’unica base della verità»258
. L’apparenza è l’unione di fatto e idealità, ossia è la contraddizione esistente.
D’altra parte l’inferenza non prende le mosse solo dall’attestazione della contraddittorietà del contenuto dell’esperienza, ma anche dal riconoscimento che la realtà non si contraddice. «La realtà ultima è tale che non può contraddirsi: ecco il criterio ultimo»259. Il principio di non contraddizione è cioè l’assoluto criterio di verità, il principio assoluto dell’essere. Esso non ha valore solamente linguistico, ma ontologico.
La base dell’inferenza metafisica è quindi la contraddizione tra la notizia dell’incontraddittorietà della realtà e la notizia della sua contraddittorietà. Il criterio assoluto ci informa infatti che la realtà è incontraddittoria, al tempo stesso l’esperienza attraverso il pensiero ci mostra la contraddittorietà dei fenomeni. Il compito della mediazione è allora quello di superare la contraddizione che l’esperienza attualmente attesta.
La base dell’inferenza è, ultimamente, il darsi di un’antinomia: due proposizioni contraddittorie che si propongono come vere. L’inferenza ha allora carattere “dialettico” in quanto cerca di conciliare le due verità, mostrando come la contraddittorietà consista nella loro reciproca astrattezza. La soluzione dell’antinomia consiste nell’introduzione di una sintesi, che destituisca la contraddizione in cui l’antinomia iniziale consiste, salvando la verità dei due asserti260. Tale sintesi consiste nella posizione dell’Assoluto.
258 Cfr. AR, p. 534. 259 Cfr. AR, p. 281. 260
«Tutto ciò che abbiamo esaminato si è rivelato essere un’apparenza, vale a dire qualcosa che, così come immediatamente si presenta, risulta lacerata da interne contraddizioni e non si può quindi attribuire in modo veritiero alla realtà: ma negare l’esistenza di tali fatti o proscriverli dalla realtà non è assolutamente possibile, in quanto in ognuno di essi, incontestabilmente, figura un contenuto positivo che, per quanto lo si voglia ridurre ad apparenza, non potrà mai vivere in nessun luogo fuori dalla realtà. e la realtà stessa non sarebbe nulla se dovesse venire considerata indipendentemente da ogni apparenza, quasi che fosse la loro controparte. Quel che è emerso con certezza da tutta la nostra discussione è dunque l’inseparabilità di realtà ed apparenza, e la nostra insufficienza fin qui consiste nel non aver saputo indicare il modo in cui l’apparenza rientra nella realtà» (cfr. AR, p. 275).
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