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1. Primo tentativo

4.1 Irrealtà dell’apparenza

Bradley pone l’Assoluto per salvare l’incontraddittorietà della realtà, ma poi pone l’inclusione delle apparenze nell’Assoluto per giustificare la realtà dell’apparenza, realtà che è innegabile poiché esperita.

L’apparenza, però, è reale in quanto è diversa da come appare: l’apparenza è trasfigurata nell’Assoluto. In quanto l’apparenza è così trasformata, il suo specifico contenuto attuale - il contenuto con cui si mostra - non esiste nell’Assoluto. Bradley afferma infatti che «per quel tanto che [l’apparenza] è contraddittoria e, quindi, per quel tanto che è propriamente se stessa, l’apparenza non è un predicato, né reale né possibile, della Realtà»313. L’apparenza è «propriamente se stessa» in quanto è contraddittoria, e in quanto è contraddittoria non può essere inclusa nell’Assoluto, poiché «un predicato che si contraddice non può, come tale, essere reale»314.

«Le apparenze cessano di essere tali quando risultano così unificate» all’Assoluto315. L’apparenza è inclusa nella Realtà in quanto non è più apparenza. Ciò significa che il processo di trasfigurazione dell’apparenza nell’Assoluto è tale per cui l’apparenza perde la propria forma contraddittoria. In quanto l’apparenza perde la forma contraddittoria, la contraddittorietà dell’apparenza è un niente nell’Assoluto. Ma l’apparenza è «propriamente se stessa» in quanto è così contraddittoria. Ciò significa che l’apparenza, in quanto tale, è propriamente un niente nell’Assoluto. La trasfigurazione dell’apparenza nell’Assoluto è allora l’annientamento della contraddittorietà dell’apparenza, e la distruzione dell’apparenza stessa, in quanto è propriamente “apparenza”316 . 313 Cfr. AR, p. 672. 314 Cfr. AR, pp. 672-673. 315 Cfr. AR, p. 670. 316

Riportiamo integralmente il brano da cui sono state tratte le citazioni precedenti: «per quel tanto che [l’apparenza] è contraddittoria e, quindi, per quel tanto che è propriamente se stessa, l’apparenza non è un predicato, né reale né possibile, della Realtà. Un predicato che si contraddice non può, come tale, essere reale» (cfr. AR, pp. 672-673); il testo prosegue così: «per raggiungere tale traguardo la sua peculiare natura deve essere sottoposta a integrazione e modifiche, ma alla fine di questo processo può anche trovarsi completamente trasformata se non addirittura distrutta» (cfr. AR, p. 673). Qui Bradley sembra porre come possibile la distruzione della natura dell’apparenza che invece noi abbiamo determinato come necessaria. In tal caso egli affermerebbe, allora, che l’apparenza è e non è inclusa nell’Assoluto per quel tanto che è contraddittoria. A ben vedere, però, Bradley intende affermare due cose diverse. L’apparenza, per quel tanto che è contraddittoria, sicuramente non è inclusa nell’Assoluto; al tempo stesso però, parte del contenuto dell’apparenza è conservato e trasfigurato nell’Assoluto. La contraddittorietà dell’apparenza è data dall’isolamento del suo contenuto dalla Realtà, e la trasfigurazione

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Questa soluzione genera un problema: l’apparenza è reale nell’Assoluto, ma il suo essere reale nell’Assoluto è identico all’essere nulla del contenuto che appare effettivamente. L’esito dell’inferenza che pone la realtà dell’Assoluto è cioè la posizione della nullità del contenuto che appare. Con ciò l’inferenza nega la base stessa da cui essa era partita. Il punto di partenza dell’inferenza è infatti l’affermazione dell’esistenza di ciò che appare, ossia l’apparenza contraddittoria, ma l’esito è l’affermazione dell’inesistenza di ciò che appare.

Bradley pone l’Assoluto per salvaguardare il dato d’esperienza: «la Realtà appare nelle sue apparenze ed esse ne sono la manifestazione, altrimenti anch’esse cadrebbero nel nulla assoluto»317. Il modo in cui concepisce il risolversi dell’apparenza è però tale da far cadere nel nulla le apparenze. Le apparenze appartengono all’Assoluto, ma la loro specificità, ossia ciò che determina la loro contraddittorietà, è nulla nell’Assoluto.

In un importante saggio Vittorio Mathieu analizza con acume il risultato a cui Bradley perviene al termine del suo percorso speculativo. Secondo Mathieu, una volta posta la Realtà distinta dall’apparenza, permane il problema della realtà innegabile dell’apparenza, e la soluzione di Bradley, consistente nell’affermare che anche l’apparenza è Realtà, presenta l’esigenza della soluzione del problema, ma non la soluzione stessa, «infatti, quando si sia detto che l’apparenza è realtà, questo discorso va benissimo per la realtà, in cui (in forma a noi sconosciuta) è reale l’apparenza, ma non serve punto per l’apparenza sotto quell’aspetto per cui non è realtà: che è appunto la forma che pone il problema, e rispetto a cui il problema non è risolto»318.

In sostanza, quando Bradley afferma “l’apparenza è realtà”, sta in realtà affermando che “la realtà è realtà”, e quindi ribadisce che l’apparenza, in quanto tale, non è realtà, e perciò è nulla.

del contenuto apparente consiste nell’integrazione del contenuto isolato con la Realtà a cui è originariamente unito. L’apparenza è l’isolamento del contenuto dalla Realtà, è cioè l’apparire in forma astratta del contenuto. La trasfigurazione dell’apparenza, quindi, consiste da una parte nell’annientamento dell’isolamento, ossia dell’apparenza stessa, e dall’altra nell’integrazione del contenuto astratto. Ciò che Bradley afferma quando dice che la natura dell’apparenza potrebbe - ma potrebbe soltanto - trovarsi completamente distrutta, è che l’esito del processo di trasformazione dell’apparenza potrebbe concludersi persino, a quel che ne sappiamo, con la distruzione non solo dell’isolamento del contenuto, ma persino con la distruzione del contenuto stesso che ora ci appare così isolato. Con ciò rimane vero, però, che l’apparenza può essere inclusa nell’Assoluto solo in quanto perde la propria forma contraddittoria, e quindi in quanto viene annientata in quanto apparenza, ossia isolamento del contenuto astratto.

317 Cfr. p. 711.

318 Cfr. V. Mathieu, Parmenide e Bradley, in “Atti dell’Accademia Nazionale dei Lincei”, Rendiconti

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Il punto di partenza dell’inferenza era l’antinomia che pone come tesi la realtà dell’apparenza e come antitesi l’irrealtà di essa. Lo svolgimento dell’inferenza aveva lo scopo di risolvere l’antinomia, ma secondo Mathieu il risultato è tale da riproporre nuovamente l’antinomia: l’apparenza è e non è reale.

In realtà possiamo andare oltre il discorso di Mathieu e affermare che, per quel tanto che il risultato dell’inferenza intende affermare che “la realtà è realtà” e “l’apparenza non è realtà”, esso nega di fatto la tesi di partenza che afferma: “l’apparenza è reale”. La constatazione da cui parte l’inferenza non è vera, ma allora la stessa inferenza risulta falsificata, in quanto essa doveva dare ragione della realtà dell’apparenza. Bradley così introduce l’Assoluto per togliere una contraddizione che o non esiste o non viene tolta.

Se il principio dell’inferenza impostata da Bradley è la posizione di due verità categoriche reciprocamente escludentesi, il risultato a cui egli arriva è la posizione della falsità della tesi - “l’apparenza è reale” - e della verità dell’antitesi - “l’apparenza è irreale” -. La dialettica di Bradley cioè non si limita a negare l’astrattezza del contenuto della tesi che afferma la realtà dell’apparenza, non mostra cioè che non è possibile assolutizzare la realtà dell’apparenza, bensì nega il contenuto stesso della tesi: l’apparenza non esiste nell’Assoluto, cioè nella realtà. L’apparenza, la cui realtà è dichiarata innegabile, è nulla.

L’esperienza attesta un contenuto positivo che è in realtà inesistente. Con ciò Bradley non viene a negare solamente il punto di partenza dell’inferenza, ma anche il principio secondo cui “ciò che appare, per la sola ragione che appare, indubitabilmente è”. Il risultato dell’inferenza di Bradley perciò implica la negazione di uno dei principi primi della metafisica: la positività dell’esperienza.

Il risultato è che Bradley nega contraddittoriamente la realtà dell’apparenza e propone un’inferenza le cui conclusioni negano le premesse.