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Giudizio trascendentale ed esperienza possibile.

II. CRITICISMO E ONTOLOGIA.

III.1. Giudizio trascendentale ed esperienza possibile.

Nel capitolo precedente abbiamo affermato che, naturale conseguenza della dottrina dell‟auto-affezione, è l‟affermazione che la filosofia trascendentale non possa mai darsi come ontologia. Adesso, calcando un andamento piuttosto tipico dell‟argomentazione kantiana, dobbiamo sostenere per converso che: “la riuscita di una deduzione trascendentale quale Kant la concepisce dipende proprio dalla sua riuscita in quanto ontologia”112. Ciò, ovviamente, non va interpretato nel senso di una banale affermazione contraddittoria, ma come una reinterpretazione del significato del termine “ontologia”. La differenza sta nel fatto che fra le due accezioni del termine si colloca lo spartiacque dell‟idealismo trascendentale. Nel primo caso si vuol negare all‟ontologia la possibilità di dedurre l‟esistenza degli oggetti esterni a partire dai concetti dell‟intelletto, nel secondo caso si afferma che le categorie costituiscono la condizione necessaria per il darsi di qualsiasi

81 fenomeno, per la costituzione stessa della oggettualità in quanto tale113.

La lettera del testo kantiano d‟altro lato, quando presenta il problema della Deduzione trascendentale, può risultare fuorviante. Il problema si configura, notoriamente, come una questione di diritto, quella di mostrare la legittimità di un uso: quello delle categorie come fondamenti dell‟esperienza. Ciò significherà mostrare come quest‟ultime possano avere un reale collegamento con gli oggetti. Ma perché questo problema si pone? Le categorie non svolgono tale ruolo per definizione? La risposta kantiana è che: “qui emerge una difficoltà che non abbiamo incontrato nel campo della sensibilità: in qual modo, cioè, le condizioni soggettive del pensiero debbano avere una validità oggettiva, ossia ci diano le condizioni della possibilità di ogni conoscenza degli oggetti; infatti, anche senza funzioni dell‟intelletto, possono senz‟altro esserci dati fenomeni nell‟intuizione”114. Kant, cioè, sembra affermare che lo status

113 Cfr. nota 101. 114 KrV A 89-90 B 122.

82 ontologico dei fenomeni risulti indipendente dalle categorie, che la costituzione del fenomeno si fondi su una sorta di datità originaria del molteplice dell‟intuizione. Quest‟affermazione, se si vuol restare fedeli allo spirito del testo, è da reputarsi figlia di necessità metodologico-esplicative (come è emerso riferendoci ai Prolegomeni). Kant, cioè, tende a sottolineare la distanza fra l‟intellettuale ed il sensibile per meglio introdurre la sua dottrina del giudizio trascendentale che si occuperà proprio della mediazione fra questi due poli. In realtà, però, solo una cattiva interpretazione di quanto detto a proposito dell‟auto-affezione può far reputare realistica questa tesi.

Se è vero, infatti, che il criticismo si distingue nettamente da un idealismo soggettivistico in quanto la conoscenza non può prescindere dall‟effettivo confronto con la dimensione dell‟esperienza, è d‟altro lato altrettanto innegabile che la possibilità di questa stessa esperienza si costituisca solo entro la dimensione dell‟unità della conoscenza, cioè entro la sfera dell‟apparato categoriale. Ciò che si da all‟intelletto umano non sono gli oggetti in quanto tali ma in quanto rappresentazioni

83 fenomeniche le quali emergono soltanto entro le strutture dell‟esperienza possibile; per questo non possiamo che concordare che: “il problema della pensabilità non è successivo e distinto da quello della datità: Kant ha in mente un‟esperienza originariamente complessa, che per fini espositivi semplifica astraendo e contrapponendo gli elementi costituitivi di operazioni complementari, ancorchè distinte, nell‟Estetica e nell‟Analitica”115.

Questi sono esattamente i termini nei quali si presenta la problematica dello schematismo trascendentale. La questione viene inizialmente presentata come un problema che riguarda la sussunzione di un oggetto sotto un concetto116, cioè la prospettiva generale del rapporto fra una regola ed un suo caso particolare. La difficoltà sta nel colmare l‟eterogeneità che caratterizza universale e particolare. Kant decide poi di concentrarsi sul rapporto fra le categorie e le intuizioni perché in questo caso la distanza che separa i due termini risulta così grande da far

115 A.FERRARIN Esistenza e Giudizio in Kant in Studi kantiani XV, Pisa, Istituti Editoriali e Poligrafici Internazionali, 2002.

84 porre seriamente l‟interrogativo sulla loro conciliabilità117. Il processo di polarizzazione procede ulteriormente al momento in cui Kant, riassumendo l‟argomentazione sviluppata sino a quel momento, afferma che “in quella sede [la deduzione delle

categorie] abbiamo visto infatti che i concetti risultano del tutto

impossibili e privi di qualsiasi significato, nel caso in cui non sia dato un oggetto al concetto o almeno agli elementi in cui esso consiste”118. Qui sembra sostenuta la tesi secondo cui la possibilità stessa delle categorie si fondi sul darsi dell‟esperienza. In realtà, volgendo lo sguardo alle pagine cui fa riferimento, appare chiaro come il rapporto di fondazione sia inverso: sono ovviamente i concetti puri a fondare la possibilità dell‟esperienza, altrimenti la nozione stessa di conoscenza a priori e l‟intero edificio del criticismo kantiano non potrebbero

117

“Ma i concetti puri dell’intelletto, posti a raffronto con le intuizioni empiriche (anzi, con le intuizioni sensibili in generale), risultano del tutto eterogenei e non possono essere mai trovati in qualche intuizione. Com’è allora possibile la sussunzione dei delle intuizioni sotto i concetti dell’intelletto, quindi l’applicazione della categoria ai fenomeni, visto che nessuno potrà mai dire: questa categoria […] può essere anche intuita per mezzo dei sensi ed è compresa nel fenomeno?”. Significativo, vedremo, è che in questa sede Kant ritenga, invece, non così pressante la questione riguardo i concetti sensibili (non intellettuali), infatti prosegue dicendo: “In tutte le altre scienze, in cui i concetti mediante i quali l’oggetto è pensato in generale non sono così diversi ed eterogenei rispetto a quelli che rappresentano l’oggetto in concreto, come è dato, non si richiede una discussione speciale dell’applicazione dei primi ai secondi”. KrV A 137-38 B 176-77.

85 sussistere. Kant, in realtà, ha già risposto alla domanda del “se” le categorie si applichino all‟esperienza, quella che ora realmente si pone è la questione che riguarda il “come”(cioè “sotto quali condizioni sensibili” lo facciano). La risposta è costituita, per l‟appunto, dalla teoria dello schematismo.

Prima, però, di approfondirla è necessario renderne brevemente conto del contesto. Quello sullo Schematismo dei

concetti puri dell‟intelletto costituisce il primo dei due capitoli che

compongono la dottrina trascendentale del giudizio. Ma cosa si intende qui per Giudizio? Il concetto viene chiaramente delimitato dichiarando che costituisce: “la facoltà di sussumere sotto regole, ossia di distinguere se qualcosa stia o no sotto una regola data (casus datae legis)”119. Se, come avremo modo di constatare in seguito, questa definizione risulta sottovalutare il ruolo del giudizio nell‟economia della conoscenza umana, senz‟altro individua da subito due caratteristiche peculiari di questa facoltà: la sua natura mediana (fra intelletto e sensibilità, fra universale e particolare) e l‟operatività (nel senso del suo

86 darsi sempre e soltanto come azione, nel contesto concreto di un caso da ricondurre ad una regola). In quanto facoltà dell‟applicazione delle regole il giudizio, infatti, non può sottostare a sua volta ad una regola, altrimenti quest‟ultima richiederebbe ancora, per poter essere applicata, un atto giudicante, generando così un‟insanabile petitio principii. Il giudizio viene definito come ingegno naturale, quel talento, cioè, che non si può insegnare ma, al massimo ed in maniera imperfetta, acuire tramite esempi120. Kant sottolinea in una nota come la sua mancanza possa esser definita ottusità e ad essa non si possa porre rimedio, nemmeno con un‟applicazione continua allo studio; anche fra gli eruditi infatti, nota salacemente il filosofo, si può trovare chi è afflitto da tale “infermità”. Per questo, come osserva Ferrarin, “[il giudizio, in quanto] capacità

120 A moderare la tesi del Giudizio come dono naturale emerge, quindi, l’idea di un suo possibile perfezionamento tramite il confronto, seppur misurato e accorto, con dei casi esemplari. Per una trattazione più ampia dell’esemplarità in Kant (tesa ad individuarne un ruolo più tematico all’interno del sistema della filosofia critica, anche se in una prospettiva della teoria del simbolismo che esula dal solo contesto della KrV per aprirsi soprattutto alla KU) rimando a: O.MEO “Un‟arte celata nel profondo…” Gli aspetti semiotici del pensiero di Kant, Genova, Il Melangolo, 2004.

87 di servirci dell‟intelletto ci è più propria, ossia ci individua di più, delle regole dell‟intelletto stesso”121.

Perciò la facoltà del giudizio si configura immediatamente come di una specie del tutto particolare. Kant, infatti, pur definendola da subito come una delle “facoltà superiori della conoscenza”122, sembra fornirle uno status di subordinazione rispetto all‟intelletto. Fondamentale al riguardo è il fatto che non sia ritenuto necessario indicarne un principio trascendentale; sembra sostanzialmente presentarsi come una mera istanza mediatrice, una sorta di catalizzatore enzimatico della relazione fra l‟intelletto e la sensibilità.

In sede di Deduzione metafisica dei concetti puri dell‟intelletto, però, ci si esprime in termini diversi nei confronti del Giudizio. Qui svolge la funzione di filo conduttore per la scoperta di tutti i

concetti puri dell‟intelletto123. Ciò lo porterà ad esser definito, pur mantenendo (coerentemente a quanto vedremo) una funzione

121

A. FERRARIN, Saggezza, immaginazione e giudizio pratico. Studio su Aristotele e Kant. , ETS, Pisa, 2004.

122 KrV A 130 B 169. 123 KrV A 66 B 91.

88 costante di protagonista in un qualche tipo di dinamica della scoperta, ad esser definito in maniera piuttosto diversa da quella che abbiamo analizzato. Il rapporto fra intelletto e giudizio, infatti, si configura non nei termini di una subordinazione ma di un‟equivalenza, persino di una coincidenza; infatti Kant dirà che: “[…]noi possiamo ricondurre a giudizi tutte le operazioni dell‟intelletto, sicchè l‟intelletto può essere concepito in generale come la facoltà di giudicare”124. Ancora una volta lo slittamento terminologico risulta indice di una necessità di riflessione. Senz‟altro manifesta che lo status del giudizio non può essere soltanto quello di una semplice

ancilla intellectus125.

124 KrV A 69 B 94.

125 In tal proposito appare comunque molto interessante l’ipotesi che sta alla base del pregevole e complesso lavoro di B. Longuenesse.L’intento che si propone è quello di mostrare come si possa individuare una forte continuità fra le due definizioni presentate. L’autrice considera che il richiamo alla guida delle funzioni logiche del giudizio effettuato in sede di deduzione metafisica non sia un semplice vezzo architettonico di Kant per giustificare la completezza della tavola delle categorie, ma costituisca un fattore fondamentale per la comprensione della deduzione

trascendentale e dell’intera critica. Le forme logiche del giudizio infatti non costituirebbero altro

che le regole universali di un intelletto discorsivo, attività mentali che la deduzione trascendentale ha poi il compito di mostrare come siano necessarie per ogni rappresentazione di oggetti. Significativo, risulta il fatto che Kant non utilizzi lo stesso termine per riferirsi alla facoltà del giudizio nei due casi presi in considerazione. Quando la paragona all’intelletto parla di “Vermögen

zu Urteilen” (cioè la potenzialità del giudicare) di cui la “Urteilskraft”, termine con il quale appare

in riferimento allo schematismo nonché nel titolo stesso della terza critica, dovrebbe rappresentarne la realizzazione in ambito sensibile. Il rapporto generico fra Vermögen e Kraft è,

89 Anche all‟interno della problematica stessa dello schematismo, ricapitolando, il ruolo della facoltà di giudizio è caratterizzato da un‟apparente bivalenza: quella fra il rivestire il ruolo di una facoltà atipica e sostanzialmente subordinata o costituire il fondamento stesso della possibilità dei concetti puri dell‟intelletto. Ovviamente entrambe queste prospettive risultano estremizzazioni strumentali all‟esposizione dell‟argomento; argomento che si è artificialmente configurato nei termini di un‟applicazione delle categorie al molteplice dell‟intuizione. L‟obiettivo, infatti, è quello di trovare “qualcosa di intermedio, che risulti omogeneo da un lato con la categoria e dall‟altro col fenomeno[…] Questa rappresentazione intermedia deve essere pura (senza elementi empirici) e, tuttavia, per un verso intellettuale e per l‟altro sensibile: essa è lo schema trascendentale”126. Le perplessità che possono

difatti, quello fra una potenzialità e la sua realizzazione. Cfr. B. LONGUENESSE, Kant and the

capacity to judge; Princeton – Oxford, Princeton University Press, 1998.

90 sorgere a questo proposito sono molteplici127, una su tutte la domanda: come è possibile che se categorie ed intuizioni risultano separate da un abisso di eterogeneità, un terzo elemento possa risultare omogeneo, per lati opposti, ad entrambe? Ciò non implica, forse, un ridimensionamento della diversità iniziale? Se due termini sono mediabili da un terzo, il loro collegamento non risulta analiticamente implicito fin dall‟inizio?

Nella nostra prospettiva, invece, queste difficoltà non si pongono. La dimensione dell‟oggettività kantiana risulta, infatti, originariamente stratificata e complessa. Ciò con cui abbiamo fin dall‟inizio a che fare è, semplificando, un molteplice dell‟esperienza che può costituirsi (e quindi mostrarsi) solo entro un tessuto di forme universali, le quali, d‟altro canto, trovano scaturigine e senso soltanto entro questa

127Proprio l’intrinseca problematicità (che può a volte esser interpretata anche come una certa macchinosità), certamente connessa alla sua centralità tematica, ha fatto si che questa sezione svolgesse un ruolo da protagonista nell’ambito degli studi kantiani. Ad esempio rimando a J. BENNETT, Kant‟s Analytic, Cambridge, Cambridge University Press, 1966, che, pur da una prospettiva analitica eccessivamente reificante, mette in luce alcuni nodi problematici (anche al livello di altre tipologie di schema, come quello dei concetti empirici dove sembra esservi una sovrapposizione con il concetto empirico stesso) del concetto di schema e di mediazione schematica.

91 dimensione intenzionale di rapporto con l‟empirico. Il compito, perciò, non è quello di applicare un concetto ad una molteplicità dispersa e originaria ma di leggere intelligentemente un molteplice che risulta già strutturato in funzione dei criteri generali della sua interpretazione.

Il problema,infatti, è costituito dal fatto che le categorie costituiscono criteri universali e fondamentali ma generalissimi. Lo schema trascendentale, perciò, risulta un elemento necessario ad infittire la trama dell‟apriori, un atto che risulta porsi nella dimensione dell‟interpretazione più che in quella dell‟applicazione.

Contravvenendo in certa misura al dettame kantiano, riteniamo che un esempio (fornito ancora da Allison128) possa chiarire al meglio la questione. Pensando al gioco degli scacchi vi sono due ordini di conoscenze che costituiscano condizioni necessarie per potervi giocare: la conoscenza delle regole (quali sono le mosse lecite) e quella dello scopo (definisce il fine per il quale le mosse vengono compiute). Però aver chiare le regole

92 non significa giocar bene: se una mossa è lecita, cioè, non va da sé che sia anche opportuna. Anche una buona conoscenza dello scopo del gioco può permettere al massimo di delineare criteri di appropriatezza di una mossa particolare (determinazione delle chance di vittoria a partire da una particolare posizione della scacchiera, con un pezzo determinato …) ma ciò non permette ancora di sapere come applicare questo principio generale ai casi particolari che di volta in volta si presentano. Regole e scopo, perciò, rappresentano condizioni necessarie ma non sufficienti al giocare a scacchi in maniera proficua. Serve il ricorso al Giudizio come facoltà in grado di mediare fra particolare ed universale, interpretando il primo in funzione del secondo. Anche, infatti, se riesco a stabilire delle regole di adeguatezza di una mossa, possono sempre esservi possibili eccezioni ed è impossibile (così come per le molteplici possibilità di mosse alternative) riconoscerle se non tramite un confronto diretto con il particolare, con la situazione concreta; confronto che non può mai avvenire sulla base di regole predeterminate e che è il compito svolto dal Giudizio. Si

93 configura, cioè, come la capacità di saper cogliere ciò che la situazione richiede. L‟abilità, cioè, di saper ricondurre l‟universale (la strategia vincente) alla situazione particolare, proprio questo è ciò che per Kant significa “possedere uno schema”. Cioè un criterio di interpretazione dei dati sensibili come incarnanti, in maniera sufficiente, le regole del pensiero contenute nel concetto, in modo da permettere la riconduzione del primo al secondo. Nel caso dello schematismo trascendentale, essendo situati nella sfera del puro, non è dato nessun molteplice intuitivo, per cui lo schema si relaziona direttamente all‟intuizione pura del tempo (quale “condizione formale del molteplice del senso interno”129). Pertanto lo schema trascendentale si configurerà come “determinazione trascendentale di tempo”130 quest‟ultimo, infatti, risulta “omogeneo” da un lato all‟intelletto (forma pura) e dall‟altro all‟intuizione (in quanto necessariamente incluso in ogni rappresentazione del molteplice empirico). Determinare un

129 KrV A138 B 177. Ciò non implica, come già specificato riguardo alla tematica dell’auto- affezione, che la dimensione temporale risulti primigenia rispetto a quella spaziale.

94 intuizione significa considerarla come percezione di qualcosa di determinato (ad esempio quella casa), nel caso del tempo la cosa è più complicata perché esso risulta sempre intuibile mediatamente, tramite l‟intuizione della relazione dei fenomeni in esso; perciò determinare il tempo significherà fissare le relazioni temporali dei fenomeni (simultaneità, successione ecc.). Una sua determinazione trascendentale potrà anch‟essa avvenire solo mediatamente, tramite la determinazione, al livello formale, di quali relazioni fra fenomeni siano necessarie a far sì che essi possano essere ricondotti all‟unità dell‟appercezione trascendentale. E‟ la determinazione del tempo in quanto intuizione formale131, cioè come caratterizzazione necessaria dell‟intuizione degli oggetti nel tempo stesso. Condizione quindi del loro manifestarsi in quanto oggetti.

Le categorie, perciò, vengono reinterpretate secondo la forma del tempo, ciò permette non tanto la loro applicazione al caso

131 Da intendersi qui in questa accezione funzionale, distinta da quella di configurazione formale del tempo stesso, che riguarda il tempo in generale. In quest’ultimo caso, infatti, non rappresenta altro che la controparte temporalizzata del concetto puramente formale di “oggetto in generale”.

95 singolo ma la possibilità stessa che un caso emerga come singolo. E‟ un atto di interpretazione perché si struttura come una sorta di traduzione (una mediazione fra due universi eterogenei) che, dall‟altro lato, conferisce ai concetti puri dell‟intelletto la possibilità di una presa effettiva sul molteplice empirico. Così è permessa la vera costituzione di quell‟orizzonte di pre-comprensione132, da sempre originariamente dato, che è la sfera dell‟esperienza possibile. Il soggetto trascendentale (mediante la forma pura del suo senso interno) è l‟artefice di questa mediazione; mediazione che può configurarsi solo come una trascendenza di queste due legalità eterogenee (quella della sensibilità e quella dell‟intelletto, espresse rispettivamente nell‟Estetica e nell‟Analitica) per cogliere ciò che va oltre l‟immediatezza del dato e che quindi, pur non essendo immediatamente pensato, ne presuppone l‟unione necessaria (la dimensione dell‟esperienza possibile, conquistata tramite il processo di schematizzazione). E‟, per

132

Ciò emerge anche in un altro ambito della critica. Nella Dialettica trascendentale, infatti, Kant fa riferimento al principio della Determinazione completa che (pur svolgendo, in quanto ideale della ragione, una funzione euristica) rimarca come l’intelletto umano, discorsivo e quindi incapace di intuizione singolare, richieda di un confronto con la totalità dei possibili per poter pensare l’ente singolare. (Cfr. LA ROCCA Esistenza e giudizio, op. cit., pp. 175-192).

96 inciso, proprio per far risaltare il carattere di evidenza non analitica dell‟operazione di mediazione che Kant elabora la sua strategia d‟esposizione; arrivando a formulare quell‟asserzione, incoerente se presa alla lettera, secondo la quale dalla riuscita della schematizzazione dipenderebbe la possibilità stessa delle categorie.

Il problema della mediazione fra categorie ed intuizioni, quindi, si delinea in maniera diversa e più ampia come quello della costituzione di quelle condizioni di senso, fra loro interrelate, che permettono all‟intelletto umano di avere intuizioni e, conseguentemente, all‟oggettività di emergere in quanto tale. Di conseguenza la questione non può esaurirsi con il paragrafo sullo schematismo. E‟ parlando dei Principi

dell‟intelletto puro, infatti, che Kant mostra il concretizzarsi di

quel procedimento di determinazione trascendentale del tempo, col quale abbiamo visto coincidere l‟atto della schematizzazione trascendentale. Questi infatti, ad eccezione dei Postulati del

pensiero empirico in generale, sono rivolti alla sfera

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