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Ragione ed esperienza: la Dialettica trascendentale e la sua appendice.

II. CRITICISMO E ONTOLOGIA.

III.4. Ragione ed esperienza: la Dialettica trascendentale e la sua appendice.

L‟Appendice alla dialettica trascendentale è il luogo dove la tematica dell‟esperienza concreta, della possibilità e modalità del giudicare empirico, viene affrontata in maniera più diretta e articolata. Sicuramente entro la dimensione “rappresentativa” ed intellettualistica dell‟Analitica, infatti, questa problematica si era trovata di fronte all‟impossibilità di emergere completamente; nonostante risulti organicamente collegata alle questione della possibilità dell‟esperienza in generale. A dire il vero la questione si trova coinvolta entro quella dialettica altalenante che caratterizza tutta la sezione. Da un lato infatti Kant, immediatamente prima del famoso §27 dove parla di un‟epigenesi dei concetti puri dell‟intelletto, sembra porre il problema della fattiva possibilità delle leggi empiriche167, dichiarando come non risultino completamente deducibili dalle

167 “Le leggi particolari, riguardando fenomeni empiricamente determinati, non possono essere totalmente ricavate dalle categorie, pur sottostando ad esse in ogni caso. Occorre l’intervento dell’esperienza perché si possa, in generale giungere a conoscere queste ultime…” KrV B 165.

122 categorie; dall‟altro rispetto allo schematismo (nonostante a proposito degli schemi empirici la sua teoria crei non poche difficoltà168) sembra liquidare la questione del collegamento fra intuizioni e concetti empirici come automatica conseguenza della medesima dinamica al livello trascendentale169.

Con la Dialettica trascendentale, invece, l‟attenzione si sposta dalla facoltà dell‟intelletto a quella della ragione (strictu sensu). Pur mantenendo lo stile espositivo, anche in questo contesto il carattere preponderante di un‟esposizione metafisica170, carattere che porta ad enfatizzare l‟aspetto di censura ed igiene

168 Il maggiore è costituito dal fatto che: quando propone l’esempio dello schema del concetto di “cane”, sembra esservi un’inutile sovrapposizione fra schema e concetto. Il concetto infatti, ancora una volta a causa dell’impostazione generale del problema, sembra sufficiente alla sussunzione, rendendo così pleonastica la presenza dello schema (cfr. O.MEO “Un‟arte celata nel profondo…”

Gli aspetti semiotici del pensiero di Kant, op. cit.). Kant d’altro lato, nonostante il tono di certe

affermazioni, non sembra ignorare completamente tutte le difficoltà, se è vero che immediatamente dopo aver presentato il sopracitato esempio, dirà le famose parole per cui: “questo schematismo del nostro intelletto nei riguardi dei fenomeni e della loro semplice forma è un’arte nascosta nelle profondità dell’anima umana, il cui vero impiego difficilmente saremo mai in grado di strappare alla natura per esibirlo patentemente dinanzi agli occhi” KrV A 141 B 180- 81.

169 “Com’è allora possibile la sussunzione delle intuizioni sotto i concetti dell’intelletto? […] Questa domanda, così naturale e importante, è propriamente la causa dell’indispensabilità di una dottrina trascendentale del giudizio, al fine di chiarire la possibilità, in generale, dell’applicazione dei concetti puri dell’intelletto ai fenomeni. In tutte le altre scienze, in cui i concetti mediante i quali l’oggetto è pensato in generale non sono così diversi ed eterogenei rispetto a quelli che rappresentano l’oggetto in concreto, come è dato, non si richiede una discussione speciale dell’applicazione dei primi ai secondi” KrV A 137-38 B 176-77.

170 Cfr. M. BARALE; Forme di soggettività e modelli di razionalità in Dimensioni della

123 dei suoi abusi, la ragione mantiene, anche in questo senso ristretto, la sua natura olistica e progettuale, che la denota positivamente entro la dinamica cognitiva umana come facoltà del comprendere, in opposizione all‟intelletto come facoltà dell‟intendere171. Comprensione che significa, in contrasto con l‟intellezione di singoli stati di cose, ricondurre ogni rappresentazione ad un contesto di senso organico, senso a cui contribuisce sempre in maniera parziale, coordinatamente alle altre rappresentazioni cui si rapporta e subordinatamente al fine architettonicamente sovraordinato. La ragione ha la capacità di situare l‟uomo oltre la dimensione dell‟immediatezza della sua coscienza (quella cioè dell‟intelletto rappresentativo), nella dimensione della possibilità e della progettualità. Azione che si attua tramite la costruzione e l‟attuazione di modelli di realtà unicamente possibili, costituiti sulla base di logiche immanenti172.

171

Ibid. pp.266-67.

172 La Ragione, infatti, in quanto istanza ultima di senso è l’unica in grado di agire secondo motivazioni che sono esclusivamente proprie (le finalità che persegue, infatti, e che fungono da principi d’orientamento teleologico-euristico, sono bisogni interni).

124 La critica delle idee trascendentali appare il culmine della pars

destruens dell‟opera, è il luogo dove Kant fa i conti con la

tradizione metafisica, trattando dei tre oggetti della metaphysica

specialis: l‟anima (come oggetto della psychologia rationalis), il

mondo (come oggetto della cosmologia rationalis) e Dio (come oggetto della theologia trascendentalis)173. Il momento nel quale Kant presenta il problema in generale di queste idee (che sono proprie della ragione così come le categorie dell‟intelletto e di cui i le tre sopra elencate costituiscono le classi sotto le quali si possono raggruppare) individua perfettamente i termini della questione: “i concetti razionali puri della totalità nella sintesi delle condizioni risultano pertanto necessari almeno come problemi, per sospingere, nei limiti del possibile, l‟unità dell‟intelletto fino all‟incondizionato e trovano il loro fondamento nella natura della ragione umana. Ciò non impedisce che tali concetti trascendentali siano mancanti di un uso adeguato in concreto e non posseggano altra utilità che quella di sospingere l‟intelletto nella direzione in cui il suo uso ,

125 pur essendo il più ampio possibile, risulti nonpertanto in un perfetto accordo con sé stesso”174. Notiamo come sia presente la consapevolezza della funzione architettonica di strutturazione della coerenza sistematica che queste idee (e tramite esse la ragione stessa) svolgono, funzione che si attua tramite un‟opera di orientamento euristico dell‟intelletto. D‟altro lato, però, il punto di vista nella quale la questione è esposta è ancora quello della conoscenza rappresentativa, per il quale lo status regolativo e progettuale di questi principi non è facilmente accettabile (sintomatiche risultano espressioni come “almeno” o “nei limiti del possibile”) e ogni atto intellettuale che non sia rivolto alla determinazione appare di secondaria importanza (“non posseggano altra utilità che…”).

Questo sarà il tono generale di tutto il Libro II (non a caso intitolato Intorno ai ragionamenti dialettici della ragion pura, l‟accento sul carattere negativo dell‟argomentazione è chiaramente posto) nel quale i tre oggetti della ragione vengono posti al centro di una riflessione specifica. Non c‟è da stupirsi,

126 quindi, se questa sia la chiave in cui l‟intera Dialettica è stata tradizionalmente letta: una serrata e fondamentale critica dei voli pindarici della ragione, un regolamento di conti definitivo con la tradizione onto-teologica dal quale l‟intera storia della filosofia non può più prescindere. Dando per scontato che la sezione svolge anche questo compito (la cui importanza non va certo sottostimata), è doveroso ed importante notare che, trattandosi comunque di una tematizzazione della dimensione della ragione, la prima a lei esplicitamente dedicata, non poteva non emergere anche e soprattutto qui, la sua più vera natura, che nell‟ambito dell‟Analitica avevamo potuto scorgere solo fra le righe. La seconda e la terza sezione(l‟Antinomia della ragion

pura e l‟Ideale della ragion pura) risultano particolarmente

interessanti, contribuendo a far risaltare caratteristiche diverse e complementari della razionalità kantiana.

Nel primo caso, infatti, la discussione mostra l‟empasse di fronte al quale la ragione si trova se tenta di pensare il mondo (in quanto totalità incondizionata) come rappresentazione di uno stato di cose, questo fallimento della ragione analitica,

127 però, fa risaltare la legalità della ragione organicamente intesa che, nella sua progettualità, non richiede un solo principio in vista della determinazione ma ammette e necessita di una molteplicità di principi atti a sondare il terreno dell‟indagine nel maggior numero di direzioni possibili175. Quella che sembrava la trappola dell‟opposizione logica, quindi, si trasforma nell‟unica prospettiva possibile per una ricerca che voglia euristicamente aspirare alla completezza (anche se essa, per definizione, non può dirsi mai completamente raggiunta). L‟idea di un essere supremo come artefice e ordinatore del mondo invece, pur risultando assolutamente inaccessibile alla ragione speculativa (cioè la ragione che pretenda di farne un suo oggetto determinato tramite la dimostrazione di una sua necessaria sussistenza), manifesta da subito ed in maniera più pacifica, per limitarsi solo all‟ambito teoretico, una sua utilità come fondamento teleologico del pensiero della massima unità

175 Barale sottolinea come questa distinzione si rispecchi nella differenza, anche terminologica, fra i principi della ragione e quelli dell’intelletto. Solo nel primo senso inclusivo , infatti, si può rettamente parlare di “principio” (Principium) nel secondo, invece, è più corretto rendere il suo carattere strumentale traducendo letteralmente con “proposizione basilare” (Grundsatz). Cfr. M. BARALE; Forme di soggettività e modelli di razionalità in Dimensioni della soggettività, M. BARALE (a cura di), op. cit., pp. 285-86.

128 dei fenomeni, cioè del mondo come struttura organica. In questo rappresenta un‟ideale della ragion pura (cioè un‟idea incarnata in un prototipo individuale), in grado di costituire, in maniera regolativa, l‟esperienza come unità strutturale.

L‟Appendice alla dialettica trascendentale, rappresenta il luogo in cui tutte queste tematiche convergono e vengono collocate in un contesto in grado di render conto della loro funzione ed interrelazione organica. In questa sede la ragione e le sue idee sono finalmente tematizzate intorno al loro uso regolativo. Una volta che ne è stata ribadita la presenza necessaria ed inevitabile, in quanto frutto di una dinamica immanente alla ragione (così come le categorie per l‟intelletto), è però necessario cercarne un uso proficuo. Uso che viene riconosciuto come necessario, in quanto la struttura finalistica della ragione naturale presuppone che nessuna delle sue parti non contribuisca alla dinamica del sistema, ma non immediato e pacifico come nel caso dell‟intelletto176. La struttura

176

Mostrare la legittimità di una necessità di principio tramite l’ostensione del suo darsi fattuale è ciò che per Kant significa compiere una Deduzione. Non a caso Kant, successivamente, esprimerà la necessità di compiere quest’operazione. La prospettiva adottata, però, rende contemporaneamente impossibile una fondazione trascendentale di questa la facoltà (della ragione

129 dell‟argomentazione, quindi, delinea un collegamento fra ragione ed intelletto teso a coglierne le affinità ma anche, coerentemente allo “stile” dell‟opera, a rimarcarne le differenze. L‟analisi compiuta nella Dialettica trascendentale ha chiaramente mostrato come per le idee della ragione non si dia nessun possibile uso trascendente (rivolto cioè alla conoscenza dell‟oggetto in sé stesso), non resta, perciò, altro possibile uso che quello immanente, rivolto alla dimensione della ragione stessa. La ragione, infatti, si caratterizzerà per la sua peculiare natura di riferirsi all‟oggetto solo per via indiretta, tramite la mediazione dell‟intelletto, il quale a sua volta si riferisce agli oggetti. Il modello presentato è quello di un meccanismo procedurale che dipinge il processo della conoscenza come articolato in tre fasi successive: si dà una molteplicità sensibile bruta che viene interpretata dall‟intelletto, la cui azione è poi sottoposta alla guida euristica della ragione al fine di essere

infatti è per definizione precluso qualsiasi uso trascendente). Per questo Kant, non disponendo per adesso di nessun altro modello se non di quello della fondazione trascendentale delle categorie, cercherà una soluzione di compromesso. Per le idee trascendentali si richiede comunque una deduzione trascendentale che però, in virtù della loro natura regolativa, non richiederà che ne venga effettivamente fondata la trascendentalità ma solo che quest’ultimi appaiono come

trascendentali. Solo nella KU, la facoltà del giudizio (come funzione del connettere e progettare

130 ottimizzata. La prospettiva è palesemente ancora quella dell‟Analitica; non a caso Kant, quando poche pagine più avanti si troverà ad esprimere nuovamente questi concetti, parlerà di uno schematismo della ragione177. Ancora una volta, infatti, si richiede un agente della mediazione, un catalizzatore sistematico, per collegare due legalità la cui interrelazione originaria è stata artificialmente disconosciuta.

Nonostante venga presentato in un contesto che sembra relegarlo ad un ruolo subordinato, l‟agire euristico della ragione trova in questa sede un‟esposizione chiara e concisa. Il loro uso regolativo è, infatti, riconosciuto come necessario ed

imprescindibile178. Tali concetti regolativi sono propri della sola ragione, non sono desunti dalla natura, ma sono utilizzati per

177 “Fa una gran differenza che una cosa sia data alla mia ragione come un oggetto assolutamente o come un semplice oggetto nell’idea. Nel primo caso i miei concetti sono volti alla determinazione dell’oggetto, mentre nel secondo non si dà che uno schema, cui non si attribuisce direttamente alcun oggetto, neppure ipoteticamente, ma che serve unicamente a rappresentarci altri oggetti per via indiretta, cioè in riferimento a questa idea e sulla base della loro unità sistematica” KrV A 670 B 698.

178 Incontriamo anche l’epiteto, già conosciuto a proposito dell’Architettonica, di “focus

imaginarius”. “Esse [le idee della ragione] hanno però un uso vantaggioso e imprescindibile,

consistente nel dirigere l’intelletto verso un certo scopo, in vista del quale le linee direttive delle sue regole convergono in un punto, che – pur essendo null’altro che un’idea (focus imaginarius), cioè un punto da cui non possono realmente provenire i concetti dell’intelletto, perché è fuori dell’esperienza possibile – serve tuttavia a conferire a tali concetti la massima unità ed estensione possibile.” KrV A 644 B 672.

131 poterla meglio comprendere179 (funzione euristica). Comprensione che si caratterizza non come processo automatico ma come sforzo (la dinamica della ragione si rivela, così, come sempre progettuale) teso a guadagnare la maggior completezza sistematica possibile (solo nella dimensione sistematica, la cui idea pur è propria soltanto della ragione, la conoscenza intellettuale può risultare sottoposta ad una legalità determinata e non un mero aggregato accidentale).

E‟ in quest‟ottica che Kant si porrà il problema del‟esperienza concreta, dell‟intellezione del particolare. La ragione, infatti, viene definita, in opposizione all‟intelletto, come “facoltà di derivare il particolare dall‟universale”180 e viene introdotta anche un‟importante distinzione rispetto al suo uso, quella fra:

uso apodittico ed uso ipotetico181. Il primo caso riguarda la situazione in cui l‟universale è già in sé certo e dato, per cui il

179 Sono presentati gli esempi, ispirati alla storia delle scienze, dell’utilizzo dei concetti di terra pura, aria pura e acqua pura. Questi concetti, la cui totale purezza è derivabile solo dalla ragione, hanno una funzione paradigmatica, guidando i naturalisti nella loro attività di scoperta. Cfr. KrV A 646 B 674.

180 KrV A 646 B 674.

132 giudizio è in grado di determinare in maniera immediata ed automatica; il secondo, invece, riguarda il caso in cui il particolare sia dato ma l‟universale vada ricercato (sia assunto

solo problematicamente)182. Quest‟ultima è la dimensione del fattivo dialogo cognitivo fra uomo e natura, l‟esperienza concreta dell‟indagare nella quale la scienza si colloca183: quella nella quale ci si deve accertare se la legge ipotetica che abbiamo assunto per spiegare i casi particolari cui ci troviamo di fronte sia effettivamente valida. Il problema è il medesimo già presentato nell‟Analitica, per il quale le leggi particolari non risultano completamente derivabili dai concetti puri dell‟intelletto, il problema della trascendenza del dato rispetto all‟apparato dell‟apriori.

182 E’impossibile non notare, prima ma non ultima, l’affinità esplicita con la Critica del giudizio, in particolare con la già citata distinzione fra giudizio determinante e giudizio riflettente. Non a caso anche in questo contesto Marcucci (che avevamo già visto criticare, da una prospettiva più intellettualistica, criticare la contestualità fra determinazione e riflessione) si sente in dovere, pena la caduta dell’intero sistema critico fondato sulla separazione fra le facoltà, di precisare come in realtà non si tratti di due usi della medesima facoltà ma di funzioni diverse di due facoltà distinte (l’intelletto e la ragione). Cfr. S. MARCUCCI, Aspetti epistemologici e teoretici della deduzione

trascendentale delle idee in Kant in Studi kantiani I. Kant e la conoscenza scientifica, op. cit.,

p.48.

183 Non è un caso che gli esempi a cui Kant ha fatto precedentemente ricorso per mostrare la funzione euristica delle idee, siano tratti dall’ambito della scienza naturale.

133 In sede di Critica della ragion pura, per le ragioni di struttura argomentativa ampiamente sottolineate, la questione non può emergere in tutta la sua radicalità, ma nella KU si configurerà come quello che Scaravelli definirà il problema del terzo

molteplice184. L‟idea cioè che le molteplicità che la ragione umana deve unificare siano tre: quella empirica della sensazione, quella pura delle determinazioni spazio-temporali e quella delle leggi empiriche. Per questo, come viene esposto chiaramente nella Erste Einleitung185, anche se la totalità dell‟esperienza ,come esperienza possibile, è riconducibile sotto l‟unità originaria dell‟appercezione non è conseguentemente certo che la natura possa darsi all‟intelletto umano anche come sistema di leggi empiriche. L‟eterogeneità dell‟empirico potrebbe far sì,

184 Cfr. L. SCARAVELLI, Scritti kantiani, Firenze, “La Nuova Italia”, 1968; pp. 357-67. 185

“Abbiamo visto nella Critica della ragion pura che l’intera natura come totalità degli oggetti dell’esperienza forma un sistema secondo leggi trascendentali che lo stesso intelletto dà apriori (vale a dire per i fenomeni in quanto, connessi in una coscienza, devono costituire l’esperienza) […] In quanto l’esperienza è da riguardare in generale come sistema secondo leggi trascendentali dell’intelletto, e non come mero aggregato. Ma da ciò non segue che la natura sia un sistema

comprensibile per l’umana facoltà di conoscere anche secondo leggi empiriche, e che la

connessione completa e sistematica dei suoi fenomeni in una esperienza – e perciò un’esperienza come sistema – sia possibile per gli uomini. Poiché la molteplicità e la diversità delle leggi empiriche può essere così grande che sarebbe certo possibile in parte connettere le percezioni secondo leggi particolari occasionalmente scoperte, ma in nessun caso sarebbe possibile ricondurre ad unità queste stesse leggi empiriche sotto un principio comune…” I. KANT, Prima introduzione

134 infatti, che si dessero in una molteplicità tale da non poter mai essere ricondotte a sistema. Da questa riflessione, i cui germi sono comunque già tutti presenti nella KrV, si può finalmente sottolineare come le leggi empiriche non risultino analiticamente tratte da quelle trascendentali. Come cioè, richiamandoci così a quanto concluso nell‟analisi dell‟Appendice

all‟analitica trascendentale, la filosofia critica richieda, per poter

pensare l‟esperienza, di considerare non solo le condizioni formali della possibilità dell‟esperienza ma anche la specificità della pluralità empirica.

Ancora una volta l‟unica risorsa possibile è quella di una legalità alternativa rispetto a quella determinante dell‟intelletto, che si collochi fin dall‟inizio nella dimensione della sistematicità. Solo un‟idea infatti, quella dell‟unità sistematica

della natura186, può alla fine dei conti garantire la presa del mio intelletto sul mondo e, conseguentemente, la tenuta dell‟intero

186

Costituisce un altro dei temi che nella KU potrà trovare il contesto adeguato nel quale essere pensato e sviluppato. Per un’analisi accurata del rapporto, fra molteplici affinità e notevoli differenze, che lega Appendice alla dialettica trascendentale e Critica del giudizio: cfr. G. GAVA,

La contingenza della natura tra la critica della ragion pura e la critica della facoltà di giudizio, in Leggere Kant. Dimensioni della filosofia critica., C. LA ROCCA (a cura di), op. cit.; pp.169-201.

135 impianto della critica. Garanzia però che, data la natura ipotetica del principio, non si configura come una certezza apodittica ma come un progetto, una speranza necessaria. Le stesse parole di Kant testimoniano ciò quando recitano: “la legge di ragione che ci conduce a cercare l‟unità , è necessaria, perché senza di essa la ragione non ci sarebbe, con la conseguenza che mancherebbe un uso coerente dell‟intelletto e andrebbe perduto ogni contrassegno sufficiente della verità empirica. E‟ dunque in virtù di quest‟ultimo che non possiamo fare a meno di presupporre l‟unità sistematica della natura come oggettivamente valida e necessaria”187.

187 KrV A 651 B 679.

136

CONCLUSIONI

Il tentativo compiuto nel corso di questo lavoro è stato quello di fornire una lettura della Critica della ragion pura che la ricollocasse in un doppio ordine di sistematicità: quello della struttura interna dell‟opera e quello della prospettiva più generale della filosofia critica. L‟intero progetto critico, infatti, non è altro che una grandiosa indagine della ragione umana

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