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Sistema ed esperienza nella Critica della ragion pura.

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1

U

NIVERSITÀ DI

P

ISA

FACOLTÀ DI LETTERE E FILOSOFIA

CORSO DI LAUREA SPECIALISTICA IN FILOSOFIA E FORME DEL

SAPERE

TESI DI LAUREA

Sistematicità ed esperienza nella

Critica della ragion pura.

Relatore

Prof. Alfredo Ferrarin

Candidato

Enrico Sardelli

(2)

2

INDICE

INTRODUZIONE

I. SISTEMA ED EPIGENESI

I.1. La Dottrina trascendentale del metodo

I.2. L’Architettonica della ragion pura

II. CRITICISMO E ONTOLOGIA

II.1. L’idealismo trascendentale

II.2. Coscienza ed esistenza

II.3. L’auto-affezione

III. GIUDIZIO, ANALOGIA, ESPERIENZA

III.1. Giudizio trascendentale ed esperienza possibile

III.2. Il conflitto delle “Ragioni”

III.3. Riflessione e Giudizio

III.4. Ragione ed esperienza: la Dialettica trascendentale

e la sua appendice

CONCLUSIONI

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3

INTRODUZIONE.

La figura di Kant viene perlopiù presentata come quella di un uomo la cui vita, priva di eventi sensazionali dal punto di vista della cronaca biografica, fu interamente dedita al sapere scientifico e filosofico; un‟esistenza, la sua, frugale e contemplativa, conseguenza di una personalità integerrima sul piano morale ed abitudinaria sino quasi all‟ossessività rispetto al vivere quotidiano1. Tale visione stereotipata dell‟uomo può in qualche modo proiettarsi anche sul filosofo. A questo riguardo si esalta il Kant massimo filosofo dell‟Illuminismo, l‟apostolo della morale ed il censore dell‟intelletto umano che nella sua opera è stato capace di delimitare e rappresentare l‟intero edificio della ragione2: una meravigliosa cattedrale risplendente nell‟adamantina immobilità della sua perfezione.

1

Basti pensare al celeberrimo aneddoto secondo cui i cittadini di Königsberg potessero servirsi della passeggiata pomeridiana che il filosofo effettuava per la città, ogni giorno seguendo il medesimo tragitto, come riferimento per rimettere i loro orologi.

2 Kant utilizza il termine “ragione” sia per indicare l’intero apparato intellettuale dell’uomo (che pur suddividendosi in “puro” e “pratico” si trova protagonista in ogni ambito dell’esistenza umana, dalla riflessione matematica all’esperienza etica), sia per identificare una delle tre facoltà in cui la ragion pura si suddivide (intelletto, ragione e giudizio). Il contesto servirà da riferimento per l’interpretazione, anche se avremo modo di notare come in entrambi i sensi del termine si faccia riferimento alla medesima legalità.

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4 La situazione, tenendo ovviamente presenti le palesi differenze dovute all‟eterogeneità degl‟argomenti trattati, è affine a quella nella quale si trovò E.R.Dodds quando un suo alunno gli confessò che l‟arte greca non riusciva ad emozionarlo, in quanto la avvertiva come “tremendamente razionale”. Questi rimase molto colpito da tale affermazione, perché riuscì a capire che, nella visione idealizzata della classicità che c‟è stata tramandata: “l‟arte dei Greci e la cultura greca in generale possono apparire prive di senso del mistero, incapaci di penetrare gli strati più profondi e meno coscienti dell‟esperienza umana.”3 In questo lavoro, come il grande filologo inglese, sentiamo il bisogno di mostrare come l‟orizzonte con cui dobbiamo confrontarci sia infinitamente più stratificato, complesso e vitale di quanto possa apparire agli occhi di una lettura reificante.

In sintesi ciò che vogliamo sostenere, e che rappresenta una delle idee al cuore di questo studio, è che: “Kant ha avuto e ha fama di uomo pedante, ma non è pensatore pedante: la sua

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5 costruzione filosofica non ha nulla di monolitico o di scolastico, ed è continuamente condizionata – e non poco – dai problemi che emergono lungo il percorso. Tanto per fare l‟esempio più banale e macroscopico: le tre Critiche, che i manuali ci propongono come l‟applicazione di una prospettiva ai vari ambiti – la conoscenza, la morale e l‟estetica – non sono il frutto di un progetto precostituito4. […] E‟ un processo complesso, per nulla privo di tensioni, di problemi e di ripensamenti …”5.

Per questo un‟analisi iniziale dell‟Architettonica permetterà di collocare la critica nella sua corretta prospettiva sistematica e tematica: quella di un sistema riformato della metafisica. Una metafisica nuova che presuppone la prospettiva della ragione come organismo caratterizzato da una legalità teleologica e da una dinamica epigenetica.

Una metafisica che si caratterizza come nuova perché, come emerge dall‟approfondimento dei temi dell‟idealismo

4 Quanto meno si può affermare, come avremo modo di osservare nel proseguo del lavoro, che fra il progetto e la sua effettiva realizzazione c’è, nell’opera kantiana, un dialogo continuo, che può portare anche alla ripetuta modificazione del primo.

5 L.FONNESU, Sulla morale kantiana, in Leggere Kant. Dimensioni della filosofia critica., C. LA ROCCA (a cura di), ETS, Pisa, 2007; p. 117.

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6

trascendentale e dell‟auto-affezione, pur riconducendo le

condizioni dell‟oggettività alla sfera della soggettività, non presuppone di ridurre il piano dell‟esistenza a quello dell‟intelletto, permettendo così di conservare alla dimensione dell‟esperienza di conservare la propria identità e primarietà.

Esperienza che risulta mai completamente riconducibile alle condizioni di un intelletto determinante e la cui possibilità richiede il riferimento ad una dimensione della pre-datità, pensata come contesto originario di relazioni. Ciò sarà possibile, però, solo ritornando alla dimensione della ragione, organicamente e teleologicamente strutturata, capace di trascendere la rigidità della legalità intellettuale e di progettare quest‟unità delle relazioni possibili.

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7

I. SISTEMA ED EPIGENESI.

Ad un primo approccio con la Critica della ragion pura, che resta l‟opera più famosa di Kant e costituisce senz‟altro una delle pietre miliari della filosofia d‟ogni tempo, si resta senz‟altro colpiti dalla mirabilità della costruzione sistematica che riesce a racchiudere in un disegno unitario le molteplici e necessariamente complesse tematiche filosofiche che riguardano un progetto così ambizioso ed omnicomprensivo: depurare la metafisica da secoli di fallacie e, tramite un processo di riflessione critica della ragione su se stessa, donarle quello statuto di scientificità che, in quanto la più fondamentale fra le scienze, deve obbligatoriamente conquistare. L‟impressione che si può avere è quella di fronteggiare un

organon complesso ma razionalmente articolato in ogni sua

parte e perfettamente conchiuso. Molti sono gli elementi che contribuiscono a tale sensazione: aspetti più formali, come la struttura sillogistica della tavola delle categorie o l‟andamento

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8 teorematico dell‟argomentazione che spesso procede per “ipotesi” e dimostrazioni; ma anche affermazioni dello stesso Kant che fin dall‟introduzione sostiene con enfasi che, una volta compiuta l‟operazione di depurazione critica della metafisica, quest‟ultima si troverà sul “sicuro cammino della scienza”6 e, avendo raggiunto una compiutezza che data la sua natura particolare è in grado addirittura di oltrepassare quella delle altre scienze7, sarà in grado di delimitare e delineare il sistema della ragione in maniera completa, scoprendola come “un‟unità del tutto autonoma, sussistente per sé, in cui ogni membro, come in un corpo organico, esiste in vista degli altri e tutti esistono in vista di ciascuno …”8.

6 KrV B XIII. L’edizione a cui faccio riferimento è: I. KANT, Critica della ragion pura, a cura di P. Chiodi; Torino, UTET, 1967.

7 “Di conseguenza, la metafisica ha anche la rara felicità, di cui nessun’altra scienza razionale concernente oggetti (occupandosi la logica solo della forma del pensiero in generale) può essere partecipe, che se questa critica l’avrà posta sul sicuro cammino della scienza, essa potrà abbracciare pienamente il campo delle conoscenze che le sono proprie, e potrà pertanto rendere compiuta la sua opera, lasciandola in uso alla posterità come un tutto non accrescibile […]”. KrV B XXIII-XXIV.

(9)

9

I.1. La Dottrina trascendentale del metodo.

La sezione nella quale Kant si preoccuperà di descrivere il sistema completo della Ragione è la Dottrina trascendentale del

metodo. La sua importanza è stata per lungo tempo sottostimata

e con essa, ovviamente, anche quella del suo capitolo centrale: l‟Architettonica della ragion pura. Questo potrebbe apparire sorprendente se si considera che la filosofia kantiana è da più di due secoli è al centro dell‟attenzione del mondo filosofico. Tale rilevanza ha fatto sì che il settore degli studi kantiani risulti particolarmente ampio e variegato, caratterizzato da contributi importanti sia per numero che per profondità d‟analisi e con interpretazioni così diverse al suo interno da risultare dicotomiche (come quella idealistica e quella neokantiana, ad esempio). Paradossalmente, invece, proprio la straordinaria importanza che l‟opera di Kant riveste nell‟intero panorama della storia della filosofia può aver contribuito a questo misconoscimento. Come fa notare nella sua preziosa ricerca H.J.

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10 De Vleeschauwer9, gli interpreti sono stati tradizionalmente portati ad enfatizzare, condizionati in questo da alcune indicazioni dello stesso Kant nonché dall‟ammirazione che non può non sorgere nel confrontarsi con un capolavoro della filosofia di ogni tempo, l‟aspetto rivoluzionario dell‟opera del filosofo di Königsberg: il suo esplicito contrapporsi ad una tradizione consolidata per inaugurare un nuovo corso della filosofia occidentale. Perfetto esempio di questo atteggiamento è il peso assegnato al tema della “rivoluzione copernicana” (questione, peraltro, piuttosto complessa, sulla quale torneremo successivamente).

Conseguentemente, però, i legami ed i debiti che il criticismo ha con la tradizione metafisica del suo tempo, almeno fino al „900, non sono stati indagati in maniera approfondita. Ciò nonostante lo stesso Kant affermi chiaramente come lo scopo della sua opera sia quello di “mutare il procedimento finora seguito dalla metafisica” e che, in virtù di questo scopo, la

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11 Critica costituisca un “trattato del metodo”10. Un‟attenta considerazione di questa questione risulta di importanza fondamentale per la comprensione e la valutazione dell‟opera: a seconda del peso che si assegna alla metafisica nell‟economia della Critica, infatti, muta la lettura che se ne ricava; sia a proposito dell‟equilibrio tematico fra le sue sezioni, sia del suo senso generale. Il quesito kantiano sulla “possibilità della metafisica in generale” riassume bene i termini del problema; esso, infatti, può essere interpretato: come inerente alla possibilità di ogni metafisica mai elaborata (da quella aristotelica a quella wolfiana, da quella dei costumi a quella della natura) od invece, più radicalmente, come una riflessione gnoseologico - formale sulla possibilità stessa, in senso assoluto, del darsi di questa disciplina come scienza. Nel primo caso, perciò, l‟intento kantiano sarebbe stato quello “positivo” di salvare la metafisica, ereditata dalla tradizione wolfiana, emendandola criticamente dalle sue fallacie; nel secondo,

10

“In quel tentativo di mutare il procedimento finora seguito dalla metafisica, e precisamente operando in essa una radicale rivoluzione sul modello di quella dei geometri e dei fisici, sta il compito di questa critica della ragion pura speculativa. Essa è un trattato del metodo e non un sistema della scienza stessa …” KrV B XXII-III.

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12 invece,si aspira a sostituire l‟ontologia generalis11 della tradizione con una teoria scientifica della conoscenza umana.

E‟ facile riconoscere in quest‟ultimo punto di vista quello tipico del neo-kantismo ma anche caro a molta filosofia anglosassone (di orientamento prevalentemente analitico), secondo cui il tribunale della ragione emette un verdetto di totale colpevolezza per la metafisica, condannandola all‟esilio ed instaurando, in sua sede, una teoria della conoscenza e dell‟esperienza scientifica. Kant, però, riuscirebbe a rimanere veramente fedele a questa missione soltanto in una precisa parte dell‟opera: nell‟Analitica trascendentale (considerata come luogo dove i temi dell‟Estetica convergono e trovano comunque compimento). Se persino la Dialettica trascendentale (pur sempre parte della Dottrina degli elementi) risulta esclusa, miglior sorte non può certamente toccare alla Dottrina del metodo, giudicata un‟appendice inutile se non dannosa, perché priva di pregnanti analisi teoretiche e sede nella quale vengono introdotti

11

Con questa espressione si intende (nella formulazione di Wolf) la disciplina che studia gli attributi dell’oggetto in generale, indipendentemente da ogni rapporto effettivo con l’esistenza. E’ interessante notare come nell’Architettonica Kant dia questo nome alla stessa filosofia trascendentale (KrV A 845 B 873).

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13 pericolosi principi metafisici come quello teleologico. Un retaggio, insomma, di quella tradizione filosofica dalla quale la vera missione della Critica è di emanciparsi12. La prima delle interpretazioni in gioco, invece, legge il testo da una prospettiva maggiormente organica. Adesso la Dottrina del metodo acquista un‟importanza centrale; appare, infatti, come la parte maggiormente costruttiva dell‟opera, quella che, dopo che nella

Dottrina degli elementi si è fatto un “inventario del materiale”, ha il

compito di costruire la “solida abitazione”13 della ragione, o quantomeno di delinearne il progetto. Ciò potrà attuarsi solo tramite un processo “igienico” di revisione dell‟unica disciplina che, in quanto scienza di fondamento14, è in grado di svolgere tale compito: la metafisica

Quanto narra De Vleeschauwer, mostrandoci l‟evoluzione nel corso degli anni della sua opinione su questo fondamentale

12 Ottimo esempio di ciò sono le parole del Kemp Smith, a proposito della Dottrina del metodo: “la sezione è di scarsa importanza scientifica, ed è interessante soprattutto per la luce che getta sulla personalità di Kant […] Inoltre le distinzioni che Kant qui delinea non sono per la maggior parte di sua proprietà filosofica, ma sono tratte dal sistema wolfiano.” N. KEMP SMITH, A

Commentary to Kant‟s „Critique of pure reason‟. Second Edition. Revised and Enlarged, Atlantic

Highlands, New Jersey, 1962; p.579 [trad. mia]. 13 KrV A 707 B 735.

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14 argomento, riassume perfettamente i termini del problema. Pur ammettendo, infatti, che la preferenza accordata all‟una o all‟altra delle ipotesi interprative in gioco “dipende assai più da un orientamento preliminare e dalla prospettiva scelta che da una dimostrazione” – dichiara che – “in certo senso abbagliato dalla presenza, superiore ad ogni altra, della deduzione trascendentale nell‟opera di Kant […] io lessi e commentai il criticismo teoretico con una preferenza esclusiva per la seconda formulazione [quella neokantiana n.d.r.]. Adesso credo invece che, per restare nell‟ambito di una legittima interpretazione delle intenzioni di Kant, ci si debba attenere alla prima interpretazione della domanda [quella sistematica n.d.r.]: «E‟ possibile la metafisica in generale?»”15. Da parte nostra non

possiamo che, dovendo dichiarare la natura del nostro

orientamento preliminare, appoggiare la scelta sistematica, nella

convinzione che, oltre che supportata da ottime motivazioni

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15 testuali, essa permetta di delineare in maniera più coerente e significativa l‟intera prospettiva della filosofia critica kantiana16.

Questo spiega l‟apparente bizzarria di approcciare la Critica

della ragion pura a partire dalla sua conclusione, ritenendo,

peraltro, che la dimenticanza storica cui è stata sottoposta la

Dottrina del metodo ( e con essa quindi anche la sua sezione più

importante) non sia completamente giustificabile. La posizione conclusiva che occupa nel testo, infatti, non è segno di un‟importanza secondaria, visto che: “nulla – o quasi – avrebbe impedito che la Dottrina trascendentale del metodo precedesse il resto della Critica[…]e nulla, aggiungerei, impedisce soprattutto oggi di considerarla la porta d‟ingresso più ampia e naturale per penetrare nella sostanza e nello spirito dell‟opera kantiana…”17.

16 Spesso, infatti, si tende a dare un’interpretazione dell’evoluzione della filosofia kantiana fortemente improntata alla discontinuità, tale visione (parallela a quella neokantiana della prima critica, di cui abbiamo parlato) ci presenta quello kantiano come un cammino costellato di svolte e rivoluzioni. Come sostiene ancora, enfaticamente, il De Vleeschauwer, però: “non è forse contraddittorio glorificare il genio sovraumano di Kant e farci nello stesso tempo credere che egli cambiava idea ogni dieci anni come uno svagato che non avesse alcuna padronanza del corso del suo pensiero?” Ibid., p.3.

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16 Possiamo quindi ribadire come la Dottrina del metodo costituisca la parte della prima critica in cui l‟argomentazione filosofica assume una direzione costruttiva e positiva. La metafora dell‟edificio, già precedentemente accennata, riassume bene i termini della questione: il suo scopo è, infatti, quello di spiegare come, dopo aver stabilito nella Dottrina degli elementi quali siano i materiali a nostra disposizione, ci si debba apprestare a costruire l‟edificio della ragione18. Ammettendo, dunque, che il rapporto fra le due sezioni sia quello canonico della successione di una pars costruens ad una pars destruens19, non può che nascere una domanda sulla strutturazione stessa dell‟opera kantiana: com‟è possibile che il progetto di un‟opera giunga alla fine quando, invece, risulta ciò che va fin dall‟inizio presupposto? Pare, così, di poter scorgere una sospettosa

18 “[…]Nella Dottrina trascendentale degli elementi, abbiamo fatto inventario del materiale e abbiamo stabilito per quale edificio sia sufficiente e quali siano l’altezza e la solidità dell’edificio stesso. Certo, benché aspirassimo a costruire una torre elevantesi fino al cielo, non si poté fare a meno di constatare che i materiali a disposizione non erano sufficienti che per una casa d’abitazione, spaziosa quanto basta per i nostri bisogni sul paino dell’esperienza […] Per noi qui si tratta, più che dei materiali, del progetto […] La Dottrina trascendentale del metodo consiste nella determinazione delle condizioni formali di un sistema completo della ragion pura.” KrV A 707-708 B735-736

19

D’altro canto ciò non è da considerarsi valevole in modo assoluto, dal momento che alcuni passi dell’Analitica trascendentale (in riferimento soprattutto ai Principi dell‟intelletto puro), ma anche la stessa Appendice alla dialettica trascendentale non possono essere considerati privi di qualsiasi riferimento al piano dell’ontologia.

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17 circolarità nell‟ordine dell‟argomentazione kantiana, impressione che viene incrementata dalla visione forte dell‟organicità del sapere che Kant (come approfondiremo meglio con l‟Architettonica) ha. La dimensione sistematica, infatti, non riguarda mai soltanto la forma esteriore della conoscenza: “molti si immaginano che il sistema appartenga solo all‟esposizione, ma esso appartiene all‟oggetto della conoscenza e al pensiero”20.

Una prima risposta può esser fornita ritornando alla metafora kantiana: quello della Critica è un caso particolare nel quale non è data la possibilità di costruire qualsiasi struttura si desideri (una torre elevantesi fino al cielo) ma ci si dovrà accontentare di una “casa d‟abitazione, spaziosa quanto basta per i nostri bisogni sul piano dell‟esperienza, abbastanza alta per dominare dall‟alto con lo sguardo”21. Per questo è necessario invertire l‟ordine logico degli argomenti, il progetto dovrà essere esposto in ultima istanza perché prima è necessario aver chiare le idee

20

R 2231, Ak XVI 279. Si intende far riferimento al testo della Akademie-Ausgabe (Kants

Gesammelte Schriften, herausgegeben von der Preußischen Akademie der Wissenschaften, Berlin,

1902) dove il numero romano sta ad indicare il volume e quello arabo la pagina. 21 KrV A 707 B 735.

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18 sul materiale a disposizione per realizzarlo. Ciò, comunque, non toglie che il rapporto fra le due dottrine della critica sia effettivamente strutturato all‟insegna di una certa circolarità22 la quale, però, lungi dal configurarsi come una petitio principii, rivestirà, come vedremo, un‟importante ruolo tematico all‟interno dell‟intera critica.

Ma cosa significa nella prospettiva kantiana fornire un metodo per la metafisica? Nella Critica della ragion pura non sembra, infatti, che si parli strettamente né di metodo né di metafisica, almeno nel senso in cui questi due termini sono comunemente intesi. Ad un banale confronto fra l‟opera kantiana ed un moderno trattato logico sul metodo ciò che si nota è soprattutto una radicale diversità23. E‟ sufficiente, però, volgere uno sguardo alla storia della filosofia per rendersi conto di come quest‟impostazione metodologico-metafisica non

22 Quella cioè fra: un progetto che non può delinearsi senza una preliminare analisi dei materiali a disposizione e questa stessa analisi che non può aver luogo se non le viene presupposta una qualche forma di obiettivo progettuale (anche se non necessariamente un progetto completamente delineato).

23

Basti pensare al fatto che Kant lavora con una logica trascendentale, diversa da quella classica, e che la prospettiva in cui si muove è quella olistica e teleologica secondo cui il metodo, in quanto principio dell’organizzazione sistematica delle conoscenze, è sia il compimento ultimo e perfezionamento della conoscenza che il suo fondamento di scientificità, nonché la guida euristica del suo ampliamento.

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19 costituisca una novità assoluta. E‟, infatti, possibile delineare una tradizione trattatistica (nella quale si possono annoverare nomi importanti come quelli di Cartesio, Leibiniz, Spinoza e altri meno noti come Geulinx il quale peraltro sembra anticipare le posizioni dell‟idealismo trascendentale kantiano) che nel XVI da vita ad opere le quali “sono metafisiche e insieme metodiche, in quanto espongono la metafisica in forma sistematica24, e fanno risiedere il valore di essa in quel carattere di sistematizzazione metodica.”25. D‟altro canto, per quanto riguarda la metafisica, non si ribadirà mai a sufficienza quanto questa e l‟idea di salvarla dagli errori in cui essa stessa cade, sia al centro della missione kantiana nella prima critica. La tradizione nella quale Kant si forma, entro la quale filosofa e pensa, è quella della metafisica scolastica rielaborata e sistematizzata da Wolf (molte scelte terminologiche kantiane, ad esempio, non sono comprensibili sino in fondo se non si

24 Vediamo ribadita la natura di una filosofia che, per potersi costituire come tale, deve darsi come sistema. Non a caso, quando Kant presenta la natura metodologica della sua opera specifica come essa sia “un trattato del metodo e non un sistema della scienza stessa; tuttavia ne disegna l’intero contorno, sia rispetto ai limiti che le sono propri, sia anche rispetto alla sua completa articolazione interna.” KrV B XXII-III.

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20 tiene presente questo referente). Non è un caso che basti consultare un qualsiasi indice di un buon manuale di metafisica scolastico-wolfiana in uso ai tempi di Kant, per notare come l‟elenco degli argomenti trattati e la partizione dell‟opera coincidano sostanzialmente con l‟ordine della Critica della ragion pura26. Pensare la filosofia kantiana in questa linea di continuità con la tradizione, vedremo, permetterà di accedere al suo senso più organico e conclusivo, prospettiva dalla quale sarà poi possibile far realmente risaltare la sua straordinaria peculiarità.

I.2 L’Architettonica della ragion pura.

L‟Architettonica è il capitolo nel quale effettivamente si mette in atto l‟intento di descrivere, quantomeno rispetto alle sue

26 La sistematizzazione wolfiana, che divenne immediatamente classica non esistendo nessun preciso modello precedente, consisteva nel distinguere innanzitutto due grandi sezioni: la

metaphysica generalis (ontologia) e la metaphysica specialis. La prima trattava (citando

semplicemente i titoli dei capitoli) di: l’ens in genere (ens quatenus ens), i trascendentali, le categorie, i predicabili ed i principi di questo ens in genere. La seconda verteva intorno all’analisi di 3 oggetti fondamentali: l’anima (psicologia), il mondo (cosmologia), Dio (teologia naturale). E’evidente l’affinità con la KrV sia nella ripartizione fra Analitica e Dialettica trascendentale che negli argomenti trattati all’interno di ogni sezione.

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21 linee essenziali, il sistema della ragione. Kant definisce l‟Architettonica “l‟arte del sistema” - arte sommamente necessaria dal momento che l‟unità sistematica, come - “l‟unità di un molteplice di conoscenze sotto un‟unica idea” 27, risulta indispensabile per donare scientificità alle nostre conoscenze. Solo entro lo sfondo di un sistema, perciò, si dà la possibilità di raggiungere la dimensione della coerenza e dell‟esattezza. Decisiva risulta la posizione entro un contesto di relazioni, costituito dalla ragione stessa che, imponendo i propri fini

essenziali, determina la natura teleologica di tale unità. Già da

questi primi passi dell‟Architettonica, quindi, capiamo come la nozione kantiana di sistema, pur richiamando lessicalmente la tradizione della scuola wolfiana, sia dotata di caratteristiche peculiari. Non riguarda, infatti, una semplice interconnessione di concetti (la mera forma dell‟esposizione) ma è strettamente collegata al concetto di idea e ad una valutazione della natura ontologica della ragione stessa come organismo.

27 KrV A 832 B 860.

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22 Appare, quindi, ovvio che anche la scienza risulti transitivamente determinata dall‟idea. Ma in quale maniera? Non certo nei termini di un rapporto fondamento – conseguenza (secondo gli schemi della vecchia ontologia) ma, svolgendo un ruolo di orientamento teleologico28, come un principio progettuale di generazione. L‟idea costituisce effettivamente il sistema ma solo orientandolo progressivamente verso un fine, non lo delinea in maniera immediata e definitiva29. Per questo motivo è sì necessario che il principio sistematico sia presupposto alla formazione di una scienza ma non è, altresì, necessario che si manifesti sin da subito in maniera completa. Può, appunto, presentarsi preliminarmente solo come “schizzo”, progetto30. Non a caso,

28 Tale funzione si mostra chiaramente quando Kant afferma che il “concetto scientifico della ragione”, in quanto sistematicamente strutturantesi secondo idee, “racchiude perciò il fine e la forma del tutto ad esso corrispondente”. KrV A 832 B 860.

29 Il concetto di finalità kantiano è quello di una “finalità interna” nella quale il fine risulta perseguibile solo tramite una stretta interdipendenza e lo stabilirsi di un ordine reciproco fra le parti. Contrapponendosi, così, a quello di “finalità esterna” nel quale abbiamo a che fare con un fine che è attualizzato tramite una serie di atti fra loro indipendenti od interconnessi solo in maniera vaga (ad esempio gli atti che compie un artigiano per produrre la propria opera possono, in certa misura, esser compiuti in ordine libero.

30

E’proprio quest’ultimo il termine che Kant utilizza quando, in sede di presentazione della

Dottrina del metodo, descrive il compito che tale sezione doveva svolgere: quello di mostrare il

“progetto” dell’edificio della ragione, rispetto al quale si deve sincerarsi che non sia “campato in aria”, non della sua effettiva realizzazione.

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23 sostiene Kant immediatamente dopo, l‟idea non agisce in modo diretto ma tramite la mediazione di uno schema. Questo concetto, di cui una formulazione molto più famosa (anche se soltanto analoga a quella qui espressa) troviamo nell‟ Analitica

trascendentale31, sta ad indicare un prodotto soggettivo che però, in virtù della sua natura32, è in grado di fungere da principio di mediazione e di attualizzazione33.

E‟lo schema, così, ad effettuare fattivamente l‟opera di unificazione sistematica, le unità cui può dar vita sono di due tipi: architettonica o tecnica. Quest‟ultimo caso si dà quando i fini34 siano dati alla ragione per derivazione empirica. Solo quando, invece, lo schema risulta delineato in base ai fini che la ragione prescrive aprioristicamente, si ha l‟unità architettonica, l‟unica sulla quale sia possibile fondare una scienza. Qualsiasi

31

Cfr. § III.2.

32 Nella Deduzione trascendentale Kant parlerò di omogeneità, da lati opposti, sia con la categoria che con il fenomeno. Al di là della intrinseca problematicità di questa definizione, sulla quale torneremo al momento debito, risulta comunque chiarificatrice riguardo al ruolo di mediazione rivestito dallo schema, ruolo che si accompagna ad un certo status intermedio (in questo caso, visto che siamo nell’ambito della Deduzione, fra l’intellettuale e l’empirico).

33Kant, infatti, dirà che esso è “una molteplicità essenziale” e “un ordine delle parti, determinati a priori secondo il principio di fine” KrV A 833 B 861..

34 Kant precisa come, non essendo qui il fine dato apriori dalla ragione, non se ne possa stabilire prima il numero, data la provenienza empirica e quindi la natura a posteriori di questi fini.

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24 scienza, come già evidenziato, non potrà mai costituirsi induttivamente a partire dall‟esperienza, tramite un metodo che proceda per il riconoscimento di somiglianze e l‟attuazione di generalizzazioni empiriche; ma necessita indiscutibilmente di un‟idea al suo fondamento. Essa costituirà contemporaneamente la scaturigine ed il principio di orientamento teleologico del sistema scientifico. Kant stesso fa però notare come difficilmente lo schema e la definizione iniziale della scienza corrispondano a quest‟idea, essa infatti: “è presente nella ragione come un germe in cui le varie parti si occultano, ancora inviluppate, e a malapena riconoscibili all‟osservazione microscopica”35. Spesso i sistemi scientifici si chiariscono non immediatamente, sulla base della definizione che ne dà l‟autore, ma in corso d‟opera, dopo aver brancolato a lungo intorno a quell‟idea germinale ed aver spinto le proprie ricerche anche in direzioni opposte a quelle di colui che ne è stato l‟iniziatore. Finché il suddetto principio fondativo non verrà esplicitato tale scienza brancolerà necessariamente nel

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25 buio. L‟autore deve perciò constatare come sia “triste dover riconoscere che soltanto dopo aver peregrinato a lungo sotto la guida di un‟idea celata nel nostro intimo, raccogliendo rapsodicamente molte conoscenze relative ad essa, a titolo di materiale da costruzione, e componendole per lungo tempo in modo semplicemente tecnico, ci è infine possibile intravedere l‟idea nella sua piena luce, e schizzare architettonicamente un tutto, in base ai fini della ragione. I sistemi hanno tutta l‟apparenza di formarsi per generatio aequivoca…”36. Kant sviluppa qui un‟ampia metafora biologica che, come ricorda Tonelli37, ha un valore che va di molto oltre quello del semplice artificio retorico, configurandosi invece come una vera e propria analogia strutturale. Il sistema kantinao, infatti, è esplicitamente paragonato ad un corpo animale38 e l‟ausilio di termini come “germe” o come “generatio aequivoca” richiamano chiaramente i dibattiti sull‟origine e sviluppo della vita

36

KrV A 834-835 B862-863. 37

G. TONELLI, Kant‟s Critique of pure reason within the tradition of modern logic. in Studien

und materialen zur geschichte der philosophie, n. 37, OLMS, Hildesheim – Zurich – New York,

1994; pp. 246-50. 38 KrV A 833 B 861.

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26 organica che animavano l‟ambiente culturale al tempo di Kant. Il panorama della scienza della vita vedeva due schieramenti fondamentali: quello vitalista (per cui i fenomeni della vita non sono riducibili a quelli meccanici, per cui si deve postulare una specifica forza vitale che ne spieghi l‟insorgere ed il funzionamento) e quello meccanicistico. A sua volta il problema specifico della formazione dei corpi organici veniva affrontato (almeno fino all‟avvento dell‟evoluzionismo darwiniano) da due prospettive principali: quella epigenista e quella preformazionista. Nel primo caso si intende quella teoria per cui le varie parti dell‟organismo si sviluppano ex-novo (tramite la generazione da altre forme viventi) nel corso dello sviluppo embrionale mentre nel secondo caso si imputa la formazione dell‟organismo definitivo allo sviluppo di una struttura germinale in esso da sempre presente. Anche se queste due prospettive si sono, nella storia della scienza della natura, combinate in modi vari con il vitalismo od il meccanicismo, al tempo della critica tutti i maggiori epigenisti erano vitalisti mentre tutti i maggiori preformazionisti erano meccanicisti.

(27)

27 Kant pare aderire a quest‟ultima prospettiva, non a caso paragona l‟idea teleologica ad un “germe occultato nella ragione” e si duole che le scienze possano anche soltanto sembrare formarsi per “generatio aequivoca” (termine riconducibile alla branca più estremista della scuola epigenista, secondo la quale era possibile che la vita si generasse spontaneamente dalla materia bruta). Il suo rigore intellettuale, infatti, gli impedisce di accettare, con il vitalismo epigenista, la possibilità di ammettere l‟influenza di forze diverse da quelle meccaniche, la cui natura era alquanto vaga. D‟altro canto Kant ha anche la necessità di conciliare questo meccanicismo di principio con la teleologia. Perciò, pur non abbandonando quella generale prospettiva preformazionista che al suo tempo s‟accompagnava al rifiuto del vitalismo, elabora una visione personale. Ciò emerge chiaramente nel §81 della Critica del

giudizio, a testimonianza che il problema della sistematicità che

caratterizza la Dottrina del metodo della prima critica non è stata abbandonata nel progredire del suo pensiero filosofico. Qui Kant distingue due varianti del preformazionismo (che lui

(28)

28 chiama prestabilismo): la prima (teoria dell‟evoluzione) che vede la preformazione come sviluppo dell‟individuo singolo e la seconda (preformazione generica o “epigenesi”) secondo la quale lo sviluppo dell‟organismo è predeterminato germinalmente ma secondo un finalismo interno che riguarda la specie e non l‟individuo. Kant compie qui una di quelle traslazioni lessicali che ricorrono con una certa frequenza nella sua opera e che, non essendo spesso accompagnate da un‟esplicita dichiarazione, possono causare difficoltà di comprensione. In questo caso pur respingendo fin dall‟inizio la teoria tradizionale dell‟epigenesi, ne mutua il nome per definire una variante possibile dell‟opposta teoria del preformazionismo. Certamente la scelta terminologica non risulta casuale visto che la prospettiva che Kant individua e sostiene è elaborata nell‟ottica di una mediazione fra la causalità deterministica e quella teleologica, cioè fra la necessità di avere il “minimo dispendio possibile di soprannaturale” e quella di “considerare comunque la natura […]come autoproducentesi e non solo come sviluppantesi”39.

(29)

29 E‟ facile notare come, con l‟attestazione della capacità auto-poietica dei sistemi organici, ci si collochi ben al di là di qualsiasi determinismo meccanicistico, nella dimensione di una dinamica epigenetica che risulterà fondamentale nello sviluppo del sistema kantiano, permettendo anche di chiarire quello pseudo paradosso della circolarità che è stato rilevato analizzando inizialmente la prospettiva generale della Dottrina

del metodo40. Quello fra progetto e struttura si configura come un rapporto aperto, nel quale è si necessario che l‟idea sia presupposta, ma è altresì sufficiente che essa si presenti inizialmente allo stato germinale, svolgendo il suo ruolo di guida (anche al livello euristico per quanto riguarda lo sviluppo di una scienza) per poi dispiegarsi completamente alla fine. Il concetto kantiano di sistematicità risulta, perciò, definito da una polarità quella fra una forma fortemente predeterminata nei

autopoietico costituirà comunque il carattere preponderante dell’epigenesi kantiana, fortemente connotata in senso teleologico–organicistico. In questo senso il distacco dal riduzionismo meccanicistico delle teorie della preformazione si amplia, giustificando, così, la scelta lessicale. 40 Assistiamo al ripetersi di questa configurazione di rapporti anche all’interno della stessa

Dottrina del metodo, fatto che conferma la valenza tematica della dinamica circolare. La sezione si

apre con l’intento dichiarato di fornire il progetto del sistema della ragione, compito che verrà svolto in maniera pressoché esclusiva nell’Architettonica che è situata al termine (con la sola eccezione della Storia della ragion pura, che conclude effettivamente l’opera ma non risulta un’aggiunta particolarmente rilevante dal punto di vista tematico).

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30 suoi contorni (componente architettonica41) e uno sviluppo progressivo e dialogico nel suo contenuto (componente epigenetica). Kant stesso, sempre nei termini dell‟analogia biologica, esprime al meglio questo concetto: “Il tutto è pertanto articolato (articulatio), e non ammucchiato (coacervatio); è suscettibile di crescita dall‟interno (per intussusceptionem), ma non dall‟esterno (per appositionem), proprio come un corpo animale, il cui accrescimento non importa alcuna aggiunta di membra, limitandosi a rendere ogni membro più forte e più idoneo ai propri fini, senza mutamento delle proporzioni”42.

Il fattore epigenetico (dinamica caratteristica di una ragione olistica) ha importanti conseguenze dal punto di vista metodico: la struttura teleologica, infatti, si configura come quella di un processo asintotico. Se lo sviluppo interno del sistema è progressivo ed il fine si dispiega interamente solo al

41 Agisce su più livelli, infatti Kant, pur partendo dall’analisi della singola scienza (parla non a caso di “fini essenziali della ragione”, intendendo come ve ne possa essere più di uno così come è data più di una scienza), mostra la necessità della costituzione di un “unico sistema della conoscenza umana” (KrV A 835 B 863) data dalla riunione architettonica dei sistemi delle singole scienze. In ogni caso (non ritenendo il compito della sua costruzione eccessivamente complicato, in virtù dell’avvento del criticismo) Kant manifesta l’intenzione di “progettare soltanto l’architettonica dell’intera conoscenza ricavabile dalla ragion pura” (Ibid.).

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31 termine niente, allora, potrà garantire che le conoscenze di cui possediamo si trovino al grado massimo di ordinamento architettonico, siano cioè definitive. Viene così tracciata una teoria evolutiva della ragione nel suo progredire cognitivo, analoga al processo matematico di tensione ad un limite, per la quale: il fondamento ideale impone sempre e necessariamente di trascendere come provvisorie tutte le conoscenze attuali. Ciò contribuisce a donare, in maniera piuttosto sorprendente rispetto a certe premesse43, una dimensione di straordinaria apertura (le cui dimensioni verranno approfondite successivamente) al sistema kantiano. Non a caso nella seconda parte del capitolo incontriamo un‟importantissima riflessione sul concetto di filosofia, sviluppata nell‟ambito di una classificazione generale del sapere umano44. In particolare risulta pregnante il paragone con la matematica che, oltre ad essere l‟unica altra scienza unicamente a priori, ha spesso

43

Mi riferisco, ad esempio, quando, nella prefazione alla prima edizione afferma che: una volta esposti “tutti i principi su cui riposa il sistema” il suo completamento “sarà facile, e più uno svago che un lavoro”. KrV A XXI.

44 Non potrà essere analizzata dettagliatamente, per approfondimenti rimando a G. TONELLI,

(32)

32 costituito, con l‟esattezza del suo metodo, una pietra di paragone (secondo alcuni addirittura un modello da emulare) per la filosofia. Kant, invece, individua una differenza fondamentale fra queste due discipline: la matematica, infatti,

per concetti mentre la filosofia per costruzione di concetti45. Per quest‟ultima, quindi, si da una distinzione che per l‟altra non ha ragion d‟essere: essa, quando ci si trova ad apprenderla studiando i sistemi del passato, risulta razionale dal punto di vista oggettivo (interno) ma semplicemente storica (cioè appresa dall‟esterno e non proveniente direttamente dalla ragione) dal punto di vista soggettivo. Da ciò consegue che: “di tutte le scienze razionali (a priori) soltanto la matematica si può dunque imparare, non la filosofia (tranne che storicamente); ma per quanto concerne la ragione, si può imparare a filosofare”46. La filosofia ,nell‟accezione più elevata del suo concetto (concetto

cosmico come lo chiama Kant) come: “scienza della relazione di

45 Qui Kant stesso rimanda per il significato di questa distinzione al confronto fra le due discipline che sviluppa nell’Estetica trascendentale.

(33)

33 ogni conoscenza ai fini essenziali della ragione umana”47, risulta una disciplina non insegnabile ed un concetto ideale, che non può mai trovare un completo adeguamento nella realtà. Non a caso la filosofia in senso cosmico può trovare realizzazione solo in un‟ideale: quello del filosofo come

legislatore della ragione umana anche se, come ammette lo stesso

autore, “non è dato incontrarlo in nessun luogo”48.

Se la figura del legislatore è incarnata da colui che persegue i fini essenziali della ragione umana, quest‟ultimi convergono, una volta compiuta la riunione delle varie scienze in un unico sistema della ragione umana, verso un fine unico e ultimo (scopo

supremo), che altri non è se non “l‟intera destinazione

dell‟uomo, e la filosofia che lo tratta si chiama morale”49. Con esso si manifesta uno dei concetti fondamentali del criticismo: quello del primato pratico della ragione50.

47 KrV A 838 B 866. 48 KrV A 839 B 867. 49 KrV A 840 B 868. 50

La questione, proprio in virtù della sua ampiezza, non può essere approfondita, rimando perciò, per un’analisi della questione che affronti il tema proprio a partire dalla prospettiva dell’Architettonica, a: C. LA ROCCA, La saggezza e l‟unità pratica della filosofia kantiana in

(34)

34 Vediamo così compiersi al massimo grado quella tendenza alla trascendenza e all‟apertura che rappresenta una delle caratteristiche fondamentali del metodo kantiano: il fulcro teleologico di quel sistema della ragione umana, che doveva rappresentare il compimento dell‟opera della prima critica, si trova addirittura all‟esterno della ragion pura stessa (almeno intesa nell‟accezione ristretta di ragione teoretica): nell‟ambito della morale.

(35)

35

II. CRITICISMO E ONTOLOGIA.

Riflettendo sul rapporto kantiano con la tradizione, era emerso un forte rapporto di continuità, in particolare con quella della metafisica tedesca: Leibiniz ma soprattutto Wolf e la sua scuola, la quale aveva contribuito in massima parte a formare la temperie culturale nella quale Kant pensava e viveva. La metafisica (il suo status, il suo metodo ed il suo destino) perciò è apparsa come la protagonista della riflessione kantiana nella prima critica. D‟altro canto la prospettiva nella quale questi argomenti vengono affrontati risulta effettivamente innovativa, facendo sì che la fama di caposaldo e punto di svolta dell‟intera storia della filosofia, che la Critica della ragion pura si è conquistata, non possa assolutamente dirsi immeritata.

L‟approccio alla materia è così radicalmente diverso da stravolgere le posizioni ontologiche di riferimento ed i connotati della disciplina stessa. L‟ontologia tradizionale studiava l‟ens quatenus ens ovvero la struttura, le forme ed i principi di un essere inteso come completamente trascendente

(36)

36 rispetto al soggetto conoscente. L‟analitica kantiana, invece, studia le proprietà a priori della ragione, studia cioè le caratteristiche dell‟ente conoscente per cogliere anche quelle dell‟ente conosciuto; nella convinzione che l‟intelletto sia il

legislatore della natura: cioè che non attinga le sue leggi generali

da quest‟ultima ma, bensì, gliele prescriva. Questo è il senso di quel mutamento radicale del punto di vista passato alla storia con il nome di “rivoluzione copernicana”51. Kant proporrà a tal proposito un esempio tratto dalla geometria: figure come il cerchio o il triangolo sembrano esser dotate in massimo grado di una natura immutabile ed indipendente dal soggetto, in realtà la legge secondo la quale costruisco queste figure dotate di certe proprietà risiede nell‟intelletto e non nello spazio o nella figura stessa.

51

In realtà Kant non utilizza mai tale espressione, propone soltanto il paragone con l’opera di Copernico in una nota della Prefazione alla seconda edizione dove afferma che il merito del famoso astronomo è quello di aver “osato indagare” in modo contrario ai sensi ponendo che i movimenti osservati fossero quelli nello spettatore e non nei corpi celesti. I modelli di riferimento più diretti per Kant sono la fisica e soprattutto la matematica (con la quale è sviluppato un confronto ripetuto e dal valore non solo esemplificativo). Kant stesso dirà in B XXII che “In quel tentativo di mutare il procedimento sin ora seguito dalla metafisica, e precisamente operando in essa una radicale rivoluzione sul modello di quella dei geometri e dei fisici, sta il compito di questa critica della ragion pura speculativa.”. Tale rivoluzione, è importante sottolinearlo, non riguarda, come vedremo, un semplice mutamento della prospettiva: da un realismo oggettivo ad un soggettivismo idealistico.

(37)

37 Questa nuova prospettiva gnoseologica presuppone, però, un assunto ontologico che è importante far risaltare: non esiste niente di simile a delle essenze trascendenti, bensì tutto ciò che vi è di immutabile e fissato nell‟oggetto, la sua “oggettività” e persino la sua “oggettualità” (nel senso della stessa possibilità del presentarsi nella forma “oggetto”), è costituito dal soggetto. Ciò non implica, come Kant stesso non si stancherà mai di precisare, l‟adesione ad un idealismo soggettivistico di stampo berkeleyano, ma la scoperta e l‟adozione di una nuova prospettiva filosofica: l‟idealismo trascendentale.

II.1. L’idealismo trascendentale.

La teoria dell‟idealismo trascendentale si incentra sulla distinzione fondamentale fra apparenza e cosa in sé52,

52 Tradizionalmente è più comune utilizzare le espressioni “fenomeno” e “noumeno” per indicare i due poli di questa opposizione fondamentale, ma vedremo come le coppie di termini in questione non risultino completamente legate da sinonimia e come, soprattutto, una retta comprensione del concetto di “cosa in sé” e della sua distinzione da quello di “noumeno” risultino fondamentali per una retta interpretazione della dottrina dell’idealismo trascendentale. In ogni caso, qui, con il l’espressione “apparenza” non intendiamo una mera illusione sensibile ma vogliamo riferirci al tedesco “Erscheinung”, che sta ad indicare un “qualcosa che si manifesta attraverso i sensi” dotato,

(38)

38 sostenendo che: la conoscenza umana, limitata dalla sua natura dialogica alla possibilità di intuire solo ciò che risulta mediato dalle forme di spazio e tempo, può avere accesso soltanto agli oggetti come manifestazioni fenomeniche (apparenze) e non alla sua essenza indipendentemente dalla relazione con la sensibilità (in sé).

Fin da subito questa dottrina è stata uno dei bersagli preferiti da parte degli oppositori ed ancora oggi vi è chi, soprattutto fra gli interpreti kantiani di stampo più analitico, la ritiene un inutile fardello metafisico. Un retaggio del clima filosofico nel quale Kant si è formato, il cui destino dal corpus della filosofia critica per poterne “salvare” la verità e la coerenza.

Nel capitolo precedente abbiamo evidenziato , ed è questo il motivo per cui ci soffermiamo così approfonditamente su questo tema apparentemente secondario rispetto al corso dell‟argomentazione, il valore della prospettiva organica (sia al livello della comprensione dell‟opera che a quello più strettamente tematico), riteniamo ,quindi, che sia errato

quindi, di una natura relazionale duplice che lo rimanda sia al soggetto che all’oggetto (sostanzialmente coincidente da questo punto di vista con l’espressione “fenomeno”).

(39)

39 pronunciarsi sul valore di una singola parte indipendentemente dalla sua relazione con l‟intera struttura. Ciò risulta ancor più valido per un argomento come quello dell‟idealismo trascendentale che, non solo rappresenta un nodo centrale e strutturale dell‟argomentazione kantiana, ma che, inoltre, è spesso attaccato sulla base dei molti fraintendimenti cui non è difficile incorrere analizzandolo.

All‟interno di questa problematica sicuramente il concetto di “cosa in sé” riveste un ruolo centrale, sia per importanza che per problematicità. Il classico motto di Jacobi, risulta paradigmatico nell‟evidenziare le perplessità che fin dall‟inizio sono sorte negli interlocutori kantiani53. Notoriamente esso sostiene che: “senza la presupposizione [della cosa in sé] non posso entrare nel sistema [critico], e con questa presupposizione non posso rimanervi54”.

La prima possibile obiezione riguarda l‟idea che Kant, avendo stabilito una distinzione di natura ontologica fra

53

Non è un caso che su questo punto si siano concentrati molti degli sforzi degli avversari di Kant e che proprio qui si sia consumata la rottura con quei suoi allievi, Fichte e Schelling su tutti, che hanno ritenuto di dover smantellare l’edificio della filosofia critica per poterne salvare lo spirito. 54 F.H. JACOBI, Werke, Darmstad, Wissenchaftliche Buchgesselschaft, 1968; p. 304.

(40)

40 fenomeno e noumeno, abbia precluso alla conoscenza umana la possibilità di accedere alla vera natura del reale, relegandola alla sfera dell‟apparenza. Il problema qui è generato dal fatto che il termine “apparenza” viene inteso nel suo senso comune di parvenza, di impressione fallace o comunque non definitiva. Tale interpretazione privativa presuppone una lettura della coppia fenomeno – noumeno come un‟opposizione fra una forma di conoscenza parziale ed imperfetta ed una completa degli oggetti. In questione, invece, non è una distinzione di grado ma qualitativa. Si rispecchia la differenza che intercorre fra un intelletto, come il nostro, discorsivo (cui la conoscenza è data sempre in maniera mediata55) ed un intelletto intuitivo56 (passibile, cioè, di intuizione intellettuale, cui la conoscenza risulta data immediatamente). Il riferimento a quest‟ultimo, però, non vale tanto come l‟affermazione della sua realtà e

55 Kant presenta da subito l’intelletto umano come “facoltà di pensare l’oggetto dell’intuizione sensibile”, esso, cioè, può lavorare solo con il materiale che l’intuizione ha fornito. Esclusivamente entro il plesso intuizione-concetti, infatti, può darsi la conoscenza umana, per questo: “Nessuna di queste due facoltà è da anteporsi all’altra. […] I pensieri senza contenuto sono vuoti, le intuizioni senza concetto sono cieche.” KrV A 51 B 75.

56 Proprio come i fenomeni lo sono dell’intelletto umano, i noumeni risultano gli oggetti di un tale tipo di intelletto. Per questo l’argomento si chiarirà ulteriormente al momento di affrontare il concetto di “cosa in sé” e di “noumeno”.

(41)

41 nemmeno della sua possibilità, bensì come legame analogico57 atto a far rislatare la peculiarità dell‟intelletto umano. Un intelletto che risulta sì trascendentalmente limitato, ma per il quale questa limitazione non riveste una funzione soltanto negativa, ha infatti, anche e soprattutto, una funzione positiva di delimitazione: per suo tramite si viene a delineare un territorio entro il quale la conoscenza può e deve darsi in forma completa ed assoluta.

Pur non potendo negare l‟importanza di queste precisazioni preliminari, esse non risultano sufficienti a sgombrare il campo dai dubbi. Il vero nodo problematico, infatti, è costituito dallo status della cosa in sé: Kant spesso ne parla come sé essa

57 A tal proposito è interessante un passo della Critica del giudizio (che, pur risultando diverso dal punto di vista della terminologia e del contesto argomentativo, non presenta differenze tematiche rilevanti, su questo punto, con il contesto della prima critica ) dove Kant mostra come per il concetto di un inttellectus archetypus (a cui sia data, cioè, un’intuizione immediata e completa della totalità e non sia sempre costretto, come l’intellectus ectypus umano, a costruirla per unione sintetica di rappresentazioni) sia richiesta solo la pensabilità, cioè la non contraddizione, e come tale idea risulti data in contrapposizione a quella del nostro intelletto: “Qui non è d’altronde affatto necessario provare che un tale intellectus archetypus è possibile, bensì solo che noi, in contrapposizione al nostro intelletto discorsivo che ha bisogno di immagini (intellectus ectypus) e alla contingenza di una tale costituzione, veniamo condotti a quell’idea (di un intellectus

archetypus) e che essa non contiene alcuna contraddizione.” KU, §77. L’utilità del riferimento

analogico all’intellectus archetypus, peraltro, non si limita a questo valore di sottolineatura per contrasto ma svolge anche un’importante funzione euristica. Riferendovisi, agendo “come se” vi fosse un intelletto divino, la conoscenza umana è in grado di ottenere la massima unificazione e sistematicità possibile nella sua indagine della natura.

(42)

42 costituisse la vera natura dell‟oggetto della conoscenza, l‟essenza ontologica contrapposta alla mera manifestazione fenomenica. La distinzione fondamentale dell‟idealismo trascendentale si configurerebbe, così, come un‟opposizione di natura ontologica, e, ritrovandoci ancora di fronte al problema affrontato poco sopra riguardo al significato del termine “fenomeno”, i suoi poli sarebbero costituiti da una forma di conoscenza piena ma inaccessibile degli oggetti ed una imperfetta e depotenziata, che però risulterebbe l‟unica possibile per il nostro intelletto limitato. Questo passo delinea perfettamente i termini della questione: “In fatto quando noi consideriamo, com‟è giusto, gli oggetti dei sensi come puri fenomeni, ammettiamo con questo nello stesso tempo che ad essi sta a fondamento una cosa in sé”, fin qui le cose in sé appaiono effettivamente come il vero e proprio fondamento ontologico della realtà fenomenica. Questa interpretazione, peraltro, sembra trovare ulteriore conferma nel fatto che danno l‟impressione di costituirsi come una classe di enti separata la quale, agendo sulla sensibilità per affezione, generi il fenomeno.

(43)

43 Il brano poi continua precisando che: “ma ne conosciamo solo il fenomeno, ossia il modo in cui questo ignoto quid affetta i nostri sensi. L‟intelletto quindi, pel fatto stesso che ammette i fenomeni, ammette anche l‟esistenza di cose in sé e pertanto noi possiamo dire che la rappresentazione di questi esseri che stanno a fondamento dei fenomeni e cioè la rappresentazione di puri esseri intelligibili non solo è legittima, ma è inevitabile”58. Nella seconda parte di questo passo la situazione sembra aggravarsi ulteriormente, si delinea, infatti, quello che può esser definito il “problema dell‟affezione”. L‟idea, cioè, che tra noumeni e fenomeni si configuri un rapporto di tipo causa- effetto, dal momento che quest‟ultimi sembrano dei prodotti dell‟affezione noumenica sulla sensibilità. Quest‟argomento

58

I.KANT, Prolegomeni ad ogni futura metafisica che vorrà presentarsi come scienza., Torino, Paravia, 1942. Questo passo non è tratto dalla Critica della ragion pura ma, al di là della similarità di contenuti fra i due testi (i Prolegomeni rappresentano solo un tentativo di chiarimento e nuova spiegazione dei temi della KrV), sono molti i passi affini che avremo potuto citare dalla prima critica. Già in apertura all’estetica trascendentale Kant fa un riferimento all’affezione noumenica: “In qualunque modo e con qualunque mezzo una conoscenza possa riferirsi ad oggetti, certo il modo in cui vi si riferisce immediatamente, ed a cui ogni pensiero tende, come suo mezzo, è l’intuizione. Ma questa si riscontra soltanto quando l’oggetto sia dato; il che è, a sua volta, possibile, per noi uomini almeno, solo se l’oggetto agisce, in qualche modo, sul nostro animo.” KrV A19 B 33. Ciò che qui sorprende maggiormente è che il riferimento all’affezione noumenica è presentato en passant, quasi come se fosse pacifico ciò che, invece, costituisce un problema molto rilevante.

(44)

44 costituirà il nucleo dell‟attacco di Jacobi, nonché di molti altri avversari kantiani.

Nella Confutazione dell‟idealismo Kant si propone, in risposta a chi lo accusava di un soggettivismo di stampo berkeleiano, di chiarire, fra l‟altro, il concetto di noumeno e dice: “Se diamo il nome di noumeno a qualcosa in quanto non è oggetto della nostra intuizione sensibile, in quanto cioè facciamo astrazione dal nostro modo di intuirlo, si ha allora un noumeno in senso negativo. Ma se intendiamo invece designare l‟oggetto di un‟intuizione non sensibile, presupponiamo allora una particolare specie di intuizione, ossia l‟intuizione intellettuale, che non ci appartiene e di cui non possiamo comprendere neppure la possibilità; si ha allora il noumeno in senso positivo.”59 L‟unico senso in cui il noumeno è disponibile al nostro intelletto è quello negativo; la sua natura, quindi, è quella di un concetto problematico60, per questo Kant ribadirà

59

KrV B 307. 60

Cioè un concetto, logicamente coerente, che non risulta passibile di nessuna conoscenza né uso positivo ma, non per questo, inutile od arbitrario: “dico problematico un concetto privo di contraddizione e che, in quanto limitazione di concetti dati, si colleghi anche ad altre conoscenze, escludendo però la conoscibilità della propria realtà oggettiva.” KrV A 254 B 310.

(45)

45 che: “ quindi il concetto di noumeno non è altro che un concetto limite, per circoscrivere le pretese della sensibilità ed è quindi soltanto di uso negativo […]” – ciò si riflette anche sulla distinzione trascendentale – “non c‟è dunque assolutamente alcuna possibilità di ammettere in senso positivo la suddivisione degli oggetti in fenomeni e noumeni”61.

Jacobi attentamente nota che tale apodittica affermazione della problematicità del concetto di noumeno, stride fortemente con quel concetto di affezione noumenica che Kant sembra concedere quasi implicitamente. Nella filosofia kantiana, perciò, convivrebbero le necessità opposte di individuare una causa delle impressioni fenomeniche e di limitare trascendentalmente l‟intelletto umano entro i limiti della sua natura dialogica. Kant, peciò, finirebbe per non andare oltre l‟orizzonte del cartesianesimo e del suo dualismo gnoseologico, con tutti i problemi ad esso connessi. Conseguentemente gli si presenterebbe la necessità di un solido ancoraggio ontologico, di un fulcro archimedeo, per il suo sistema della conoscenza,

(46)

46 ma, evitando a differenza del filosofo francese il riferimento al fondamento divino, si troverebbe costretto ad adottare una posizione platonica62, postulando l‟esistenza di un livello ontologico ulteriore: quello noumenico. Purtroppo, però, le stesse limitazioni trascendentali con cui la sua ricerca filosofica è partita, gli impediscono qualsiasi uso positivo di concetti trascendenti; tutto ciò lo porterebbe, perciò, a rimanere vittima di quell‟ineludibile petitio principii che Jacobi ha ben riassunto nel suo motto. L‟intera argomentazione si regge, in sintesi, sull‟interpretazione dell‟affezione come un‟inferenza causale, per la quale i fenomeni sarebbero soltanto gli effetti dell‟impressione generata sui sensi dai i noumeni, visti come una classe separata di enti.

In realtà, come propone H.E. Allison63, la questione non va interpretata dal punto di vista ontologico ma da quello epistemico; egli dichiara, infatti, che: « In sintesi, piuttosto che

62

L’accusa di platonismo si basa, appunto, sull’idea che i noumeni costituiscano una classe d’enti separata che, differentemente dai fenomeni, avrebbero la proprietà dell’esistenza indipendentemente dalla presenza di un qualsiasi intelletto finito.

63 H.E. ALLISON; Kant‟s Trascendental Idealism.; New Haven and London, Yale University Press, 2004.

(47)

47 essere, come nella sentenziosa frase di Guyer, “un‟anodina raccomandazione di modestia epistemologica”, l‟idealismo trascendentale, per come è qui interpretato, è un‟audace, persino rivoluzionaria, teoria delle condizioni epistemiche »64.

Per condizioni epistemiche si intende: quelle condizioni soggettive necessarie alla nostra rappresentazione e conoscenza degli oggetti ma che risultano, contemporaneamente, oggettivanti cioè necessarie affinché gli oggetti possano darsi a noi65. E‟ importante sottolineare come esse siano oggettivanti e non oggettive: stabiliscono le condizioni per le quali un oggetto può darsi a noi, ma non dicono assolutamente niente riguardo alla sua esistenza66. Sostanzialmente, ed è questo anche il senso della famosa ipotesi copernicana per la quale gli oggetti

64 Ibid., p.19. [n.d.r. traduzione mia] 65

Si collocano, cioè, in una posizione mediana rispetto alle condizioni psicologiche (attitudini o meccanismi della mente che governano le credenze) con le quali condividono l’essenza soggettiva di riflettere delle condizioni di operatività della mente umana, e alle condizioni ontologiche (condizioni della possibilità dell’esistenza delle cose indipendentemente dalla loro relazione con la mente umana) con le quali condividono lo svolgere funzioni di oggettivazione pur differenziandosi visto che si riferiscono solo alle condizioni di oggettività delle rappresentazioni delle cose e non alla loro esistenza.

66

E’da ricordare, infatti, che per Kant l’esistenza non è un predicato reale, cioè non rientra nelle possibili determinazioni dell’oggetto che possono essere razionalmente riscontrate dal soggetto nella sua azione cognitiva. Tale argomento sarà, comunque, trattato successivamente in maniera più completa.

(48)

48 debbono conformarsi alla nostra conoscenza, si ritiene che Kant non voglia assolutamente affermare che ciò che trascende le regole del darsi oggettuale non possa sussistere assoluto, semplicemente stabilisce una volta per tutte che questi non potrà mai costituire un oggetto per noi. Tenendo presenti questi presupposti, Allison propone una “two-aspect reading” dell‟idealismo kantiano, per la quale la distinzione fondamentale fenomeno-noumeno non concerne due ordini ontologici separati ma due diverse modalità cognitive degli oggetti. Il noumenico ed il fenomenico, quindi, costituirebbero semplicemente due modalità nelle quali l‟oggetto della nostra conoscenza può esser considerato: “per come ci appare” (fenomeno, apparenza, Erscheinung), cioè per come si presenta ad un intelletto discorsivo con le sue regole e forme pure, o “per come è in sé”67, cioè indipendentemente dalla sua relazione con

67 A tal proposito è importante la riflessione terminologica condotta da G.Prauss (cfr. H.E. ALLISON, op. cit., p.51-52), il quale evidenzia come nel trattare il concetto di “ cosa in sé” Kant utilizzi un ventaglio di locuzioni similari ma non chiaramente equivalenti. Prauss sostiene che la forma da considerarsi canonica sia “cose considerate come sono in sé stesse” (Ding an sich selbst

betrachtet) la quale presenta il grande pregio di chiarire come si voglia alludere ad una modalità

della considerazione cognitiva e non ad una modalità ontologica. Essa, pagando una certa macchinosità e prolissità perifrastica, viene, per motivi per lo più stilistici, spesso sostituita da espressioni maggiormente eleganti e sintetiche come: “cosa in sé stessa” (Ding an sich selbst) o “cosa in sé” (Ding an sich). Quest’ultime però, che pur anche in questa sede abbiamo preferito per

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