Capitolo 3 – LE ORIGINI DEI FEUDI E DELLE GIURISDIZIONI SIGNORILI
3.2 Le giurisdizioni signorili
Le giurisdizioni signorili nella monarchia
Nel pensiero di Montesquieu, la monarchia è quella forma di governo in cui uno solo
governa per mezzo di leggi fondamentali. I poteri del sovrano sono limitati dai
«pouvoirs intermédiaires, subordonnés & dépendans», che costituiscono l’elemento
fondamentale della natura, ossia della struttura costituzionale, della monarchia
46. I
pouvoirs intermédiaires, identificati da Montesquieu con la nobiltà, con il clero e con le
città, riescono a limitare il potere del monarca, grazie a precisi meccanismi
istituzionali
47.
È indicativo che il capitolo sulla monarchia si apra con la frase «les pouvoirs
intermédiaires subordonnés & dépendans constituent la nature du gouvernement
45 «Ut pagenses Franci, qui caballos habent vel habere possunt, cum suis comitibus in hostem pergant ; et nullus per violentiam vel per aliquod malum ingenium aut per quamcumque indebitam oppressionem talibus Francis suas res aut caballos tollat, ut hostem facere et debitos paraveredos secundum antiquam consuetudinem nobis exolvere non possint, neque comes neque aliquis minister rei publicae» (Edictum pistense, MGH, Capitularia regum Francorum II, p. 321).
46 Sulla forma di governo monarchica si rimanda a D. Fisichella, Montesquieu e il governo moderato, Roma, Carocci, 2009, pp. 105-132; M. Goldoni, La monarchia, in D. Felice (a cura di), Leggere «Lo spirito delle leggi» di Montesquieu, cit., vol. I, pp. 67-123; L. Landi, L’Inghilterra e il pensiero politico di Montesquieu, cit., pp. 40-102; A. Loche, Ruolo e
funzione della monarchia nel pensiero politico di Montesquieu, in G. Solinas (a cura di), Saggi sull’Illuminismo, Cagliari,
Fossataro, 1973, pp. 505-574; M.A. Mosher, Monarchy’s Paradox: Honor in the Face of Sovereign Power, in D.W. Carrithers et al., Montesquieu’s Science of Politics. Essays on «The Spirit of Laws», cit., pp. 159-229.
47 «Pour qu’on ne puisse abuser du pouvoir, il faut que par la disposition des choses le pouvoir arrête le pouvoir» (EL, XI, 4, p. 1216).
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monarchique»
48: i poteri intermedi, posti all’inizio del capitolo, si configurano fin da
subito come l’elemento essenziale di questa forma di governo. Nel manoscritto
dell’Esprit des lois, l’incipit è leggermente diverso: «les pouvoir intermédiaires
constiturent la nature du gouvernment monarchique»
49. A stampa avvenuta, mediante
un primo interfoglio, Montesquieu aggiunse «subordonnés» e, tramite un successivo,
propose l’aggiunta di «& dépendans». Inserì inoltre la frase «J’ai dit les pouvoirs
intermédiaires, subordonnés & dépendans: en effet dans la monarchie le prince est la
source de tout pouvoir politique & civil»
50. Questa ripetizione, a prima vista inutile e
ridondate, sembra essere una risposta a una possibile obiezione grave: evidentemente
Montesquieu voleva sottolineare il concetto, ribadendone l’importanza.
Da una lettera scritta da Montesquieu il 24 agosto 1747 si evince che le aggiunte al
testo sono state consigliate da Jean-Louis Saladin, ministro della Repubblica di Ginevra
in Francia
51:
Ce diable de Saladin, à qui j’ai communiqué la première parti de mon ouvrage, me dit qu’il y a quelques endroits scabreux qu’il faut changer, et hier, lui et moi commençâmes à lire pour procéder à l’examen. J’aurai l’honneur de vous envoyer dans trois ou quatre jour les corrections qu’il y aura à faire dans ce qui sera imprimé: il faudra mettre des cartons, et cela à mes dépens, comme il est juste52.
Tramite questi accrescimenti, Montesquieu vuole precisare come i «pouvoir
intermédiaires» non siano poteri indipendenti che potrebbero, potenzialmente,
minacciare l’autorità del re. Pur essendo autonomi dal sovrano e in grado, all’interno del
loro ambito limitato di competenza, di esercitare le loro funzioni liberamente, tuttavia
rimangono poteri «subordinati» rispetto al potere del principe, dal quale dipendono.
48 EL, II, 4, p. 936. Cfr. L. Landi, L’Inghilterra e il pensiero politico di Montesquieu, cit., pp. 51-52.
49 MsEL, t. 3, p. 23.
50 EL, II, 4, p. 938, nota 26; L. Landi, L’Inghilterra e il pensiero politico di Montesquieu, cit., p. 51, nota 63; R. Shackleton, Montesquieu. A Critical Biography, cit., p. 279.
51 Jean Louis Saladin (1701-1784), ministro della Repubblica di Ginevra in Francia dal 1740 al 1749 e amministratore della Compagnia delle Indie, vive a Parigi fino al 1751.
52 Masson, t. III, pp. 1094-1095. Jean Ehrard, pur non escludendo la possibilità che Montesquieu abbia inserito le aggiunte per «prudence», si sofferma invece sulle diverse nuances dei termini «subordonné» e «dépendance» nel resto dell’Esprit des lois e nei dizionari dell’epoca, per dimostrare che le aggiunte non vanno a inficiare la coerenza del testo. Ehrard lascia, comunque, la questione aperta: «Les cartons d’août 1747 ont-ils été dictés par la prudence? Peut-être. Mais certainement pas au détriment de la cohérence du texte […]. Décidément, lire
L’Esprit des lois n’est jamais simple» («Subordonnée et dépendans»: un mystère vraiment dévoilé, in C. Jacot Grapa - N.
Jacques-Lefèvre - Y. Séité, C. Trevisan [ed. par], Le travail des lumières. Pour Georges Benrekassa, Paris, Honoré Champion, 2002, pp. 129-138).
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La formula «subordonnés & dépendans» utilizzata da Montesquieu sembra
richiamare alcune parole di Luigi XIV. Il sovrano descrive in questo modo le pretese
delle corti sovrane, le quali, a suo avviso, si sono arrogate un’autorità che non compete
loro:
Il fallait par mille raisons, même pour se préparer à la réformation de la justice qui en avait tant besoin, diminuer l’autorité excessive des principales compagnies qui, sous prétexte que leurs jugements étaient sans appel, et comme on parle, souverains et en dernier ressort, ayant pris peu à peu le nom de cours souveraines, se regardaient comme autant de souverainetés
séparées et indépendantes. Je fis connaître que je ne souffrirais plus leurs entreprises53.
Luigi XIV lamenta il fatto che le corti sovrane si considerino delle sovranità
indipendenti dall’autorità regia. Nel corso del suo lungo regno, durante il quale molti
poteri pubblici vengono riuniti nella mani del sovrano, il Re Sole diminuirà
drasticamente il potere politico dei parlamenti.
Alla formula «souverainetés séparées et indépendantes» utilizzata da Luigi XIV per
criticare le pretese delle corti sovrane, si contrappone la concezione di Montesquieu: i
poteri intermedi che costituiscono la natura del governo monarchico sono
«subordonnés & dépendans». È evidente la sua intenzione di sottolineare che, nella sua
teoria, i poteri intermedi non sono sovranità indipendenti dal potere del monarca, ma
sono a questa soggetti
54. In questo modo, Montesquieu cerca di evitare di porsi in
aperto conflitto con il re di Francia.
Il potere intermedio «le plus naturel est celui de la noblesse»
55. La nobiltà, infatti,
«entre en quelque façon dans l’essence de la monarchie, dont la maxime fondamentale
est: point de monarque, point de noblesse; point de noblesse, point de monarque; mais on a un
despote»
56. La nobiltà, limitando il potere del re e impedendogli così di trasformarsi in
un despota, garantisce l’esistenza stessa della monarchia.
53 Louis XIV, Supplément aux mémoires de 1661 in Id., Memoires, cit., p. 438, corsivo mio. L’8 luglio 1661, con un
arrêt de conseil, il sovrano impone alle corti sovrane di non prendere decisioni che siano in contrasto con quelle
del Consiglio del re (Arrêt du conseil d’en haut faisant injonction aux parlemens, grand conseil, chambre des Comptes, cour des
Aides, et à toutes autres compagnies souveraines de déférer et se soumettre aux arrêts du conseil, in Recueil général des anciennes lois françaises, cit., t. XVII, pp. 403-406).
54 Come scrive Lando Landi: «Dichiarandoli poi “dipendenti”, Montesquieu non ha cambiato la sua teoria ma ha deliberatamente usato il termine come una sorta di strumento anfibologico. A una prima lettura, infatti, esso può evocare l’idea quasi di un rapporto gerarchico, occultando quel che di sgradevole la tipizzazione montesquieuiana della monarchia poteva avere per il re e il governo francese» (L’inghilterra e il pensiero politico di
Montesquieu, cit., p. 52, nota 64).
55 EL, II, 4, p. 938.
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La massima «poit de monarque, point de noblesse; point de noblesse, point de
monarque» sembra richiamare un principio presente nell’Ordonnance criminelle di Luigi
XIV del 1670. Nel procès-verbal dell’ordinanza
57si afferma che «comme il n’y a point de
Souverain sans Cour Souverain, il n’y a point de Cour Souverain sans Souverain»
58.
Quest’affermazione è una risposta alle pretese dei duchi di Bretagna, i quali
«prétendoient avoir une Cour Souveraine, & ne pouvoient souffrir que les Breton
appellassent à la Cour Souveraine de Roi, qui est le Parlement». Viene affermato il
principio secondo il quale nella monarchia non può non darsi la presenza della corte
sovrana, alla quale i sudditi possono appellarsi. La corte sovrana «tire sa dénomination
de la Souveraineté du Roi, dont elle exerce la justice».
Nell’Esprit des lois non sono le corti sovrane a essere l’elemento fondamentale della
costituzione monarchica, bensì la forza socio-politica della nobiltà. Nell’Ordonnance si
stabilisce che non può esistere una corte sovrana in assenza del monarca e che la
presenza del sovrano implica quella di una corte alla quale è possibile appellarsi.
Montesquieu riprende questo concetto, ma alle corti sovrane sostituisce la nobiltà,
elemento essenziale della monarchia.
L’istituto giuridico fondamentale affinché la nobiltà sia in grado di limitare il potere
del principe è costituito dalle «justices des seigneurs»
59. Non basta l’esistenza della
nobiltà, per frenare il potere del sovrano, ma essa deve essere in possesso di
57 La prima stesura dell’Ordonnance fu preparata dal Conseil de Justice, presieduto dallo stesso Luigi XIV. Il sovrano indisse poi una serie di conferenze preparatorie alle quali furono chiamati a partecipare, oltre a nove commissari del consiglio del re, ventinove membri del parlamento di Parigi. Durante queste conferenze si svolse la lettura e la discussione, con proposte di modifica, di tutti gli articoli dell’ordonnance. Di queste discussioni venne redatto un dettagliato processo verbale: Procés-verbal des conférences tenues par ordre du roi pour l’examen des articles sur
l’ordonnance civile du moins d’avril 1667 et de l’ordonnance criminelle du mois d’avril 1670. Montesquieu possedeva
l’edizione del procés verbal edita nel 1697 (Catalogue, n. 858). Sull’ordonnance criminelle, oltre a N. Picardi, Introduzione a Id. (a cura di), Code Louis, Milano, Giuffré, 1996, vol. I, pp. IX-LII, si veda anche M. Boulanger, Justice et
absolutisme: la Grande Ordonnace criminelle d’août 1670, «Revue d’histoire moderne et contemporaine», 47 (2000),
fasc. 1, pp. 7-36; P. Cipolla, La giustizia della spada. Origini e ideologia dell’Ordonnance Criminelle, 1670, cit.; E. Paringault, De l’ordonnance criminelle de 1670, «Revue historique de droit français et étranger», IV (1858), pp. 264-303.
58 Procés-verbal, Paris, 1757, p. 23. Diversi commentatori hanno, invece, avvicinato questa massima al detto di Carlo I d’Inghilterra «No Cross, no Crown». Landi (L’Inghilterra e il pensiero politico di Montesquieu, cit., pp. 90-102), a partire da questa somiglianza, individua diversi autori inglesi che avrebbero potuto influenzare la teorizzazione di Montesquie, innanzi tutto Bacone, il quale riprende la distinzione, enunciata da Machiavelli nel
Principe, tra monarchia francese e monarchia turca. Tuttavia, considerando l’importanza che rivestono nel
pensiero di Montesquieu le corti sovrane e il loro rapporto con le giurisdizioni signorili, oltre al fatto che Montesquieu conosce l’Ordonnance criminelle, che utilizza nell’Esprit des lois, ritengo più probabile che la fonte di sia, come indicato, l’ordinanza.
59 La justice seigneuriale, esercitata dal signore feudale su tutti gli abitanti del territorio, non va confusa con la
justice féodale, che riguarda invece il diritto vassallatico. Sulla justice seigneuriale si veda la voce «justice seigneuriale» in
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giurisdizioni, altrimenti la monarchia, in assenza di freni istituzionali in grado di limitare
l’autorità regia, rischia di degenerare in repubblica o in dispotismo.
L’origine delle giurisdizioni signorili: il fredum
La comprensione del diritto pubblico della Francia moderna presuppone la ricerca
storica delle origini delle istituzioni giuridico-politiche, che vengono sempre ritrovate
nelle usanze dei popoli germanici: «il est impossible d’entrer un peu avant dans notre
droit politique, si l’on ne connoît parfaitement les loix & les mœrs des peuples
germains»
60. Le origini delle giurisdizioni signorili vengono analizzate da Montesquieu
nel libro XXX dell’Esprit des lois.
Se in precedenza Montesquieu ha studiato l’organizzazione socio-politica dei popoli
germanici, ora si sofferma sull’amministrazione della giustizia. Per ricostruire questi usi,
ricorre all’autorità di Tacito, dal quale ricava che presso i Germani vi erano solamente
due delitti punibili con la pena capitale: venivano impiccati i traditori e annegati i
codardi. In una società essenzialmente guerriera come quella germanica, si trattava degli
unici delitti considerati di rilevanza pubblica
61.
Quando un uomo subiva un torto, invece, «les parens de la personne offensée ou
lésée entroient dans la querelle»: in questo modo «chaque famille ennemie étoit, pour
ainsi dire, dans l’état de nature, & où, sans être retenue par quelque loi politique ou
civile, elle pouvoit à sa fantaisie exercer sa vengeance, jusqu’à ce qu’elle eût été
satisfaite»
62. Per evitare queste guerre intestine, tra i Germani vigeva l’uso di placare le
liti tramite una composizione
63. L’accordo reciproco tra le parti in causa era,
evidentemente, difficile da raggiungere e ciò ha determinato, secondo la ricostruzione di
Montesquieu, la decisione da parte dei saggi della nazione di stabilire essi stessi il valore
delle composizioni
64.
60 EL, XXX, 19, p. 2130.
61 EL, XXX, 19, p. 2130. Cfr., Tacito, Germania, 12.
62 EL, XXX, 19, p. 2130.
63 «Suscipere tam inimicitias, seu patris seu propinqui, quam amicitias necesse est: nec implacabiles durant; luitur enim etiam homicidium certo armentorum ac pecorum numero, recipitque satisfactionem universa domus» (Tacito, Germania, 21). Questi brano viene riportato in nota al testo dell’Esprit de lois (EL, XXX, 19, nota a, p. 2130). Cfr. inoltre Germania, 12: «sed et levioribus delicti pro modo poena: equorum pecorumque numero convincti multantur».
64 «Les sages des diverses nations barbares songerent à faire par eux-mêmes ce qu’il étoit trop long & trop dangereux d’attendre de la convention réciproque des parties. Ils furent attentifs à mettre un prix juste à la
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Questo uso viene mantenuto anche dopo la conquista. Tuttavia, secondo
Montesquieu, le conquiste territoriali e il conseguente passaggio a un stile di vita
sedentario fanno sì che le popolazioni germaniche si arricchiscano: le composizioni
previste dalle antiche consuetudini diventano insignificanti e inadeguate a frenare la
volontà di vendetta di chi ha subito un torto. È per questo motivo che i capi delle
nazioni barbariche promulgano i codici di leggi, nei quali il valore delle composizioni
viene adeguato alla nuova realtà
65.
Quando i popoli germanici, dopo la conquista, sviluppano forme di governo più
complesse, si inizia a considerare un crimine anche il fatto di rifiutarsi di ricevere le
composizioni e voler mantenere il proprio diritto di vendetta. In origine, infatti, la
composizione era consigliata, ma non imposta: questa usanza viene cambiata, secondo
Montesquieu, «lorsque ces peuples perdirent dans le gouvernement civil quelque chose
de leur esprit d’indépendance, & que les rois s’attacherent à mettre dans l’Etat une
meilleure police»
66.
Il re Clotario II (584-629) emana un decreto con il quale proibisce a chi è stato
derubato di ricevere la composizione in segreto e in assenza di un ordine del giudice
67.
Il motivo va ricercato, secondo Montesquieu, in un’altra consuetudine dei popoli
germanici inerente alle composizioni: il fredum, ossia la «récompense de la protection
accordée contre le droit de vengeance»
68. Il colpevole di un crimine, oltre alla
composizione con la parte offesa, era tenuto a pagare una somma al giudice in cambio
della protezione che gli veniva garantita contro le vendette. Rifacendosi sempre
composition que devoit recevoir celui à qui on avoit fait quelque tort ou quelque injure. Toutes ces loix barbares ont là-dessus une précision admirable: on y distingue avec finesse les cas, on y pese les circonstances; la loi se met à la place de celui qui est offensé, & demande pour lui la satisfaction que dans un moment de sang froid il auroit demandée lui-même» (EL, XXX, 19, pp. 2130, 2132).
65 Montesquieu ricava queste informazioni dall’editto di Rotari: «In omnibus istis plagis ac feritis superiorius descriptis, quæ inter homines liberos eveniunt. Ideo maiorem compositionem posuimus, quam antiqui nostri, ut faida, quod est inimicitia, post compositionem acceptam postponatur, & amplius non requiratur, nec dolus teneatur: sed causa sit finita, amicitia manente» (Legis longobardorum, lib. I, tit. 7, § 15, in Lindenbrog, Codex legum
antiquarum Francofurti, Marnios et consortes, cit., p. 521). Da questo testo Montesquieu deduce che il popolo dei
Longobardi si è arricchito con la conquista dell’Italia: le composizioni non bastavano più a evitare le faide, e il re Rotari fu pertanto costretto ad aumentare le composizioni.
66 EL, XXX, 19, p. 2134.
67 EL, XXX, 19, p. 2136. Montesquieu utilizza, in realtà, due testi normativi, datati rispettivamente 593 e 595. «Qui furtum vult celare, & occulte sine judice compositionem acceperit, latroni simili est» (Pactum pro tenore pacis
Dominorum Childeberti et Chlotarij Regum, III, in É. Baluze, Capitularia regum Francorum, cit., t. I, col. 15); «Si quis
occulte de re sibi furata a quolibet latrone compositionem acceperit, utraque latronis culpa subjacet. Fur tamer judici præfentetur» (Decretio Chlotharii II regis, XI, in É. Baluze, Capitularia regum Francorum, cit., col. 21).
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all’editto di Clotario II, Montesquieu sostiene che il fredum fosse «un droit local pour
celui qui jugeoit dans le territoire»
69.
I re franchi non riscuotevano tributi e non potevano riservarsi diritti sui feudi. I vassi
che ottenevano dal sovrano i feudi in cambio dei propri servigi godevano pertanto di
ampie prerogative sul territorio: una delle maggiori era costituita dal diritto di riscuotere
il fredum, secondo l’uso franco. Se il vasso poteva riscuotere il fredum, si può concludere,
secondo Montesquieu, che «celui qui avoit le fief avoit aussi la justice qui ne s’exerçoit
que par des compositions aux parens, & des profits au seigneur»
70. È dal fredum, dunque,
che hanno avuto origine le giurisdizioni signorili: obiettivo di Montesquieu è infatti
dimostrare che i signori feudali fin dalle origini del regno avevano il diritto di
amministrare la giustizia nei territori che governavano. La giustizia era un diritto
inerente al feudo stesso. Montesquieu cerca quindi di stabilire una derivazione diretta
delle giurisdizioni signorili dal diritto germanico: questo modo di procedere gli consente
di mostrare come le giurisdizioni signorili siano istituti originari, presenti fin dalla
fondazione del regno.
Per dimostrare questa teoria Montesquieu non può allegare come prova documenti
originali di concessione di feudi. A causa dell’antichità dell’istituto feudale, creato in
seguito alla conquista, e del fatto che i feudi inizialmente rientrassero nel diritto politico,
e non ne diritto civile, «on ne peut donc pas prouver par des contrats originaires, que
les justices, dans les commencemens, aient été attachées aux fiefs»
71.
Il fatto che l’amministrazione della giustizia fosse una prerogativa propria del feudo
sin dalle origini può essere desunta principalmente dai formulari notarili
72e da altri
documenti giuridici. Montesquieu si serve della raccolta di Marcolfo, composta tra il
VII e l’VIII secolo
73, e di diplomi dell’epoca di Pipino e di Carlo Magno
74. In questi
documenti si trovano le concessioni di immunità, ossia la proibizione «aux juges ou
69 EL, XXX, 20, p. 2138. «Fredus tamen judici in cujus pago est, reservetur» (Decretio Chlotharii II regis, XII, cit., col. 21. La citazione testuale viene riportata in nota da Montesquieu).
70 EL, XXX, 20, p. 2140.
71 EL, XXX, 22, p. 2150.
72 «Si, dans les formules des confirmations, ou des translations à perpétuité de ces fiefs, on trouve […] que la justice y étoit établie, il falloit bien que ce droit de justice fût de la nature du fief & une de ses principales prérogatives» (EL, XXX, 22, p. 2150). Concetto ribadito anche in EL, XXX, 20, p. 2140.
73 Montesquieu fa riferimento in particolare alle formule 2 (Cessio regis de hoc privilegium), 3 (Emunitate regia), 4 (Confirmario de emunitatem), 17 (Item confirmacio ad secularibus viris) del primo libro delle formule, contenente atti pubblici.
74 Montesquieu utilizza principalmente le raccolte di diplomi regi contenuti in Bouquet, Recueil des historiens des
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