Capitolo 4 – RE E NOBILTÀ NELLA STORIA DI FRANCIA: LA MONARCHIA
4.1 Il potere del sovrano e della nobiltà nei primi secoli della monarchia
Brunechilde: la corruzione della monarchia e il pericolo del dispotismo
Il libro XXXI dell’Esprit des lois è dedicato all’evoluzione delle leggi feudali in relazione
ai cambiamenti avvenuti nella monarchia. Montesquieu, dopo aver rilevato che, nel
regno franco, l’attribuzione dei feudi e delle cariche pubbliche inizia ben presto a essere
intaccata dalla corruzione
1, analizza l’episodio del supplizio della regina Brunechilde
2.
Nei libri storici raramente ci sono descrizioni di personaggi o racconti di eventi: alla
narrazione dei fatti viene prediletta l’analisi delle strutture istituzionali del regno. Nella
sua eccezionalità, l’episodio di Brunechilde, per lo spazio dedicato, deve pertanto avere,
nell’ottica di Montesquieu, implicazioni importanti per la costituzione del regno franco.
Brunechilde viene descritta come «cette reine, fille, sœur, mere de tant de rois,
fameuse encore aujourd’hui par des ouvrages dignes d’un édile ou d’un proconsul
romain, née avec un génie admirable pour les affaires, doüée de qualités qui avoient été
si long-tems respectées»
3. Le prime parole sono riprese pressoché testualmente da
Étienne Pasquier
4, studioso che dedica grande cura alla ricostruzione della figura di
Brunechilde; per quanto riguarda la seconda parte dell’elogio, invece, si può ipotizzare
che Montesquieu la ricavi dallo storiografo regio Gabriel Daniel, il quale sottolinea
l’importanza delle opere pubbliche realizzate dalla regina
5.
1 Al tempo dei pronipoti di Clodoveo «les rois avoient déjà commencé à corrompre leurs propres graces» (EL, XXXI, 1, p. 2172): i conti, inizialmente in carica un anno, iniziano a comprare dai sovrani la continuità del loro ufficio. Lo stesso fenomeno avviene nell’attribuzione dei feudi.
2 Figlia di Atanagildo re dei Visigoti e moglie del re d’Austrasia Sigeberto I, Brunechilde, dopo la morte del marito, assume la reggenza per conto del figlio. Protagonista della scena politica dell’Austrasia e della Neustria, nel 613 viene condannata a morte da Clotario II e giustiziata dopo crudeli e umilianti supplizi.
3 EL, XXXI, 1, p. 2172.
4 «Brunehaud fille, femme, mere, ayeule, bisayeule de Roy» (É. Pasquier, Les recherches de la France, Paris, chez Sonnius, 1521, p. 929). Pasquier dedica vari capitoli alla figura di Brunechilde: si veda, in particolare, il libro decimo (pp. 918-974). Nella biblioteca di Montesquieu è presente l’edizione del 1643 dell’opera di Pasquier (Catalogue n. 3024).
5 «Au reste, la fin déplorable de cette Princesse, & tant de mauvais endroits de sa vie, ne doivent pas faire oublier plusieurs de ses bonnes qualitez qu’on a pû remarquer dans la suite de cette Histoire, le grand talent qu’elle avoit pour gouverner, son courage, sa fermeté, sa grandeur d’ame, sa liberalité, sa magnificence. Il n’y a eu ni Roy ni Reine en France dont la mémoire se conserve comme la sienne dans plusieurs ouvrages publics […]. Les plus illustres Monumens de la magnificence de cette Princesse sont certains grands Chemins ou
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Montesquieu, nonostante probabilmente sia stato influenzato da questi autori, non li
cita. A differenza di Pasquier e Daniel, il suo obiettivo non è ricostruire in maniera
oggettiva e storicamente corretta il carattere, i vizi e le virtù di Brunechile e inserire le
vicende della regina all’interno di una storia complessiva del regno franco. Il suo
interesse verte invece sulla comprensione del motivo della condanna a morte: il
supplizio di Brunechilde cattura l’attenzione di Montesquieu in quanto si tratta di un
evento che ha importanti ripercussioni istituzionali. Non ha pertanto interesse a
confutare o confrontarsi con Pasquier, Daniel o altri studiosi che si siano occupati della
figura di Brunechilde: dalle opere di questi autori Montesquieu si limita a ricavare alcune
informazioni utili per sottolineare quanto appaia anomala la condanna. La fonte
principale di Montesquieu è quindi la Cronaca dello pseudo Fredegario
6, contenente la
descrizione degli avvenimenti che portano alla condanna a morte della regina da parte
di Clotario.
Dalla cronaca emerge l’immagine di una regina che abusa del proprio potere e che
viene deposta e giustiziata a causa delle sue nefandezze
7. Secondo Montesquieu, invece,
le crudeli azioni della regina, anche qualora fossero documentate, non sono sufficienti a
spiegare la condanna a morte: Fredegonda, altra feroce reggente della stessa epoca di
Brunechilde, si era macchiata di crimini forse ancor più gravi. In quel caso, però, la
nazione non si era ribellata e non l’aveva giustiziata
8; inoltre, gli storici dell’epoca
merovingia «nous font voir, d’un côté, une nation féroce & barbare; &, de l’autre, des
rois qui ne l’étoient pas moins. Ces princes étoient meurtriers, injustes, & cruels, parce
Chaussées de la Gaule Belgique faites autrefois par les Romains, & détruites dans la suite des temps, qu’elle fit rétablir» (G. Daniel, Histoire de France depuis l’etablissement de la monarchie française dans les Gaules, Paris, chez Mariette, 1713, t. I, c. 296). Montesquieu non cita queste due fonti e il loro utilizzo per delineare la figura di Brunechilde non era, finora, stato individuato dagli interpreti. Non mi risulta che vi sia, d’altra parte, alcuno studioso che si sia occupato della figura di Brunechilde nell’Esprit des lois, ad eccezione di Jean Ehrard: Les
révolutions, in Id., L’esprit des mots. Montesquieu en lui-même et parmi les siens, cit., pp. 137-142 e 145-146.
6 Chronicarum quae dicuntur Fredegarii scolastici, MGH, SS. rer. Merov., t. II, pp. 18-193. Montesquieu utilizza in particolare i capitoli 27, 28, 41, 42 del libro IV.
7 Questa rappresentazione, che si ritrova anche in altre fonti medievali, è stata messa in discussione a partire dal secolo XVI, quando alcuni storici, nel ripercorrere le vicende del regno, hanno invece sostenuto l’innocenza della regina. Una prima e sintetica ricognizione delle principali fonti del XV-XVIII secolo nelle quali viene trattata la vicenda di Brunechilde è presente in J. Ehrard, Les révolutions, cit., pp. 137-142 e 145-146; si veda inoltre A. Magnani, Brunilde regina dei Franchi, Milano, JacaBook, 2006, in particolare le pagine 127-131, dedicate all’immagine di Brunechilde quale emerge in alcune fonti medievali.
8 «Une nation qui avoit laissé mourir Fredegunde dans son lit, qui s’étoit même opposée à la punition de ses épouvantables crimes, devoit être bien froide sur ceux de Brunehault» (EL, XXXI, 1, p. 2174).
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que toute la nation l’étoit»
9. Le presunte crudeltà di Brunechilde rientrano nel
comportamento tipico dei sovrani merovingi e non avrebbero dovuto dare scandalo.
Pasquier ritiene che il supplizio di Brunechilde sia da ascrivere alla crudeltà di
Clotario: le colpe della regina sono state amplificate dagli storici dei secoli successivi per
giustificare la spietatezza del re
10. In Montesquieu, invece, l’azione del sovrano è
considerata secondaria. Clotario II, infatti, re «dont l’autorité étoit assez mal affermie
dans sa nation», non avrebbe potuto condannare la regina a supplizi tanti umilianti, «si
elle n’étoit tombée par quelque cause particuliere dans la disgrace de cette nation»
11.
Clotario, nella ricostruzione di Montesquieu, è l’accusatore di Brunechilde
12, ma è al
tempo stesso la nation, ossia la nobiltà
13, che giudica e condanna
14. Brunechilde,
pertanto, deve aver commesso gravi crimini contro tutta la nazione. Jean Ehrard, nel
ricostruire il pensiero di Montesquieu sull’argomento, liquida velocemente la questione
delle colpe della regina: «parce que les fautes de Brunehaut menaçaient les grands dans
leurs droits et possessions elles devaient […] apparaître comme une atteinte à l’ordre du
royaume»
15.
È vero che la principale colpa di Brunechilde consiste nell’aver cercato di diminuire
il potere dei signori: tuttavia, leggendo con attenzione la ricostruzione di Montesquieu,
si può notare che la regina non si limita ad accentrare il potere nelle sue mani, ma si
comporta come un vero e proprio despota.
9 EL, XXXI, 2, pp. 2178, 2180.
10 «Car la plus part des plus anciens Autheurs, qui depuis Gregoire de Tours ont escrit nostre histoire, luy imputent tous les malheurs qui lors, & auparavant estoient advenus en la France, & la publient pour la plus furieuse Megere, qu’onques comparus sur la face de la terre. Ce que i’oze attribuer, non tant à la verité de l’histoire, qu’au bon-heur du Roy Clotaire son ennemy, pour excuser l’inhumanité barbaresque dont il la traicta à sa mort» (É. Pasquier, Les recherches de la France, cit., p. 935).
11 EL, XXXI, 1, p. 2174.
12 EL, XXXI, 1, p. 2174: «Clotaire lui reprocha la mort de dix rois […]. Clotaire ambitieux de régner seul, & plein de la plus affreuse vengeance, sûr de périr, si les enfans de Brunehault avoient le dessus, entra dans une conjuration contre lui-même; & soit qu’il fût mal-habile, ou qu’il fût forcé par les circonstances, il se rendit
accusateur de Brunehault, & fit faire de cette reine un exemple terrible». Questo aspetto viene evidenziato da J.
Ehrard, Les révolutions, cit.
13 Relativamente al concetto di «nazione» nella storiografia aristocratica e nel pensiero di Montesquieu, si rimanda a J. Ehrard, Les révolutions, cit., pp. 142-143.
14 In questo, come indica Ehrard (Les révolutions, cit., pp. 142-143), Montesquieu riprende la ricostruzione di Boulainvilliers: «Brunehaud […] fut amenée à Clothaire, qui […] fit faire le procès à Brunehaud dans une Assemblée Generale de la Nation, où il se rendit accusateur; l’issuë du procès fut une condamnation de mort» (Boulainvilliers, Abrégé chronologique de l’histoire de France, in Id., Histoire des anciens parlements de France ou Etats
Generaux avec l’histoire de France, Londre, Chez Brindley, 1737, p. 198).
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Brunechilde ha, innanzi tutto, un favorito, Protadio: la figura del favorito che esercita
il potere è, in questo caso, il corrispondente del visir, elemento fondamentale del
governo dispotico
16. Il comportamento di Protadio ricalca quello di un despota:
«prenoit le bien des seigneurs; & en gorgeoit le fisc, qu’il humilioit la noblesse, & que
personne ne pouvoit être sûr de garder le poste qu’il avoit»
17. Nella teorizzazione di
Montesquieu «l’instabilité des grands est de la nature du gouvernement despotique»
18.
Propria del dispotismo è anche la precarietà delle fortune private
19: i beni dei sudditi
possono essere in qualsiasi momento sequestrati. L’instabilità, sia essa dei beni o della
posizione sociale, è una caratteristica peculiare dei regimi dispotici, dove tutto è
sottomesso alla volontà del despota
20.
Anche il termine «caprices»
21, con il quale Montesquieu indica le volontà di
Brunechilde, è indicativo: si tratta di un termine usato frequentemente nell’Esprit des lois
per descrivere il comportamento dei despoti
22.
La colpa che Montesquieu imputa alla regina è pertanto quella di aver cercato di
trasformare la monarchia franca in un regime dispotico. Dopo la conquista della Gallia,
il potere era diviso tra il sovrano e i nobili: questi ultimi erano gli unici garanti della
libertà contro eventuali abusi del monarca. Le leggi, in questa fase storica, non avevano
infatti forza sufficiente per contenere il potere del re
23. Nel momento in cui il potere
dei grandi viene usurpato dal re, in assenza di altri meccanismi istituzionali in grado di
limitare il potere del sovrano, si affaccia lo spettro del dispotismo: il re può governare
seguendo solamente le sue volontà e i suoi capricci.
16 EL, II, 5, pp. 942, 944.
17 EL, XXXI, 1, p. 2174. Anche in questo caso Montesquieu utilizza come fonte la cronaca di Fredegario: «fiscum nimium stringens, de rebus personarum ingeniose fisco vellens implere et se ipsum ditare. Quoscumque de gentem nobilem repperiret, totusque humiliare conabat, ut nullus repperiretur, qui gratum quem adriperat potuisse adsumere» (Chronicon, cit., cap. 27, p. 131).
18 EL, VI, 21, p. 1102. Sulla precarietà della condizione degli uomini eminenti nel dispotismo, cfr. anche EL, V, 18, p. 1046.
19 EL, V, 14, p. 1034; EL, V, 15, p. 1040; EL, VI, 1, p. 1058; EL, XIII, 6, p. 1334.
20 Relativamente ai caratteri propri del dispotismo, si veda, in particolare, D. Felice, Il dispotismo, in Id. (a cura di), Leggere «Lo spirito delle leggi» di Montesquieu, cit., t. I, pp. 125-198.
21 EL, XXXI, 1, p. 2176.
22 La natura del governo dispotico consiste nel fatto «qu’un seul y gouverne selon ses volontés & ses caprices» (EL, III, 2, p. 946). Cfr. inoltre EL, II, 1, p. 922; EL, II , 4, p. 938; EL, III, 8, p. 960.
23 «Il y avoit bien des loix établies, mais les rois les rendoient inutiles par de certaines lettres appellées
Préceptions, qui renversoient ces mêmes loix». In nota Montesquieu aggiunge: «C’étoient des ordres que le roi
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Brunechilde rappresenta quindi il monarca che cerca di trasformarsi in despota: la
sua reggenza risulta più pericolosa, agli occhi dei nobili, di quella di Fredegonda
24.
Dopo aver fermato Brunechilde, la nazione «jetta les yeux sur sa situation actuelle; elle
examina ses loix de sang froid; elle pourvut à leur insuffisance; elle arrêta la violence;
elle régla le pouvoir»
25. Il soggetto politico principale in questo momento storico è
pertanto la nazione.
In seguito alla morte di Brunechilde vengono restaurate le proprietà e le prerogative
della nobiltà che erano state usurpate dalla reggente: la nazione cerca di «mettre ordre
au gouvernement féodal» e «elle voulut aussi assûrer son gouvernement civil»
26. Anche
in questo caso, come è accaduto con il giudizio a Brunechilde, il protagonista, nella
ricostruzione di Montesquieu, non è Clotario, ma la nazione intera, ossia l’insieme dei
grandi del regno. Oltre a ripristinare lo stato precedente la reggenza, viene inoltre
introdotta una novità che avrà conseguenze durature nella successiva storia del regno:
viene istituita la figura del maestro di palazzo.
I maestri di palazzo e il re
La figura del maestro di palazzo, in realtà, esiste da tempo nei regni merovingi, ma le
sue funzioni cambiano in seguito alla reggenza di Brunechilde e alla presa di potere di
Clotario II.
Clodoveo e i suoi immediati discendenti riuniscono nelle loro mani il potere militare
e quello civile. L’unione di queste funzioni nelle mani dei re franchi è una novità
rispetto alla tradizione germanica. I poteri originari del re prima della conquista della
Gallia vengono evidenziati, in particolare, nella ricostruzione dell’episodio del vaso di
Soissons, che Montesquieu sviluppa nelle Pensées.
L’histoire du soldat que Clovis tua parce qu’il ne voulait pas rendre un vase du butin où il avait part, et que l’abbé Dubos emploie pour prouver l’autorité de Clovis prouve bien mieux
24 «Les régences mâles, hardies & insolentes de Fredegunde & de Brunehault avoient moins étonné cette nation, qu’elles ne l’avoient avertie […]. Fredegunde fit plus de maux, Brunehault en fit craindre davantage» (EL, XXXI, 2, p. 2178).
25 Ibid.
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son impuissance. Ne croyes pas qu’un Janissaire refuse quelque chose au Grand-Seigneur. Le corps des Janissaires le tuera bien; mais un Janissaire ne lui désobéira jamais27.
Come nota Montesquieu, secondo Dubos l’episodio del vaso prova l’autorità di
Clodoveo, il quale nel compiere la sua vendetta non si comporta come un privato ma
come un «Souverain qui se fait justice d’un Sujet insolent»
28.
La spiegazione della vicenda data da Dubos è differente rispetto a quella fornita da
Boulainvilliers, il quale invece interpreta l’episodio come «un exemple de l’ancienne
liberté des Francs & de l’étendue de leurs droits, puisque l’opposition d’un seule mettoit
obstacle à la voloté du roi»
29. Il soldato che si oppone a Clodoveo, infatti, impone al re
il rispetto delle tradizioni proprie del popolo franco. L’intervallo di tempo che
intercorre tra l’offesa del soldato e la punizione si spiega con la debolezza della figura
del sovrano, costretto a rispettare la libertà e l’eguaglianza proprie della tradizione
germanica, e a vendicarsi solo successivamente, sfruttando la sua autorità di capo
27 P 1087, p. 391.
28 Dubos, Histoire critique de l’établissement de la Monarchie Françoise dans les Gaules, cit., t. I, p. 409. L’episodio del vaso di Soissons è riportato da Gregorio di Tours: «Eo tempore multae aeclesiae a Chlovecho exercitu depraedatae sunt, quia erat ille adhuc fanaticis erroribus involutus. Igitur de quadam eclesia urceum mirae magnitudinis ac pulchritudinis hostes abstulerant, cum reliquia eclesiastici ministerii ornamenta. Episcopus autem eclesiae illius missus ad regem dirigit, poscens, ut, si aliud de sacris vasis recipere non meretur, saltim vel urceum aeclesia sua reciperit. Hanc audiens rex ait nuntio: ‘Sequere nos usque Sexonas, quia ibi cuncta que adquisita sunt dividenda erunt. Cumque mihi vas illud sors dederit, quae papa poscit, adimpleam’. Dehinc adveniens Sexonas, cunctum onus praedae in medio positum, ait rex: ‘Rogo vos, o fortissimo proeliatores, ut saltim mihi vas istud’ – hoc enim de urceo supra memorato dicebat – ‘extra partem concidere non abnuatis’. Haec regis dicente, illi quorum erat mens sanior aiunt: ‘Omnia, gloriose rex, quae cernimus, tua sunt, sed et nos ipsi tuo sumus dominio subiugati. Nunc quod tibi bene placitum viditur facito; nullus enim potestati tuae resistere valet’. Cum haec ita dixissent, unus levis, invidus ac facilis, cum voce magna elevatam bipennem urceo inpulir, dicens: ‘Nihil hinc accipies, nisi quae tibi sors vera largitur’. Ad haec obstupefactis omnibus, rex iniuriam suam patientiae lenitate coercuit, acceptumque urceum nuntio eclesiastico redditit, servans abditum sub pectore vulnus. Transacto vero anno, iussit omnem cum armorum apparatu advenire falangam, ostensuram in campo Marcio horum armorum nitorem. Verum ubi cunctus circuire diliberat, venit ad urcei percussorem; cui ait: ‘Nullus tam inculta ut tu detulit arma: nam neque tibi hasta neque gladius neque securis est utilis’. Et adpraehensam securem eius terrae deiecit. At ille cum paulolum inclinatus fuisset ad collegendum, rex, elevatis manibus, securemsua capite eius defixi. ‘Sic’, inquit, ‘tu Sexonas in urceo illo fecisti’. Quo mortuo, reliquos abscedere iubet, magnum sibi per hanc causam timorem stauens» (Gregorii Episcopi
Turonensis decem libri historiarum, II, 27, in MGH, SS. rev. Mev., pp. 72-73). La narrazione di questo episodio si
ritrova, spesso riportata quasi testualmente, anche in opere successive: nella cronaca dello pseudo Fredegario, dove la chiesa di cui si fa menzione viene identificata con la diocesi di Reims (Chronicarum quae dicuntur
Fredegarii scolastici, l. III, 16, cit., pp. 98-99); nel Liber Historiae Francorum, dove, rispetto a Gregorio di Tours, si
dà più risalto al terrore causato dal gesto di Colodoveo nel popolo franco («Grandis pavor ac tremor pro hac causa in Francorum populo deinceps consurrexit»: Liber historiae Francorum, 10, cit., pp. 252-253: 253); nell’Historia Francorum di Aimoino di Fleury, risalente all’XI secolo (De gestis regum Francorum, I, 12, in M. Bouquet, Recueil des historiens des Gaules et de la France, t. III, Poitiers, Oudin, 1869, pp. 36-37). Queste opere sono riunite nelle raccolte di Bouquet e di Duchesne, e vengono sistematicamente citate e comparate da Dubos nella sua ricostruzione della vicenda (Histoire critique de l’établissement de la Monarchie Françoise dans les
Gaules, cit., t. III, pp. 406-410).
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militare e facendo ricorso a un pretesto. L’azione di Clodoveo è pertanto, secondo
Boulainvilliers, un abuso. Montesquieu si pone sulla stessa linea: se un semplice soldato
può permettersi di opporsi alla volontà del sovrano, il potere del re non può che essere
debole e limitato
30.
Dalla narrazione di Gregorio di Tours, Boulainvilliers deduce inoltre che Clodoveo
univa nella sua persona due distinte figure della tradizione germanica: quella di sovrano
e quella di capo militare.
Comme Roi, c’est-à-dire, comme Chef de la justice, il acquiesce à un Droit certain en laissant ce Vase au Soldat, parceque le partage étoit égal […]; mais il demeure offensé contre celui qui use de son Droit, &, en qualité de Général, il puni dans un autre occasion & sous prétexte de manquement à la discipline militaire, celui dont il n’avoit pu se venger sous le titre de Roi31.
La stessa concezione si ritrova in Montesquieu: «comme dit Tacite (De Moribus
Germanorum): Reges ex nobilitate, duces ex virtute sumunt. Les Rois étaient les magistrats
civiles; les chefs, les magistrats militaires. Or, Clovis avait réuni ces deux fonctions et les
Français jugèrent à propos de les séparer»
32. Clodoveo riunisce nella sua persona le due
funzioni grazie al grande potere conseguito nelle campagne militari
33: a partire dal suo
regno, la monarchia franca è dunque caratterizzata dalla presenza di un sovrano che
esercita sia il comando militare sia il potere civile.
Secondo Montesquieu, però, già al tempo dei pronipoti di Clodoveo l’istituzione del
sovrano inizia a entrare in crisi. Alcuni re, a causa della loro debolezza di carattere,
30 Boulainvilliers critica l’interpretazione dello storiografo regio Adrien de Valois (1607-1692), il quale, come