Capitolo 1 - METODOLOGIA DELLA RICERCA STORICA E ISTITUZIONALE DI
1.2 Influenza della storiografia settecentesca sul pensiero di Montesquieu
Muratori e Montesquieu storici delle istituzioni medievali
Nei libri finali dell’Esprit de lois non vi è, dunque, una narrazione dei fatti e degli eventi,
bensì una ricostruzione critica dei costumi, delle leggi, delle consuetudini, della società
dei secoli medievali, elementi grazie ai quali è possibile comprendere la storia delle
istituzioni del regno di Francia
54, in quel momento preda di cambiamenti istituzionali e
tensioni tra le differenti forze politico-sociali. Rispondere alle problematiche
dell’attualità tramite lo studio dei secoli medievali è proprio anche di Lodovico Antonio
Muratori (1672-1750), che Montesquieu aveva incontrato diverse volte nel corso del
suo breve soggiorno a Modena.
Come Montesquieu, anche Muratori si volge al passato medievale per comprendere i
fenomeni politici, sociali e istituzionali del presente. La raccolta dei documenti e delle
storie delle singole località italiane messa in atto da Muratori, infatti, non si limita a
52 P 918, p. 369.
53 EL, V, 14, p. 1038. Sulla contrapposizione tra governo moderato e governo immoderato o dispotico, cfr. anche le pensées 831, 892, 935, oltre a LP CXXV, pp. 478-479.
54 Come già evidenziava Hegel, la peculiarità di Montesquieu consiste infatti nel «considerare la legislazione in genere e le sue particolari determinazioni non isolatamente e astrattamente, bensì come un momento dipendente di una totalità, in connessione con le restanti determinazioni che costituiscono il carattere di una nazione e di un’epoca» (Lineamenti di filosofia del diritto, a cura di G. Marini, Roma-Bari, Laterza, 2002, p. 22). Lo studio delle istituzioni non può prescindere, nella ricostruzione di Montesquieu, non solo dall’analisi dei costumi e delle usanze di un popolo, ma anche del clima e dell’ambiente naturale nel quale un popolo si trova a vivere. Cfr., su questo, infra, pp. 68-70, 89-90.
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rispondere a un interesse erudito: attraverso il corretto uso di queste fonti e la
consapevolezza della loro reciproca interdipendenza, è possibile mirare alla
comprensione dell’evoluzione delle istituzioni e delle leggi di tutta la penisola. Il
Medioevo si configura come il campo di ricerca che permette di individuare l’origine
delle moderne forme di governo con le loro peculiari istituzioni:
tanti non solo sacri, ma famigliari e politici riti sono in uso presso di noi, l’origine dei quali non ai Romani, ma ai barbarici tempi dee riferirsi55. Dunque […] sarà bene illustrare, per quanto si possa, que’ secoli oscuri, e con ogni accuratezza informarsi di quel che abbiano fatto i nostri maggiori, per sapere nel tempo stesso e con diletto le fonti e le cause delle cose che oggidì corrono56.
Lo studio dell’età medievale consente di individuare le origini dei problemi
dell’attualità
57, attraverso l’analisi dell’evoluzione delle istituzioni giuridico-politiche.
L’«enciclopedica cultura basata su saldi principi filosofici e la estesa erudizione
strettamente storica del Muratori pose l’accento […] sul fatto giuridico in gran parte
55 Come ricorda Scipione Maffei recensendo i Rerum Italicarum Scriptores, «bisogna avere qualche idea d’ogni tempo; ma singolarmente è per noi cercar di conoscere le cose, e i fatti de’ secoli barbari […]. In essi hanno radice la più parte delle giurisdizioni, delle costumanze e di quanto fino in oggi corre; nulla dunque sarà più fruttuoso, e più importante a sapersi» (S. Maffei, Osservazioni letterarie, Verona, Vallarsi, vol. I, 1737, pp. 79-80).
56 Prefazione a Dissertazioni sopra le antichità italiane, già composte e pubblicate in latino dal proposto Lodovico Antonio
Muratori, 5 tt., Milano, a spese di G. Pasquali, t. I, 1751. Cfr. anche Riflessioni sopra il Buon Gusto nelle Scienze e nelle Arti, Venezia, Pezzana, vol. II, 1727, pp. 264-265: «Cotanto è certa questa verità, che potrebbe qualche
Letterato oggi fare un’Istoria, la quale per avventura non sarebbe punto prezzata da i viventi, ma di giorno in giorno, e di secolo in secolo crescerebbe di pregio, e quanto più da’ nostri tempi s’allontanasse, tanto più verrebbe ad esser cara al Mondo. Consisterebbe questa nel descrivere esattamente lo Stato presente, per cagion d’esempio, della nostra Italia; cioè nel riferire i Costumi, i Riti, le Maniere del vestire, del conversar, del governare, del fabbricare, del navigare, e simili cose; lo stato dell’Arti differenti, che servono per comodo della vita, per ornamento della Città, per ricreazione onesta de’ cittadini, per offendere, e difendere, e simili cose; lo Stato delle Scienze, e delle Lettere, le invenzioni, i miglioramenti, le riforme, gli abusi, e i difetti delle medesime, ed altre somiglianti notizie […]. I nostri Successori, e spezialmente i più lontani da noi, se sapessimo ben’immaginare quello, che loro sarà caro d’intendere, avrebbero somma dilettazione in vedersi davanti dipinto il Mondo passato; perciocchè tal dipintura appunto servirebbe loro non solamente a pascere l’onesta curiosità, ma eziandio per regola del vivere loro, e per profitto delle loro Città».
57 «Né l’investigazione storica del diritto fu per il Muratori fine a se stessa. Ben seppe egli dalla vasta e molteplice notizia del passato trarre sussidio per il giudizio del presente e per le riforme del futuro […]. L’argomento storico sorregge il raziocinio, l’esperienza è addotta come maestra di opportuno consiglio, l’origine dei mali è indagata per averne luce alla cura» (C. Ferrini, Ludovico Antonio Muratori e la storia del diritto, in Opere di Contardo Ferrini, vol. IV [Studi vari di diritto romano e moderno], a cura di P. Ciapessoni, Milano, Hoepli, 1930, pp. 437-451: 451). L’attezione di Muratori per l’attualità era già stata messa in evidenza da Foscolo, che si era soffermato, in particolare, sull’impegno di Muratori contro le superstizioni: «Muratori […] aveva il nobile merito che le sue letture e i suoi pensieri erano costantemente diretti a fare che l’arida erudizione servisse non solo a illuminare la storia de’ tempi passati, ma a depurare la religione cristiana da molte superstizioni, e a ristorare i re e le nazioni alla indipendenza ch’era stata occupata ad essi dalla Chiesa di Roma» (U. Foscolo, Antiquarj e critici. On the Antiquatians and Critics, a cura di P. Borsa, Milano, Ledizioni, 2012, pp. 22, 24).
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delle sue opere, intrecciando la storia degli eventi politici con quella delle istituzioni»
58.
Questa impostazione risulta simile, a mio avviso, a quella di Montesquieu: entrambi,
infatti, scrivono la storia non come successione di singoli eventi ma di strutture. La
ricerca storica si declina, cioè, in uno studio dei cambiamenti che avvengono nelle
istituzioni e nel modo in cui si organizza il potere nel corso del tempo. Le loro
ricostruzioni storiche risultano incentrate non sulla narrazione dei singoli eventi che si
sono succeduti nel corso del tempo, bensì sull’analisi della nascita e dello sviluppo delle
istituzioni giuridico-politiche e delle leggi, in rapporto alla società, agli usi e ai costumi
delle differenti epoche storiche
59.
La ricostruzione della storia delle istituzioni risulta in entrambi gli autori basata su
una particolare attenzione nell’utilizzo delle fonti. Robert Shackleton ritiene che «it is
probable that the greater solidity of a scholarship and documentation which
Montesquieu exhibits in his last books on feudalism are the lesson he has learnt from
Muratori»
60. Nonostante fin dal viaggio in Italia risulti evidente l’interesse di
Montesquieu per l’approccio storico e le opere di Muratori
61, tuttavia, come ha
sottolineato Shackleton, occorrerà aspettare due decenni prima di vedere applicati da
Montesquieu gli insegnamenti muratoriani. Ancora nei Romains, infatti, manca un
58 E. Nasalli Rocca, L.A. Muratori e il pensiero giuridico e sociale del suo tempo. Muratori e Montesquieu, «Convivium. Raccolta nuova», 1950, pp. 588-603: 591.
59 Ivi, p. 590. Rocca è il primo a proporre un parallelo tra Muratori e Montesquieu in ambito di storia istituzionale, ma non ritiene che vi sia stata un’influenza reciproca, limitandosi a segnalare la presenza di somiglianze nelle loro impostazioni: «Le affinità e la concordanza tra le due personalità che formano oggetto del nostro sommario studio, ci sembra possano soprattutto riscontrarsi sul terreno che è costituito […] dalla compenetrazione tra storia e diritto nel riverberarsi interpretativo di reciproche influenze tra queste due categorie e rapporti […]. Diciamo subito che si tratta di rapporti assolutamente non intenzionali tanto differente è il clima culturale dal quale i due scrittori partivano e nel quale erano state concepite le due opere. Ma era comune lo spirito del ‘700, questo secolo così fervido di intuizioni e di prospettive che crearono una generale rivoluzione negli spiriti e prepararono le realizzazioni delle epoche successive».
60 R. Shackleton, Montesquieu. A Critical Biography, Oxford, Oxford University Press, 1961, p. 107. Questa ipotesi di Shackleton non è tuttavia stata poi approfondita dagli interpreti, se escludiamo i rilievi, piuttosto sintetici, di Gustavo Costa (Montesquieu, il germanesimo e la cultura italiana dal Rinascimento all’Illuminismo, in A. Postigliola [a cura di], Storia e ragione. Le «Considérations sur les causes de la grandeur des Romains et de leur décadence» di
Montesquieu nel 250°della pubblicazione, Atti del Convegno [Napoli, 4-6 ottobre 1984], Napoli, Liguori, 1987, pp.
47-90: 89). Il recente volume di E. Barria-Poncet, L’Italie de Montesquieu. Entre lectures et voyage, Paris, Classiques Garnier, 2013, pur avendo il merito di sottolineare l’importanza attribuita da Montesquieu all’opera muratoriana, non fornisce tuttavia ulteriori novità sul piano concettuale rispetto a quanto già evidenziato da Costa e Shackleton.
61 Montesquieu incontra diverse volte Muratori nel corso del suo viaggio in Italia: «Arrivant à Modene j’avois une lettre pour monsieur Muratori qui est le bibliotecaire du duc, et qui me fit bien des politesses c’est un habille homme» (Voyage d’Italie, p. 367); «Je voyois aussi beaucopu M. Muratori qui est un eclesiastique bien sçavant et qui à mis au jour un tres gran nombre d’ouvrages, il est bibliotecaire du duc, il est simple naïf â de l’esprit charitable honnete homme vrai, enfin c’est un homme du premier merit. Outre son Histoire de la maison d’Este et son Petrarque, il â fair plusieurs autres ouvrages, un Sur la charité un autre De la moderation sur les disputer de la religion, d’autre sur la peste» (ivi, p. 372).
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attento studio comparato delle fonti documentarie: in quest’opera, pubblicata nel 1734,
Montesquieu non mette in discussione l’attendibilità delle fonti relative ai primi secoli di
Roma, sebbene a partire dalla seconda metà del Seicento diversi studiosi avessero
iniziato a interrogarsi sulla storiografia romana dei primi secoli, criticandone gli aspetti
leggendari e sottolineando la necessità di porsi in maniera critica di fronte alle fonti
62.
Montesquieu nei Romains «utilizza gli storici latini e greci in modo piuttosto arbitrario e
tendenzioso, e annota a piè pagina senza troppa precisione. Prescinde inoltre dai
risultati forniti dalle scienze ausiliarie della storia, quali l’archeologia, la numismatica e
l’epigrafia»
63: le fonti non sono vagliate criticamente, né viene messa in discussione
l’autorità degli storici. Ogni capitolo si basa su una o due autorità, senza esaminarle
criticamente o comparandole con altri testi
64.
Questa scarsa attenzione verso le fonti si spiega tenendo conto del fine con il quale
Montesquieu scrive i Romains. Il vero problema dell’opera, in effetti, non è fornire una
ricostruzione narrativa della storia romana: come già suggerisce il titolo (Considérations
sur les causes de la grandeur des Romains et de leur décadance), si tratta piuttosto di una
riflessione sulle cause generali e particolari che determinano lo sviluppo o la rovina di
uno stato
65. L’indagine verte sui motivi che hanno portato Roma alla potenza e, in
seguito, alla decadenza: la storia assume quindi valore esemplare, trattandosi di «una
realtà socio politica nella quale i meccanismi della causalità storica si sono manifestati
con un sufficiente grado di trasparenza»
66. Tramite lo studio della storia è possibile
62 Queste problematiche sono oggetto di dibattito in seno all’Académie des Inscriptions et belles-lettres. Il 15 dicembre 1722 Louis Jean Levesque de Pouilly (1691-1750) legge la sua Dissertation sur l’histoire des quatre
premiers siècle de Rome, nella quale viene contestata l’autorità degli autori antichi, spesso ritenuti non attendibili.
La dissertazione provoca un acceso dibattito che si protrarrà negli anni successivi e vedrà la partecipazione anche di Fréret. Cfr., su questo, C. Grell, Les origines de Rome: mythe et critique. Essai sur l’histoire au XVIIème et au
XVIIIème siècle, «Histoire, économie et société», 2 (1983), pp. 255-280; S. Cotta, Montesquieu e la scienza della società, cit., pp. 302-303; A. Momigliano, Ancient History and the Antiquarian, «Journal of the Warburg and
Courtauld Institutes», 13 (1950), fasc. 3/4, pp. 285-315: 297 (articolo riproposto, in traduzione italiana e con il titolo Storia antica e antiquaria, in Id., Sui fondamenti della storia antica, Torino, Einaudi, 1984, pp. 3-40).
63 D. Monda, Considerazioni sulle «Considerazioni», in Montesquieu, Considerazioni sulle cause della grandezza dei
Romani e della loro decadenza, a cura di D. Monda, Milano, Bur, 2001, pp. 5-17: 9. Cfr., su questo, anche S. Cotta, Montesquieu e la scienza della società, cit., pp. 303-304.
64R. Shackleton, Montesquieu. A Critical Biography, cit., p. 158.
65 I Romains, considerati da diversi studiosi un’opera di filosofia della storia, hanno dato luogo a interpretazioni contrastanti. Per una sintetica ricognizione del problema si rimanda a S. Cotta, Montesquieu e la
scienza della società, cit., pp. 297-301.
66 M. Mori, Introduzione a Montesquieu, Considerazioni sulle cause della grandezza dei Romani e della loro decadenza, a cura di M. Mori, Torino, Einaudi, 1980, p. X.
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comprendere le cause generali che regolano il divenire delle nazioni
67. I Romains non
costituiscono, pertanto, un’opera storica, bensì una «speculazione metastorica»
68, nella
quale Montesquieu esprime la sua teoria del divenire storico e dell’evoluzione delle
forme politiche.
Differente è, come si è visto, lo scopo degli ultimi libri dell’Esprit des lois
69, funzionali
a mettere in luce l’antico ordinamento costituzionale francese e ricostruire l’evolversi
delle istituzioni proprie del regno. La ricerca di Montesquieu in questo caso si impernia
sull’esigenza di una conoscenza critica delle fonti. La consapevolezza dell’importanza di
un corretto uso delle fonti si esplica anche in una critica al metodo di diversi storici
francesi sei e settecenteschi: come Muratori, il quale, nella prefazione agli Annali d’Italia,
aveva rimarcato che «lo spirito della parzialità o dell’avversione troppo sovente guida la
mano degli Storici»
70, allo stesso modo Montesquieu disapprova coloro che fanno un
uso volutamente errato delle fonti.
Oggetto di critica sono, in particolare, gli «historiens français»
71che, anziché attenersi
alle fonti, hanno cercato di piegare la storia alle loro esigenze politiche. Tra questi
historiens Montesquieu annovera Charles Le Cointe (1611-1681), autore degli Annales
Ecclesiastici Francorum, accusato di negare arbitrariamente le informazioni contenute nelle
fonti per sostenere le proprie convinzioni
72, secondo un uso improprio dei documenti
73.
67 «Ce n’est pas la Fortune qui domine le Monde: on peut le demander aux Romains qui eurent une suite continuelle de prosperités quand ils se gouvernerent sur un certain plan, & une suite non interrompue de revers lorsqu’ils se conduisirent sur un autre. Il y a des causes générales, soit morales, soit physiques, qui agissent dans chaque Monarchie, l’élevent, la maintiennent, ou la précipitent; tous les accidens sont soumis à ces causes; & si le hazard d’une bataille, c’est-à-dire, une cause particuliere, a ruȓné un Etat, il y avoit une cause générale qui faisoit que cet Etat devoit périr par une seule bataille: en un mot l’allure principale entraîne avec elle tous les accidens particuliers» (Romains, XVIII, p. 235).
68 S. Cotta, Montesquieu e la scienza della società, cit., p. 308.
69 Ivi, p. 298, nota 40: «i libri storici dell’Esprit des lois […] costituiscono senza dubbio l’espressione più alta della concezione storiografica montesqueviana e una delle più significative di tutto il Settecento».
70 Muratori, Ai lettori, in Annali d’Italia dal principio dell’era volgare sino all’anno 1749, Napoli, presso Giuseppe Raimondi, t. I, 1751. Il brano prsegue: «Quello che osserviamo nella dipintura delle battaglie accadute a’ tempi nostri, fatta da differenti pennelli, con accrescere o sminuire il numero de’ morti e prigioni, e talvolta con attribuirsi ognuna delle parti la vittoria: lo stesso si praticava negli antichi tempi. E secondochè l’adulazione o l’odio prevalevano nella penna degli Scrittori, il medesimo personaggio veniva innalzato o depresso».
71 P 190, p. 236.
72 Le Cointe, in particolare, nega che il papa abbia autorizzato la presa di potere di Pipino. L’autorizzazione del papa sarebbe, secondo Le Cointe, «fabella quæ post Pippini mortem excogitata est, æquitati ac sanctitati Zachariæ papæ plurimum adversatur» (Annales ecclesiastici Francorum, t. V, Parisiis, E Typographia regia, 1673, p. 319). A questa interpretazione, Montesquieu contrappone la validità dei documenti storici che riportano la notizia del sostegno del papa a Pipino: «Le pere le Cointe, malgré la foi de tous les monumens, nie que le pape ait autorisé ce grand changement; une de ses raisons est qu’il auroit fait une injustice. Eh! il est admirable de voir un historien juger de ce que les hommes ont fait, par ce qu’ils auroient dû faire! Avec cette maniere de raisonner, il n’y auroit plus d’histoire» (EL, XXXI, 16, p. 2220). Cfr. anche P 189, p. 236: «Le père Lecointe
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Altro esempio di cattivo storico è Jean Hardouin (1646-172), portato dal suo
scetticismo estremo a «exercer sur les faits un pouvoir arbitraire»
74e a negare
l’autenticità dei documenti antichi
75. In entrambi questi studiosi si ritrova, secondo
Montesquieu, un approccio sbagliato alle fonti, alle quali non viene riconosciuto il
giusto valore di prova sulla quale basarsi.
Obiettivo principale della critica di Montesquieu in tal senso è però Dubos, reo di un
utilizzo deliberatamente erroneo delle fonti per avvalorare le proprie posizioni politiche.
Gli interpreti di Montesquieu spesso si sono limitati a riscontrare come le sue teorie
risultino più vicine a quelle di Boulainvilliers rispetto a quelle di Dubos, lasciando in
secondo piano le questioni relative alla metodologia della ricerca storica. Nell’Esprit des
lois viene criticata l’interpretazione della storia di Francia contenuta nell’Histoire critique de
l'établissement de la monarchie française dans les Gaules, ma per farlo non vengono attaccate le
conclusioni cui giunge l’autore, bensì il modo con cui sono utilizzati i documenti.
Dubos non solo si serve di fonti non attendibili
76, ma interpreta liberamente le
informazioni contenute nei documenti, «quitte le sens littéral & spirituel de la loi […],
abuse des capitulaires comme des historiens & loix des peuples barbares»
77. Ciò che
Montesquieu contesta principalmente a Dubos è l’uso delle fonti, piegate alle esigenze
della tesi politica che l’autore intende sostenere: una volta dimostrato l’errato uso dei
documenti, tutta la sua costruzione teorica, ovviamente, cade. Nell’Esprit des lois
vengono quindi messi in evidenza i rischi insiti in un utilizzo spregiudicato delle fonti
storiche, volto a sostenere tesi politiche.
soutient contre toute l’antiquité […] que l’assemblée des Français n’envoya point au Pape pour le consulter sur la déposition du dernier roi de la première race».
73EL, XXXI, 16, p. 2220.
74 EL, XXX, 12, p. 2104.
75 Il gesuita Hardouin rappresenta gli eccessi cui può giungere il pirronismo storico. È infatti noto per alcune sue posizioni estremamente ardite: sostenne che la maggior parte delle opere della classicità erano falsificazioni create da monaci medievali, che la versione originale dei Vangeli era stata scritta in lingua latina e che i concili ecumenici antecedenti quello di Trento non avevano mai avuto luogo. Montesquieu nelle pensées annota: «Le pére Hardouin était un homme dont la tête n’était pas mieux rangée que celle de celui qui se croyait le Père Éternel aux Petites Maisons» (P 872, p. 362). Cfr. anche Spicilège 589, pp. 513-514. Su Hardouin si veda, in particolare, C. Grell, Le vertige du pyrrhonisme. Hardouin face à l’histoire, in G. Paganini, The Return of
Scepticism: From Hobbes and Descartes to Bayle, Dordrecht, Kluwer academic, 2003, pp. 363-374.
76 EL, XXVIII, 3, p. 1932; EL, XXX, 25, p. 2169.
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