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Giurisprudenza dei valori

Nel documento Elementi di filosofia giuridico-penale (pagine 172-178)

3. Metodologia del Diritto penale nel secolo XX

3.1. Giurisprudenza dei valori

La Giurisprudenza dei valori emerge nell’ultima decade del secolo XIX e si consolida durante la prima metà del secolo XX.

Le sue radici filosofiche poggiano nel neokantismo, il ritorno a Kant che era preconizzato in Germania come reazione contro il discredito metafisico proprio del positivismo. I neokantiani sostennero riguardo alla Filosofia che dovesse tornare ad essere un’analisi delle condizioni di validità della scienza e degli altri oggetti prodotti dall’uomo, come la morale, l’arte, la religione e il Diritto. Questa mentalità non è interessa- ta principalmente alle situazioni o dati di fatto – psicologici, istituziona- li o economici – dei quali tratta una teoria scientifica, bensì volge la sua attenzione verso le condizioni che la legittimano da un punto di vista gnoseologico. Allo stesso modo riflette sui risultati della cultura, per la

23 Al quale, in effetti, contribuì il fatto che i suoi membri più riconosciuti, oltre che

quale rilevano ugualmente i problemi di validità. Questa attenzione me- todologica fu molto più accentuata nella Scuola di Marburgo, con il suo fedele attaccamento al logicismo formalista kantiano24; ma siccome tale

versione del neokantismo non ebbe una manifestazione apprezzabile nell’ambito del diritto criminale, possiamo fare a meno di considerarla in questa sede.

La Scuola sudoccidentale, o del Baden, condivide l’assunto secondo il quale l’oggetto della conoscenza deve regolarsi sulla forma della co- noscenza, motivo per il quale ogni concetto dell’oggetto nasce unica- mente e si regola in base alle leggi della conoscenza. Tuttavia, l’incor- porazione dei concetti di valore e di cultura, che caratterizzano questo versante neokantiano e i suoi risvolti penali, moderano quella formula- zione del vincolo tra forma e materia dell’attività scientifica. Tale ver- sione appare nei filosofi fondatori dell’orientamento sudoccidentale. Per Windelband, la Filosofia deve, sì, individuare i principi a priori che garantiscono la validità delle nozioni, ma restando inteso che tali prin- cipi sono valori necessari e universali, oltre che portatori di un carattere normativo indipendente dalla loro effettiva realizzazione. In particolare, è la coscienza normativa ciò che permette di selezionare tra le possibili- tà fattuali offerte dalle leggi naturali e, in seguito, di approvare o disap- provare i fatti, il cui riferimento a valori rende possibile la loro com- prensione, invece della mera esplicazione in cui consiste la conoscenza naturalista. Dal canto suo, Rickert pone nel cuore delle scienze culturali il concetto di valore25, dal quale esse rilevano gli oggetti della cultura

nella loro irripetibile individualità, mentre la cultura, altro concetto chiave per questo filosofo, è tutto ciò che, riferendosi a valori, ha senso e significato, è comprensibile per l’uomo che li riconosce come tali. La base culturale, pertanto, il punto di partenza dei referenti valutativi, so- no sempre fatti individuali e sociali, processi psichici e storici.

24 «La filosofia critica non discute con le scienze particolari circa i suoi risultati, né

pretende di arricchire il patrimonio delle sue ricerche concrete; il suo compito è diverso, più fondamentale; intende giudicare le condizioni di ogni tipo di conoscenza; cerca il centro della conoscenza, si potrebbe dire, mai la periferia». Queste espressioni, che appartengono a Paul Natorp, uno dei teorici di Marburgo nella Filosofia generale, ispi- rano il lavoro dei giusfilosofi della Scuola, Stammler e Kelsen, principalmente.

Premesso ciò, la filosofia neokantiana del Diritto trattò la distinzione di forma e materia nel senso che vi riconobbe Emil Lask, come indi- pendenza dell’una dall’altra. La concezione del Diritto come forma par- ticolare impressa su qualsiasi contenuto delle relazioni intersoggettive, andava di pari passo con l’individualità epistemologica attribuita da Lask alla scienza che lo studia, la cui metodologia doveva partire dalla base secondo cui «tutto ciò che penetra nella sfera del Diritto perde il suo carattere naturalista, privo di relazioni valoriali»26, per impregnarsi

di una sfumatura teleologica, del collegamento di mezzi e fini giuridici. Espresso in termini più vicini alla corrente sudoccidentale – nella quale militarono principalmente Radbruch e M.E. Mayer –, compito della Dogmatica giuridica è di adeguare la materia di cui si tratti ad una si- stematizzazione dei fini valorizzati da ciascuna comunità secondo il corrispondente livello di evoluzione culturale. Tali fini, osservati dalla prospettiva dell’oggetto delle norme, ricevono la designazione conven- zionale di beni giuridici, e questi, a loro volta, sono determinanti per l’interpretazione, costruzione e sistematizzazione del Diritto.

Ecco qui il dualismo metodico caratteristico della scuola, la distin- zione tra essere e dover essere, realtà empirica e significatività normati- va. Distinzione, non opposizione. In effetti, sarebbe un errore conclude- re che il neokantismo avrebbe radicalizzato la separazione tra il mondo naturale e giuridico27, ragion per cui avrebbe preparato il campo alle

tendenze normativiste interne alla dottrina penale dei nostri giorni, alle quali, in effetti, dà ispirazione una pronunciata autonomia, l’impermea- bilità compatta del Diritto e della sua scienza di fronte ai dati di natura e società. Per Lask, Radbruch e Mayer, Diritto e realtà pre-giuridica sembrano trovarsi a confronto come due regni che non arrivano mai a sfiorarsi, il che, se fosse effettivamente così, lascerebbe il loro formali- smo alla mercé dell’alienazione costruttivista. Ma non fu realmente co- sì. Secondo Lask, bisogna porsi come problema «la compenetrazione

26 «Metodologicamente rilevante in questo è che il mondo formato giuridicamente

conosce possibilità di strutturazione completamente distinte, inaudite per la considera- zione gnoseologica e naturalista e, anche spesso, per la concezione della vita; e conosce nuove sintesi, nuovi principi di unità e di individualizzazione» (Lask).

27 L’errore proviene da Welzel, il maggior critico della Filosofia dei valori nel Di-

del significato giuridico con il substrato reale nel caso particolare» e, andando oltre, «la questione tanto difficile dell’adattamento dei concetti giuridici al substrato pre-giuridico». Il Diritto deve rispettare un certo nucleo di ciò che è dato nel piano psicofisico, nella misura in cui questo incide sul piano del pensiero giuridico, specialmente considerando che «le relazioni di vita offrono già un materiale tipicamente formato, pre- parato, pertanto, alla normazione giuridica». Alla stessa prospettiva risponde la formula radbruchiana della determinazione materiale del- l’idea. Ciò vuol dire che, nonostante la sua indipendenza gnoseologica, che le permette di elaborare autonomamente i suoi concetti, la Scienza del Diritto deve assumere che tutto il dover essere sia tale per una de- terminata materia, motivo per il quale le forme che adotta risultano pre- figurate anche da quest’ultima. Qui, nella delineazione del modello de- gli istituti e nel corso regolatore del pensiero giuridico, guadagnano credito l’epoca e la rispettiva nazione, le condizioni economiche e so- ciali di questa, le sue esigenze ed aspirazioni valoriali, in una parola, la sua cultura28. Tale relazione di forma e materia riesce ad attenuare il

dualismo tra essere e dover essere, realtà e valore, avvicinando le forme pure del pensiero giuridico alle materie prime sulle quali opera la rego- lamentazione del Diritto. Essendo così,

la scienza del Diritto presuppone una preformazione concettuale della sua materia; non è produzione concettuale primitiva, come le scienze naturali, bensì lavoro concettuale di secondo grado [che opera su di una materia] preformata mediante concetti sociali (Radbruch).

L’essenza della Giurisprudenza dei valori, che è propriamente me- todologica, potrebbe riassumersi così: dato che i concetti giuridici non sono concetti generali, bensì concetti storici e individuali, riferiti ad un valore culturale, dal quale si ritagliano come concreti fini valorizzati, allora bisogna ottenerli e trattarli in funzione del loro fine. L’arte del- l’interpretazione e della costruzione giuridica è guidata sempre dai fini valorizzati in ogni norma o disposizione, che, a loro volta, è giusto con-

28 Il miglior esponente della dipendenza culturale del Diritto fu Max Ernst Mayer,

amico di Radbruch e creatore di una teoria che poggia i beni giuridici, anzi il Diritto

siderare, non in base alla loro posizione nel seno di un sistema giuridico astratto, come fece il concettualismo, bensì all’interno della vita e della storia29, in modo tale che la finalità dei precetti sarà, non qualsiasi fine

posto come causa da un qualsiasi insieme di interessi, bensì quello cul- turalmente rilevante nel momento della sua applicazione.

In generale, i penalisti della scuola30 impiegano una nuova logica

per lo studio del Diritto punitivo, una logica del concreto o assiologica. I concetti giuridici non sono forme chiuse su se stesse, ma traducono esigenze la cui unità è data dal fine incorporato in ciascun precetto pe- nale come valore culturale e dai valori assoluti scaturenti dall’idea del Diritto. L’apprezzamento valoriale regge, innanzitutto, la formazione dei concetti giuridici individuali, dedotti dalle diverse ipotesi criminose, ma anche l’elaborazione dei concetti giuridici generali, che si ottengono tramite astrazione dai concetti individuali e dalle regole applicabili a tutti i reati e pene. Tanto i concetti individuali quanto i concetti genera- li, dunque, sono di stampo teleologico, nel senso che rispondono a valu- tazioni, fini valorizzati, in sintesi, beni giuridici. Lo stesso bene giuridi- co che entra di volta in volta in questione si sottrae all’apprezzamento logico-formale; impone di avvalersi della rete di valutazioni che hanno modellato l’istituto, concetto o proposizione giuridica e, in definitiva, delle norme di cultura che offrono base e orientamento al Diritto positi- vo.

Con questa metodologia, la Giurisprudenza dei valori portò alla luce un sistema penale articolato tramite i concetti generali che abbiamo ap- pena menzionato. Nella Parte speciale, si ordinarono i reati secondo l’oggetto giuridico generico ed il soggetto passivo di ciascuna famiglia,

29 Altrimenti, «finiremmo in braccio alla più raffinata Dogmatica concettuale, poi-

ché verremmo a considerare il Diritto con i suoi valori in una posizione separata e con- trapposta rispetto alla realtà naturale. Finiremmo per estraniare i valori dal regno della realtà, quando questi sono reali, seppure di una realtà diversa da quella fisica, meccani- ca, naturalista-psicologica» (Bettiol).

30 Oltre a Radbruch e Mayer, i più creativi furono Max Grünhut, con il suo studio

degli elementi empirico-culturali dei tipi e la formazione teleologica dei concetti giuri- dico-penali in generale, e Erik Wolf, che si dedicò all’analisi della struttura dei tipi e della colpevolezza. Grandi sistemi della teoria del reato, ispirati da questa dottrina me- todologica, sono quelli di Robert von Hippel, Edmund Mezger, Giuseppe Bettiol e Luis Jiménez de Asúa.

previa ricostruzione delle singole fattispecie secondo il loro oggetto giuridico specifico e sub-specifico. Nella Parte generale, l’azione è concepita tramite un substrato psicofisico, ma riferito a valori, intelli- genza normativa che permane vincolata ai dati della realtà empirica31, e

cioè, senza radicalizzare il dualismo di essere e dover essere.

Si depura ed arricchisce la teoria della tipicità, specialmente da parte di M.E. Mayer, con la sua analisi degli elementi tipici descrittivi, la scoperta di componenti normative in una struttura prima acromatica, l’indizio di contrarietà al Diritto che accompagna ciascuna realizzazio- ne tipica, come il fumo annuncia il fuoco – nella felice metafora che rappresenta la dottrina della regola e dell’eccezione –, la separazione delle condizioni oggettive di punibilità e di procedibilità.

A quest’autore dobbiamo anche la collocazione degli elementi sog- gettivi dell’illecito, che non sono componenti della colpevolezza, all’in- terno di una concezione principalmente oggettiva della relazione di contraddizione dell’azione rispetto al Diritto, ed il fatto che si sia ab- bandonata, una volta per tutte, la visione di questo vincolo come un puro giudizio logico, per passare a considerarlo come un innesto teleo- logico, «giacché l’azione sempre si misura in relazione ai fini depositati in una norma», ossia, le norme di cultura che il riconoscimento statale eleva a beni giuridici.

La colpevolezza, da elemento psicologico del reato, evolve verso lo

status di elemento di carattere normativo, fondato sulla esigibilità di

una condotta diversa, ma comunque allacciandosi il giudizio di ripro- vevolezza agli elementi psichici dell’azione riprovevole (dolo, colpa e motivi determinanti) e alla personalità dell’autore nella sua relazione con il contesto sociale, per cui si cercò di salvaguardare l’entità antro- pologica dell’individuo che delinque e non farla scomparire nella spira- le delle astrazioni normative.

In ultimo, l’antica individualizzazione della pena, di matrice positi- vista, si muove nel senso di una commisurazione penale mediante la

31 Fa eccezione a questo l’opera di Radbruch, secondo il quale la natura pienamente

normativa dell’omissione suggerirebbe di ricondurla, in compagnia dell’azione, alla teoria del tipo, in modo che la teoria del reato cominci dalla tipicità. Tuttavia, è esagera- to supporre che per questo il neokantismo fosse dell’opinione secondo cui il Diritto crea la condotta umana (Zaffaroni).

considerazione di concetti regolatori all’interno dei fattori che deve analizzare il giudice nel momento di graduarla. Questi concetti presen- tano la caratteristica di polarità che è propria dei valori, possono pre- sentarsi in modo graduato, come l’antigiuridicità e la colpevolezza, e integrano i concetti logici di classificazione (Radbruch).

Nel documento Elementi di filosofia giuridico-penale (pagine 172-178)