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C Giuseppe Bezzuoli, gli americani, e l'importanza dello studio sul modello.

Parte III. Statunitensi alla Scuola del nudo: 1828-1832.

III- C Giuseppe Bezzuoli, gli americani, e l'importanza dello studio sul modello.

In quanto assistente di Benvenuti alla cattedra di pittura, dal 1811, Giuseppe Bezzuoli era incaricato di verificare, fra le altre cose, come abbiamo visto, il livello di preparazione di quanti intendessero esser ammessi alla Scuola del nudo. Fiammetta Mannu Pisani, come dicevamo, ha studiato un gruppo di accademie del pittore – che un tempo facevano parte della collezione degli eredi di Bezzuoli, e che oggi sono andate purtroppo disperse349 –, che lei data ai primi anni dell'Ottocento. In quel tempo, contemporaneamente alla frequentazione dei corsi di pittura di Jean-Baptiste Frédéric Desmarais, che fu professore all'Accademia di Firenze dal maggio 1793350, Bezzuoli si esercitava in solitario riscoprendo in piena autonomia, secondo la studiosa, la pittura secentesca che declinò nei fogli esaminati utilizzando abbondanti

347 Dunlap, 1834, p. 189.

348 N.N., The Minute-Book: A Series of Familiar Letters from Abroad. Florence, in «New- York Mirror», 7 febbraio 1835.

349 Dei disegni di nudo di Bezzuoli rimangono riproduzioni fotografiche presso la fototeca del Kunsthistorisches Institut di Firenze.

350 Vedi AABAFi, Ruolo degli Accademici, 1784-1811, 1° Professori di Prima Classe, nr. 126; Filza F, ins. 88bis, e Filza H, ins. 104.

rialzature di biacca così da ottenere quelle modulazioni «di colore sulla matita morbida che delinea i contorni e sfuma il chiaroscuro delle figure»351. Non riteniamo che quei fogli, i quali «ripropongono il tema del nudo maschile variamente atteggiato in espressioni di forza, di terribilità sublime, di languido abbandono, di plastica evidenza, di patetica morbidezza» (Fig. 62-63-64)352, debbano esser letti come il risultato di un artista chiuso nel suo studio, isolato dai suoi maestri e dalla scuola nella quale egli si formò. Così pensando, dovremmo infatti credere che il giovane Bezzuoli avesse tradito un'educazione accademica forgiata su princìpi illuministici, poi mantenuti vivi da lui e dalla didattica fiorentina lungo il corso di tutta prima metà dell'Ottocento: princìpi che non ammettevano, per lo studente, la seduzione d'un «falso vedere», l'occasionalità o l'autonomia, appunto, nello studio delle infinite variabili della natura353.

Pur mostrando ai suoi professori la grande abilità tecnica unita all'indole «fervida ed indipendente» tanto da non esser «schiavo di alcun metodo», Bezzuoli, secondo i biografi, «qual'ape industriosa», «succhiava il buono ed il meglio dell'introdotto sistema [sic], senza rinunziare affatto alle teorie con che l'Accademia si era governata fin'allora»354. Ciò, nella consapevolezza che solo tramite quel sistema, e tutto ciò ch'esso comportava, egli avrebbe raggiunto l'equilibrio cantato, fra gli altri, da Giovan Battista Niccolini in un'orazione letta all'Accademia fiorentina nel 1806: l'equilibrio di chi, al superamento dei maestri moderni o alla troppa adulazione per quelli del passato, preferiva «del meglio d'ogni stile far tesoro» imprimendo «nel proprio, un carattere che da ogni altro lo distingua, e senza cui l'opere restano come volti privi di quelle fattezza, che quasi sono dell'indole argomento»355.

Ci domandiamo, quindi, se quei fogli non debbano essere compresi semmai in rapporto all'intera carriera del pittore; cosa che giustificherebbe

351 Vedi Mannu Pisani, 1976, p. 47. 352 Ibidem.

353 Vedi infatti come Tommaso Puccini si rivolgeva agli studenti dell'Accademia di Belle Arti di Firenze in un'orazione del 1804 (Puccini, 1804, pp. 3-4): «Animato da così fausto successo qual meraviglia, se pieno di fiducia di essere ascoltato torno di nuovi a voi [o givani artefici], e anzi che rilevare ad una ad uno i pregj delle opere, che avete esibite al giudizio imparziale del Pubblico, altro fine non propongo all'odierna orazione mia, che quello di aggiungere a voi nuovi stimoli perché l'asprezza del sentiero non vi disanimi alla metà del cammino, perché l'inerzia, o falso vedere non vi seducano a segno da credervi già pervenuti alla meta, donde pur troppo siete ancora lontani».

354 Bezzuoli, 1855, p. 13. 355 Niccolini, 1806, pp. 8-9.

soprattutto la volontà del suo autore di conservarli in toto fino alla fine dei suoi giorni, quale testimonianza viva della longeva carriera in Accademia. Pensiamo difatti che l'atteggiamento assunto da certi modelli di quei disegni, talvolta ritratti in atteggiamenti pensosi, di «silenzio sofferto», poté semmai dipendere da una sensibilità romantica più matura, che voleva nella posa del giovane nudo l'equilibrio tra la «maschil beltà», «la nobile avvenenza de' [...] moti anche in ogni più difficile scorcio», e «la viva eloquenza» nella «composizione del volto», che i modelli avrebbero dovuto imparare ad atteggiare secondo «ogni sentimento», «ogni affetto più veemente e più sublime»356.

Ricordiamoci, poi, che quegli effetti di forte contrasto luce-ombra nell'epidermide del modello, caratteristica della maggior parte dei disegni considerati dalla Mannu Pisani, potevano esser creati solo attraverso strumenti come la lampada all'«inghilese» – il cui costo non poteva di certo essere alla portata dell'umile famiglia Bezzuoli357 –, che, come abbiamo visto, era stata adottata dall'Accademia fiorentina poco tempo dopo la sua fondazione.

Difficile credere che Bezzuoli, una volta nominato vice Maestro alla Scuola di pittura con Benvenuti, avesse tradito i princìpi alla base di un insegnamento che vedeva nella guida del giovane colui che gli avrebbe prescritto i confini, «servendo come di freno alla [sua] fantasia troppo fervida, la quale mal regolata, produce sovente resultanze infelici per quelli in specie che portano uno spirito riflessivo, penetrante nella scelta dei lumi capaci a guidare la loro mente al vero, ed al grande dell'arte»358. Forte del suo ruolo, e delle responsabilità ricoperte, Bezzuoli instaurava con gli allievi un rapporto che, leggendo alcuni passi del più volte considerato diario di John Cranch, ammesso con fatidica alla Scuola di nudo nel dicembre del 1831 grazie ai preziosi consigli del «Sig. B[ezzuoli]», che lo statunitense pagò a metà settembre di quell'anno una cifra pari a $6 per le revisioni dei disegni di anatomia e di nudo359, alternava l'atteggiamento rigido, severo, eppur attento a spronare chi intendesse raggiungere l'obiettivo sperato, con toni più confidenziali magari generati dal racconto di un viaggio, di una più

356 Vedi «Gazzetta di Firenze», nr. 66, 2 giugno 1827. 357 Vedi Macciò, 1912, p. 5.

358 Elementi d'architettura civile per uso di alunni dell'Imperiale e Reale Accademia delle Belle Arti di Firenze cit., p. 20.

privata esperienza. «He told me I had made great improvement [in drawing] and asked about my [trip?] to Volterra», scriveva Cranch nel suo diario (15 settembre) raccontando del più recente incontro col Maestro.

Attraverso preziose testimonianze come quella dell'americano, intendiamo come Bezzuoli volesse instaurare coi giovani allievi un rapporto fondato anche e soprattutto su quell'«amicizia, intimità, interesse di avanzamento» che Camillo Pucci, nelle sue aspre Lettere sulle Accademie di Belle Arti della fine degli anni Quaranta, individuava come caratteristica principale del rapporto che poteva nascere fra Maestro e discepolo all'interno del contesto delle antiche botteghe artigiane; ben più caldo e familiare (secondo lui) rispetto a quello delle più gelide aule dell'Accademia di Belle Arti360.

Sensibile all'idea secondo cui «l'anima sovrasta al corpo», e che «è più grande il prodigio d'un Ercole d'ingegno e virtù, che quello d'un Ercole di Membra»361, Bezzuoli atteggiava alcuni modelli ritratti nei disegni studiati dalla Mannu Pisani con una sensibilità che assoceremo al clima fiorentino dei tardi anni Venti. Tempo in cui uno dei più noti modelli del tempo, tale Paolo Mathevet, marsigliese, era in città e qui (precisamente nel maggio del 1827) si esibì al Teatro del Cocomero e alla Scuola del nudo con esercizi che lo avevano reso famoso in tutta Europa.

Primo modello dell'Accademia di Francia, egli era noto negli ambienti teatrali e accademici internazionali per spettacoli nei quali esibiva «i ben studiati atteggiamenti della persona, ed i sorprendenti esercizj di forza»362. Le cronache ricordavano che, durante le sue performance, egli declinasse la «maschil beltà» e la «nobile avvenenza de' [...] moti anche in ogni più difficile scorcio» con la «viva eloquenza» nella «composizione del volto»; egli era in grado di imitare «ogni sentimento», «ogni affetto più veemente e più sublime»363. La «Gazzetta di Firenze» registrava in un articolo del maggio del '27 le curiose «Erculee prove» esibite al Teatro del Cocomero dal marsigliese (insignito dall'Accademia di Belle Arti anche con una medaglia al valore364), come spettacolo «terribile-gradevole»:

360 Vedi Pucci, 1847 (B).

361 «Gazzetta di Firenze», nr. 66, 2 giugno 1827.

362 Vedi Ogni giorno una memoria storica – Diario modenese per il Bisestile, 1832, Modena 1832, p. 48.

363 Vedi «Gazzetta di Firenze», nr. 66, 2 giugno 1827.

364 Rivolgendosi a Francesco Campini, direttore del dipartimento delle Finanze del Granducato, Niccolini spiegava come il giovane Mathevet, «celebre per la forza portentosa di cui ha dato mirabili prove negli esercizj ginnastici [...] in Francia, in Inghilterra, in

Ed oltre a ciò, non men robusto e destro, che bello di membra, temperava egli il terrore delle sue forze da Ercole, col diletto di moti nobili e di leggiadre attitudini da Apollo. Ma a che cerchiamo noi d'imagini [sic] e di concetti? Nulla può meglio dare idea del vigore e della destrezza di quest'Ercole, che la nuda esposizione delle sue prove365.

Mathevet reinterpretava le più celebri storie mitologiche attraverso esercizi ginnici che coinvolgevano emotivamente gli spettatori. Al Teatro del Cocomero, per esempio, egli trovò ispirazione nella storia di Ganimede per un esercizio che prevedeva di farsi calare dalla

soffitta del palco scenico, quasi imitando il volo dell'Aquila, colle braccia aperte e colle mani aggrappandosi a due funi ciascuna terminante in un cappio, e scorrevoli per carrucole fermate alla soffitta medesima. Alla metà della discesa, essendo tenute ferme le funi, egli pure si arrestava, e lasciatane una, nel cappio estremo dell'altra fune inseriva un solo piede, e si capovolgeva: quindi all'allentarsi della fune scendendo, afferrava con ambo le mani un giovine al di sotto collocato sul palco scenico, ed essendo ritirata la fune a cui si atteneva quasi colla sola panta [sic] del piede, lo rapiva in alto, disparendo colla sua preda dagli occhi degli spettatori, e lasciandoli attoniti di questo ratto di Ganimede, non mitologico né attribuito agli artigli del Re de' volatili, ma operato dalle mani più possenti del Fortissimo de' Forti, Mathevet. Facevano, in questa prova, un visibile contrasto il pallor della paura, onde parea tingersi il rapito giovine, e l'intrepido aspetto del rapitore366.

È scritto nella «Gazzetta di Firenze» che «dal poter prodigioso delle membra non si scompagna, nel sig. Mathevet il forte sentire dell'anima». La sera del 26 maggio 1827, come dicevamo, Mathevet si esibì alla Scuola del nudo all'Accademia fiorentina: «In attitudini varie, e interessanti per gli Lombardia, ed ora nella nostra città», dove effettivamente dà prova di sé sia all'Accademia che in alcuni spettacoli al Teatro del Cocomero, sarebbe degno d'un meritato riconoscimento, già elargito da altre istituzioni italiane (Venezia e Milano), cioè una costosissima medaglia d'oro che l'Accademia fiorentina non era in grado di finanziare. Il rifiuto della medalgia da parte del tesoriere dello Stato, scrive apertamente Niccolini nella minuta, «sarebbe un compromettere il decoro dell'Accademia, e quello della Nazione» (minuta della lettera di Niccolini a Campini, da Firenze, del 23 maggio 1827, in AABAFi, Filza 16 [1827], ins. 35).

365 Vedi «Gazzetta di Firenze», nr. 66, 2 giugno 1827. 366 Ibidem.

Artisti»367. Stando ad una minuta conservata nell'archivio dell'istituzione, i giovani e i professori ivi presenti rimasero affascinati dalla destrezza con cui il francese atteggiava il suo corpo e declinava con «mirabil prova di gusto, d'intelligenza, di sentimento», le diverse espressioni del volto, a seconda dei temperamenti che intendeva comunicare368. Alla Scuola del nudo, Mathevet, oltre a dar prova di sé influenzando (chissà?) la carriera dei colleghi fiorentini nonché il gusto di alcuni professori ivi presenti, i quali dai suoi esercizi poterono ricavare nuovi spunti per future pose, fu «occasione a riflettere» quanto l'anima «sovrasti al corpo»; quanto cioè prodigiosa seppur «fatigosa» fosse in termini di comunicazione la capacità di esprimere attraverso l'arte la complessità dei sentimenti, la «compozione» del volto e l'«atteggiamento» di emozioni tra loro diverse369.

Tale riflessione poté toccare le corde di quanti, nel tempo del

Romanticismo, fossero sensibili al «forte sentire dell'animo», come Bezzuoli, appunto, che, proprio dalla fine degli anni Venti, ritrasse con segno morbido gli amici e parenti su fogli di piccolo formato: era un esercizio vòlto a rafforzare una sensibilità orientata a registrare nei volti dei conoscenti le diverse sfumature dell'animo e le più intime note psicologiche (Fig. 65)370. Negli stessi anni di quei disegni, anche gli americani suoi allievi o amici, fra cui Horatio Greenough, si esercitavano costantemente ritraendo persone care nelle pagine del taccuino o in fogli volanti. Si tratterebbe anche in questo caso, analogamente a Bezzuoli, del tentativo di carpire attraverso l'esercizio estemporaneo, i «segreti dell'animo nostro» assieme alle «leggi della nostra costituzione» nonché al «principio di quell'armonia che al di fuori di noi si diffonde in tutti gli esseri che ci circondano»371.

Nel 1831, tempo in cui Cranch frequentava Bezzuoli per revisionare i suoi lavori in vista dell'ammissione al nudo, Thomas Cole ritrasse con mano agile e svelta l'amico Greenough in una pagina volante; e pure Francis Alexander – col quale avrà modo di visitare Roma nella primavera del 1832 (Fig. 66) –, fermato con lo sguardo fisso, triste, immerso in quei pensieri melanconici e depressivi che, secondo alcune testimonianze, lo accompagnarono anche nel 367 Vedi minuta della lettera di Niccolini a Campini, da Firenze, del 23 maggio 1827, in AABAFi, Filza 16 [1827], ins. 35.

368 Vedi la minuta datata 27 maggio 1827, in AABAFi, Filza 16 (1827), ins. 35. 369 Vedi «Gazzetta di Firenze», nr. 66, 2 giugno 1827.

370 Vedi Bietoletti, 2014, pp. p. 71.

suo viaggio italiano372. E Greenough, per concludere, sempre occupato «with pen or crayon while thus enjoying a social hour; sometimes covering a sheet of paper with the remember faces of the absent and the loved»373, schizzò su un pezzo di carta, con pochi tratti, nello stesso anno di Cole, l'amico Amasa Hewins, in quel tempo a Firenze, e un anonimo giovane amico, dagli occhi chiari e lo sguardo intelligente (Fig. 67).

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