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Parte II. I primi statunitensi: 1817-1825 II-A Gilbert Stuart Newton e William Main.

II- B Robert Walter Weir.

Pochi furono gli artisti americani che nel corso della prima metà degli anni Venti risultavano iscritti ai corsi dell'Accademia di Belle Arti di Firenze. Tuttavia, da una lettera di Pietro Benvenuti del luglio 1823 indirizzata al direttore degli Uffizi286, ricaviamo che, fra quei pochi, c'era il newyorkese Thomas MacCleland. Di quel pittore (chiamato da diverse fonti biografiche anche McLelland nonché M'Lelland, o M'Cleland), che Benvenuti dice esser stato suo allievo alla scuola di pittura (cosa d'altronde non confermata dai registri dell'Archivio Storico dell'Accademia di Belle Arti), abbiamo scarsissime notizie287. Tuttavia, di lui ci restano i ritratti di Samuel Bard e di John Bowden (i quadri sono tuttora conservati alla Columbia University), la cui datazione è però precedente al soggiorno fiorentino dell'americano. Dopo MacLeland, nel maggio del 1825, un imprecisato «Roberto Wreiz», di origini statunitensi, fu iscritto nei registri della Scuola di pittura. Il commento di Pietro Benvenuti sulla condotta di quell'allievo recitava laconicamente: «Quello non frequenta»288.

Il nome dell'aspirante pittore era, in verità, Robert Walter Weir, di New York, il quale, una volta rientrato in America dopo un lungo soggiorno in Europa, ricoprì incarichi prestigosi fra cui, in particolare, quello di professore di disegno presso la United States Military Academy di New York. Fra gli anni Trenta e Quaranta, Weir eseguì anche una delle sei grandi tele della Rotunda dello U.S. Capitol di Washington D.C., il cui soggetto fu ispirato al viaggio dei primi coloni americani che nel 1620 salparono da Delft Haven, in Olanda, per raggiungere le coste del Nord America289 (Fig. 45).

Weir era giunto a Firenze nei primi mesi del 1825 col precipuo intento di perfezionarsi nella pittura. La sua sensibilità, attratta da pennellate buttate sulla tela con «bold, dashing, apparently off-hand execution»290, lo aveva

286 Vedi ASGF, Filza XLVII, II, Permessi di copia, 9 luglio 1823.

287 Le poche notizie su MacCleland sono riportate da Groce-Wallace, 1975, e Young, 1968 (ad vocem) dove si riporta che l'americano era nativo di New York, città dove fu attivo come ritrattista.

288 Vedi Ruolo degli Studenti Nella Scuola di Pittura di detta Accademia per l'Anno 1826 in AABAFi, Ruoli degli Scolari dell'Accademia delle Belle Arti degli Anni 1825.1826.1827, nr. 34.

289 Su Weir rimando, in particolare, alla biografia della figlia pubblicata nel 1947 (Weir, 1947); per quanto riguarda l'opera custodita nella Rotunda di Washington D.C. vedi Abrams, 1993.

portato a studiare, fra gli Old Masters, «those who excelled in embodying their ideas with the fewest touches, and those to nicely laid on as to express all that labor and high finish could accomplish»291. Fra i pittori contemporanei fiorentini, dei quali Weir registrava un comportamento curiosamente schivo, «secluded from each other», forse a causa, secondo lui, «by a little mean jealousy, which prevents that sociability and communication of ideas»292, egli fu attratto soprattutto da Giuseppe Bezzuoli, che a quel tempo era impegnato nell'esecuzione dell'Entrata di

Carlo VIII a Firenze (Fig. 35). I lavori di Bezzuoli – raccontava Weir

all'amico Dunlap – «have great brilliancy as well as depth in transparency; and may entitle him to the reputation of being the best colorist of the present Italian school»293.

Iscritto all'Accademia di Firenze alla Scuola di pittura con Benvenuti, Weir si scontrò fin da subito con una didattica mirata essenzialmente a perfezionare nei giovani la «grande cura e precisione» del disegno:

It was no easy matter to throw off my loose habits, and it costs me some trouble to accomplish it; but when done, I took delight in studying nature in every detail, and the very dryness that I before despised, now pleased me as corretness and truth294.

Dei quadri di Pietro Benvenuti, Weir ammirava la composizione e il disegno delle figure ma ne criticava la totale mancanza di ricchezza cromatica. «He [Benvenuti] seems to have paid less attention to colouring than formerly», scrive Weir ad un amico americano295; aggiungendo:

Having been for several years occupied work in fresco, in the Pitti palace, [...] the mode of painting, of great service in giving a facility and quickness of execution, is, I think, detrimental to colouring, as it is there less necessary, than in oil, though there are examples of some who have coloured equally well in fresco, as in oil, particularly Guercino and Pietro da Cortona, the first of whom I look upon as the greatest fresco painter, for effect and colour, that ever lived296.

291 Ibidem.

292 È questo ciò che Weir riportava in una lettera ad un amico, da Firenze, del 9 aprile 1825, trascritta in N.N., Letter from an Artist in Italy, in «The New York Review and Athenaum Magazine», 1 ottobre 1825.

293 Dunlap, 1834, vol. II, p. 391. 294 Ivi, p. 389.

295 Vedi Letter from an Artist in Italy cit. 296 Ibidem.

Le lezioni del professore aretino miravano, da un lato, attraverso l'esercizio del nudo, a «accustoming the eye to see nothing but light and shade»297; e, dall'altro, a familiarizzare con tecniche pittoriche come l'affresco, che il Maestro avrebbe poi applicato nel ciclo decorativo della Cappella dei Principi a San Lorenzo, dipinto fra il 1827 e il '36. Quella didattica, che poco si sposava alle necessità del pittore americano, costrinse Weir ad abbandonare definitivamente (dopo pochissime settimane) Benvenuti e la sua scuola. Scriveva infatti l'americano, sempre a Dunlap: I conceived my time misspent in acquiring, what at home would perhaps never be required of me; I therefore left my witty master, and the society of gods and centaurs, and went to the fields of study nature as she is, content to take her with all her faults, and leave to others the colder and more circuitous route of approaching her shrine through halls of Grecian art298.

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