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A Robert Walter Weir, George Cooke e i vedutisti toscani a cavallo fra gli anni Trenta e Quaranta.

Parte IV. Scultori statunitensi all'Accademia di Belle Arti: 1828-1850.

Capitolo 4. Vedutisti, paesisti e pittori di genere statunitensi a Firenze fra il 1828 e il 1842.

I- A Robert Walter Weir, George Cooke e i vedutisti toscani a cavallo fra gli anni Trenta e Quaranta.

Dopo aver abbandonato la Scuola di pittura dove – come abbiamo visto – aveva studiato con Pietro Benvenuti, Robert Walter Weir allargò le sue conoscenze fiorentine entrando soprattutto in contatto con quanti «took umbrage at [...] Signor Benvenuti»466. Fu vicino ad un certo «Mr. O», e, soprattutto, ad un'anonima «Madam D», «a lady of distinction», la quale lo introdusse alla principessa Paolina Bonaparte, sposa di Camillo Borghese, musa ispiratrice di Canova. Prima che lo statunitense si trasferisse definitivamente a Roma alla fine del 1826, la principessa gli commissionò anche un ritratto che, purtroppo, non fu mai eseguito a causa della morte prematura della donna, avvenuta proprio nel 1825467.

Nei mesi del suo soggiorno nel Granducato, Weir aveva anche sperimentato il genere del paesaggio, o, meglio, della veduta prospettica. Alla mostra della National Academy of Design di New York del 1830, istituzione alla quale egli aderì non appena rientrò in patria, espose un quadro raffigurante la veduta notturna del Ponte Santa Trinita. Il dipinto, oggi disperso, fu descritto in un articolo nel «New-York Mirror» come «a fine city view», in cui «battlements, bridges, a stone pier» e il fiume Arno erano illuminati dal candore romantico della luna, che, alta nel cielo, «shining down dimly over all»468. Alla stessa mostra, nel cui percorso erano inseriti anche quadri biedermeier ispirati, fra le altre cose, ad interni di cucine rustiche italiane, Weir inviò anche una veduta del Lago di Bolsena (anch'esso disperso) che il solito articolo del «New-York Mirror» descrisse

466 Dunlap, vol. II, p. 390.

467 La breve storia del ritratto, raccontata da Weir a Dunlap, fu da questi riportata ibidem: «I was to have introduced her likeness, but illness deprived me of her sittings, and after several different appointments, she sent me her miniature and a substitute; but before I had time to use it, her death deprived me of the opportunity to fulfilling the commission». 468 N.N., National Academy of Design – Third Notice, in «The New York Mirror», 16 giugno 1832, nr. 5.

come «a beautiful, rich view, with figures» raccomandandone l'acquisto alle più abbienti famiglie newyorkesi poiché adattissima ad arredare con eleganza le dining-rooms469.

I biografi di Weir, fra cui sua figlia Irene, autrice d'una monografia sul padre che fu pubblicata nel 1947, non spiegano l'interesse dell'americano per le vedute prospettiche di città o paesaggi italiani. È comunque certo che nei mesi trascorsi dallo statunitense a Firenze, il genere della veduta prospettica era ben rappresentanto da artisti come Ruggero Panerai, Giuseppe Gherardi, o l'inglese Francis James, i quali eseguivano quadri ispirati alle piazze o ai ponti fiorentini con un «gusto di macchia» che ricordava la maniera di Canaletto470 (Fig. 82). Alla mostra autunnale dell'Accademia del '25, che Weir poté visitare, Panerai esponeva per esempio una Veduta del Ponte alla Badia sul Mugnone – oggi disperso471 che crediamo non dissimile da quello eseguito nel giro degli stessi anni da Alexandre Leblanc (Fig. 83).

Alle mostre dell'Accademia degli anni seguenti – in quella del 1828 per esempio –, furono esposte un importante numero di vedute prospettiche di interni di chiese medievali toscane firmate da un gruppo di pittori italiani quali Niccola Marzocchi, che nel '28 esibì «un interno della cattedrale d'Arezzo», Gaetano Bianchini, presente alla stessa mostra con una veduta prospettica di Santa Maria Novella, Giuseppe Socci, che firmò un quadro con l'«interno del Ricetto del R. Conservatorio della SS. Annunziata», e, infine, il genovese Luigi Garibbo che, sempre nel '28, espose una veduta dell'interno della chiesa di Santa Croce472.

Fatta eccezione per Garibbo, gli altri artisti presenti alla mostra del '28 sono oggi del tutto sconosciuti. Tuttavia, essi rappresentarono con le loro vedute prospettiche un momento della storia dell'arte fiorentina la cui sensibilità, figlia della domanda dell'alta borghesia internazionale di passaggio dal Granducato, raggiunse l'apice fra la fine degli anni Venti e il corso del decennio successivo, influenzando, probabilmente, forestieri come gli americani Weir e George Cooke, pittore di religione metodista e dal passato di commerciante, che arrivò nel Granducato poco più di un anno

469 Ivi, nr. 63.

470 Vedi «Gazzetta di Firenze», nr. 131, 2 novembre 1830. 471 Vedi «Gazzetta di Firenze», nr. 131, 1 novembre 1825. 472 Vedi «Gazzetta di Firenze», nr. 138, 15 novembre 1828.

prima dell'inaugurazione della mostra all'Accademia del '28473.

Nato a Baltimora nel 1793 (morì a New Orleans nel 1849), Cooke arrivò in Europa nell'estate del 1826 in compagnia della moglie, Miss Heath, sposata poco tempo prima. I due, che rimasero in Italia fino alla metà del 1830, nell'autunno del 1827 raggiunsero, come dicevamo, dapprima Firenze e, subito dopo, Roma, dove si stabilirono fra la fine di ottobre e, presumibilmente, il dicembre o, forse, i primi di gennaio del '28. In quel mese, infatti, Cooke risultava attivo agli Uffizi dove eseguì alcune copie dagli Old Masters, le quali furono poi spedite negli Stati Uniti il 22 agosto di quell'anno474. A quel carico, egli aggiunse curiosamente pure un dipinto raffigurante una «pittura prospettica della mia camera». Nella successiva spedizione, composta per la maggior parte da copie di altri quadri di Maestri antichi, dipinti con tutta probabilità a Palazzo Pitti, Cooke aggiungeva un altro quadro raffigurante una «pittura prospettica», stavolta ispirata al cortile di Palazzo Vecchio475.

Dei due dipinti abbiamo perso ogni traccia. Quello con la camera non viene nemmeno citato nelle fonti biografiche; dell'altro, invece, sappiamo che fu esposto alle mostre dell'American Art-Union di New York del '38 e del '39 attirando l'attenzione del poeta William Cullen Bryant che lo acquistò476.

I legami fra Cooke e quel clima artistico fiorentino che aveva generato il suo interesse per vedute prospettiche di cui poi diventerà esperto nel corso degli anni, si fecero stretti fin dal suo arrivo in città. Stando alla lettera di raccomandazione di Ombrosi al direttore degli Uffizi, nel luglio del 1829 Cooke seguiva i corsi di pittura all'Accademia di Belle Arti di Firenze477.

473 Su Cooke vedi in particolare Rudulph, 1960, e Keyes, 1991.

474 Vedi ASGF, Filza LI, II, Permessi di estrazione, 22 agosto 1827. Il 12 gennaio, Cooke chiese di eseguire uno schizzo della battaglia di Rubens nel «salone della Niobe»; seguirono, due giorni dopo, le richieste per «il quadro di Paolo Veronese rappresentante il 'Martirio di St. Justine'» e la tela di Correggio con «la Vergine che addormenta l'infante Gesù»; per quindici giorni, dal 7 febbraio, l'americano dipinse la copia dell'Avaro dell'olandese Horace Paulyn, e, dalla metà di febbraio all'aprile del '27, quella della Madonna del popolo di Baroccio, della Venere e della Flora di Tiziano. A quelli seguirono copie da alcuni fiamminghi: «Un quadro di David Teniers il Vecchio, rappresentante un Medico assiso con una bottiglia in mano», e, infine, «una donna che suona la tromba» di Godfried Schalken. L'attività di copista si concluse con la Erodiade che riceve la testa di Giovanni Battista, dipinto attribuito a Leonardo (vedi ASGF, Filza LI, II, Permessi di copia, 12 gennaio, 7 febbraio, 27 febbraio, 14 febbraio, 1 marzo, 4 aprile, 24 aprile, 16 maggio).

475 Vedi ASGF, Filza LI, II, Permessi di estrazione, 19 ottobre 1827. 476 Cowdrey, 1953, p. 89.

Dall'ottobre del 1827 al giugno del '29, Cooke e la moglie vissero tuttavia fra Roma e Napoli, dove l'interesse del pittore per le vedute prospettiche (paesistiche e di interni, particolarmente di chiese, come vedremo) fu alimentato da nuovi spunti. A Napoli, trovò la fonte per una grande veduta che è oggi perduta, della quale rimane una dettagliata descrizione nel catalogo di una mostra dedicata al pittore in Alabama, negli anni Cinquanta dell'Ottocento, utile per comprendere la complessità e ricchezza dei dettagli raffigurati478. A Roma, Cooke trovò l'idea per dipingere un quadro raffigurante la navata di San Pietro che, una volta esser stato ultimato subito dopo il rientro in patria, fu esposto a New York nel 1831479. Anche quest'ultima tela è andata perduta. Tuttavia, esiste ad Athens una sua replica in grande formato che fu dipinta da Cooke nel 1847 su commissione della University of Georgia (Fig. 84).

Nella tela, il pittore esplorava la ricchezza e la complessità degli arredi della grande navata di San Pietro mediando fra i quadri con gli interni della stessa cattedrale dipinti da Giovan Battista Panini (al quale il quadro di Athens è stato giustamente avvicinato) e i modelli italiani con gli interni basilicali: di Luigi Garibbo, del francese Alexander Leblanc, e, non per ultimo, di Antonio Basoli480. Le imponenti vedute prospettiche di quest'ultimo, ispirate agli interni delle chiese bolognesi (Fig. 85), potevano esser note sia a Roma che, soprattutto, a Firenze, dove il pittore era stato eletto Accademico professore all'Accademia di Belle Arti della città inizio dell'Ottocento.

A differenza dei quadri di Garibbo, di Leblanc e di Basoli, che ritraggono gli interni di chiese secondo punti di vista prospettici laterali, Cooke preferì comporre la sua veduta dell'interno di San Pietro secondo un punto di fuga centrale e rialzato rispetto al pianterreno, così da accentuare il senso scenografico del grande vano sposando la sensibilità del contemporaneo pubblico newyorkese. Quest'ultimo, difatti, era abituato in quegli stessi anni a fruire le armonie mistiche dei grandi interni basilicali europei attraverso spettacoli proto-cinematografici come i panorami e, soprattutto, i

diorami481. Uno di quegli spettacoli, andato in scena a New York pochi mesi 478 Vedi Descriptive Catalogue of Paintings in the Gallery of Daniel Pratt, Pratville, Alabama, Together with A Memoir of George Cooke, Artist, Pratville 1853, pp. 6-7, 8. 479 Vedi N.N., St. Peter's Church at Rome, «The Evening Post», 4 novembre 1831. 480 Su Basoli vedi, in particolare, Farneti-Frattarolo-Emiliani, 2008.

dopo l'esposizione della veduta di San Pietro di Cooke nel 1831, e parte del programma dell'avveniristico Hanington's Phosphorama (il prodotto più evoluto dei «moving diorams»), mostrava al pubblico «The Interior of Amiens Cathedral, France»482.

Nel gennaio del 1832, all'Hanington's Phosphorama andarono in scena spettacoli allestiti in «a magnificent Transparent Phosphoramic Theatre of 250 square feet», offrendo ai newyorkesi «a variaty of interesting scenes, brilliantly illuminated»483. Dovremmo immaginare quello show, aperto nel gennaio del '32 per qualche giorno, «at 3 in the afternoon, and 7 in the evening, at 360 Broadway, 2 doors from Franklin street», allestito all'interno di una galleria semibuia lungo la quale si aprivano piccoli vani che ospitavano ognuno grandi tele raffiguranti differenti ambienti illuminati nel retro da un intricato sistema di luci. Quel sistema permetteva «a grand effect of unparalleled splendor»484. Uno di quei vani ospitava un grande quadro, «of the most extensive brilliancy», raffigurante «the Royal Gardens of the New Palace, Hyde Park, London», che, stando ad un'informazione ricavata da una pubblicità di un giornale newyorkese del tempo, era illuminato da «ten thousand moving lights, giving appereance of a Fairy Temple»485.

Parte II. Paesisti.

II-A. I due soggiorni fiorentini di Thomas Cole (1831-1832 e 1842): il

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