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Gli strumenti di housing policy si dividono in due tipologie in base ai principali fruitori del finanziamento: si possono individuare forme di assistenza che intervengono dal lato dell’offerta e altre che agiscono dal lato della domanda. Il fine di questa seconda tipologia di strumenti consiste nel ridurre i costi abitativi per gli acquirenti o gli affittuari; l’assistenza che interviene dal lato dell’offerta si riferisce invece a forme di supporto per costruttori, proprietari e finanziatori. In estrema sintesi, i sussidi all’offerta possono essere diretti – i cosiddetti sussidi bricks and mortar (Oxley, 1987), che consistono in mutui agevolati e sovvenzioni – o anche indiretti, se ad esempio prendono la forma di sistemi di tassazione agevolata. Infine, lo Stato può intervenire regolamentando i prezzi, per esempio imponendo il controllo dei canoni di affitto.

Anche quando il governo utilizza strumenti miranti ad assistere coloro che rappresentano la domanda di abitazioni, cioè gli affittuari e i proprietari, le forme di sussidio possono essere dirette (ad esempio mutui a tassi agevolati) o indirette (ad es. riduzione della tassazione a fronte di interessi pagati per un mutuo). La forma più comune di assistenza dal lato della domanda è costituita dai cosiddetti “housing allowances”, traducibili come sussidi al reddito a fronte di costi abitativi (“income related housing support”). In Gran Bretagna corrispondono agli housing benefits, mentre sono noti come housing vouchers negli Stati Uniti. Si tratta di benefici legati al reddito attraverso una procedura di means testing. In quanto tali, rientrano in un approccio di tipo selettivo e non universalistico, tipico invece dei sussidi bricks and mortar.

Gli housing allowances dovrebbero permettere ai nuclei familiari a basso reddito di vivere in un’abitazione adeguata in termini di qualità e dimensioni in base alla numerosità della famiglia, e di ridurre la quota di risorse destinate all’abitare.

Quando si rende necessario un intervento da parte dei governi sul mercato delle abitazioni, tra gli economisti si è andata affermando negli ultimi decenni una preferenza piuttosto diffusa per gli strumenti che agiscono dal lato della domanda piuttosto che da quello dell’offerta. Le motivazioni di questa scelta sono principalmente legate alla maggiore libertà di scelta lasciata agli individui per quanto riguarda la fruizione del sussidio e le decisioni su come spenderlo, nonchè ai minori effetti distorsivi sul mercato. Tra gli strumenti possibili si annoverano i trasferimenti monetari e i vouchers. I primi consistono di un incremento di reddito disponibile non vincolato; i vouchers prevedono invece lo stanziamento di risorse maggiormente vincolate all’utilizzo per uno specifico fine e per questo discendono da un approccio maggiormente paternalistico.

La maggior parte dei paesi dotati di sistemi di welfare avanzati utilizza oggi strumenti di politiche per la casa che intervengono dal lato della domanda. Negli anni ’60 e ’70 nei Paesi dell’Europa occidentale e negli Stati Uniti si avvertì la necessità di intervenire e rinnovare le politiche abitative e gli strumenti utilizzati, in quanto public loans e sussidi alla proprietà si erano mnostrati distorsivi ed inefficienti, e stavano creando notevoli difficoltà in termini di sostenibilità della finanza pubblica [Priemus H., Kemp P.A., Varady D.P. 2005]. Il mercato delle abitazioni soffriva delle distorsioni

causate da affitti mantenuti troppo bassi per via amministrativa, i sussidi non erano selettivi e riducevano la mobilità lavorativa ed abitativa. Questi ultimi inoltre spesso non raggiungevano i più bisognosi in quanto erano destinati prevalentemente ai nuovi affittuari e ai nuovi proprietari, che per la maggior parte erano famiglie a reddito medio-alto. L’impatto sul budget pubblico continuava a crescere e rischiava di diventare insostenibile.

Gli housing allowances sono stati introdotti in alcuni paesi europei dopo la Seconda Guerra Mondiale, e sono poi diventati uno strumento di uso comune negli anni ’70, quando era ormai stata superata la problematica legata all’insufficiente numero di abitazioni per la popolazione esistente e si passò alla necessità di garantire a tutti cittadini la possibilità di accedere ad un alloggio “adeguato”. Il ricorso alla costruzione diretta di alloggi da parte dell’operatore pubblico non era quindi più così urgente. Anche l’utilizzo di sussidi bricks and mortars, accusati di essere solo apparentemente uno strumento universalistico, ma che nella realtà avvantaggiava i ceti medi e non quelli maggiormente disagiati, fu progressivamente rimpiazzato da un sistema selettivo di aiuto legato al reddito.

Prima dell’introduzione di un sistema di sussidi al reddito per le famiglie in affitto, i governi utilizzavano solamente regolamentazioni sui canoni per garantire che, per gli inquilini del mercato privato dell’affitto, questi ultimi non superassero livelli difficilmente sostenibili in rapporto al reddito disponibile. Gli ultimi venti anni hanno evidenziato un chiaro passaggio nei Paesi avanzati da un tipo di politica per la casa basato su un’assistenza sul lato dell’offerta ad uno che interviene sul lato della domanda. In linea con questa tendenza, gli housing allowances hanno assunto un ruolo sempre più di primo piano (Ditch et al. 2001). L’insoddisfazione per i rigidi controlli degli affitti tipici degli anni precedenti e successivi la seconda guerra mondiale è ormai generale. In realtà l’esito di questa insoddisfazione non è quasi mai stato, se escludiamo gli Usa, l’approdo ad un mercato degli affitti completamente libero, ma ad un assetto che è stato definito di regolamentazione soft, o di seconda generazione, per distinguerlo da quello hard tipico di un cinquantennio fa. L’abbandono della regolamentazione dura, causato non solo dal mutato contesto ideologico ma anche dall’evidenza dei cattivi risultati ottenuti con interventi troppo invasivi, ha determinato un po’ dovunque un incremento del valore degli affitti, mentre la riduzione dell’impegno nell’edilizia residenziale pubblica ha diminuito la presenza di case disponibili a prezzi moderati. Con le frequenti privatizzazioni, molti ex inquilini pubblici si sono trovati a dover pagare assai più di prima per le rate del mutuo o le spese di mantenimento. I governi hanno cercato di controbilanciare questi effetti agendo sui trasferimenti monetari rivolti agli inquilini e, spesso, anche ai proprietari a reddito basso. A partire dagli anni ’90 gli housing allowances si sono diffusi, con modalità diverse, anche nei Paesi dell’Europa orientale, in particolare in Repubblica Ceca, Ungheria, Polonia, Russia, Slovacchia, Slovenia e Ucraina (Kemp, 2007).

In Gran Bretagna, Olanda e Australia i sussidi vengono concessi solo per il pagamento dell’affitto, mentre in altri Paesi come Germania, Svezia e Nuova Zelanda sono disponibili anche per coloro che vivono in una casa di proprietà. Tra i costi sostenuti dai proprietari, possono rientrare nel calcolo gli interessi passivi per il mutuo di acquisto dell’abitazione ed i relativi costi accessori, i costi di manutenzione dell’immobile e in alcuni sistemi anche quelli legati al vivere (riscaldamento, luce, acqua).

In quasi tutti i Paesi gli schemi di sussidi al reddito per l’abitazione si basano su un sistema di assegnazione che considera alcuni elementi standard: le risorse economiche della famiglia (non solo il reddito da lavoro), la numerosità e la composizione per età del nucleo familiare (presenza di figli

può, in termini generali, prendere la seguente forma: TR = a ( H – bY ).

H è il valore degli housing costs, Y il reddito della famiglia, a è un coefficiente inferiore o uguale ad 1, b è un coefficiente minore di 1 che definisce la quota di reddito che la famiglia deve comunque destinare al pagamento dei costi abitativi. La formula mostra che il trasferimento dipende da molti elementi. Anzitutto i costi abitativi che possono essere considerati: in alcuni paesi il trasferimento è riservato agli affittuari e considera solo il canone, in altri è esteso anche ai proprietari e può includere gli interessi passivi o anche le quote di pagamento in conto capitale, in altri ancora è possibile considerare anche le spese per il riscaldamento o altre uscite associate all’alloggio. Il reddito della famiglia, Y, di solito è al netto delle imposte, e spesso viene corretto per tener conto del numero dei componenti. Il coefficiente b serve a garantire che la famiglia destini comunque ai costi abitativi una quota del proprio reddito, ad esempio il 30%. L’obiettivo dello schema non è quasi mai l’azzeramento dei costi per la casa, ma solo la loro riduzione ad una quota accettabile del reddito familiare, rappresentata appunto dal valore di b. Infine, il coefficiente a serve ad evitare comportamenti di azzardo morale da parte dei beneficiari: se il trasferimento coprisse tutta la differenza tra i costi per la casa ed una certa quota del reddito, la famiglia potrebbe essere incentivata ad aumentare eccessivamente le proprie spese abitative, ad esempio scegliendo un appartamento lussuoso con un canone o una rata del mutuo elevati. Oppure proprietario ed inquilino potrebbero accordarsi per un affitto molto alto, trasferendo il costo sui contribuenti. In aggiunta o in alternativa al coefficiente a, lo schema potrebbe prevedere un importo massimo di spese per la casa ammissibili: H in tal caso non potrebbe superare un certo livello ai fini del computo del sussidio. Questo schema si distingue da un comune meccanismo di sostegno al reddito per il riferimento al canone effettivamente pagato e ad una quota di affitto “sostenibile”. Ha comunque anche una funzione di sostegno al reddito, dal momento che è tanto maggiore, dato H, quanto minore è Y. Come tutti i trasferimenti correlati inversamente al reddito, anche questo potrebbe provocare effetti indesiderati sulla propensione della famiglia a ottenere reddito sul mercato attraverso un maggiore impegno lavorativo. Se ad esempio b=0,3 ed a=0,8, ed il reddito familiare cresce di 100 euro, il sussidio si riduce di 24 euro, quindi il reddito netto aumenta di 76 euro. Sui 100 guadagnati grava un’aliquota marginale del 24%, cioè il prodotto dei coefficienti a e b. Se la famiglia guadagna abbastanza per essere sottoposta all’imposta sul reddito, la sua aliquota marginale d’imposta si somma ad ab, quindi l’incremento di reddito netto può essere molto più contenuto di quello del reddito lordo. Più in generale, gli housing allowances possono contribuire al formarsi di una situazione di “trappola della povertà”: se i trasferimenti monetari alle famiglie a reddito basso sono tanto più generosi quanto minore è il reddito familiare e decrescono all’aumentare di quest’ultimo, un soggetto a basso reddito può trovare uno scarso incentivo a cercare un lavoro o comunque a produrre più reddito, perché la conseguente riduzione dei sussidi renderebbe poco conveniente lo sforzo. Questo effetto può essere particolarmente ampio quando una famiglia riceve diverse forme di sussidio, perché i loro effetti possono cumularsi. E’ frequente ad esempio, nel caso dei paesi europei, il caso in cui una stessa famiglia riceva sia un trasferimento a favore dei figli, spesso decrescente rispetto al reddito, sia un trasferimento destinato a coprire in parte i costi abitativi, anch’esso funzione inversa del reddito.

Oltre alle possibili conseguenze negative sull’offerta di lavoro, che possono essere valutate appieno solo considerando l’intreccio di questo schema con il complesso degli altri interventi previsti dal sistema di tax-benefit, un trasferimento che copra parte dei costi della casa può avere implicazioni anche sui prezzi di equilibrio prevalenti nel mercato abitativo. Consideriamo il caso del mercato degli affitti. Un trasferimento che riduce l’onere dell’affitto a carico della famiglia in effetti produce una riduzione del costo con cui è possibile acquistare ogni unità di servizio abitativo sul mercato. Se, in assenza del sussidio, la famiglia è disposta a spendere un prezzo unitario pari a P0 per acquistare Q0 unità del bene casa (fig. 2), con il sussidio è disposta a pagare, sempre per Q0, un prezzo uguale a P0 più il valore unitario del sussidio, perché comunque il prezzo al netto del sussidio che paga per Q0

è sempre P0. La curva di domanda si sposta verso l’alto di una distanza pari al sussidio unitario. Il nuovo equilibrio è in B, con una maggiore offerta di abitazioni in affitto. Il sussidio totale è dato dalla differenza tra P1 e Pn, moltiplicata per la nuova quantità di case in affitto. Prima del sussidio i proprietari ricevevano il prezzo P0, ora ricevono P1, quindi una parte del sussidio si trasla a favore dei proprietari, misurata dall’area P0P1BD. Prima del sussidio gli inquilini pagavano un prezzo unitario di P0, mentre ora pagano un prezzo, al netto del sussidio, di Pn, quindi il loro beneficio è PnP0DC. Il sussidio ha provocato un aumento dei canoni e dell’offerta di equilibrio, ed una ripartizione del beneficio tra le due parti del mercato. Non sempre va a finire così. Se la curva di offerta è molto rigida (tendente alla verticalità), l’esito può essere solo un aumento del prezzo con scarsi riflessi sulle quantità, e con i proprietari che si appropriano del sussidio. Se invece l’offerta è molto elastica, l’aumento della domanda si riversa in maggiore offerta, scarso aumento dei canoni e benefici netti soprattutto per i consumatori. E’ quindi tanto più probabile che trasferimenti in denaro a favore degli affittuari vadano in effetti a beneficiare i proprietari quanto più rigida è la curva di offerta. Ovviamente, questo effetto dipende anche dalla dimensione del sussidio. Se si tratta di pochi euro, come nel caso italiano che sarà descritto più avanti, l’impatto dovrebbe essere scarsamente percettibile. C’è poi un’altra possibilità, cioè che le famiglie, dopo la percezione del beneficio, non desiderino incrementare la propria domanda di servizi abitativi, ma utilizzino il trasferimento per acquistare altri beni e servizi. In questo caso la curva di domanda sarebbe molto ripida, e le famiglie conserverebbero buona parte del beneficio. La misura ed il segno della traslazione del sussidio dunque non possono essere definiti a tavolino, ma devono essere verificati sulla base delle condizioni concrete di ogni singolo caso.

Fig. 1 L’impatto di un trasferimento monetario a favore degli affittuari sull’equilibrio del mercato Q0 P0 P1 Q1 Pn A B C D Quantità di servizi abitativi

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sussidio unitario Prezzo unitario

essere anche quello dei buoni pasto utilizzati da molte imprese private per i propri dipendenti50. La differenza rispetto al trasferimento monetario sta nel fatto che questo buono non può essere speso a piacimento, ma solo per comprare un certo bene. Se ad esempio una famiglia sta pagando un affitto mensile di 200 euro, e lo Stato le conferisce un voucher mensile di 300 euro, questa famiglia potrà usare 200 euro per pagare interamente il canone attuale, ma non potrà utilizzare i restanti 100, a meno che non si trasferisca in un nuovo alloggio più costoso. Se invece lo Stato le avesse dato 300 euro in contanti, avrebbe potuto usarne 200 per pagare l’affitto, e gli altri 100 per comprare qualsiasi altro bene. Il voucher quindi, rispetto al trasferimento in natura, limita la libertà di scelta del beneficiario. Ma sarebbe sbagliato pensare che il voucher sia assimilabile in toto ad un trasferimento in natura, nel caso specifico ad una casa popolare, perché comunque il voucher conferisce assai più libertà di scelta (non sembri una contraddizione con quanto appena detto): se lo Stato mi assegna una casa popolare, devo solo scegliere se prendere o lasciare, non ci sono altre possibilità. Ma se lo Stato mi dà un buono da spendere in affitto, allora posso scegliere la casa in cui andare, una differenza non da poco.

Il voucher si caratterizza quindi come un caso intermedio tra i trasferimenti in denaro e quelli in natura: dei secondi condivide l’obbligo di consumare solo un certo tipo di bene o servizio, quindi garantisce ai contribuenti che il loro denaro non sarà sprecato dai beneficiari, ma rispetto ai trasferimenti in natura consente ai riceventi molta più libertà di scelta, un aspetto tipico dei trasferimenti cash.

Con un voucher si ridimensiona il rischio di confinare i poveri in ghetti di case popolari, anzi si dà ai poveri l’incentivo ad uscire dai ghetti, e si mettono i proprietari in concorrenza tra loro per attirare possibili inquilini. Un esempio di voucher applicato al contrasto del disagio abitativo è fornito dal programma applicato negli Stati Uniti. La formula per il calcolo dell’importo del voucher statunitense è molto semplice:

V = R* - 0,3 Y

Y è il reddito della famiglia, mentre R* è l’affitto “equo” di mercato che, secondo un’agenzia pubblica, si dovrebbe pagare per un alloggio in buone condizioni in una certa area. A differenza della formula per il trasferimento monetario vista prima, l’importo del voucher statunitense non dipende dall’importo del canone pagato dal beneficiario. Se la famiglia paga un affitto inferiore al voucher, può trattenere la differenza. Ciò incentiva la ricerca di abitazioni a canoni moderati (Beltrametti, 2004). In Europa non vi sono schemi assimilabili ai voucher statunitensi, sui quali il giudizio è generalmente positivo (Green e Malpezzi, 2003, Glaeser e Gyourko 2008).

Le tipologie abitative per le quali è possibile ricevere un sussidio variano a seconda dello standard minimo definito dai vari Paesi: in Olanda per esempio sono escluse le house boat, le garden house e le case mobili, mentre nel sistema inglese sono ammesse. I sistemi di supporto al reddito per costi abitativi si differenziano in primo luogo in base alle risorse che vengono ad essi destinate, e che possono essere definite e limitate oppure open-ended. Solo nel secondo caso si è in presenza di un programma che riconosce il sussidio come un diritto di tutti i cittadini che rientrano nei parametri individuati, e per questo non lo vincola a limiti di budget: è ciò che avviene ad esempio nel sistema olandese ed inglese.

Un sistema di sussidi al reddito nel breve periodo può quindi avere come effetto un aumento dei consumi da parte delle famiglie beneficiarie. L’entità di questo effetto è determinata dall’elasticità della domanda: se elevata, l’incremento del reddito disponibile porterebbe ad un aumento del consumo di housing. Nel breve periodo questo comporterebbe un aumento del prezzo delle abitazioni sul mercato, ma nel lungo periodo – se l’industria reagisse aumentando l’offerta – il prezzo tornerebbe all’iniziale livello. Naturalmente è importante il ruolo dell’elasticità dell’offerta, in parte determinato da fattori istituzionali come la pianificazione sul territorio delle aree: maggiore è la regolamentazione, minore sarà l’elasticità dell’offerta [Winters, 2005].

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La letteratura mostra come il mercato delle abitazioni non operi sempre in modo efficiente [Barr, 1998]. Le principali problematiche riscontrate sono l’informazione spesso imperfetta, la selezione avversa, la possibile presenza di discriminazione, l’asimmetria di potere tra gli affittuari e i proprietari nella definizione del canone, le esternalità negative. L’informazione imperfetta fa riferimento alla condizione di mancata conoscenza da parte degli affittuari dei diritti riconosciuti dalla legge o di elementi importanti nella definizione del canone, quali la qualità dell’abitazione. Inoltre i proprietari che affittano un’abitazione operano una selezione avversa sui possibili affittuari in modo da minimizzare i rischi legati al mancato pagamento del canone o alla cattiva conduzione della casa; a parità di condizioni preferiranno quindi, per esempio, famiglie con due lavoratori o famiglie autoctone piuttosto che nuclei da poco immigrati. I proprietari godono inoltre generalmente di un maggior potere nella definizione del canone all’aumentare del numero di anni di permanenza nella stessa abitazione degli affittuari: questo maggior potere può essere determinato da vincoli affettivi o dai costi legati al trasloco, rilevanti soprattutto per le famiglie a basso reddito. Infine si ricordano le possibili esternalità negative che una casa mantenuta in cattive condizioni può avere sulle aree circostanti, fattore che spesso non viene considerato nella definizione dei canoni di affitto. Tutte queste concause portano ad una disuguaglianza di base nelle possibilità di accesso ad abitazioni di buona qualità per le famiglie a basso reddito, soprattutto se numerose o aventi specifiche necessità (persone invalide o anziane bisognose di particolari servizi).

Negli ultimi anni si è assistito ad una crescita dell’incidenza del costo degli housing allowances sui bilanci pubblici nelle realtà nazionali che li riconoscono come diritti di cittadinanza e quindi open- ended. Il controllo del budget pubblico può essere raggiunto attraverso un sistema di regolamentazione degli affitti da parte dei governi centrali tale da limitare gli aumenti degli affitti e di conseguenza anche delle quote di housing allowances da erogare. La regolamentazione dei canoni di affitto comporta però uno squilibrio dei prezzi sul mercato privato ed un possibile disincentivo