Nel 1978 viene approvata la legge (n. 392) con la quale si introduce in Italia l’equo canone, un sistema di determinazione dei canoni molto rigido secondo il quale l’affitto non può superare una certa percentuale del valore catastale dell’immobile. Questo importo può essere modificato ogni anno solo sulla base del tasso di inflazione. Le conseguenze di questa legge sono oggi giudicate in modo negativo [Saraceno 2003, Minelli 2004]. Agli stretti vincoli che la legge impone all’ammontare degli affitti e alle condizioni dei contratti i proprietari hanno reagito comprimendo l’offerta di abitazioni in affitto, e quindi introducendo un incentivo implicito all’acquisto della casa. E’ aumentata inoltre la propensione all’evasione fiscale, e si sono disincentivati gli investimenti per migliorare la qualità delle abitazioni in affitto. Per i proprietari, inoltre, è sempre stato molto difficile rientrare nella disponibilità dell’appartamento alla scadenza del contratto. Per cercare di aumentare l’offerta di abitazioni in affitto attraverso un incremento della loro redditività, la legge n. 359 del 1992 ha introdotto la possibilità di fissare liberamente il canone di affitto, sulla base della libera contrattazione tra proprietario ed inquilino (patti in deroga). Nel 1998, infine, il mercato degli affitti viene del tutto liberalizzato. La legge n. 431 del 1998 prevede due tipi di contratti di affitto: uno completamente libero, ed uno “convenzionato”, cioè stipulato sulla base di parametri definiti da accordi a livello locale tra le organizzazioni dei proprietari e degli inquilini. L’obiettivo dell’introduzione della modalità convenzionata consiste nel tentativo di attenuare l’impatto sulle famiglie dell’inevitabile incremento medio delle locazioni in conseguenza del processo di liberalizzazione del mercato.
Negli auspici degli estensori delle leggi che negli anni ’90 hanno riformato il mercato delle locazioni vi era l’aumento del numero di case offerte in affitto, in drastico calo nel corso degli anni ’70 e ’80. Si sperava che la maggiore attrattività dell’investimento in immobili da affittare avrebbe attirato nuovi operatori sul mercato. L’aumento dell’offerta avrebbe dovuto attenuare l’incremento degli affitti conseguente al superamento dell’equo canone. A tutelare le condizioni economiche degli inquilini più poveri avrebbe dovuto anche concorrere non solo la nuova tipologia dei contratti convenzionati, ma anche l’introduzione del fondo sociale per l’affitto, un trasferimento monetario agli affittuari che si trovano in precarie condizioni economiche, condizionato alla verifica del reddito e del patrimonio della famiglia, nonché una detrazione Irpef sull’affitto pagato.
A più di dieci anni di distanza dall’ultimo significativo intervento legislativo di riforma del mercato delle locazioni, è possibile concludere che i canoni di affitto sono, come illustrato, decisamente aumentati, ma non si è verificato l’auspicato incremento dell’offerta di immobili in locazione. Le ragioni sono diverse (Cipolletta et al., 2005): in particolare, una redditività ancora scarsa a causa del carico fiscale elevato e l’incertezza sulla effettiva possibilità di rientrare in possesso dell’appartamento al termine della durata del contratto. Il fondo sociale per l’affitto, inoltre, non ha mai raggiunto una dotazione soddisfacente.
In presenza di una offerta di case in locazione rigida e di un fondo per l’affitto di dimensioni modeste, l’aumento degli affitti derivante dal superamento dell’equo canone fornisce una buona indicazione dell’impatto che le famiglie in affitto hanno subito a causa della liberalizzazione del mercato. Una semplice misura di questo impatto può essere ottenuta confrontando gli affitti medi pagati sugli affitti in equo canone e sui patti in deroga, in un certo momento. Ma questa semplice differenza tra medie può portare ad una stima distorta dell’impatto della liberalizzazione, se i due insiemi di abitazioni, quelle date in equo canone e quelle affittate a prezzi di mercato, hanno caratteristiche diverse. Una tecnica più idonea consiste nella stima di una funzione di prezzo edonica: si stima una regressione in cui l’affitto è la variabile dipendente, e le caratteristiche dell’abitazione (qualità, dimensione, anno di costruzione, dimensione della città, ecc.) costituiscono le variabili esplicative. Sulla base dei coefficienti stimati, si stima il prezzo di mercato ipotetico che una famiglia in affitto controllato avrebbe pagato se esposta al libero mercato. La differenza tra l’affitto controllato e questo nuovo affitto imputato costituisce il trasferimento implicito realizzato dalla legislazione sull’equo canone, o viceversa l’impatto, in termini di maggiore spesa, del passaggio al regime di mercato. In generale si tratta di un impatto
di breve periodo, perché è ragionevole pensare che il mercato si adatti alla rimozione dell’equo canone, ad esempio attraverso un aumento dell’offerta di case in affitto. Se però questi adattamenti non ci sono o si verificano solo in parte, come sembra nel caso italiano, allora questa misura dell’impatto può avere una validità che va oltre il breve periodo.
Per la stima, utilizziamo i dati dell’Indagine Banca d’Italia dal 1993 in poi. Consideriamo come affitti di libero mercato quelli classificati dai rispondenti come “patti in deroga”, mentre consideriamo come affitti controllati quelli classificati come “equo canone”. Escludiamo però da quest’ultimo gruppo quegli affitti che le famiglie hanno definito come “equo canone” anche se stipulati dopo il 1998. La variabile dipendente è il logaritmo dell’affitto annuo per metro quadrato. I risultati della regressione sono riportati nella tabella seguente.
Tab. 7.1 Stima dell’equazione del canone di affitto (ln dell’affitto per metro quadrato) sulle caratteristiche dell’immobile
coefficiente Valore assoluto del test t
1) Anno di occupazione 0.009 (9.18)** 2) Superficie in mq -0.012 (11.34)** 3) Superficie al quadrato 0.000026 (5.62)** 4) Anno_1995 0.301 (7.67)** 5) Anno_1998 0.331 (9.37)** 6) Anno_2000 0.400 (10.20)** 7) Anno_2002 0.380 (10.17)** 8) Anno_2004 0.518 (14.06)**
9) Nord comune piccolo -0.234 (7.66)**
10) Nord comune grande 0.139 (4.27)**
11) Centro comune piccolo -0.243 (3.96)**
12) Centro comune medio -0.036 (0.62)
13) Centro comune grande 0.429 (8.63)**
14) Sud comune piccolo -0.368 (6.26)**
15) Sud comune medio -0.298 (6.32)**
16) Sud comune grande 0.036 (0.75)
17) Zona_periferia 0.057 (2.14)* 18) Zona_centro 0.025 (0.92) 19) Zona_altro -0.080 (1.30) 20) Qualita_pregio 0.014 (0.48) 21) Qualita_degrado 0.021 (0.33) 22) Signorile 0.172 (4.53)** 23) Economica -0.080 (2.73)** 24) Popolare -0.181 (3.82)** 25) Altro -0.381 (4.13)** 26) Anno di costruzione 0.00043 (2.31)*
Se suddividiamo tutte le famiglie del sottocampione 1993-2004 in decili sulla base del reddito equivalente, la tab. che segue presenta il reddito medio disponibile e l’affitto medio pagato dalle famiglie che dichiarano ancora di vivere in equo canone. In media, il passaggio dal regime controllato al libero mercato produce un aumento del canone del 47%. Questa variazione ha un impatto molto forte soprattutto sulle famiglie più povere: pesa infatti per il 15% del reddito sulle famiglie appartenenti al 10% più povero dei nuclei italiani, e per il 10% per quelle che cadono nel secondo decile. Questi risultati sono vicini a quelli ottenuti da Miniaci (1995) con riferimento agli effetti della legge del 1993.
Tab. 7.2 Affitto effettivo pagato e canone di mercato imputato per le famiglie in equo canone Decili di reddito disponibile equivalente Reddito disponibile monetario Canone controllato Canone di mercato imputato Variazione Variazione % canone Variazione canone in % del reddito 1 8188 2403 3655 1252 52% 15% 2 13249 2617 3926 1311 50% 10% 3 16100 2776 3989 1212 44% 8% 4 18188 3003 4202 1200 40% 7% 5 22590 2987 4571 1584 53% 7% 6 25952 3266 5352 2086 64% 8% 7 30609 3340 4710 1370 41% 4% 8 32738 3617 5275 1658 46% 5% 9 38889 4305 6641 2336 54% 6% 10 64628 5418 5584 166 3% 0% Totale 20405 3004 4426 1422 47% 7%
La liberalizzazione del mercato dell’affitto, quindi, ha ridotto del 15% il reddito disponibile per le famiglie ad equo canone appartenenti al primo decile della distribuzione, e del 10% per quelle del secondo decile. La riforma dei contratti di affitto operata negli anni ’90 non è stata accompagnata da altri fenomeni che avrebbero potuto compensarne gli effetti sulle famiglie più deboli, in particolare l’incremento dell’offerta di abitazioni e l’aumento dei trasferimenti monetari pubblici. Quindi una riforma a metà, che ha finito per penalizzare soprattutto le famiglie più deboli.
Riferimenti bibliografici
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Commissione d’indagine sulla povertà e l’emarginazione (1993), Rapporto sulle “povertà estreme” in Italia, Commissione d’indagine sulla povertà e l’emarginazione, Roma.
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