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Gli ultimi mesi e la prospettiva insurrezionale

Gli ultimi mesi di vita dei GAP furono segnati dalla prospettiva insurrezionale, vale a dire da una perdita di centralità, con conseguente minor apporto di uomini e mezzi, delle

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organizzazioni terroristiche di città a discapito delle SAP, sempre più presenti nelle Relazioni delle Brigate Garibaldi. Tuttavia i GAP, in proporzione minore che nei mesi precedenti per via delle cadute e dell’alta vigilanza in città, continuarono la propria attività militare sino alla liberazione, come attestano le azioni degli ultimi mesi di guerra nei principali centri occupati.

A Torino dopo l’affare di Nanni restano poche informazioni sul gappismo successivo, una relazione sulle Brigate di effettivi in Piemonte concludeva in novembre: “mancano i dati dell’organizzazione gapista sic del Piemonte che ha raggiunto un grande sviluppo soprattutto a Torino”83. Sono infatti registrate in autunno numerose azioni, ma non vi è indicazione del numero di uomini operanti nel capoluogo né dei commissari politici e militari. Il 16 settembre fu abbattuto un generale dell’aviazione fascista, il 18 uno squadrista, il 23 un capitano delle SS italiane e il 24 un brigatista nero, l’11 novembre fu giustiziato un sergente repubblichino in corso Tortona e il 21 dicembre un milite delle BN in via Fossato. Intanto, il 16 settembre un esplosione bloccò due motori del servizio ferroviario, il 22 una bomba esplose in un caffè di Moncalieri, il 24 al caffè Florio e al giardino Carlo Felice; il 16 ottobre tre ordigni venivano depositati davanti all’hotel Maestoso e due giorno dopo un esplosione nel ritrovo La grotta di Moncalieri causava 6 morti e 5 feriti in un raduno della X Mas. Sono solo alcune delle operazioni riportate nelle relazioni ai comandi, cui si aggiungevano le interruzioni dei binari ferroviari che collegavano Torino alla provincia. Il bilancio delle azioni dei Gap piemontesi nel mese di ottobre ammonta ad “8 azioni sui binari principali e secondari […] 6 azioni dimostrative contro spie nazifasciste, 10 azioni contro fascisti isolati o in gruppo o in locali di ritrovo. In totale 29 morti e 25 feriti tra nazisti e fascisti […] Nessuna perdita da parte nostra, solo un ferito leggero guarito”84. In seguito all’attività autunnale, la Direzione comunista, nella persona di Pietro Secchia, scrisse il 7 novembre a Colombi, responsabile della Federazione torinese di “smetterla con le azioni nei ristoranti”, ricevendo in risposta “non si fa del terrorismo senza rischiare di colpire anche degli innocenti”85. Nella successiva missiva, Secchia spiegava le ragioni della direttiva da un punto di vista tutto politico:

“E necessario che il popolo possa vedere in modo chiaro che cosa si voleva colpire. Se in un ristorante una bomba ammazza sei persone e ne ferisce altre dieci cittadini qualsiasi […] e su sedici vi è magari un solo

83 APC, Brigate Garibaldi, Comando generale e distaccamenti, varie, Elenco e denominazione delle forze

partigiane in Piemonte.

84 APC, Brigate Garibaldi, Piemonte, Azioni dei Gruppi di azione patriottica. 85 Borgomaneri, pag 323-324.

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tedesco od un fascista, mettine anche due, non salta affatto chiaramente agli occhi della gente perché noi abbiamo fatto tale attentato e si suscitano le critiche, le indignazioni..”86.

Se l‘effetto collaterale di colpire dei civili era stato superato nei primi mesi di lotta, con l’approssimarsi dell’insurrezione diveniva dunque un prezzo politico troppo alto da pagare, per un partito che presentava le Brigate Garibaldi come avanguardia in armi dei lavoratori, schierate a difesa della popolazione. Il ricorso al terrorismo doveva cedere il passo ad azioni realizzate da uno strumento più inclusivo, le SAP, principali organi di combattimento tra marzo e aprile 1945. Tuttavia anche a Torino un ristretto numero di GAP fu attivo sino alla liberazione, realizzando esecuzioni di fascisti ma soprattutto sabotaggi alle linee ferroviarie o ai cavi dell’alta tensione, come la mina speciale che il 4 gennaio fece saltare un cavo della centrale elettrica dell’officina Ferriere, causando l’interruzione del lavoro per un paio di settimane. Le azioni di marzo e aprile risultano registrate assieme a quelle delle SAP, dalle quale le operazioni dei GAP non si distinguevano più; entrambi gli organismi risultano infatti autori nelle ultime settimane di sabotaggi ferroviari ed industriali, requisizioni di armi ed esecuzione di soldati tedeschi e fascisti. In aprile, vennero comunicati i piani del CVL per la liberazione della regione e i compiti spettanti a ciascuna formazione, mentre il 20 il Comando militare regionale Piemonte diramava una circolare che prescriveva il richiamo di tutti i partigiani in licenza e l’esposizione dell’uniforme per farsi notare dalla popolazione, proseguiva poi:

“Dovrà rapidamente intensificarsi l’attività partigiana, in modo da aumentare nelle file del nemico, e specialmente nei fascisti, quello stato di orgasmo che già si avverte, costringendolo a stare continuamente sorvegliato, minacciato, colpito”87

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Bisognava dunque tenersi pronti per il segnale che avrebbe scatenato la prima fase, la liberazione completa dei vari territori ad opera dei comandi di zona, cui sarebbe seguita la liberazione del capoluogo da parte delle formazioni designate e il coordinamento con le forze alleate nell’insediamento degli organi locali del CLN.

A Milano intanto, di fronte al rinvio dell’insurrezione, in dicembre Pesce era stato richiamato alla guida di quanto restava della 3° Brigata Garibaldi GAP. Mentre operavano ormai nella provincia una ventina di Brigate SAP (per un totale di settemila uomini), risultano nella

86 APC, Direzione nord, Corrispondenza Direzione-Pietro Secchia, busta 13, Lettera ad Alfredo e Nino. 87 APC, Direzione Nord, Piemonte, busta 8.

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brigata di città in gennaio quattro uomini, cui si aggiunsero Luigi Alcalini, Albino Ressi e Albino Trecchi inviati dall’Oltrepò, due staffette, Carla Moiraghi e Lina Selvetti, e Luigi Franci che fungeva da artificiere. Le uniche azioni note alle porte del ’45 sono l’esplosione di un camion di militi fascisti il 29 dicembre, un esplosione nel caffè centrale la sera dell’1 e un terzo attacco dinamitardo il 7 gennaio al caffè Manenti in piazza Duca d’Aosta, pianificato e compiuto da Pesce in prima persona. In questa fase infatti, buona parte dei sabotaggi e dei recuperi erano compiuti dalle Squadre d’azione ed era ormai impensabile portare a termine attacchi ad personam allo scoperto, per cui l’aumentata vigilanza poliziesca e una carenza di gappisti provati resero l’attacco dinamitardo l’unico tipo di azione realizzabile. Pesce lamentò di essere teso e solo, al punto da inviare alla metà di gennaio una lunga lettera alla Federazione milanese in cui criticava l’assenza di un efficiente lavoro di reclutamento per i combattenti, ma anche la negligenza del partito per le esigenze della lotta in città, dai tecnici al servizio informazioni. Le mancanze rilevate da Pesce sono confermate dal fallimento di un’azione in una trattoria il 4 febbraio, in cui restarono uccisi Ressi, Trecchi, la Selvetti e il tecnico Luigi Franci. Non è mai stata chiarita la dinamica dei fatti ma pare accertato che la bomba esplose in anticipo, forse per un difetto di fabbricazione o accensione, uccidendo i quattro GAP, due militi della Muti, quattro donne, un uomo e un fattorino di 16 anni88. Già l’azione al caffè di piazza Duca d’Aosta aveva causato la morte, oltre che di quattro soldati tedeschi, di “cinque borghesi italiani”89 e non erano mancati in gennaio feriti tra i civili, rischio inevitabile degli attacchi dinamitardi nei luoghi pubblici e metodo d’azione che, come abbiamo visto, era già stato criticato da Secchia nei mesi precedenti.

L’azione gappista era dunque secondaria, ma non esaurita, viste le ultime azioni compiute tra febbraio e marzo, in seguito al passaggio alla brigata di città di ventisette elementi provenienti dalla montagna e dalle squadre d’azione, probabilmente in seguito alle richieste di Pesce; egli aveva chiesto anche la sostituzione di Ceresa come commissario politico, rimpiazzato da Alfredo Giola. A proposito dei rapporti tra i GAP e le SAP è interessante la vicenda dell’esecuzione di Cesare Cesarini, addetto del personale all’officina aeronautica Caproni, responsabile della deportazione di alcuni operai antifascisti. Borgomaneri riporta la testimonianza rilasciata negli anni ’70 da Carlo Piazza, comandante della 130° Brigata Sap, cui per primo fu proposto di portare a termine l’azione e che rifiutò poiché non se ne sentiva capace. Pesce gli chiese a questo punto di trovare qualche audace sappista in grado

88 Borgomaneri, “Li chiamavano terroristi”, op.cit., pag 322. 89 ACS, A/R Milano, busta 7.

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di colpire l’obiettivo e si propose per l’azione un operaio della Magnaghi, che però al momento di sparare restò paralizzato dalla paura; fu a questo punto che comparve Pesce, all’insaputa di tutti presente sul luogo dell’azione, e sparò a Cesarini e ai due agenti di scorta. Il prefetto di Milano segnalava alla fine di marzo una “ricrudescenza dell’attività criminosa dei fuorilegge”90, ma il ruolo avutovi dai GAP si perde nella mancanza di documentazione e nell’attività delle Squadre d’azione. Non è chiaro perché Visone non si rivolse ai GAP e coinvolse dei sappisti nell’esecuzione di Cesarini, secondo il suo racconto affidatagli dal Comando regionale in un incontro con Alberganti, come Ghini mutato a Milano da Bologna. Ad ogni modo, la Brigata restò in piedi sino alla liberazione, alla quale le sue squadre parteciparono occupando caserme e difendendo basi partigiane in attesa dell’ingresso in città delle brigate di montagna e degli Alleati.

Resta traccia anche dell’attività dei Gap bolognesi nel febbraio e nel marzo, seppure fossero stati fortemente colpiti dagli arresti in dicembre; la sezione attività ribelli segnala un gran numero di esecuzioni di fascisti locali, all’apice della resa dei conti della guerra civile. Il 24 febbraio furono uccisi un milite della GNR in via Goito, il conte Isolani, la sorella Carolina, il fattore e una loro ospite, un ufficiale della Wehrmacht in via Duca d’Aosta e un tenente dell’esercito in via Michelino. Il 26 nei pressi di via Maggiore erano invece giustiziati un milite della GNR e uno della CRI, il 6 marzo nella campagna bolognese Amedeo Muzzi veniva trovato ucciso accanto a un cartello recante la scritta “spia fascista” e il 26 erano rinvenuti cadaveri i militi della GNR Tortura e Bortolotti. Il fatto è che la pausa delle operazioni militari imposta dal proclama Alexander colse il PCI in un momento in cui cedere sulla lotta partigiana avrebbe significato compromettere il lungo lavoro di preparazione e coinvolgimento delle masse nella guerra di liberazione. Così, di fronte alla necessità di mettere in pausa le operazioni in montagna e con l’esercito tedesco preso dai piani della ritirata, compaiono in gran numero, accanto a sabotaggi di vario tipo, le esecuzioni a carico dei fascisti, responsabili quanto (se non più) dell’occupante, della guerra antipartigiana. Un altro tipo di azioni sulle quali occorrerebbe soffermarsi ed avviare ricerche più approfondite è costituito dalle cosiddette azioni di recupero, cui non furono estranei né i partigiani di montagna, né le SAP e i GAP. Si trattava di rapine ed espropri a carico di esercizi commerciali (spesso fascisti) e contadini, volti ad ottenere rifornimenti, armi, capi di vestiario, tabacco e denaro. Queste azioni rappresentano uno degli aspetti oscuri della lotta, attuate da gruppi isolati o da effettivi reclutati con leggerezza, tra cui non mancarono

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criminali comuni ed ex galeotti. Resta ignoto e impossibile da valutare quanto il partito fosse a conoscenza di tali operazioni e quanto ne fosse responsabile. I gappisti ricevettero una paga, non è chiarito in che quantità e con che frequenza, ma non mancano lamentele sulla scarsità dei mezzi riservati alle Brigate Garibaldi, soprattutto dopo l’ingresso nel CVL. E’ dunque probabile che alcune azioni fossero mosse dal bisogno, come attesta l’esproprio di beni di prima necessità e di strumenti necessari alla lotta armata. Ntrell’estate ’44 ad esempio, nel comune di Argelato nove uomini armati entrarono nella proprietà dell’agente Merli Silvio, “facendosi consegnare due prosciutti, una spalla, 500 uova, una addizionatrice elettrica marca Banet, una calcolatrice marca Balder e mobiletto in ferro contenente assegni in bianco della Banca d’Italia […] titoli per un importo complessivo di L.80.000; si facevano consegnare inoltre L 7.000”91. Venivano rubati anche mezzi di trasporto, come in occasione del furto di tre vetture delle SS nella filiale Alfa Romeo V.E. Filiberto di Milano; il 23 marzo 1945 invece

“venti individui in abito borghese e armati di pistola, di cui uno qualificatosi per commissario della GAP, penetravano nello stabilimento della ditta “Tappella” in via Giambellino 96 e si impadronivano con violenza di alcune biciclette nuove sulle quali si allontanarono immediatamente”92.

Non mancarono tentativi di ufficializzazione dell’esproprio forzato tramite il rilascio di ricevute intestate al CVL, come avvenne in una rapina alla casa del latte di Legnano; alcuni partigiani si impadronirono con la forza di 400 chili di burro, rilasciando un buono intestato alla 101^ Brigata Garibaldi SAP “Giuseppe Novara” che attestava il versamento della somma di L100.000 come contributo per la lotta di liberazione nazionale93. In un casolare di Castiglion de Pepoli i partigiani addirittura pagarono 3.560 chili di tabacco dopo averlo preso con la forza e lasciarono all’esercente la dichiarazione “la Brigata Stella Rossa ha prelevato in bottega tutto il tabacco lì 11.7.1944”94 con la firma illeggibile del comandante. Vi erano poi azioni assimilabili a vere e proprie rapine, come quanto avvenuto a Bologna nella ditta Del Bono, che prendeva commissioni per conto dei tedeschi: alcuni individui armati si presentarono come uomini della GAP, rubarono 50.000 lire e pretesero la consegna di documenti di lavoro con timbro tedesco in bianco, che gli impiegati dichiararono di non possedere e dover richiedere. Il giorno successivo però agenti di polizia sostituirono dirigenti

91 ACS, in A/R, Bologna, busta 3. 92 ACS, in A/R, Milano, busta 7. 93 ACS, in A/R, Milano, busta 7. 94 ACS, A/R, Bologna, busta 3.

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e impiegati in attesa del ritorno dei gappisti per ritirare i documenti e venne fermato Duilio Fenari, in possesso di un biglietto con il timbro del “Corpo Volontari della Libertà 7^B.- GAP Gianni”95. Fenari, che disse di essere stato ingaggiato dietro pagamento da uno sconosciuto, condusse la polizia di Bologna all’appuntamento con Ramon Guidi, cui doveva consegnare i documenti. Quest’ultimo fu arrestato e torturato, ma quando rivelò il nome di una base gappista i compagni avevano già fatto in tempo ad abbandonarla. Pare invece che fosse addirittura organizzato dal partito un colpo agli uffici della Stazione Centrale di Santa Maria Novella, realizzato dai GAP di Firenze il 17 giugno 1944, in cui furono rubati 33 milioni di lire, che Luigi Gaiani, membro del Triumvirato insurrezionale dichiarò di aver interamente versato al partito. Ogni azione andrebbe dunque ricostruita e qualificata nella sua singolarità, anche se resta impossibile verificare se i suoi autori agissero autonomamente o per ordine di superiori, dal momento che nella gran parte dei casi espropri e rapine non compaiono nelle Relazioni sull’attività di brigata. Ad ogni modo analizzando tali episodi “si entra in quella terra di nessuno […], dove affiora sempre il dubbio che il confine tra motivazioni patriottiche e devianza criminale sia stato attraversato”96.

I venti mesi di occupazione furono certamente controversi per la popolazione del nord Italia, il cui appoggio era conteso tra la Wehrmacht, la Repubblica sociale, il governo Badoglio e le forze del CLN. La comprensione delle vicende che abbiamo elencato, lo ribadiamo un’ultima volta, si basa sull’assunto della prevalenza dello scopo politico dell’azione terroristica su quello militare, che contraddistinse i GAP come organizzazione specifica dagli altri resistenti. La distinzione divenne più teorica che pratica con l’inizio del 1945, quando non erano ormai più valide le ragioni per ricorrere al terrorismo urbano e le azioni dei gruppi di città iniziarono ad accostarsi a quelle di disturbo attuate dai partigiani di pianura. Vale per tutti i combattenti di ogni formazione, e ancor più per i GAP, la convinzione dell’assoluta legittimità della guerra portata avanti e delle azioni realizzate, senza la quale sarebbe impossibile motivare la scelta di combattere i fascisti e il nemico. Una condanna del tipo di lotta adottata può forse avvenire sul piano dell’opinione personale, ma non può instaurarsi astraendo la scelta terroristica dal contesto di instabilità istituzionale e occupazione militare in cui avvenne. Si corre questo rischio quando si tenta di accostare il terrorismo resistenziale a quello attuato dai gruppi di estrema sinistra in età repubblicana, dimenticando di guardare oltre il metodo (e talvolta agli slogan), il nuovo contesto e l’inevitabile fine politico differente: il sovvertimento di un potere illegittimo e arbitrario nel

95 Ibidem.

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primo caso, l’attacco minatorio contro istituzioni e personalità legalmente in funzione nel secondo.

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Considerazioni conclusive

Si è tentato di ripercorrere le vicende del partito comunista italiano nell’esilio francese, con lo scopo di illuminarne l’importanza ai fini dell’organizzazione della Resistenza. Abbiamo visto come l’emigrazione italiana e l’appoggio del PCF consentirono al PCd’I di mantenere attivo un Centro estero nella Francia degli anni ’30, attorno al quale lavorarono molti militanti di base, dando vita a pubblicazioni a stampa ed attività associative. La politica dei Fronti nazionali decretata dall’Internazionale comunista permise inoltre la collaborazione con altre componenti dell’antifascismo italiano in esilio, in particolare all’interno dell’Unione popolare italiana, le cui sezioni furono operative in molte province francesi. I comunisti italiani parteciparono poi attivamente alla guerra civile spagnola e furono colpiti dagli arresti che seguirono lo scoppio del secondo conflitto mondiale in Francia. Si è anche cercato di descrivere come i militanti antifascisti non furono estranei alla vigilanza di polizia neppure negli anni precedenti e come la condizione di perseguitati politici comportò difficoltà quotidiane, cui si aggiungevano le privazioni e gli ostacoli dovuti alla condizione di stranieri in Francia. Abbiamo inoltre tentato, pur ostacolati dall’assenza di fonti, di delineare la loro partecipazione alla Resistenza francese, frutto di una collaborazione con la MOI che portò alcuni militanti italiani ad assumere incarichi di non poco rilievo, come nei casi di Teresa Noce, Ilio Barontini e Marino Mazzetti. E’ emerso però che l’orizzonte politico dei fuoriusciti fu comunque sempre orientato verso la pianificazione di una sollevazione popolare per l’abbattimento del regime in Italia, da realizzarsi tramite la creazione di un Centro interno, che si pervenne ad istallare a Milano solo nel 1943. Abbiamo anche delineato come in Francia si realizzò, prima ancora dell’inizio della Resistenza italiana, l’accordo tra le forze della sinistra per una conduzione unitaria della guerra, che sarebbe stato esteso in Italia con la nascita del CLN.

Oltralpe, una Resistenza armata all’occupante fu lanciata solo alla fine del 1941, a tredici mesi dall’inizio dell’occupazione, dopo l’appello di Stalin alla guerra partigiana e una ristrutturazione interna al PCF da cui in primavera sarebbero nati i Francs-Tireurs. Le controversie e le difficoltà organizzative che si presentarono al momento di dispiegare il terrorismo urbano nelle città francesi, si riproposero nell’autunno del 1943, quando, ad appena un mese dall’inizio dell’occupazione tedesca, la lotta armata in Italia mosse i suoi

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primi passi. Sul difficile avvio della Resistenza francese pesava evidentemente il differente contesto militare europeo e nazionale: nei primi due anni di occupazione in Francia, le armate hitleriane controllavano buona parte del territorio europeo ed erano sostenute come forza occupante dal legittimo governo approvato dal parlamento. Al momento dell’occupazione dell’Italia invece, era appena iniziata l’avanzata sovietica ad est, gli angloamericani erano approdati nella penisola ed appariva prossimo lo sbarco in Normandia. In Italia il governo legittimo designato dal re era sostenuto dagli Alleati, mentre la Repubblica sociale italiana era un’istituzione apertamente voluta ed appoggiata dalla forza occupante, nonché composta dagli stessi uomini che avevano portato il paese a sopportare una guerra sul proprio territorio. La Resistenza italiana fu avvitata quindi con la prospettiva, non imminente ma neppure lontanissima, della sconfitta della Germania, per non dire in momento di massima affermazione, a livello europeo, della via dell’unità nazionale per l’attuazione delle guerre di liberazione.