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I partiti comunisti tra gli anni ’30 e la Resistenza

La fine degli anni ‘30 vide la crisi della linea politica dei Fronti popolari, sancita con il VII Congresso dell’Internazionale comunista nel 1935. Essa permetteva alle organizzazioni comuniste di partecipare a coalizioni di governo con quelli che erano precedentemente definiti partiti borghesi socialfascisti, ovvero socialisti, radicali e repubblicani. Tale indirizzo aveva condotto i Fronti popolari al governo in Francia e in Spagna, causando una

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reazione dei conservatori che generò fratture sociali e politiche nel primo caso e divenne guerra civile nel secondo.

Nel 1938 il Partito comunista francese era dunque al governo sotto la guida di Daladier e sedeva in parlamento accanto ai socialisti e ai radicali. Stéphane Courtois, autorevole storico del comunismo francese, vede in questi anni di governo una fase di centrale importanza, in quanto consentirono al PCF di allargare la propria base di militanti e assumere le tre tendenze che avrebbe conservato dopo la guerra. Tali aspetti sono il carattere comunista, dato dall’essere la sezione francese dell’Internazionale, quello patriottico, attraverso il richiamo a esperienze come la Rivoluzione o la Comune, e l’aspetto sindacale, che si esprimeva nel lavoro a difesa degli interessi degli operai francesi. L’incrinarsi del Fronte iniziò sul tema delle rivendicazioni territoriali tedesche che, oltre ad animare la politica estera europea, ebbero notevoli ripercussioni sugli equilibri politici interni. Se infatti nel 1938 i socialisti sostennero la linea della pacificazione che aveva trionfato nell’accordo di Monaco, i comunisti continuarono a pronunciarsi sulla propria stampa a favore della lotta contro il fascismo, come testimonia un manifesto firmato dai capi dei partiti aderenti all’Internazionale:

“Lavoratori di tutti i paesi!

Contro il tradimento e la vergogna di Monaco,

Per la pace nella dignità e nell’indipendenza dei popoli,

Per la difesa della democrazia, del progresso sociale e degli interessi dei popoli,

Noi vi chiamiamo a lottare con tutte le vostre forze al fine di imporre ai capi dell’Internazionale socialista e della federazione sindacale internazionale- che senza preoccuparsi dell’interesse del mondo del lavoro, vi si sono rifiutati- la convocazione di una conferenza internazionale che abbia per scopo l’organizzazione della lotta contro il fascismo, contro la guerra, per la difesa della Cecoslovacchia e per salvare la Spagna e la pace.”4

Tra i firmatari, anche Palmiro Togliatti per il Partito comunista italiano, provato dalla clandestinità e dalla repressione, ma ancora provvisto di una struttura illegale grazie ai militanti emigrati, la maggior parte in Unione sovietica o in Francia. Operava infatti a Parigi, con relazioni in tutta la Francia, in Svizzera e in Belgio, un Ufficio estero con la funzione di dirigere l’azione organizzativa del partito, in particolare verso una penetrazione in Italia. L’ultimo Congresso, il quarto, si era tenuto in clandestinità tra Colonia e Düsseldorf nell’aprile 1931, Gramsci era morto nel ‘36 e i quadri del partito erano sparsi tra le carceri, il confino e le vie dell’emigrazione. I motivi per cui la Francia divenne di fatti la sede

4 Riportato in P. Spriano, “Storia del Partito comunista italiano. I fronti popolari, Stalin e la guerra”,

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dell’emigrazione politica italiana sono vari, e di diversa natura: geografica in primo luogo, vista la posizione rispetto alla penisola si potevano infatti mantenere meglio le relazioni con l’interno, tenendosi pronti all’eventuale passaggio. Simbolica e politica, in secondo luogo, poiché la Francia restava la patria della rivoluzione e vi erano garantite le libertà democratiche. Infine, vi era una ragione di carattere sociale: dopo la prima guerra mondiale si erano orientati verso la Francia un gran numero di italiani, mossi dalle devastazioni arrecate dal conflitto e dalla richiesta di manodopera, dovuta al gran numero di caduti in trincea. In seguito alla restrizione delle norme sull’immigrazione negli Stati Uniti e agevolati dalla vicinanza, molti italiani si erano quindi trasferiti in Francia per lavorare, installandosi principalmente nella regione mediterranea e in quella parigina. I dati Istat riportano che tra il 1919 e il 1925 922.724 italiani partirono in direzione della Francia, la maggior parte dal Piemonte, dal Veneto e dalla Lombardia, ma anche dal Friuli, dall’Emilia e dalla Toscana5. Quando iniziò l’emigrazione politica quindi, erano già presenti in Francia un gran numero di lavoratori italiani, tra cui alcuni di sentimenti antifascisti, utili appoggi per ulteriori trasferimenti. L’annuario statistico sull’emigrazione in Francia conta, al 1936, 721.000 italiani6. Una parte di essi, riconducibile all’emigrazione economica del 1919, negli anni ‘30 era ormai integrata in Francia e non desiderava tornare in Italia. I rifugiati politici antifascisti erano arrivati invece in un secondo momento, “ma soprattutto il loro soggiorno non è che, ai loro occhi almeno, provvisorio. Essi aspirano al rovesciamento del fascismo. La riconquista del potere è per loro una dimensione centrale e ossessiva, il loro sguardo è volto verso l’Italia e l’idea del ritorno è prioritaria”7. Questa lettura non intende certo dividere gli emigrati italiani in politici e apolitici, in quanto l’origine italiana non impediva l’iscrizione al Partito comunista francese o la partecipazione alla vita sindacale del proprio settore di impiego. Si intende solo rilevare che, come ha teorizzato Colin, l’emigrazione italiana in Francia negli anni ’30 comprendeva rifugiati in attesa del ritorno, che preservarono l’obiettivo del rientro in un Italia libera, e emigrati in attesa di integrazione, la cui presenza oltralpe aveva motivazioni prevalentemente economiche. Così, per coloro che erano tesserati al PCd’I clandestino, l’obiettivo prioritario del lavoro politico non era un miglioramento delle condizioni dei migranti in Francia, ma sempre la propaganda verso il paese e la

5

Annuario statistico dell’emigrazione italiana tra il 1876 e il 1925, a cura della Commissione generale per l’emigrazione, Roma, 1926, pag. 86.

6

Claude Colin, « Les italiens dans la M.O.I et les FTP-MOI à Lyon et Grenoble », Guerres mondiales et conflits contemporains 2005/2 (n° 218), p. 69 (nota 6).

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sconfitta del fascismo, indicazione costante nelle lettere e nei discorsi degli emigrati politici. Coloro che intendevano invece integrarsi in Francia potevano comunque occuparsi di politica, riorientando in senso francese la propria tendenza politica e aderendo a partiti e sindacati. La storia delle migrazioni e la storia delle Resistenze, che qui si intrecciano, richiamano alla cautela, per il fatto che i percorsi, le scelte e le fortune individuali assumono un enorme rilievo nella determinazione degli eventi. Tuttavia, la distinzione proposta da Colin si presenta come abbastanza generica da raccogliere la varietà delle esperienze individuali degli italiani in Francia, che tenteremo di illustrare con qualche esempio nel corso del capitolo.

È riconosciuto a livello pubblico che una buona fetta di emigrati italiani partecipò alla Resistenza francese8, iscritti al PCd’I, alla sezione di lingua italiana del PCF, a entrambe o a nessuna delle due. Nel 1923 infatti la Confédération générale du travail, in accordo con il PCF, aveva aperto a Parigi e nel Pas de Calais una sezione separata per la manodopera straniera, la Main-d'Oeuvre Étrangère (MOE), che nel 1928 contava 6000 militanti stranieri, di cui il 60% italiani9. La crescente xenofobia degli anni ’30 comportò alcune modifiche: si preferì la denominazione di Main-d'Oeuvres immigrée (MOI) e Thorez nominò dirigente nazionale Giulio Cerreti, che la strutturò in gruppi di lingua, ciascuno con una direzione e un giornale. L’intento del partito francese era di svolgere tramite la MOI una funzione centripeta nei confronti dei lavoratori stranieri. Pertanto, la sezione di lingua italiana diede non pochi problemi per la sua permeabilità con il PCd’I, che non esitava a prelevare dei quadri e progettare di mandarli in Italia per lavorare alla creazione del Centro interno. Le missioni verso il paese erano però solo la punta dell’iceberg delle attività di cui si occupavano i membri del PCd’I in esilio: la raccolta di informazioni sulla situazione politica internazionale o italiana era senz’altro il primo passo per il lavoro di propaganda, che comprendeva la stesura, la stampa e la distribuzione di volantini e di Stato operaio, periodico mensile del partito clandestino. I dati sul morale della popolazione in Italia e sui consensi riscossi dal regime erano ricavati dalla corrispondenza con i familiari o dagli emissari di partito che riuscivano a compiere missioni nella penisola. I quadri meno conosciuti dall’Ovra infatti, o i nuovi reclutati senza precedenti politici in Italia, erano istruiti per approdare oltralpe con documenti falsi e reperire un contatto indicato dal partito, al quale si consegnava la stampa clandestina, conservata in un doppio fondo del bagaglio, assieme a documenti o

8 Cfr. Pia Carena Leonetti, op.cit., “Gli italiani del maquis”, Cino Del Duca Editore, Milano, 1966. 9 Stéphane Courtois, Denis Peschanski, Adam Rayski, op.cit., pag. 25.

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denaro. Se erano presenti militanti o simpatizzanti si tenevano delle riunioni con gli emissari per far sentire che esisteva ancora una forma di opposizione organizzata al regime, per trasmettere le indicazioni del partito e ricevere informazioni sul morale degli italiani nelle fabbriche o in caserma. Ad esempio Teresa Noce, sarta degli ambienti proletari torinesi, iscritta Federazione dei giovani comunisti dal 1920 ed espatriata nel 1926 assieme al marito, Luigi Longo, compì la sua prima missione in Italia nel 1931. Il contatto era un calzolaio del biellese, che la condusse nella casa di una coppia di operai tessili, dove a sera inoltrata si radunarono alcuni compagni per render conto delle proprie condizioni lavorative.

“Chiedevano soprattutto stampa. Promisi che avrebbero avuto presto l’Unità e forse anche un cliché per riprodurre molte copie. Intanto potevamo subito metterci all’opera per fare alcuni manifestini sull’8 marzo, differenziandoli fabbrica per fabbrica. I compagni mi avrebbero fornito le informazioni e io avrei redatto i manifestini, insegnando loro come riprodurli. Nella mia borsa avevo tutto il necessario per farlo”10.

Le missioni comportavano comunque notevoli rischi e infatti non mancano i casi di comunisti, rintracciati dalla polizia politica grazie ai propri informatori all’estero, arrestati nel corso di una penetrazione in Italia, come accadde a Giorgio Amendola. Figlio del deputato liberale Giovanni, deceduto in Francia in seguito alle percosse fasciste nel 1926, egli si era avvicinato all’antifascismo a Napoli, dove aveva lavorato tra il 1926 e il 1930 assieme ad Eugenio Reale, prima di espatriare clandestinamente perché colpito da provvedimento di polizia. Il primo settembre 1931 il Ministero degli Affari Esteri comunicava che Amendola “ha recentemente fatto passaggio al Partito Comunista Italiano”11 e, rientrato clandestinamente, egli veniva arrestato a Milano il 5 giugno 1932 e condannato a 5 anni di confino. Unica nota interessante, prima della liberazione e di un secondo espatrio nel 1937, una condanna, nell’aprile 1935, assieme ad altri 287 confinati per aver organizzato una protesta sull’isola contro l’interdizione “di affittare stanze presso gli abitanti con il pretesto canaglia di abuso”12. La vita nelle isole di confino, veri e propri covi di antifascisti, resta fuori dalla nostra trattazione ma custodisce in questi anni quella importante componente del partito che ritroveremo nell’estate del ’43, al momento della

10 Teresa Noce, “Rivoluzionaria professionale”, LaPietra, Milano, 1974, pag. 136.

11 Acs, Ministero dell’Interno, Direzione generale della pubblica sicurezza, Divisione polizia politica,

Casellario politico centrale (d’ora in poi Cpc), fascicolo personale, busta 98.

12 Così recitava un trafiletto sulla stampa francese, inviato ad Amendola dalla sorella Ada e conservato nel

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saldatura con la componente dell’emigrazione. Al suo ritorno in Francia, Amendola riprese l’attività politica e risulta aver fatto parte dell’Unione popolare italiana e della redazione del suo giornale. L’Unione popolare italiana (UPI) era un’associazione delle correnti dell’antifascismo italiano in Francia, nata in seguito alla politica di Fronte nazionale promossa dal VII Congresso del Komintern da un accordo tra Giustizia e Libertà, i socialisti di Pietro Nenni e il PCd’I. La nascita dell’Upi fu ratificata al Congresso per il fronte unico di Lione nel marzo 1937; ne era segretario generale Romano Cocchi, affiancato da Luigi Longo e Mario Montagnana, responsabile del giornale dell’antifascismo diretto all’emigrazione italiana, “La Voce degli italiani”. Schedato e vigilato da prima dell’avvento del fascismo, Montagnana si era reso latitante sin dal 1926, quando il Tribunale speciale gli aveva assegnato 5 anni di confino per attività comunista. Aveva raggiunto la Francia, da cui era stato espulso nel 1927, e in cui sarebbe tornato con il falso nome di Bernardi Mario, dopo l’espulsione dal Belgio, per assumere la direzione di Stato operaio e del Soccorso rosso italiano a Parigi. Dopo una nuova espulsione dalla Francia nel 1932 la polizia politica perse le sue tracce segnalandolo a Mosca, in Italia e a Parigi dopo il ’37, quando divenne direttore della Voce degli italiani. In questo intreccio di partiti comunisti, organizzazioni sindacali e comunità linguistiche, militavano numerosi fuoriusciti politici, espatriati clandestinamente per sfuggire al carcere e al confino. Nelle storie delle loro esistenze la militanza comunista si legò inevitabilmente con l’emigrazione e con tutte le problematiche quotidiane che essa comporta; ma anche in terra straniera molti comunisti perseverarono nel loro impegno nelle organizzazioni legate al PCd’I, tenendone in piedi una struttura nonostante la distanza della prospettiva della caduta del fascismo. Un elenco dei dirigenti delle organizzazioni comuniste in Francia fu trasmesso dall’Ispettore per i Fasci per la Francia alla Divisione polizia politica del Ministero dell’Interno all’inizio del 1939, completo delle organizzazioni legate al PCd’I operanti oltralpe e dei loro principali responsabili. L’ufficio politico risultava diretto da Palmiro Togliatti, residente a Mosca e “tenuto informato di tutte le deliberazioni di una certa importanza”13, e composto da Ruggero Grieco, Giuseppe Dozza, Giuseppe Berti, Luigi Longo, Mario Montagnana e Giuseppe Di Vittorio. Del Comitato centrale facevano parte, tra gli altri Teresa Noce, Rita Montagnana, Athos Lisa, Cesare Massini, Felice Platone, Celeste Negarville e Agostino Novella, responsabili della Federazione giovanile. L’esempio del percorso di alcuni dei personaggi che compaiono nel documento, presenti anche in un

13 Acs, Direzione generale pubblica sicurezza, Affari generali e riservati, sezione I. Presente in copia nei

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“Elenco dei dirigenti, funzionari e corrieri del Partito comunista italiano dimoranti all’estero”, sarà utile a comprendere la vita e le attività del PCd’I all’estero e a riempire una fase meno nota ma comunque lontana dall’inattività. Oltre alla stampa clandestina e alle missioni in Italia, le strutture del PCd’I in esilio curavano l’organizzazione di eventi ricreativi e culturali rivolti alla comunità italiana, per avvicinare i simpatizzanti e raccogliere fondi e sottoscrizioni. Tali iniziative non passavano inosservate alla polizia politica, che riceveva talvolta resoconti dai propri informatori, che vi si recavano per controllare l’attività degli oppositori ma soprattutto per identificare fuoriusciti ricercati. Una relazione trasmessa il 2 maggio 1935 ad esempio rendeva conto della festa dei giovani comunisti, tenutasi il 27 aprile precedente presso il Palais de Fêtes a Parigi. I partecipanti erano circa 300, secondo l’informatore erano presenti molte facce nuove, “si recitò in francese, si cantò delle romanze in italiano, si fece qualche esibizione di boxe sotto la direzione della corritrice Barodini Ada…”14. Seguiva l’elenco dei comunisti noti che erano stati visti alla festa, tra cui Luigi Longo, Giuseppe Di Vittorio, Guido Miglioli e Romano Cocchi.

Intanto, nel 1936 gli antifascisti furono chiamati a combattere in difesa della repubblica spagnola nelle file delle Brigate Internazionali e Parigi divenne il centro di reclutamento per i volontari da destinare ad Albacete e il punto di raccolta per aiuti e rifornimenti in sostegno della Repubblica. La raccolta fondi per i volontari antifascisti nella guerra civile spagnola si aggiunse alle attività propagandistiche e culturali organizzate dai comunisti italiani a Parigi alla metà degli anni ’30. Il 6 settembre 1938 veniva trasmessa la partecipazione di circa 300 persone ad una festa del PCF in cui erano presenti baracche dei partiti comunisti tedesco, spagnolo, austriaco e italiano. Gli italiani avevano in tutto quattro baracche in cui si giocava a tiro a segno con i ritratti di Mussolini, Hitler e Franco, venivano cotti piatti di spaghetti e si vendevano abbonamenti per “La Voce degli italiani”.

“Ho notato, tra gl’italiani anche la Raisi Ida che vendeva cartoline di Gramsci, alla lotteria ho visto Di Vittorio, Giovetti, Iacoponi, Volpato Lindo e la moglie Irma, Dal Pozzo Piero e altri. La Voce degli italiani era rappresentata da Potenza Nicolò e Leo Weiczen”15.

I fondi raccolti servivano al sostentamento dell’organizzazione, a pagare la produzione di volantini e i servizi offerti dal Soccorso Rosso, ma dopo il 1936 soprattutto per finanziare le

14 Acs, Min. dell’Interno, Dir. Gen. Pub. Sic., Divisione polizia politica, Fascicoli per materia, busta 32. 15 Acs, busta 32.

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Brigate Internazionali, nelle cui file accorsero gran parte dei militanti comunisti presenti in Francia. Non occorre dilungarsi sulla centralità dell’esperienza spagnola nella vita personale dei militanti comunisti, da tutti vissuta come una prima battaglia della guerra contro il fascismo in Europa che si sarebbe consumata durante la seconda guerra mondiale. Figura in un elenco dei “Connazionali facenti parte del Battaglione Garibaldi” ed è ricordato in molti documenti come il commissario politico della Brigata il livornese Ilio Barontini16. Classe 1890, quindi ormai quasi cinquantenne, anarchico in gioventù, era presente alla fondazione del Partito Comunista d’Italia nel 1921 e fu il primo segretario della Federazione comunista livornese. Sotto sorveglianza sin dall’inizio del regime, fu arrestato nel 1928 e assolto per insufficienza di prove, ma messo sotto vigilanza. Espatriò clandestinamente da Livorno nel 1931, raggiungendo la Corsica in motoscafo assieme a Armando Gigli e Decimo Tamberi, e proseguendo sino a Mosca passando per Marsiglia. Nei primi anni ’30 fu inviato in Cina, prima che la sua presenza fosse segnalata dalla polizia politica prima a Parigi, da cui fu intercettata una lettera diretta alla figlia, e poi in Spagna nel 1936, confermata da numerosi volontari, interrogati al loro rientro in Italia, che lo ricordano alla guida delle Brigate Garibaldi a Guadalajara.

Tra i circa 2000 italiani antifascisti che si batterono nella guerra civile spagnola troviamo alcuni ferventi comunisti tra i 30 e i 40 anni, già versati nella vita clandestina ma alla prima esperienza in armi, che rincontreremo tra gli autori e gli organizzatori del terrorismo urbano nel sud della Francia e in Italia. Alighiero Bolchiani, originario di Castellina Torri, provincia di Firenze, aveva vent’anni quando, nel 1923 emigrò in Francia, istallandosi a Grenoble, senza precedenti politici in Italia ma secondo le indagini professante idee comuniste. Si spostò poi a Lione, dove fu attivo militante della federazione locale del partito clandestino, per conto del quale partecipò ad esempio ad una riunione dei gruppi di lingua italiana della regione il 26 ottobre 1930, in occasione della quale fu segnalato alla polizia politica dal console Pellegrini. Quest’ultimo comunicò poi alla metà del 1931 l’allontanamento da Lione di Bonciani, detto Nano tra i compagni, per il timore di essere espulso dalla Francia17. Le successive indagini lo collocano a Marsiglia, dove è segnalato il suo intervento alla prima conferenza internazionale dei gruppi comunisti per la zona della Francia meridionale, tra il 24 e il 25 dicembre 1934. Vi è poi notizia di un trasferimento a Tolosa, prima dell’avviso della sua presenza in Spagna, confermata grazie al perenne controllo della posta diretta ai

16 Acs, Cpc, busta 357. 17 Acs, Cpc, busta 718.

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familiari, che permise di reperire dalla corrispondenza l’indirizzo del Soccorso Rosso internazionale ad Albacete.

Con anni di militanza clandestina alle spalle ma alla prima esperienza di guerra partigiana era anche Egisto Rubini, muratore sui trent’anni originario di Molinella, nei pressi di Bologna. Espatriato regolarmente in Corsica nel 1930, visse per qualche anno tra Barcellona e varie località della Francia, certamente a Marsiglia e in seguito a Tolosa, dove si faceva recapitare la posta al 3 di place Riquet presso Pierre Coiffeur, indirizzo utilizzato da altri comunisti, come Nino Nanetti. Da Tolosa furono fermate dalle autorità italiane tre missive contenenti manifestini antifascisti, il cui mittente era ritenuto Rubini poiché i destinatari erano residenti a San Martino in Argine: Giacometti Linda e Tullini Gustavo erano amici del fuoriuscito, mentre Armando Galletti era addirittura suo cugino. Ad ogni modo, la requisizione di questo tipo di corrispondenza conserva memoria di un secondo metodo di