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La fase centrale e la prospettiva insurrezionale

Il 27 maggio 1944 Radio Londra e Radio Bari lanciarono l’ordine d’attacco alle formazioni partigiane del Lazio, mentre le forze alleate avanzavano verso la capitale, liberata il 4 giugno. Le forze antifasciste però, i cui membri erano stati duramente colpiti dalla repressione nei nove mesi di occupazione, non lanciarono l’appello all’insurrezione e gli alleati arrivarono a Roma senza che la popolazione insorgesse. I maggiori componenti dei GAP si erano ritirati per sfuggire alla cattura (Calamandrei in san Giovanni in Laterano, Bentivegna e la Capponi sui monti Prenestini) e in maggio sono note solo due azioni contro fascisti, una il 7 e l’altra

52 Longo, op.cit., pag. 182. 53 Longo, op.cit., pag. 334. 54 Longo, op.cit., pag.405-6. 55 P. Spriano, op.cit., pag. 306.

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il 30. Secondo Piscitelli gli slanci a imbracciare le armi “furono bloccate sul nascere […] nessuno dentro o fuori del CCLN aveva studiato, predisposto o abbozzato un piano insurrezionale”56. In parte in nome della nuova posizione di governo, in parte per pressioni della Santa Sede, nessun partito del CLN lanciò un ordine di battaglia, eccetto un invito a prendere posto di combattimento, comparso sull’Unità clandestina del 28 maggio. La città fu liberata il 4 giugno, Badoglio presentò le dimissioni e il CLN si riunì nei giorni seguenti, designando all’unanimità il liberale Ivanoe Bonomi alla presidenza del Consiglio dei ministri e decretando la formazione di un governo in cui erano rappresentati tutti i partiti del CLN. Era però solo l’inizio dell’avanzata alleata, che raggiuse presto la Toscana, giungendo alle porte di Firenze all’inizio di agosto. Operavano nell’area numerose bande partigiane, mentre quel che restava dei GAP fiorentini, a luglio sul punto di essere decapitati, partecipò comunque alla battaglia per la liberazione della città, che poté considerarsi compiuta il 12 agosto. Tuttavia l’estate del ’44 fu segnata nell’Italia centrale, più che dall’avanzata alleata, dalla ritirata tedesca, in corrispondenza della quale si assistette a quell’escalation della violenza in cui rientrano le più note stragi di civili in Italia. Avvenne proprio il 12 agosto l’eccidio di Sant’Anna di Stazzema, in cui furono uccisi gli abitanti dell’intero villaggio, perlopiù anziani, donne e bambini, nell’ambito di una capillare pulizia delle retrovie, seriamente minacciate dalle formazioni partigiane. Accadde che, se nella guerra contro i partigiani sino a quel momento tutti i prigionieri erano stati ritenuti ostaggi, al momento della ritirata “non solo i familiari dei resistenti, ma tutte le popolazioni civili diventarono potenzialmente ostaggi in mano degli occupanti”57. Le formazioni partigiane raggiunsero in estate la massima espansione, calcolata attorno alle 100.000 unità, gonfiate per tutta la primavera da sbandati, prigionieri alleati e renitenti alla leva, anche se non sempre un incremento di effettivi significava un incremento di efficacia. I nuovi reclutati infatti mancavano di addestramento militare e di preparazione politica, dando un gran lavoro al commissario ai quadri delle formazioni. In giugno giunse inoltre a compimento la formazione del Corpo Volontari della Libertà, lo strumento militare del CLN per la conduzione unitaria della guerra di liberazione nazionale.

Dunque, l’estate del’44 fu l’approdo del lavoro organizzativo svolto nei mesi precedenti, la fase centrale della Resistenza italiana, in cui fecero la propria comparsa le repubbliche partigiane, zone o vallate libere in cui erano istituiti governi partigiani. Per quanto riguarda la lotta in città invece, i Gap, le cui prime formazione era state scompaginate in primavera,

56 Piscitelli op.cit., pag.353.

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erano occupati in un lavoro di riorganizzazione che comprendeva il trasferimento di quadri e la formazione di nuove squadre. Ne sarebbero nate la III Brigata Gap Lombardia di Giovanni Pesce, in questa fase il distaccamento più attivo a Milano, e le ultime azioni del terrorismo torinese, mentre fu un momento di espansione per la lotta armata nel bolognese. Tuttavia, all’estate del ’44 i Gap avevano assolto la propria funzione di detonatori della guerra patriottica e si apprestavano a volgere il proprio operato nell’ottica della prospettiva insurrezionale. In vista di un coinvolgimento delle masse nella guerra infatti, era previsto che i Gap assolvessero alla funzione di proteggere e dare supporto a scioperanti e manifestanti. Già nel marzo erano stati chiamati a coadiuvare la paralisi della vita cittadina creata dagli scioperi, soprattutto con sabotaggi alle comunicazioni e ai trasporti. La lotta armata era però incapace di proteggere i lavoratori dall’arresto e dalla deportazione, sorte che toccò a circa 1200 operai dell’Alta Italia dopo gli scioperi primaverili. Di fronte alla necessità di formazioni di città più ampie nacquero le Squadre d’Azione Patriottica (SAP), formate da militanti che dovevano restare nella legalità, prendendo parte ad azioni militari in città e in pianura, nelle campagne in particolar modo, allo scopo di coinvolgere la popolazione in una guerra di massa. L’idea di rifondare la lotta insurrezionale su nuclei più ampi di lavoratori fu di Italo Busetto, un funzionario di banca che aveva combattuto a Tobruk e in Albania; negli ultimi anni ’30 e in guerra aveva maturato una riflessione sugli errori del regime, così per tramite di Mario Venanzio nell’agosto 1943 aveva chiesto di entrare nel PCd’I. Faceva parte del Comitato Federale milanese quando, dopo gli scioperi del marzo, scrisse una lunga relazione, il cui originale è andato perso, sostenendo la necessità di attività militare da parte di gruppi di patrioti legali, che continuassero a lavorare regolarmente e fossero pronti ad agire quando chiamati58. Longo approvò l’idea e lo nominò responsabile provinciale per la federazione milanese dei distaccamenti Gap e Sap, i cui membri e le cui funzioni iniziano a questo punto a scambiarsi o sovrapporsi. I compiti a cui le squadre di recente formazione venivano chiamate erano infatti di vario tipo, “l’azione quotidiana di sabotaggio, di protezione armata delle manifestazioni popolari di sciopero e protesta, di attacco diretto al nemico”59. Alla metà di agosto esistevano distaccamenti Sap in tutti i principali stabilimenti del triangolo industriale e in molti centri minori, a livello dei quali si alimentava la confusione con elementi provenienti dai Gap.

58 Borgomaneri, “Due inverni, un’estate e la rossa primavera. Le Brigate Garibaldi a Milano e provincia.

1943-1945”, op.cit., pag. 118-120.

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Ad esempio, nell’area di Pisa i report delle Brigate Garibaldi per la Toscana segnalano un unico comando per i Gap e le Sap, tenuto da Olivio Tilgher, nome di battaglia Franco. Il responsabile per il partito della zona di Pisa era Ruggero Parenti, cui Cesare Massai fece riferimento dopo il suo trasferimento da Firenze, ai primi di giugno. Secondo la sua

Autobiografia di un gappista, fu protagonista della lotta armata a Pisa, accanto alla 23°

Brigata Boscaglia e al distaccamento Nevilio Casarosa, un distaccamento Gap e Sap, le cui operazioni sono riportate in un'unica relazione60. Massai ricorda un Tilgher che gli fu presentato, assieme a tali Sabatino, Mauro, Tionillo, Mafaldo e Gioiello, ma chiarisce di non ricordare gli elementi con precisione e di non conoscere la reale identità di alcuni di loro61. Affidandoci al database dei partigiani toscani vengono attribuiti alla Brigata Gap e Sap di Pisa 131 elementi tra partigiani, patrioti e gregari non riconosciuti. Possiamo ipotizzare che il Mauro ricordato da Massai sia Mauro Bertelli e individuare Sabatino nel pisano Sabatino Ciompi, responsabile della Giunta militare provinciale assieme ad Olivio Tilgher, Alberto Bargagna, Faliero Rosati e Lino Lorenzini. La relazione citata riporta azioni soprattutto a partire dalla primavera: la sera dell’11 marzo un milite della GNR veniva freddato da due gappisti in via De Amicis, mentre il 30 un ordigno veniva fatto esplodere sul davanzale di un ristoro tedesco. L’azione principale avvenne invece dopo il trasferimento di Massai a Pisa e fu l’attentato a carico del fascista Bellocci, nel corso del quale viene indicato come ferito il compagno Mauro. Numerose azioni avvennero però in provincia, perlopiù sabotaggi e blocchi stradali portati a termine dalle Squadre d’azione, soprattutto nei confronti di mezzi pesanti, fermati tramite lo spargimento di chiodi nell’area di Riglione, Navacchio, Fornacette e Cascina. Tali formazioni di pianura risultano protagoniste della Relazione sull’attività

clandestina svolta nella zona di Campo62, firmata per conto di Tilgher, comandante provinciale, da Gioiello Mariotti. Secondo tale documento, edito dall’Anpi, operarono nell’hitlerland pisano cinque cellule (composta ognuna di più SAP) due a Campo, una a Zambra, una a Mezzana-Colignola e l’ultima a Ghezzano. L’area, rurale e industriale al tempo stesso, si prestava bene all’impegno di militanti legali, che si adoperavano in operazioni partigiane nella notte, in prevalenza sabotaggi ai trasporti e alle comunicazioni. Sono ad esempio riportate azioni come l’”interruzione di linee telefoniche nazifasciste sulla Fauglia-Pisa” o “sabotaggio e messa fuori uso di automezzi nazisti sulla rotabile Pisa-

60 AIsrt, copie da APC, Organizzazione comunista tra fascismo e Resistenza, fascicolo Sap e Gap di Pisa. 61 Cesare Massai, “Autobiografia di un gappista fiorentino”, Edizioni ANPI, Comitato Comunale di Bagno a

Ripoli, pag. 28.

62 Relazione sull’attività clandestina nella zona di Campo, Lavoro principale svolto nel periodo 8 settembre

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Livorno”63. Le SAP locali non furono però estranee ad atti terroristici nel senso proprio del termine, ovvero mossi da scopi intimidatori, come le “esplosioni e sabotaggio alle abitazioni degli squadristi repubblichini Caluri e Guainai”, o l’esplosione e la messa fuori uso di un forno a Navacchio, che serviva per la panificazione per la truppa tedesca. Occupano un ruolo importante anche la raccolta di informazioni e mappe militari e le requisizioni di armi nelle caserme, come l’assalto alla sede delle SS di Asciano, che secondo la relazione costò la vita al sappista Paolo Barachini. I piani e le armi venivano poi consegnati a Tilgher o a Sabatino, che passavano tutto ai comandi superiori e gestivano la confluenza del materiale bellico recuperato in collina, dove operavano la Brigata Boscaglia e la Nevilio Casarosa. La relazione a livello provinciale attribuisce invece ai Gap l’interruzione delle comunicazioni telefoniche della provincia, alla metà di agosto, tramite l’istallazione di una bomba a scoppio ritardato in una botola di cavi.

Le modalità con cui le due organizzazioni interagirono differiscono di città in città, e richiederebbero dunque uno studio locale, ma questa breve disamina del ruolo di GAP e SAP nella provincia di Pisa offre l’esempio di come la linea di separazione tra le attività delle due formazioni fosse talvolta sfumata, soprattutto nei piccoli centri. Tuttavia, loro stessa natura richiamava i gruppi a una funzione differente, quasi complementare. Come spiegava Secchia ad Amendola,

“La differenza sta nel fatto che i primi sono dei professionali, gli altri invece sono elementi che in genere hanno un’occupazione e che le azioni le fanno solo a tempo libero. Ma più la situazione di sviluppa e più i GAP gonfiandosi tenderanno a diventare un’organizzazione di massa, a loro volta molte SAP dovranno abbandonare il lavoro in seguito alle razzie, in seguito alle loro azioni e, per tanti altri motivi, diventeranno cioè dei professionali. GAP e SAP finiranno in molti casi per coincidere e anche fondersi. Ma tutto questo non ci preoccupa affatto. L’importante è che tanto gli uni che gli altri agiscano”64

.

Quindi, i Gap dovevano essere in pochi, osservare rigidamente la linea di partito e vivere in clandestinità, con lo scopo di portare la guerra in città e far esplodere l’agitazione popolare. Le Sap invece, che pure colpivano obiettivi analoghi, dovevano reperire individui legali, con lo scopo di radicarsi sui luoghi di lavoro e reclutare nuovi membri, ai quali però non era richiesta una rigida fede comunista. Dovevano dunque rappresentare il passo successivo al lancio della lotta armata, in un momento in cui i Gap avevano ormai rotto l’attesismo in città e i lavoratori erano pronti a entrare nella lotta in prima persona. Si potrebbe desumere che le

63 Anpi Pisa, op.cit., pag. 16.

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SAP fossero destinate ad assolvere una funzione analoga a quella svolta dalle Milice Patriotique, “concretizzazione della teoria del popolo in armi”65, soprattutto per la base territoriale su cui le nuove strutture dovevano essere fondate; in entrambi i casi inoltre si segnava la fine della lotta condotta da professionali, all’insegna dell’allargamento della base di reclutamento per superare la separazione tra i combattenti e le masse.

La regione in cui questa combinazione diede i migliori risultati fu, per ragioni geografiche e storiche, l’Emilia Romagna, in cui, a partire dall’estate ’44, la saldatura dei Gap con le periferie, le Sap e il mondo contadino consentirono di realizzare, unico caso nella penisola, una reale guerriglia di massa. La storia del terrorismo urbano nella regione sino alla primavera ’44 “è simile a quella nazionale”66. Nell’autunno ’43 il Comitato federale bolognese era guidato da Giuseppe Alberganti e il Comitato militare da Vittorio Ghini , Walter Nerozzi e Remigio Venturoli. I primi due erano passati per l’emigrazione in Francia e la guerra di Spagna, dopo la quale, internati al Vernet, erano stati consegnati all’Italia e confinati a Ventotene. Gli altri due avevano partecipato ad attività clandestine negli anni ’30 ed avevano scontato una condanna da parte del Tribunale Speciale prima di giungere alla lotta armata. Le prime azioni si registrano in dicembre, quando Barontini, giunto in città, insegnò a preparare e usare gli ordigni. Il 15 dicembre vennero colpiti Villa Spada, sede di un reparto cartografico tedesco, e un bordello in via San Marcellino, causando l’anticipo del coprifuoco alle ore 20.

Il 28 dicembre una bomba nel ristorante Diana uccideva due civili e ne feriva cinque, suscitando per la prima volta il nodo politico dell’accoglienza del terrorismo da parte della popolazione. La prima fucilazione per rappresaglia giunse invece il 29 gennaio, quando 9 antifascisti furono giustiziati per ordine del comandante della Polizia ausiliaria, Tartarotti, in risposta all’esecuzione del federale del fascio in città Eugenio Facchini. L’azioni fu compiuta da 6 Gap, di cui quattro di copertura per strada, mentre Bruno Pasquali e Remigio Venturoli attendevano nell’atrio di una casa dello Studente in via Zamboni, dove si trovava la mensa in cui Facchini si sarebbe recato per pranzo. Egli scese dalla propria auto, guidata dal tiratore Boninsegna, e fu colpito mentre saliva le scale dell’edificio; l’autista, richiamato dagli spari, tornò indietro e riuscì a ferire Pasquali, mentre si dava alla fuga in bicicletta. Secondo le testimonianza in questa prima fase i gappisti bolognesi erano sulla decina, tutti antifascisti da prima della guerra, come ad esempio Nerio Nanetti, uno dei primi catturati in marzo.

65 Courtois, Peshanski, Rayski, op. cit., pag.408. 66 Santo Peli, op.cit., pag. 186.

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Con la primavera, i Gap divennero invece più numerosi e strutturati, organizzandosi in cinque distaccamenti che operavano, oltre che in città, nella pianura circostante, grazie all’appoggio della popolazione contadina. In seguito alle prime azioni, per ridurre le cadute Gaiani fu trasferito a Firenze, Ghini a Milano (dove lo ritroveremo), altri gappisti di base a Modena e Ferrara. In maggio, il comando militare fu assunto da Alcide Leonardi, affiancato da Bruno Gualandi e Giovanni Martini. In estate erano dunque attivi il distaccamento di Bologna Temporale, comandato da Nazzareno Gentilucci (Nerone) e da Lorenzo Ugolini (Naldi), quello di Anzola Tarzan, comandato prima da Vittorio Bolognini e poi da Sugano Melchiorri, e quello di Medicina, comandato da Mario Melega, da Vittorio Gombi (Libero) e infine da Giuseppe Bacchilega (Drago). Esistevano infine il distaccamento di Castel Maggiore, comandato da Franco Franchini e poi da Arrigo Pioppi e quello di Castenaso, comandato da Carlo Malaguti (Nino) e poi da Oddone Sangiorgi (Monello). Operava inoltre a Imola, il distaccamento Ruscello, comandato da Dante Pelliconi (Ragno)67. Le squadre di questi distaccamenti erano composte da 6 o 7 elementi, più una staffetta, e assieme costituivano la 7° Brigata Garibaldi Gap, nota dal luglio con il nome di Brigata Gianni, nome di battaglia di Massimo Meliconi, caduto il 16 luglio mentre copriva la ritirata dei compagni. Come suggerisce la mappa dei distaccamenti, la Brigata era presente non solo in città, ma anche nelle aree rurali di pianura circostanti il capoluogo emiliano. Una tale estensione e penetrazione nella campagna bolognese fu possibile perché “ i contadini offriranno ai partigiani e ai Gap le loro case, i fienili, il cibo, gli indumenti, collaboreranno con loro, diventeranno informatori precisi, metteranno a repentaglio vita e averi per contribuire alla lotta comune”68. Una delle attività estive delle Brigate GAP in Emilia Romagna fu il sabotaggio della raccolta del grano, anche detta la battaglia della trebbiatura. La notizia delle azioni giunse anche al Ministero dell’Interno della RSI, cui la polizia locale chiedeva la determinazione delle competenze nel contrastare “gruppi isolati di ribelli in provincia di Bologna [che] ostacolano, armata mano, lavoro trebbiatura, diffidando operai, distruggendo macchine e incendiando grano”69. I Gap agirono quindi in collaborazione tra loro e con le SAP, con un sostegno da parte del mondo contadino più marcato che in altre regioni, realizzando numerose azioni anche su grandi distanze, in bicicletta o in auto, come gli attacchi alle case del fascio di Argelato, Bentivoglio e San Giorgio di Piano.

67https://www.storiaememoriadibologna.it/7a-brigata-gap-garibaldi-gianni-19-organizzazione, consultato al

28/11/2018, h12.23-

68 Mario De Micheli, “7° Gap”, Editori Riuniti, Roma, 1971, pag. 89.

69 Acs, Ministero dell’Interno, Direzione generale pubblica sicurezza, Divisione affari generali e riservati,

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La principale tuttavia fu l’assalto al carcere di San Giovanni al monte il 9 agosto attorno alle 22 ad opera di 12 Gap del Temporale, di Anzola e di Castelmaggiore. In tre erano travestiti da tedeschi, quattro da brigatisti neri, mentre altri quattro venivano presentati come partigiani catturati, accedendo regolarmente alla struttura detentiva. Una volta dentro, gli 11 gappisti immobilizzarono le guardie di servizio ed aprirono le porte delle celle, liberando circa 300 detenuti tra politici e comuni. Intanto, continuavano le cadute, in particolare il 14 settembre, pare per la delazione di un vicino, fu scoperta una base in via ponte Romano, in cui perirono Sergio Galanti (Rada), Renato Martelli (Renato) e Angiolino Castagnini (Tito). Erano invece catturati Roveno Marchesini (Ezio) e le staffette Irma Pedrielli e Ada Zucchelli, fucilati al poligono di tiro il 19 settembre. Nell’autunno 1944, con il fronte ormai sulla gotica e la guerra partigiana nella sua fase più matura, il ciclo provocazione- repressione, a Bologna come altrove, appare ormai innescato da tempo. Il 29 settembre tre gappisti penetrarono nell’hotel Baglioni collocando una bomba a tempo e una cassa di tritolo, che però non esplose, e sparando sui presenti per coprirsi la ritirata. Qualche giorno dopo Il Resto del Carlino titolava:

“Banditi fucilati per atti terroristici […]

Nella notte del 30 settembre trentaquattro terroristi hanno effettuato un vile attacco contro un albergo di Bologna, uccidendo un soldato tedesco, due agenti della polizia ausiliaria e una donna italiana, e ferendo tedeschi e fascisti. Come contromisura sono stati fucilati dodici individui, rei e confessi di aver appartenuto a bande sovversive, e terroristiche. Anche in avvenire qualora si verificassero tali proditori attacchi saranno prese le stesse misure espiative”70

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L’operazione veniva ripetuta il 18 ottobre da sei gappisti, tra cui Nazzareno Gentilucci (Nerone), Dante Drusiani (Tempesta), Evaristo Ferretti (Rumor) e Vincenzo Toffano (Terremoto), che, collocarono due casse di tritolo, la cui esplosione causò questa volta il crollo di una parte dell’edificio.

Già in settembre, in vista dell’avanzata alleata era stata disposta la confluenza in città delle bande partigiane, che avrebbero dovuto attendere il segnale all’insurrezione, reperendo armi e tenendosi pronti alla lotta. Erano così confluiti a Bologna i quattro distaccamenti di pianura della VII Gap e alcuni delle brigate di montagna, alloggiati presso due caseggiati nella zona di porta Lame, fortemente colpita dai bombardamenti. Nell’edificio che era stato l’Ospedale maggiore erano acquartierati i distaccamenti di Anzola, di Castelmaggiore, di Castenaso e

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alcune squadre dei Gap di città, sotto la guida militare di Giovanni Martini (Paolo) e quella politica di Ferruccio Mariani (Giacomo), per un totale di 230 uomini. Nel palazzo dell’ex macello comunale risiedevano invece da circa un mese 75 persone, appartenenti al distaccamento di Medicina, guidato da Libero, e altre squadre di città, sotto il comando