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L’intreccio PCd’I-MOI nel Sud della Francia

Nella zona libera furono attivi movimenti di Resistenza non armata sin dal 1941, ma, salvo alcune iniziative isolate, nessun tipo di lotta violenta fu lanciata dalle organizzazioni resistenti prima dell’11 novembre 1942, poiché molti facevano affidamento su un imminente arrivo degli Americani. Esprime bene le ragioni di tale ritrosia Jean Marie Guillon: “a chi giova lanciarsi in questa avventura se qui non ci sono tedeschi e gli americani verranno presto a liberare il paese?”19. Ad ogni modo, in tutto il sud della Francia il ’42 fu un anno di riorganizzazione, i cui frutti si sarebbero raccolti a partire dall’autunno. Il PCF, affiancato dal PCd’I a livello locale, soprattutto in certe aree, era impegnato in particolare nella ripresa di contatti con la base operaia, perseguita tramite la piattaforma di rivendicazione sindacale e l’esortazione agli scioperi.

Per quanto riguarda l’operato del PCd’I nel Sud della Francia, in un primo momento il lavoro si era concentrato sulla propaganda e la distribuzione della stampa clandestina, poi, l’occupazione della zona libera aveva segnato il momento per il passaggio alla lotta armata. Come accennato, Teresa Noce era alloggiata presso una coppia a Marsiglia, cui si era presentata come madame Claude, scrittrice di racconti per bambini, ed era stata prestata dal PCd’I alla direzione della MOI, occupandosi dunque di prendere contatti con gli stranieri delle città del sud della Francia. La Noce comunicava abitualmente con la direzione marsigliese del PCd’I, ovvero Amendola, Negarville e Roasio, con Schiapparelli e con Scotti, che, oltre a dirigere la lotta armata a Lione, era a capo del servizio di produzione di documenti falsi. Si incontrava spesso anche con i responsabili delle sezioni nazionali MOI, affiancata da Victor, che era a capo della sezione ebrea e dirigeva i vettovagliamenti. La sezione italiana della MOI era guidata nel Sud della Francia da Emilio Suardi, emigrato nel 1930, passato come molti per le traversie dell’esilio politico, la guerra civile spagnola e il carcere, prima di entrare in clandestinità. Nel lavoro per la sezione italiana in zona Sud era affiancato da Giovanni Calandrone per la propaganda, Dina Ermini per il lavoro femminile e Siro Rosi per il reclutamento. Il comando militare delle azioni MOI in zona sud fu attribuito a Ilio Barontini (con il nome di battaglia di Job), che, dopo la partenza dalla Spagna, tra il 1938 e il 1941 era stato in Etiopia con l’incarico di organizzare la guerriglia contro l’esercito italiano accanto agli uomini del negus. Sotto la sua direzione, i gruppi MOI compirono una

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serie di attentati, a Marsiglia in primo luogo. Secondo il racconto della Noce, una delle prime azioni fu attuata in un grande caffè in rue della Canebière, tramite la collocazione di due bottiglie esplosive nel fondo del locale, mentre alcuni compagni inscenavano una rissa per creare un diversivo. L’esplosione di un tram della linea Vieux Port-Estaque grazie a due borse della spesa posizionatevi da due donne, discese alla fermata successiva, avrebbe invece causato 27 morti e 5 feriti. Nonostante i racconti postbellici degli antifascisti italiani rendano conto della loro partecipazione ad alcune delle azioni che causarono la distruzione del porto, in particolare di Barontini, in assenza di riscontri archivistici resta impossibile non solo individuare le azioni, ma anche distinguere l’elogio dei compagni dalla verità delle operazioni. Vista infatti la situazione bellica, le informazioni contenute nel Casellario politico centrale si fermano al ’41 per i comunisti perseguitati, molti dei quali scapparono dal campo di transito di Les Milles per avviare la propria lotta sommersa, nascondendosi a questo punto non solo dagli informatori dell’OVRA ma anche dalle autorità di Vichy. Inoltre, proprio la segretezza del lavoro e i rischi che avrebbe comportato la redazioni di documenti, fanno sì che nulla di ufficiale sia rimasto sulle azioni terroristiche degli italiani della MOI nel Sud della Francia. Il riconoscimento della partecipazione alla guerra di liberazione, che in Francia avvenne tramite l’omologazione dei resistenti alle truppe delle Force Francais de l’Interieure (FFI, annesse alla France combattente di De Gaulle) si basò sulle richieste post-belliche e non risulta che i comunisti italiani, nel ’45 ormai impegnati nella ricostruzione istituzionale della penisola, abbiano chiesto il riconoscimento delle operazioni svolte in Francia. Sono comunque auspicabili ricerche più approfondite negli archivi dipartimentali francesi, nei quali non è escluso che sia rimasta traccia della collaborazione delle strutture armate del PCF con i militanti del PCd’I. In assenza di riscontri tuttavia, non resta che prendere con le pinze i racconti dei protagonisti italiani e francesi riguardo l’operato dei comunisti italiani in accordo con la MOI. Le testimonianze riferiscono, oltre all’attività organizzativa svolta dai quadri già noti come Giuliano Pajetta, Schiapparelli e i dirigenti del Centro Estero, la partecipazioni in prima persona alle azioni urbane di personaggi come Egisto Rubini e Italo Nicoletto. Quest’ultimo aveva iniziato la propria carriera rivoluzionaria ancora liceale ed era stato arrestato nel 1927 per la propria attività fra i giovani comunisti bresciani; appena diciottenne, rifiutò di associarsi all’istanza di grazie inoltrata al duce dai genitori e dopo tre anni di detenzione fu destinato ad altri due di confino. Nel 1935 il funzionario del Cpc annotava nel suo fascicolo: “E’ elemento sobillatore ed è capace di esplicare attiva propaganda delle sue idee malsane. Frequenta la

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compagnia dei più pericolosi confinati della Colonia e gode di grande ascendenza nel loro animo”20. Liberato nel 1937, espatriò clandestinamente e si installò a Parigi, dove risultava ancora residente quattro anni dopo. Nulla di preciso sappiamo sull’attività terrorista svolta in Francia, principalmente nel corso del ’42, provata soltanto dall’arresto cui andò incontro “per attività antifascista svolta in Francia”. Fu fermato il 18 luglio 1943 nei pressi di Cagnes, assieme ad Emilio Sereni, responsabile de La parola del soldato, giornale di propaganda rivolto ai soldati dell’armata italiana occupante. I due furono consegnati all’Italia e reclusi nel carcere di Fossano il 6 settembre. Sarebbero evasi qualche mese dopo, Nicoletto pervenendo alla responsabilità delle Brigate Garibaldi nelle Langhe piemontesi e Sereni a quella della propaganda a Milano.

Torniamo però a Marsiglia, principale polo del terrorismo urbano nel sud della Francia assieme a Lione e Tolosa, dove la risposta repressiva alla fervente attività terrorista non si fece attendere e, per la sua durezza, anticipò l’inasprimento della violenza che avrebbe caratterizzato la fase finale dell’occupazione, in Francia come altrove. Le ultime importanti azioni registrate si collocano il 3 gennaio 1943, quando Elena Taich lanciò una granata nella finestra aperta della sala da pranzo dell’Hotel Splendid e Lev Tchernine fece saltare una casa di tolleranza frequentata dai tedeschi. Di fronte alla minaccia terroristica, si riunirono a Marsiglia Oberg, capo delle SS in Francia, René Bousquet, segretario generale della polizia di Vichy, e il prefetto Marcel Lemoine, disponendo l’evacuazione del quartiere del vecchio porto e la sua distruzione. La mattina del 22 gennaio iniziarono i controlli d’identità nella zona indicata, nei due giorni successivi 2.500 persone furono arrestate. Il 24 gennaio i soldati tedeschi e la polizia di Vichy procedettero assieme all’evacuazione degli abitanti; il primo febbraio ogni edificio fu fatto saltare in aria tramite cariche di dinamite. Su richiesta delle autorità francesi furono salvati solo l’Hotel de Ville, la Maison Diamantée et l'Hôtel de Cabre 21. Ad ogni modo, Teresa Noce racconta che il PCF aveva saputo in anticipo dell’operazione e molti comunisti erano riusciti a lasciare Marsiglia a metà gennaio. Ella si era rifugiata a Lione in casa di Scotti e fu in seguito ospitata da una coppia di immigrati italiani, continuando il lavoro clandestino e recandosi talvolta a Parigi per tenere i contatti con la direzione di zona nord. L’ultimo di questi viaggi si concluse con la partecipazione alla riunione con i compagni MOI parigini, in cui Estella rese conto del lavoro svolto in zona sud

20 Appunto del 18.4.1935, in Acs, Cpc, busta 3537.

21 Cfr. Dossier pédagogique du projet Ici-Même, autour du Vieux-Port, janvier février1943, disponibile al

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in vista dell’unificazione dei due comandi di zona. Il giorno successivo si situa l’incontro con Betka Weinraub, Niebergalle e Leger, comunista tedesca non meglio identificata, in cui la Noce rientrò nel quadro investigativo della polizia. Fu arrestata mentre stava per ripartire alla stazione di Montparnasse, incarcerata alla Roquette e, dopo qualche mese, inviata nel campo di concentramento di Holleischen, da cui sarebbe uscita viva nell’aprile ’45.

Anche uno studio di Guillon sulla Resistenza nella regione di Tolone, capitale del dipartimento del Var, rende conto del gran ruolo avutovi dai membri del PCd’I, la cui attività coincise in quest’area con una buona parte del lavoro della MOI. A livello locale, qui come altrove, la nebulosa delle organizzazioni comuniste (JC, CGT, FTP, MOI) rispondeva in realtà ad un’unica struttura centrale, il PCF, nella quale i militanti si dividevano in settori per agevolare lo svolgimento delle diverse mansioni (propaganda sindacale, stampa, lotta armata). Si può dire dunque che alla “base, nelle località di piccola taglia, tutto è confuso e la divisione che avrebbe dovuto separare [le organizzazioni comuniste] è spesso artificiale. […] La separazione è effettiva nella gerarchia”22, per la tripartizione in settore militare, politico e tecnico. All’interno di tale coesistenza, il lavoro della MOI nel Var sino al 1943 fu essenzialmente a carico della sezione italiana. Quando poi una grossa fetta dei membri del PCd’I passò in Italia, il dialogo con socialisti e GL portò alla nascita del Comitato Italiano di Liberazione nazionale e la lotta armata si internazionalizzò: in agosto il bulgaro Daskalov rimpiazzò il triestino Anton Udmark alla responsabilità del settore tecnico e nel gennaio ’44 il rumeno Petre Mihaileanu Marcel sostituì Primo Serrieri alla responsabilità militare. Uno sguardo più interno all’attività del PCI nel Var è offerto dai ricordi, pubblicati con il titolo di Douce France, di Giuliano Pajetta a lavoro tra le famiglie italiane della regione. L’inviato del partito aveva in genere il contatto di un italiano/a in zona da qualche anno, utile alla descrizione della condizione e delle opinioni degli italiani della regione, da coinvolgere nell’attività del partito. Tale contatto erano spesso vecchi simpatizzati perfettamente legali o le coniugi di qualche compagno internato, il cui primo incarico era la gestione del Soccorso rosso; si provvedeva cioè a inviare lettere e pacchi ai compagni in carcere, di modo che ne ricevessero anche coloro che non avevano una famiglia ad attenderli. Reclutare qualcuno nell’azione di partito comportava in quella fase grosse difficoltà e incalcolabili rischi: se si individuava in una famiglia di italiani dei possibili simpatizzanti era necessario recarsi da loro, chiarire la propria posizione di rappresentante

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del partito, cercare un contributo per il Centro Interno che fosse una quota in denaro o la collaborazione nella stampa e nel lancio di volantini. Una presentazione così improvvisa e scoperta contravveniva senza dubbio alle regole cospirative, ma rappresentava anche l’unico mezzo per raggiungere e coinvolgere le famiglie emigrate. Si trovavano così vecchi antifascisti disillusi che non volevano più saper nulla del partito, ma anche uomini adattatisi alla situazione, che lavoravano in Francia ma nutrivano nostalgia dell’Italia e avevano cresciuto i propri figli con i racconti della propria terra natia. A queste famiglie gli emissari del partito affidavano qualche clichés per la stampa di volantini e indicavano di scrivere spesso in Italia, per far sentire la propria presenza ai parenti. Le lettere che giungevano poi in direzione opposta, unico perenne contatto con il paese, erano passate al setaccio e confrontate tra loro, per tentare di ricavare l’umore degli italiani in relazione al fascismo e alla guerra. Sui giovani di queste famiglie e sulle loro prospettive di vita sono stati avviati nel mondo accademico francese dialoghi che auspicano studi più approfonditi, a metà tra la storia delle migrazioni e della Resistenza e la sociologia. Come spesso accade riguardo ai percorsi individuali, il loro carattere variabile e aleatorio non consente la creazione di uno schema di riferimento, al quale verificare poi l’adesione dei casi reperiti. Appare funzionante però la differenziazione già citata, proposta da Jean- Marie Guillon e ripresa da Colin, tra “i rifugiati in attesa del ritorno e gli immigrati in attesa d’integrazione”23. Se inseriremmo senza dubbio nella prima categoria i quadri del Partito comunista italiano in esilio, il discorso si complica per gli altri antifascisti o per i militanti di base, e ancor più per i loro figli, nati e cresciuti in Francia. L’orientamento di questi giovani nella Resistenza francese, verso la liberazione dall’occupante o verso il ritorno in Italia, fu quindi sempre legato a circostanze personali, in particolare all’educazione ricevuta in famiglia. Pajetta offre uno sguardo quotidiano sulle famiglie con cui entrò in contatto nel Var, ricorda ragazzi carichi di ardore, desiderosi di avviare la Resistenza. Quando però prospettava l’invio in Italia molti avanzavano dubbi e timore all’idea del rientro in una patria sconosciuta:

“Però a pensarci bene quello che chiediamo a questi ragazzi è molto davvero; un giovane ha vent’anni, è cresciuto in Francia, qui ha genitori e amici, lavoro e fidanzata, qui ha già visto il posto dove metterà su casa, questa per lui non è una seconda patria ma l’unica patria che conosce, non ha da fare il servizio militare e la guerra ha miracolosamente rispettato la sua città e la sua casa.

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Adesso noi gli chiediamo di andare a fare il soldato in un misterioso paese, l’Italia, che lui conosce solo per quanto ne han detto i suoi, che a loro volta ne han conosciuto solo un angolo affamato dell’Appennino e delle Prealpi e da cui sono venuti via cacciati dal terrore o dalla fame;”24.

Seppur manchino uno studio analitico e dati sufficienti, vi fu un certo numero di giovani, cresciuti in Francia da genitori italiani che accettarono di essere inviati in Italia, per arruolarsi nell’esercito, lavorare in una fabbrica o in un ufficio, e reclutare altri che dimostrassero sentimenti antifascisti, con il fine di creare una cellula comunista all’interno. Le ragioni che spinsero ragazzi e ragazze che non avevano mai visto l’Italia a partecipare alla lotta per la sua liberazione sembrano risiedere soprattutto nell’ambiente familiare, come per il giovane Enrico, la cui famiglia fu rintracciata a Hyères da Pajetta, che scrisse:

“la sua vita personale l’ha mantenuto legato all’Italia e ha anche lui il suo fatto personale non solo con il fascismo e la guerra ma anche con Mussolini e i suoi: è colpa loro – lo sa bene- che egli non ha potuto crescere e studiare, vivere come un ragazzo normale nel suo paese, nella sua terra, e ha dovuto venire a fare la più triste delle professioni, lo straniero”25.

Bechelloni parla di fils du Parti riferendosi a questi ragazzi che “hanno passato gran parte della infanzia e della loro adolescenza in Francia, vi sono stati scolarizzati e spesso non parlano che il francese, [ma] la loro identità di comunisti italiani preme sugli altri aspetti e influisce sulla scelta finale”26. Le testimonianze a disposizione indicano questa scelta come totalmente volontaria, come per Nello Marcellino e Lina Fibbi, reclutata nel campo di Rieucros da Teresa Noce e Anna Maria Montagnana.

Altri migranti italiani di seconda generazione appartenevano invece, con polarità differenti, alla categoria dei migranti in attesa di integrazione, e le liste dei componenti delle formazioni, stilate dopo la liberazione, rendono conto della partecipazione di alcuni di loro alla Resistenza nelle file dei FTP. Le liste di effettivi depositate presso il Service historique de la Defense furono stilate secondo le richieste di riconoscimento pervenute post liberazione, costituiscono dunque solo un indice, registrando unicamente gli italiani che, rimasti in Francia dopo la guerra, ottennero la ratifica della propria partecipazione alla guerra di liberazione. Prese dunque queste precauzioni, se analizziamo le liste di effettivi dei gruppi MOI dal ’43 alla liberazione in due regioni di massiccia presenza italiana, le Alpi Marittime

24 Giuliano Pajetta, “Douce France”, Editori Riuniti, Roma, 1971, pag.147. 25 Giuliano Pajetta, op.cit., pag.148.

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e il Lot-et-Garonne, si trova traccia dell’affiliazione di italiani o giovani di origine italiana nel gruppo armato del PCF riservato agli stranieri. La lista nominativa dei membri omologati del gruppo MOI in una regione di altissima immigrazione per la vicinanza del confine, le Alpi Marittime, ad esempio, conta 33 persone, delle quali 21 risultano nate in Italia, e dei dodici restanti, cinque portano cognomi italiani (Dani, Dini, Garofalo, Roncaglia, Vacca)27. Anche nella regione di Tolosa, seppur in misura inferiore al Lozère o all’Ile de France, esisteva una forte comunità italiana, di contadini, artigiani o lavoratori delle miniere di Carmaux. Tra coloro che si stabilirono tra l’Haute Garonne e il Lot-et-Garonne troviamo Fiore Lorenzi e Aristodemo Maniera, membri del PCd’I che saranno attivi organizzatori del passaggio in Spagna e della tenuta della struttura del partito in quella regione. Il resto della famiglia Lorenzi raggiunse il padre in Francia e fu naturalizzata nel 1934, e, mentre Fiore continuò a lavorare per il PCd’I, il figlio Enzo figura tra i responsabili militari del Battaglione MOI Indomptable, formazione aggregata alla 35° Brigata FTP-MOI, costituita a partire dal novembre ’42. Visto che l’avvio di formazioni armate in zona sud avvenne in concomitanza con l’occupazione, solo all’inizio del ’43 la brigata compì le prime azioni, composta dai capofila Mendel Langer, Joseph Washpress e Jacob Insel, ebrei iscritti alla MOI con alle spalle un passaggio in Palestina. Il 5 febbraio 1943 però Langer fu arrestato alla stazione St. Agne a Tolosa con una borsa carica di esplosivo e, condannato a morte, fu fucilato nella prigione di St. Michel il 23 luglio 1943. Intanto, la formazione, ribattezzata in suo onore, era stata posta sotto la direzione interregionale di Jan Gerhard, responsabile intermilitare, Jacob Insel, interpolitico e Shimmel Gold, intertecnico. La brigata si organizzò dunque a partire da ebrei passati per la Palestina, ma poté contare presto sui più giovani, tra i quali anche i figli e le figlie di quelle famiglie italiane stabilitesi nella regione da più di un decennio, che diedero vita al battaglione Indomptable dopo la caduta del gruppo più anziano. I dossier di omologazione rendono conto di una dozzina di effettivi a fine ’42, che salivano a 32, ovvero un distaccamento, nel maggio ’43 e si assestavano attorno alle 72 unità nella fase di maggiori adesioni, alla fine del ’43. Troviamo nella lista degli effettivi della Brigata

Indomptable: Jean e Rosina Bet28, Henri Zanel, George, Emile, Gerard e Armand Titonel, Enzo, Lucien e Jean Lorenzi, Albert Lesizza (che nella lista nominativa diviene Letizza, verosimilmente per un errore di trascrizione) Cesare Busighin (trascritto Buzzichin) e Bruno

27 Liste nominative des membres des groupes MOI du département des Alpes Maritimes, in Service

Historique de la Défense, Inventario maquis e forces françaises de l’intérieure, busta GR19 P-613.

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Cisilin29. Si trattava di ragazzi tra i 20 e i 25 anni, in Francia sin dall’infanzia, le cui famiglie, di origine veneta o friulana, in particolare Fiore Lorenzi e Maria Lesizza, avevano continuato ad intrattenere contatti con i gruppi antifascisti italiani. Inoltre per qualche mese nel ‘42 Amendola, Sereni e Dozza avevano abitato assieme in una villetta con giardino nei pressi di Tolosa, intrattenendo regolari contatti con i militanti italiani della regione. Enzo Lorenzi, dopo esser stato inviato nelle Basse Alpi per conto del PCd’I, era stato versato ai FTP-MOI, e ricorda inoltre di aver incontrato tramite il padre Ilio Barontini, che teneva i contatti con Jan Gerhard tramite l’agent de liason Cathrine Varlin. Castelculier e Monclar erano divenuti i centri nevralgici del PCd’I in Garonne, tenuti in contatto con lunghe pedalate in bicicletta, il cui primo scopo fu l’invio dei pacchi agli internati del Vernet. I contatti e i membri in