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2. Contesto di Riferimento: Habble srl

2.1. La Governance nel settore delle TELCO

L’era dei Big Data, nata a cavallo della fine del primo decennio del nuovo millennio, è giunta a maturità, basti pensare che il 90% dei dati oggi esistenti sono stati generati nei soli ultimi due anni e si appresta a vivere la fase 2.0, con una maggiore strutturazione delle attività da parte delle aziende. In Italia, il 2016 è stato un anno particolarmente ricco, con un valore complessivo di 905 milioni di euro e un interesse che è ancora appannaggio soprattutto delle grandi imprese. Il segmento della Business Intelligence è attualmente quello che genera i volumi maggiori, cifre che si attestano intorno ai 722 milioni di euro con una crescita rispetto all’anno precedente del 9%. Nel 2010, il volume dei dati disponibile nel web era di circa 500 miliardi di gigabyte, le stime prevedono un loro aumento pari a cinque volte entro il 2017. In aggiunta anche la produzione interna delle aziende di dati aumenta considerevolmente e ciò si manifesta nel fatto che oramai le dimensioni dei database devono essere misurate almeno in terabyte se non in petabyte o exabyte. Questo fenomeno, per quanto suggestivo, non è sufficiente per definire i big data, in quanto l’esperienza ha messo in evidenza due aspetti fondamentali:

I. All’interno di queste grandi masse di dati esiste una quantità notevole di rumore, ridondanza e di “garbage” che ne riduce notevolmente il valore potenziale intrinseco; II. Il volume dei dati senza la capacità di analisi ed interpretazione ne annulla

completamente il potenziale informativo.

Ma come possiamo definire questo nuovo fenomeno che prende piede sempre più velocemente nelle economie business. Il McKinsey Global Institute ha definito i Big Data come “dataset whose size is beyond the ability of typical database software tools to capture, store, manage, and analyze”. Tale definizione si focalizza ancora sull’enorme volume di dati prodotti, ma soprattutto sulle difficoltà che le aziende incontrano nel gestire, raccogliere, misurare ed infine analizzare i big data. Questa difficoltà è dovuta principalmente ad una mancanza di competenze e di strumenti IT adeguati. La provenienza dei big data può essere molteplice come ad esempio: transazionale, registrazioni media, dati di geo-posizionamento Gps, trasmettitori trasduttori e sensori, automazione dei processi produttivi, social media, digital meters, digitalizzazione dei processi di R&D e web data. Questa esplosione di dati, come già detto, richiede attenzione ad un altro aspetto determinante per poter trarre da

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questa potenziale ricchezza il valore ricercato ovvero la capacità di analisi e interpretazione. Il legame tra volumi di dati eterogenei e Business Analytics è infatti evidenziato da TWDI Research (The Data Warehousing Institute Research) che lo indica come una condizione indispensabile per poter indicare i Big Data come reale opportunità di generazione di valore (Eckerson, 2010). Secondo questa prospettiva, una componente rilevante del fenomeno Big Data diventa la strumentazione informatica che rende possibile l’esplicitazione del valore insito nei dati con nuove informazioni e nuova conoscenza di business. In particolare molto stretto è il legame tra Big Data e il campo della Business Intelligence/Business Analytics (BI/BA), nonché alcuni trend tecnologici, quali le data warehouse appliances, i BI cloud services e gli Hadoop/MapReduce tools (Watson, 2012). Cercando di sistematizzare le diverse definizioni e riflessioni fatte sul fenomeno Big Data, il Data Warehousing Institute ha costruito il modello delle 3v che evidenzia le tre caratteristiche peculiari dei Big Data: volume, varietà e velocità (Russom, 2011). I punti che seguono ne rappresentano un adattamento nel presente lavoro:

1. Volume, che considera la dimensione, in termini di bytes, dei database utilizzati per archiviare i dati aziendali. Ad oggi, però non è stata definita una soglia che distingua tra ciò che è Big Data e ciò che non lo è, e probabilmente non ha neppure senso farlo; 2. Varietà, che può essere intesa come molteplicità di fonti o come eterogeneità di formati

dei dati. In prima istanza, infatti, si possono avere dati generati da diverse fonti interne o esterne. Questi dati poi possono avere diversi formati riconducibili a tre categorie: dati strutturati, semi-strutturati e non strutturati;

3. Velocità, che si sostanzia nella velocità con cui i dati si generano, si raccolgono, si aggiornano e si elaborano.

La rilevanza di una grande quantità di dati a disposizione delle aziende non si ferma ad un ambito prettamente ICT ma si spinge verso un fenomeno gestionale e di management. I benefici che deriva dall’analisi dei dati possono essere sia interni all’azienda, in termini, per esempio, di ottimizzazione dei processi, sia nel miglioramento delle relazioni delle imprese con il contesto esterno in cui operano, per esempio con i propri clienti o fornitori. Infatti, i casi di Big data esistenti evidenziano benefici in aree molto differenti che spaziano dalla migliore gestione dei rischi e delle frodi assicurative o finanziarie alla migliore localizzazione

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di infrastrutture sul territorio, dalla previsione della puntualità di costi attuali e futuri fino alla gestione delle campagne promozionali.

I contesti sempre più turbolenti ed incerti in cui competono le aziende spingono nuove esigenze di conoscenza attraverso la business intelligence. Le imprese diventano sempre più data driven, ovvero focalizzate all’acquisizione raccolta ed analisi di una sempre maggiore quantità di dati. Il responsabile della ricerca dell’Osservatorio Big data analytics & Business Intelligence della School of Management del Politecnico di Milano, Alessandro Piva ha sottolineato come siano per il momento soprattutto le grandi imprese a muoversi nella giusta direzione, con una maggiore attenzione da parte del top management e una spesa crescente nei Big Data e negli Analytics nel loro complesso. Le PMI (piccole e medie Imprese), coprono solo il 13% del mercato e solo nel 34% dei casi hanno dedicato a sistemi BDA (Business Data Analytics) una parte del budget ICT 2016. Alessandro Piva prosegue facendo riferimento al grosso ritardo nella creazione di competenze e modelli di governo delle iniziative di analytics e limitata conoscenza delle opportunità da parte delle piccole imprese. Gli strumenti di descrittive analytics sono una realtà assodata per l’89% delle grandi imprese monitorate dall’indagine del Politecnico di Milano, e nell’80% dei casi il loro utilizzo è a regime almeno su alcuni ambiti applicativi. I predictive analytics sono attualmente il campo di maggior interesse nonostante la loro ampia diffusione, questi strumenti sono ancora per lo più confinati ad alcuni ambiti applicativi (30%) o in fase di pilota (29%). Gli strumenti di data analytics più avanzati, appartenenti alle categorie dei prescriptive e degli automated analytics, sono per il momento presenti rispettivamente solo nel 23% e nel 10% delle organizzazioni, per lo più a livello di progetto pilota. Secondo l’indagine dell’Osservatorio, circa un terzo (32%) delle imprese italiane dichiara di acquistare dati da integrare con quelli raccolti direttamente. Le aziende sono interessate soprattutto all’acquisizione di dati relativi all’andamento del mercato di riferimento (51%) ma la tendenza è quella di acquisire sempre più informazioni provenienti dai processi interni (44%) allo scopo di aumentarne l’efficienza in termini di riduzione dei costi gestionali. Data la necessità di competenze dovute alla complessità di utilizzo dei principali sistemi BDA l’89% dei dati acquisiti provengono da Data Provider specializzati che forniscono non solo il servizio di raccolta e pulizia ma anche di analisi ed elaborazione, proponendo al cliente reportistiche ad alto contenuto informazionale. Il contesto provider non si sostanzia solo di

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multinazionali, ma anche di startup innovative. Le startup del mercato BDA, finanziate da investitori istituzionali dal 2012 ad oggi, secondo lo studio dell’Osservatorio su 229 startup censite nel settore, hanno raccolto complessivamente 3,18 miliardi di dollari nel mondo. Le startup dei Big Data e Business Intelligence operano in tre settori principali. Nel 57% dei casi fanno parte delle Enabling Technologies, infrastrutture che processano, memorizzano e analizzano i dati, mentre nel 26% operano negli Analytics Systems, sistemi non riconducibili univocamente a un ambito di utilizzo, ma con un’applicazione flessibile a seconda delle necessità del cliente. Nel 14% si occupano di Applications, soluzioni super verticali di analisi rivolte a particolari ambiti applicativi.

Il panorama macroeconomico secondo le stime di Gartner prevede un lieve calo della spesa in ICT del 5% ma si prevede comunque di raggiungere i 3.790 miliardi di dollari per la fine del 2016. Questa previsione sul mercato risulta diversa da quella che Gartner aveva preventivato lo scorso trimestre e lo scarto è principalmente dovuto alle fluttuazioni delle valute. L’incertezza economica spinge le aziende a non incrementare la spesa in ICT, ma allo stesso tempo, grazie ai nuovi servizi emergenti quali applicativi ad alta scalabilità SaaS (software as a service) consentono di trasformare la spesa spostandola da investimenti singoli rilevanti, a canoni mensili ridotti sulla base delle esigenze dei clienti. Prendendo in esame le spese in ICT, infatti, il calo è principalmente associato all’ambito di dispositivi harware -3,7% (PC, ultramobile, smartphone, tablet e stampanti) mentre rimane in crescita stabile il settore dei servizi IT con un valore che si attesta intorno al +2,09%. Sempre in tendenza positiva risultano essere i servizi di data Center +2,34% e gli Enterprise Software +6,17%. In leggero calo invece sono in generale i servizi di communication Telecom -2,09%. In figura sottostante vengono presentati i trend dal 2012 ad oggi:

DAL MIGLIORAMENTO DELLA RETENTION ALLO SVILUPPO PRODOTTO: HABBLE, IL CASO DI UNA START- UP TELCO DANIELE GIORGI 2012 2013 2014 2015 2016 Sp en ding Gr o wt h Sp en ding Gr o wt h Sp en ding Gr o wt h Sp en ding Gr o wt h Sp en ding Gr o wt h Devices 627 2,90% 666 6,30% 694 4,20% 650 -6,34% 626 -3,69% Sistemi di Data Center 141 2,30% 147 4,50% 154 4,76% 171 11,04% 175 2,34% Enterprise Software 278 3,30% 296 6,40% 316 6,76% 308 -2,53% 327 6,17% Servizi IT 881 1,80% 927 5,20% 974 5,07% 910 -6,57% 929 2,09% Servizi Telecom 1.661 -0,10% 1.701 2,40% 1.743 2,47% 1.770 1,55% 1.733 -2,09% Totale IT 3.558 1,20% 3.737 4,20% 3.881 3,85% 3.809 -1,86% 3.790 -0,50%

Tabella 1 Rappresentazione della spesa e del trend di crescita degli investimenti in ICT suddivisi per tipologia di prodotto (Gartner, 2015)

Figura 14 Rappresentazione grafica dell'andamento degli investimenti in ICT suddivisi per periodo e tipologia di prodotto (Gartner, 2015) 627 666 694 650 626 141 147 154 171 175 278 296 316 308 327 881 927 974 910 929 1.661 1.701 1.743 1.770 1.733

Andamento del Mercato ICT

Devices Sistemi di Data Center Enterprise Software

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Figura 15 Rappresentazione grafica dell'andamento complessivo della spesa in ICT suddivisa per periodi (Gartner, 2015)

Figura 16 Rappresentazione del peso degli investimenti in ICT suddivisi per tipologia nell'anno 2016 (Gartner, 2015) 3.558 3.737 3.881 3.809 3.790 3.500 3.550 3.600 3.650 3.700 3.750 3.800 3.850 3.900 2012 2013 2014 2015 2016

Andamento del Mercato ICT

Totale IT

Devices 16%

Sistemi di Data Center 5% Enterprise Software 9% Servizi IT 24% Servizi Telecom 46%

Mercato ICT 2016

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Il nuovo contesto che va piano piano delineandosi mette difronte le aziende ed i rispettivi CIO (chief information Officer) a sempre nuove sfide. La necessità di maggior contenuto informazionale sostenuta dal maggior accesso a numerose tipologie di dati, strutturati e non, unito al bisogno di strumenti in grado di effettuare analisi in tempi sempre più brevi, hanno in effetti spinto nuove tecnologie BDA in cima alle agende dei top manager aziendali e non solo dei CIO. A livello mondiale, i segmenti dei Big Data e della Business Analytics, crescono a ritmi nettamente superiori a quelli del mercato IT nel suo complesso. Secondo previsioni di IDC Italia, nel periodo che va dal 2013 al 2017, il comparto dei BD (software, hardware e servizi) crescerà con un CAGR (tasso composto medio annuo) del 27%, mentre quello delle BDA con un CAGR del 10,8% (IDC, Agosto 28, 2014). Con il passare degli anni, osserva IDC, la distinzione tra tecnologie Big Data e Business Analytics si farà sempre più labile e le aziende tenderanno a sviluppare strategie analitiche omnicomprensive che indirizzeranno tutti i requisiti di accesso, analisi e gestione dei dati. Ma prima di giungere a un tale livello di maturità, IDC ritiene che i CIO dovranno affrontare e superare una serie di sfide importanti. L’uso delle tecnologie BDA per supportare effettivamente le strategie di business richiede infatti diverse abilità tra le quali:

I. Capacità di collezione, aggregazione e pulizia dei dati provenienti dal contesto anche in tempo reale;

II. Capacità di utilizzo di strumentazioni di analisi in grado di dare significatività e valore aggiunto al dato;

III. Conoscenza dettagliata del contesto di riferimento al fine di utilizzare solo le soluzioni BDA che meglio si adattano all’ambiente competitivo;

IV. Ultima ma non meno importante, la capacità di diffusione tempestiva dell’informazione a tutti i livelli organizzativi, ovvero determinare come e a chi rendere disponibili le analisi, venendo incontro alle diverse esigenze di CEO, CMO e CFO;

Un indagine condotta da IBM sui CIO delle medio-grandi imprese di livello mondiale, evidenzia che l’utilizzo di tecnologie BDA sono principalmente indirizzate a; dare valore al nuovo prodotto e quindi supportare la R&D (43%), accrescere ed espandere il business per mezzo di nuova conoscenza del settore e degli stakeholder (35%), migliorare ed ottimizzare i processi interni andando a studiare e comprendere le dinamiche degli hidden cost, ovvero

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quella tipologia di costo che sfugge allo studio e alle analisi manageriali (22%). La ricerca condotta su 84 CIO, evince che la maggioranza ritiene che il tema sia un trend rilevante che le imprese devono comprendere per far evolvere il loro modello di impresa e che si tratta di un fenomeno in grado di cambiare il modo di fare IT (Vercellis, 2014).

Figura 17 estrapolazione dell'analisi dell'Osservatorio Big data Analytics & Business Intelligence del Politecnico di Milano

L’analisi ripercorre le stesse argomentazioni viste precedentemente con l’analisi di Gartner, infatti, a fronte di un budget ICT mediamente in contrazione, gli investimenti compiuti nei sistemi BDA crescono del 22% annuo. In particolare il campione dichiara di voler aumentare la propria capacità di spesa 42% rispetto a coloro che intendono rivedere la propria al ribasso (Vercellis, 2014).Nel periodo che va dal 2013 al 2015, le spese erano indirizzate principalmente all’acquisto di licenze software 32%, di servizi di integrazione 31% e solo il 3% per servizi cloud e cloud computing. Nei prossimi anni questa tendenza andrà sempre più ribaltandosi, vedendo i servizi cluod in outsourcing oggetto di maggior desiderio da tutti i reparti IT aziendali (Vercellis, 2014). In visione prospettica, le aree di evoluzione dei sistemi di BDA & BI che secondo i CIO avranno un impatto significativo nelle loro organizzazioni nei prossimi 3 anni sono le soluzioni di Mobile Analytics nel 58% dei casi, che

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rendono possibile l’utilizzo di dashboard e report interattivi e customizzabili anche in mobilità e il paradigma della Self-service BI (50%), che consentono agli utenti mobili di creare analisi personalizzate senza il coinvolgimento di tutto il reparto.

Figura 18 estrapolazione dell'analisi dell'Osservatorio Big data Analytics & Business Intelligence del Politecnico di Milano

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Figura 19 estrapolazione dell'analisi dell'Osservatorio Big data Analytics & Business Intelligence del Politecnico di Milano

Dall’altro lato, gli elementi di freno che un’azienda incontra nel percorso di adozione dei sistemi di BDA & BI sono principalmente connessi, nel 42% del campione, a resistenze culturali al cambiamento e alla mancanza di consapevolezza dell’impatto sulla gestione aziendale. Altri elementi frenanti sono dovuti alla scarsa conoscenza dei possibili benefici, a un investimento crescente e di difficile previsione, alla scarsa predisposizione alla condivisione delle responsabilità e della conoscenza all’interno dell’organizzazione e alla mancanza di commitment da parte del Top Management. Si parla dunque di barriere culturali, organizzative o gestionali connesse all’azienda e non a specifiche caratteristiche degli strumenti di BDA & BI, che invece compaiono tra le ultime barriere indicate: la mancanza di soluzioni in grado di gestire un numero elevato di utenti o grandi volumi di dati è indicata come barriera solo nel 4% del campione, la difficoltà di integrazione con altri applicativi, i software poco usabili per gli utenti e tempi di apprendimento troppo lunghi ed elevati tempi di implementazione. Vi sono inoltre ulteriori barriere organizzative che riguardano le aspettative disattese, gli errori, gli insuccessi riportati nelle prime esperienze fatte, l’incapacità di gestire il processo di change management sottostante, la scarsa qualità

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dei dati (Vercellis, 2014). La figura sottostante fornisce il dettaglio del resoconto numerico degli aspetti frenanti del trend.

Figura 20 estrapolazione dell'analisi dell'Osservatorio Big data Analytics & Business Intelligence del Politecnico di Milano

Le aziende provider di servizi business nel campo ICT devono tenere presente queste tipologie di barriere e cercare di trovare le modalità di superamento, se vogliono divincolarsi dalla trappola della competizione e dall’erosione dei margini che, nonostante il mercato sia in fase di sviluppo crescente, mano a mano aumenta (Vercellis, 2014).

Nel periodo compreso tra il 2015 ed il 2016 il settore degli analytics Telco in Italia ha avuto un tasso di crescita che si attesta al 14%, ben al di sopra principali altri macro-comparti riguardanti i BDA. Dal rapporto dell’Osservatorio del Politecnico di Milano risulta infatti che solo il settore bancario riesce a far meglio grazie al tasso di crescita del 21% mentre sanità 9%, Gdo 8%, utility 6% ed assicurazioni 5% rimangono in coda. Partendo dai primi sviluppi, fino al 1984 AT&T (American Telephone and Telegraph Incorporated ) era la più grande compagnia americana proprietaria e operativa nella maggior rete telefonica americana. Questa posizione di leadership indiscussa nel mercato degli operatori telefonici aveva

Tempi elevati di implementazione

Integrazione con applictivi in- house

Errori nella fase di implementazione

Efficacia dei sistemi di formazione Gestione di un numero elevato di utenti 41% 33% 13% 9% 4%

Down-Trend BDA & BI interni allo strumento

Scarse competenze interne

Mancanza di committment

Investimenti di difficile previsione

Predisposizione alla condivisione

Difficile comprensione dei benefici 51% 21% 13% 9% 6%

Down-Trend BDA & BI culturali e gestionali

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determinato da un lato i servizi e gli strumenti a disposizione degli utilizzatori finali e dall’altro il prezzo che essi avrebbero dovuto pagare per averli. Nel 1984 l'insediamento del governo federale Anti-trust a seguito dell’accordo, noto come “Modification of Final Judgement” emesso dal giudice Harold Green, pose fine al monopolio e causò la cessione di questo sistema di telefonia locale e la divisione della società in più compagnie suddivise in “Ma Bell” (compagnia madre) e sette compagnie regionali “Baby Bell” (compagnie figlie). A AT&T restò la gestione delle comunicazioni long distance, ma come compensazione la società ottenne di poter investire anche in settori diversi dalle telecomunicazioni. In un mercato che divenne concorrenziale l’AT&T dovette anche confrontarsi con la sfida della digitalizzazione che all’inizio degli anni ’80 rese sempre più attuale il tema della convergenza tecnologica tra telecomunicazioni e informatica. IBM per cavalcare questo trend nel 1984 acquista la Rolm Corp., una dinamica società californiana di prodotti e apparati di telecomunicazione. A sua volta l’AT&T, che oltre a gestire la rete e i servizi long distance divenne anche il maggior produttore di apparati di telecomunicazione e sviluppò soluzioni innovative per le reti telematiche. Per AT&T risultò urgente la necessità di uscire dai confini del mercato USA e crescere in Europa. Con il trascorrere degli anni e la presa di coscienza della potenziale profittabilità del mercato, alcune società, tra cui ricordiamo MCI Worldcom (secondo operatore della telefonia di lunga distanza) e Sprint Corporation (terzo operatore della telefonia di lunga distanza), dalla cui fusione è nato uno dei più grandi colossi mondiali simile ad AT&T per fatturato, iniziarono ad offrire servizi competitivi a lunga distanza sia per quanto riguarda la rete fissa sia per quanto riguarda la rete mobile.

Intorno a fine degli anni ‘90, si assistì ad una lenta trasformazione del mercato tradizionale delle comunicazioni a quello che oggi viene chiamato mercato TEM (il cui acronimo sta per Telecom Expense Management ovvero gestione delle spese di telecomunicazione). Ad oggi, i prodotti TEM, offrono un software e servizi professionali in grado di indirizzare e gestire in