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CAPITOLO TERZO Corto Maltese e la quête du Graal

3. Graal = quête

Uno dei dati più interessanti è la modalità di partecipazione alla quête da parte di Corto ne Le Elvetiche: il marinaio, al contrario dei cavalieri arturiani, si ritrova di malavoglia ad essere destinato alla ricerca del Graal; riesce a portare a termine la quête superando le prove grazie alle proprie conoscenze ed alle proprie abilità, e non per merito di una investitura divina; decide, una volta trovato il Calice, di lasciarlo lì, senza curarsi di conservarlo o diventarne guardiano, come invece la tradizione dei testi graaliani sembra suggerire16 (chi è degno di raggiungere il Graal raramente è disposto ad

allontanarsene; è un oggetto che potremmo definire fortemente centripeto). Corto inoltre utilizza a suo vantaggio il Graal, bevendo da esso ed ottenendo l'elixir di eterna giovinezza. Tutti questi tratti vanno a delineare quella che potrebbe essere una anti-

quête. Non è più il Graal e dare la direzione alle avventure dei cavalieri, come era

accaduto a Perceval nel Conte (costretto dalla sua colpa a ritrovare il castello del Re Pescatore per poter porre in una seconda, salvifica visita le domande che aveva taciuto la prima notte presso la corte del Re). È Klingsor ne Le Elvetiche che giunge invece ad invitare Corto Maltese all'interno di un sogno, comparendo su una pagina del libro che il marinaio sta leggendo prima di addormentarsi, e portarlo nella quête: forse un estremo tentativo di convincere Corto della realtà del mito, quando poco prima nella narrazione lo scetticismo del marinaio aveva confinato Klingsor all'interno di una parete, causandone la metamorfosi da persona reale a mera decorazione.

Se inoltre Italo Calvino, nel romanzo Il castello dei destini incrociati (1973), aveva conseguito uno “svuotamento radicale del mito del Graal”17, trasformandolo in un

“centro o principio vuoto, un nulla postulato come perno”18, Pratt non arriva a tale

negazione: il Graal rimane oggetto rappresentante di un mondo “altro”, in grado di 16 Si veda in merito il volume ZAMBON , FRANCESCO, Il Graal: i testi che hanno fondato la

leggenda, a cura di Mariantonia Liborio, Milano, Mondadori, 2005. si veda anche le tabelle contenute

nella Appendice 2. 17 Ivi, p. 363. 18 Ibidem.

donare persino eterna giovinezza a chi se ne disseta. Ed anche all'interno del Waste

Land, nel momento in cui nel poemetto appare la tematica del Graal, “la Cappella Vuota

è la Cappella del Periglio, che riserbava al cavaliere del Graal le ultime, più dure prove; e si è osservato che la 'prova' più dura di tutto il poema Eliot l'affronta proprio qui, con la tentazione dello svuotamento […] di ogni esperienza religiosa, di ogni mito, della perdita di significato del sacro in un mondo completamente laicizzato”19. La paura del

moderno sembra essere non più quella di non trovare l'Oggetto, ma di scoprire che al suo interno non è contenuto nulla.

Il maestro veneziano non cerca invece di stabilire, nelle Elvetiche come in nessun'altra sua opera, la sostanza di cui il Graal sia composto, esprimendosi così su una possibile quidditas che sia in grado di confermare anche quella del cosmo strutturato intorno ad esso; al fumettaro sembra interessare invece la possibilità insita al percorrere la quête e quali siano le potenzialità che ne possono scaturire, anche inavvertitamente o senza premeditazione (Corto si trova coinvolto nella quête per puro caso, ma riesce comunque a raggiungere la Sacra Coppa).

Il monologo che Corto pronuncia sul “ponte della spada” è emblematico: di fronte alla minaccia di non poter passare se non si è un affiliato di una setta che “abbia influito nella storia. Quella vera”, il marinaio afferma di essere già stato parte di sette segrete ed iniziatiche e che “non ho più tempo per le ricerche”. Il che non significa che Corto non sia disposto ad apprendere: significa invece non voler sottostare ad un percorso che non sia individuale. L'apparente dissacrazione delle “prove iniziatiche” che dovrebbero sbarrare la strada tra Corto ed il Graal (il ponte della spada, che viene superato ruotando la spada; il muro di fuoco, che viene superato affermando che il fuoco è un simbolo e quindi non brucia; la danza con gli scheletri viene superata in quanto Corto sa danzare un ballo popolare e gli scheletri, impressionati dalla grazia del marinaio-ballerino, gli permettono di avanzare) sono affrontate senza mettere in difficoltà il marinaio; Corto affronta la prova con una “naturalezza” che deriva dal fatto che è lui a decidere la sua quête – ed anche le regole con cui essa si svolge – e non il

contrario.

In questa “naturalezza” un po' sorniona ma anche seria, e soprattutto nel ruolo centrale del singolo in merito al rapporto con il mito, Pratt sembra dimostrarci che è ancora possibile immergersi all'interno di miti che giungono da secoli e secoli prima di noi, uscendone arricchiti – addirittura, resi immortali dall'elixir di eterna giovinezza. In questo desiderio trova un suo punto di massima significatività la vicenda de Le

Elvetiche – Rosa alchemica. Un desiderio che in Pratt non teme di mettere insieme, in

un caleidoscopio visivo e letterario, il poema medievale, la mistica wagneriana, King Kong, Herman Hesse, Tamara de Lempicka. Il mito sembra vivere solamente se riesce a collegarsi alla modernità: “il Medioevo è molto lontano; vicino, è il borghese del XIX secolo”20 affermava Furio Jesi. Ma la conditio sine qua non di una modernità come

redini attraverso cui imbrigliare e condurre il mito era stata prospettata anche da Calvino, con cui Jesi stesso era d'accordo in merito alla rapporto tra mito ed individuo moderno per cui “ognuno […] elabora immagini e rappresentazioni risemantizzandole in concetti e agiti personali”21. Calvino con il suo Graal “vuoto”, Eliot con il suo Graal

in cerca di rinascita, Pratt con il suo Graal incatenato ad una fonte; ognuna di queste personalità del Novecento conferma quanto affermato da Manera, ossia che ognuno rielabora il mito, plasmandolo ed adattandolo alle proprie intenzioni – nonché al particolare messaggio che vuole veicolare attraverso l'uso del mito.

Qualora ciò avvenga con successo, come nel caso di Wagner con il Parsifal, anche il morto – il mito – può risorgere, come un corpo entro cui il sangue riprenda a scorrere: “questi materiali mitologici […] non erano vivi, ma […] ora […] immersi nell'ardore della cerca, avrebbero assunto il colore bello, appetitoso della vita”22. Ed

anche la Sacra Coppa rimane vitale finché vi siano cavalieri, marinai, fumettari, e perfetti sconosciuti seduti nella platea di fronte al palcoscenico di Bayreuth, disposti a

20 JESI, FURIO, Materiali mitologici: mito e antropologia nella cultura mitteleuropea, Torino, Einaudi, 1979, p. 181.

21 LEGHISSA, GIOVANNI; MANERA, ENRICO (a cura di), Filosofie del mito nel Novecento, Roma, Carocci, 2015, p. 235. Si veda l'intero, ottimo capitolo dedicato a Furio Jesi ed i “materiali mitologici”.

prendersi l'impegno anche solo di una serata (di una notte, nel caso di Corto) per iniziare una nuova quête e mantenere vivo il fascino e la necessità del mito. Come ha affermato il poeta Yves Bonnefoy, “la quête de ce que le Graal veut dire […] n'est jamais terminée”23.

23 BONNEFOY, YVES, Le Graal sans la légende, Paris, Galilée, 2013, p. 76. In merito alla posizione del poeta francese si veda LANDI, MICHELA, Le Graal sans la légende: de Baudelaire à Yves

Bonnefoy, in AA. VV., Le Graal: genèse, évolution et avenir d'un mythe. Actes du colloque, Maison de

la culture d'Amiens, Volume 57, Presses du Centre d'Études médiévales de Picardie, 2014, pp. 218- 231.

APPENDICE 1.

Il Ciclo di Corto Maltese: elementi utili alla ricostruzione della biografia del personaggio.