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CAPITOLO TERZO Corto Maltese e la quête du Graal

4. Dopo la quête

4.1. Oltre il Graal

“Il calice è un vero bordello” esclama il Diavolo, che accusa Corto di aver bevuto dalla mistica coppa ottenendo l'elixir di eterna giovinezza. Infatti “Il Graal assicura […] una eterna giovinezza”74. Questo aspetto emerge proprio in Wolfram von

Eschenbach; che sia per pagare omaggio al poeta che tanto ruolo ha nella vicenda o meno, rimane che il Graal di Corto Maltese è una stratificazione di oggetti letterari (e non solo) precedenti. “La fantasia magica del nuovo viaggio di Corto Maltese si organizza intorno ai cicli mistici del Graal, che fanno però da summa arcana al cui termine vi sono il Santo Calice e la Rosa Alchemica. Si tratta di un altro tassello sapienziale che spinge il marinaio/medium verso il superamento delle prove iniziatiche”75. Il Graal prattiano, filtrato e studiato attraverso il medium del fumetto, è un

oggetto davvero ambiguo, che “è e non è. Può essere redenzione e perdizione” - come la Coppa stessa afferma ne Le Elvetiche. Un oggetto dalla storia mitica talmente stratificata e rimaneggiata che verrà messa in dubbio la sua reale possibilità di esistere davvero – e infatti Corto, non va dimenticato, vive l'intera quête all'interno di un sogno, ossia in una dimensione diversa dalla realtà, collegata ad essa ma diversa.

In una frase pronunciata durante il processo fatto al marinaio e riferita al Graal, “arrivato in Occidente portato da Joseph d'Arimathie” si riferisce ad una mutazione fondamentale del mito, ossia all'opera omonima di Robert de Boron, Joseph

d'Arimathie. “Qui il Graal […] è per la prima volta identificato con un veissel, il vaso o

la coppa, con cui Gesù celebrò il sacramento eucaristico durante l'Ultima Cena”76. Corto

Maltese dunque ripercorre anche la “storia delle storie” del Graal, i suoi tragitti letterari e narrativi, le diramazioni e le complessità, iniziando il suo percorso con versioni cronologicamente più concomitanti alla sua stessa epoca (Hesse, Wagner) e poi

74 ZAMBON, FRANCESCO, Metamorfosi..., cit., p. 232. 75 CRISTANTE, STEFANO, Corto Maltese..., cit., p. 112.

ripercorrendo “a gambero” la strada compiuta dal mito, fino a von Eschenbach, Chrétien de Troyes e Robert de Boron.

Fino a che il Graal stesso (ovviamente in forma di coppa) non parla, sostenendo l'“innocenza” del marinaio nell'essersi permesso di bere dalla sacra reliquia. La “gentile semplicità” di Corto gli garantisce l'impunità, opposta alla “ampollisità che – helas – [impera] nel mondo della cavalleria e del potere” che invece sembra contraddistinguere i cavalieri, “sparigliatori” di argenteria altrui. “È ben nota l’importanza che rivestono i miti nella nostra società e nel loro modo di alimentare continuamente l’immaginario. Nell’attualità del nostro tempo, sembra allora prevalere una sensazione, o meglio un sentimento, di nostalgia, una rievocazione del passato e di quegli elementi arcaici che hanno accompagnato il nostro quotidiano e, in una certa misura, ci hanno fatto sognare”77. Stessa nostalgia che qui sembra invece animare il Graal: Klingsor, l'intera

vicenda di Rosa Alchemica sembra sostenere sì una virtuosistica allegoria esoterica, ma alla fine sancisce un confine ormai invalicabile: il mito – nello specifico quello del Graal – è ormai percepibile come insieme di racconti. La materia di cui il mito è costituita è umana, un insieme narrativo che Pratt si permette di esaminare – e a tratti di mettere quasi in ridicolo, come nell'episodio di Klingsor che viene letteralmente “ridimensionato” da persona reale a immagine sulla parete. L'occhio indagatore di Corto non viene neppure affascinato dal sogno: le antiche prove iniziatiche sono superate tramite la sua ratio e non grazie al valore.

Da quanto sembra emergere, a noi “moderni” è possibile raccogliere informazioni, narrare i miti (lo fa Steiner per Corto ad un certo punto della vicenda, lo fa anche Klingsor); ma rivivere esattamente il mito sembra inaccessibile per l'uomo moderno, per la ragione che si è perso il nucleo originario (Klingsor ormai non ha più identità, si manifesta tentando di percorrere a ritroso la sua stessa metamorfosi, da personaggio appartenente ad Hesse a cavaliere presente in Wagner, fino ad apparire nel poema di von Eschenbach assumendo la forma di un disegno che rappresenta il suo

77 LA ROCCA, FABIO, L’immaginario pop: archetipologia delle forme del Re nascosto

personaggio – un disegno che imita un disegno) e che forse non c'è neppure più bisogno di esso (Corto beve l'elixir di immortalità convinto che sia “acqua fresca di sorgente”).

Si potrebbe fare un'ulteriore osservazione: nella “ignoranza” che conduce Corto a bere dal Graal, potrebbe essere visto il tratto appartenente al Parsifal di Wagner, del “puro folle”78 (der reine tor), ossia dell'innocenza con cui il giovane ottiene di essere

l'Eletto. La sua totale tabula rasa nei confronti del Graal ne consente di divenire il campione. A voler fare una cattiveria, potremmo dire che è in virtù del vuoto interiore che Parsifal contiene – che può farsi contenitore del vuoto colmo di mito che è il Graal. E come Parsifal entra in scena accusato dai cavalieri di Monsalvat di aver ucciso un cigno sacro79, così Corto è posto sotto processo. Entrambi alla fine verranno assolti, e

diventeranno inoltre “eletti” in grado di giungere ad un contatto diretto e personale con il Graal.

78 Si veda in merito WAGNER, RICHARD, Parsifal..., cit., p. 67. il motivo del “puro folle” viene pronunciato nel corso del primo atto come desiderio/profezia da Amfortas.

Tavola da Le Elvetiche – Rosa Alchemica. Corto è accusato di aver bevuto dal Graal; il marinaio non sembra essere consapevole della sua azione.

Tavola da Le Elvetiche – Rosa Alchemica. Il calice difende Corto dall'accusa di essere stato toccato da quest'ultimo motivando l'avvenuto contatto in virtù delle qualità morali di Corto.