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CAPITOLO TERZO Corto Maltese e la quête du Graal

1. Graal ↔ Wagner?

La fisionomia assunta dal mito del Graal ne Le Elvetiche – Rosa Alchemica conferma l'importanza che l'operazione wagneriana di “resurrezione” ha acquisito quale punto di riferimento per la costruzione di eventuali riprese post Bayreuth: il personaggio di Klingsor nell'opera prattiana si ammanta di fattezze medievali grazie alla citazione visiva del codice Manesse, ma recita una parte i cui toni melanconici e languidi derivano molto dal personaggio andato in scena, assieme alle altre creazioni wagneriane, nel 1882. Ed anche il Graal stesso viene presentato come una coppa, quand'invece nel Conte du Graal esso era un vassoio, o una pietra nel Parzival di von Eschenbach1; e così la ricerca del Graal diventa perno principale della narrazione,

quando nel Conte il vero motivo – almeno da quanto è stato compiuto del romanzo – era la formazione completa di un cavaliere, ed una ricerca sul senso stesso della cavalleria. Il Parsifal di Wagner non solo sposta l'asse del mito incentrandolo quasi esclusivamente sulla religione ed un sentimento mistico che già i primi ascoltatori e critici percepirono in tutta la sua opprimente densità2, ma procede ad una manipolazione

del materiale preesistente3 che consente al compositore tedesco di inserire all'interno del

mito medievale propri interrogativi, quali “una riflessione sui rapporti tra arte e contenuti religiosi che si sedimentò nelle pagine di un saggio […], premessa teorica al [Parsifal]: Religion und Kunst (1880-1881)”4. L'ultima opera wagneriana consisteva

1 Si veda in merito anche Appendice 2.

2 Si veda in merito alla dimensione religiosa ed insieme décadente dell'opera BURGIO, EUGENIO,

Perceval/Parsifal..., cit., pp. 408-409.

3 Ivi, p. 427.

4 Ivi, p. 428; si veda in merito anche ZAMBON, FRANCESCO, Metamorfosi..., cit., p. 266: “Wagner

definì il suo dramma un Bühnenweihfestspiel, cioè alla lettera una “azione scenica solenne di iniziazione”; questa formula si comprende nel quadro del rapporto fra arte e sacro che egli delineò nel saggio Religion und Kunst del 1880, vera premessa teorica al Parsifal”.

però nel profondo in una “mitopoiesi”5; “non era solo […] la musica di Wanger che

interessava e affascinava, quanto i suoi testi, il suo pensiero, i suoi simboli”6. Il Parsifal

diventa così una vera e propria ri-costruzione capace di accogliere in sé “cristianesimo e religioni orientali, medievalismo ed esotismo, iniziazione e arte, perfino veganismo e non violenza; […] conteneva tutti gli ingredienti di cui si sarebbe nutrito il moderno mito del Graal”7. Un prodotto individuale, realizzato in un arco di tempo lungo e

profondamente meditato; un “Graal personale” che riuscì ad imporsi nella sua epoca ed a mantenere una forza dirompente che tutt'oggi dura.

A sancire però uno scarto rispetto alla ripresa di Wagner sta l'ironia di Pratt; uno strumento non di dileggio ma di lucida analisi – attraverso la messa in dubbio di un'autorevolezza assoluta – dell'oggetto letterario e culturale giunto fino alle mani di noi moderni. Se già l'operazione wagneriana tradiva la sua natura forzatamente estatica, scatenando in Europa una “generale infatuazione [in cui il] sublime era quasi inseparabile dal ridicolo”8, è indubbio che, passata l'iniziale ondata di ammirazione di

fine secolo, e passando attraverso le due Guerre Mondiali, per i moderni la forzosità di alcune scelte wagneriane svela il loro lato ridicolo e risibile – e Pratt difatti osserva il mito con ottica disincantata, incatenando il Graal all'interno del castello della Rosa alchemica ne Le Elvetiche non in virtù di simbolismi arcani ma per esigenze pratiche: già altri cavalieri “senza macchia e senza paura” hanno “sparigliato il servizio”, si lamenta la Sacra Coppa. Le corrispondenze tra ciò che dovrebbe essere e ciò che invece è effettivamente non esistono più a priori, ma si rivelano liquide e transeunti – per cui anche i paladini della Cristianità si trasformano in ladri di argenteria.

Il Graal però continua ad esercitare un fascino costante: come ha notato Isabelle Cain, di fronte a questo successo “comment peut-on parler du Graal de nos jours, alors que de siècles nous séparent du Moyen Age? N'y a-i-il pas incompatibilité entre le mythe, qui appartient à un passé archaïque, et nos perspectives?”9. In questo saggio, è

5 BURGIO, EUGENIO, Perceval/Parsifal..., cit, p. 429. 6 ZAMBON, FRANCESCO, Metamorfosi..., cit., p. 271. 7 Ivi, p. 270.

8 Ivi, p. 271.

proposta un'alternativa: opere che si muovevano all'interno del mondo arturiano ed opere che invece si affrancavano da questo limite. Entrambe le possibilità vengono poi esemplificate attraverso diverse modalità di ripresa (poetica, parodica, fantastica etc.). Seguendo questo tipo di analisi, il lavoro compiuto da Pratt si colloca sicuramente all'esterno di una prospettiva arturiana: il mito del Graal convive non con cavalieri medievali ma con un personaggio “moderno”, Corto Maltese. Inoltre, la modalità di ripresa è a metà tra l'onirico ed il parodico. Ma non senza rinunciare alla serietà di una ricerca che dura da almeno otto secoli: se la quête di Corto avviene interamente all'interno di un sogno, e con l'alba ed il risveglio il marinaio sembra convinto a confinare l'esperienza avuta come una fantasia notturna, che non vale neppure la pena di raccontare ad Erica, la ri-comparsa dell'anello di Klingsor sembra avvertire Corto che i confini della ricerca sono meno definiti, e dunque meno disposti ad essere confinati nella semplice avventura onirica.