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La situazione economica del Friuli non cambiò nemmeno a seguito dell’annessione al Regno d’Italia nel 1866. La presenza dello stato italiano fu nei primi anni debole, soprattutto nelle aree periferiche. L’imposizione del sistema di tassazione sabaudo e la concorrenza di regioni come il Piemonte e la Lombardia, più sviluppate e competitive, danneggiarono la debole economia del Friuli basata sull’agricoltura e gravata dai vincoli del passato feudale. All’interno della classe abbiente, era ormai radicato il disinteresse verso qualsiasi forma di rinnovamento. Persino il dominio austroungarico, per molti aspetti illuminato, aveva esitato a intaccare i privilegi di cui godevano i nobili friulani e il clero.

La creazione di banche e di società di mutuo soccorso, lo sviluppo delle comunicazioni e della stampa, l’introduzione delle prime attività industriali e le altre innovazioni introdotte dal Regno d’Italia tardarono a esercitare un influsso positivo sul territorio friulano. L’economia era ancora basata sull’agricoltura, ma lo sfruttamento delle terre era deficitario. Nella zona dell’Alto Friuli le principali fonti di sostentamento erano la selvicoltura e la pastorizia; nella Bassa Friulana dominava la grande proprietà latifondista, fondata su patti colonici e gravata da sistemi di regalie, prestazione gratuite e onoranze (Cosattini 1983, pp. 78-81 e Caporiacco 1978, p. 51).

La crisi agraria europea di fine XIX secolo colpì in maniera particolare questa debole struttura. La carestia, il diffondersi della pellagra e cause meteorologiche quali grandine e tempeste causarono la forte contrazione della produzione agricola e generarono nuove spinte migratorie. Il settore industriale, che non aveva avuto il tempo di svilupparsi, non fu in grado d’assorbire la mano d’opera in eccedenza.

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La proprietà rurale, suddivisa in piccoli appezzamenti, era frazionata e non aveva i mezzi adatti per fronteggiare a un periodo di crisi. La tendenza alla polverizzazione del fondo, una costante nella storia delle campagne friulane, era spinta agli estremi dalla politica degli emigranti di investire i proventi del lavoro all’estero in piccoli poderi e appezzamenti (Pagani 1968, pp. 48-56). È quanto era avvenuto, in particolare, nella zona della Carnia dove le stime e i dati catastali evidenziano una scarsità estrema di terreni facilmente coltivabili e una grande frammentazione della proprietà. La terra circolava pochissimo e raramente si concentrava nelle mani di un unico possidente o di una sola famiglia. Questo dato indica che il terreno era con tutta probabilità adibito alla coltivazione con fine di sussistenza e non alla produzione per la vendita. Nonostante tutto la terra in Carnia poteva raggiungere prezzi assai superiori al suo valore effettivo, a causa anche dell’aumentata circolazione monetaria indotta dalle rimesse degli emigranti (Fornasin 1998, pp. 47-58).

La crescita della popolazione del Friuli tra il 1871 e il 1911 diede un nuovo stimolo alle partenze. Il saldo demografico della regione restò positivo grazie all’emigrazione di parte della forza lavoro locale che si spostava non solo per allontanarsi dalla povertà ma anche per migliorare le condizioni di vita dei familiari rimasti in patria12. La relativa prosperità che per alcuni era derivata dal lavoro all’estero aveva indotto maggiore propensione giovanile al matrimonio e innescato una spinta demografica, divenendo così potenziale causa di futura emigrazione (Caporiacco 1978, p. 52).

Le fonti statistiche relative al saldo migratorio negli ultimi decenni del XIX secolo sono incerte. È possibile ricondurle a due fonti: da una parte i dati ufficiali dei censimenti demografici, degli Enti e dell’Ufficio del Lavoro; dall’altra i valori raccolti da studi privati e ricerche successive. Le figure sono a volte discordanti e non sempre commisurate alla realtà. È significativo, per un inquadramento generale

12 Soprattutto nell’area montana e pedemontana, il picco demografico e l’incremento della natalità furono sostenuti proprio dalle rimesse degli emigranti che avevano concesso ai nuclei familiari uno stato di momentaneo benessere. In questo modo l’emigrazione si inseriva nella vita sociale della comunità, legandosi agli usi e alle scelte a livello di singole famiglie (Cosattini 1983, p. 34-35).

Tesi di dottorato di Gianluca Baldo, discussa presso l’Università degli Studi di Udine 25 del fenomeno, prendere in considerazione e rielaborare almeno i dati ufficiali proposti dell’Ufficio del Lavoro (Lorenzon e Mattioni 1962, p. 47-50).

TAB 1. Emigrazione stagionale in Friuli e in Carnia, 1878-1914

Anni Friuli Carnia e Canal del Ferro

Residenti Emigranti Percentuale Residenti Emigranti Percentuale

1878 550.000 15.461 2,8 n.d. n.d. n.d.

1881 n.d. n.d n.d. 65.978 3.506 5,3

1901 668.847 49.457 7,4 73.652 10.800 14,7

1911 722.339 89.698 12,4 80.749 17.497 21,7 1914 723.000 83.575 11,5 81.020 10.422 20,3

Dalla tabella, nonostante la sua incompletezza e scarsa uniformità, emerge in maniera chiara come in quegli anni il fenomeno migratorio dalla zona montana della Carnia fosse preponderante rispetto al dato complessivo.

In maniera non dissimile rispetto a quanto stava accadendo nel resto del Regno d’Italia, gli inizi del XX secolo si accompagnarono in Friuli a una delle più intense ondate migratorie della sua storia. C’è una certa difficoltà a quantificare esattamente la situazione, soprattutto nelle fasi iniziali, a causa della clandestinità di molti di quei viaggi13 e della difficoltà nel rintracciare fonti attendibili (Valussi 1971, p. 190).

Le stime ufficiali parlano quasi un milione di migranti friulani costretti a partire nel venticinquennio tra il 1876 e il 1902. Dati statistici raccolti nel 1901 confermano la rilevanza del fenomeno in Friuli sia rispetto al resto d’Italia, sia nei confronti del Veneto, regione che in quel medesimo momento era interessata da una mobilità della forza lavoro paragonabile (Caporiacco 1967, p. 171).

13 È interessante, in merito alla clandestinità dei viaggi degli emigranti friulani, non meno di quelli provenienti da altre regioni italiane, conoscere il punto di vista del giornalista e saggista Stella che sul Corriere della Sera del 9 agosto 2009 cita le parole dello scrittore friulano Carlo Sgorlon: “Che i nostri nonni e i nostri padri non siano «mai stati clandestini» come si avventurò a sostenere anche Sgorlon, è una sciocchezza smentita non solo dalla memoria di quanti hanno vissuto l’emigrazione, dal nostro soprannome in America («Wop»: without passport , senza documenti)”.

Da questo scambio di battute emergono le tracce di un pregiudizio che, tra le righe, sembra scorrere in tutta la letteratura locale dedicata all’argomento. Sono quasi assenti i riferimenti diretti a episodi negativi o criminosi collegati ai lavoratori del Friuli all’estero. Nei testi, scritti per lo più da friulani, i corregionali sono dipinti sempre come grandi lavoratori, rispettosi e mai clandestini. I toni sono di elogio e di esaltazione di quella che è considerata, nell’immaginario popolare collettivo, quasi un’epopea gloriosa. Si consideri ad esempio il tono dell’editoriale del numero 9-10 della rivista Ce

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TAB 2. Emigrazione temporanea dall’Italia nel 1901

Friuli 49.573

Veneto 62.187

Resto dell’Italia 169.810

Nel 1906 il numero di partenze ufficiali ammontò a 435.000 unità, bilanciate da 158.000 rientri (36 friulani in rientro per 100 partiti). La maggior parte dei trasferimenti era quindi temporanea, l’emigrazione permanente fu in Friuli un fenomeno marginale, nonostante quella che potesse essere la percezione dei nostri emigranti da parte della popolazione e delle autorità dei paesi di arrivo. Il confronto tra il numero di visti transoceanici, che corrispondevano a progetti più a lungo termine o di trasferimento permanente, e quello dei visti stagionali per i paesi europei conferma anche nella provincia di Udine questa tendenza (Valussi 1974, p. 869). È però opportuno adottare una certa cautela nell’identificare l’emigrazione continentale con quella temporanea e quella transoceanica come permanente. Non mancano esempi di rimpatri dalle Americhe così come di friulani stabilitisi definitivamente in paesi europei, primo fra essi la Francia del primo dopoguerra. Un indicatore più fedele può essere il rapporto tra lavoratori singoli e nuclei familiari completi; che conferma la preponderanza dei primi nelle partenze per i paesi europei e dei secondi in quelle dirette oltre oceano (Ferrari 1963, p. 164).

L’analisi degli indici di variazione della migrazione friulana tra il 1876 e il 1915 (Fortunati 1932, p. 277) evidenzia come le legislazioni restrittive varate da alcuni governi, tra cui quello tedesco o statunitense, a seguito dell’aumento generale della disoccupazione tra il 1906 e il 1910 ebbero in realtà un effetto trascurabile. Gli irrigidimenti dei governi di fronte ai fenomeni migratori sono di certo più redditizi sul piano politico che in termine di effettiva capacità di alterare i fenomeni in atto14.

14 È del resto quello che si è constatato in Italia con l’altalena delle opposte politiche in materia di immigrazione attuate dai governi di centro-sinistra e centro-destra. L’impatto reale sul fenomeno è stato marginale e i dati statistici raccolti anno dopo anno dalla fondazione Caritas/Migrantes, nonché monografie autorevoli come Einaudi 2007, lo confermano.

Resto Italia 60% Veneto 22% Friuli 18%

Tesi di dottorato di Gianluca Baldo, discussa presso l’Università degli Studi di Udine 27 La nascita di un mercato del lavoro internazionale e lo sviluppo dei mezzi di trasporto e di comunicazione, che resero accessibili mete un tempo irraggiungibili e impensabili, incisero sulla scelta di nuove professionalità da parte dei migranti. Si ridusse il numero degli agricoltori, a vantaggio di muratori e braccianti generici. Tra l’ultimo quarto del XIX secolo e la prima guerra mondiale le partenze si differenziavano per mestiere anche in funzione del comune di provenienza. Ci fu un graduale processo di specializzazione: la maggior parte dei carnici erano muratori; dal circondario di Pordenone provenivano terrazzai, mosaicisti e decoratori, oltre ai fornaciai che costituivano al tempo già un terzo delle partenze dalla regione; dal circondario di Udine venivano varie professioni, ma i più erano fornaciai o muratori; nella Bassa Friulana erano diffusi i braccianti non qualificati (Pagani 1968, p. 71-86). Data l’entità raggiunta dal fenomeno, a fianco degli emigranti iniziarono a partire le prime donne. Si trattava per lo più di parenti o familiari che decidevano di seguire i consanguinei per prestare supporto nelle faccende domestiche o nei servizi di cura della persona. Nacque così un movimento al femminile che mantenne contorni sempre definiti e misure contenute. Le partenze delle friulane si attestarono, nei decenni precedenti il primo conflitto mondiale, attorno al 10% del totale con qualche picco più elevato nella zona montana della Carnia (Pagani 1968, p. 74)15.

Alcuni dati statistici relativi al periodo 1876-1902 illustrano la marginalità in Friuli della emigrazione permanente rispetto a quelle temporanea e stagionale. .

15 Il contributo femminile massimo al fenomeno migratorio regionale derivò dall’emigrazione permanente, nella quale mogli, figlie e sorelle dei migranti accompagnavano i familiari per mantenere unito il nucleo familiare. Ci fu però una componente femminile anche nell’emigrazione temporanea. In questo caso le donne trovavano impiego come operai generici a fianco dei mariti o fratelli muratori, come braccianti nell’agricoltura, come operaie nel settore tessile, oppure come assistenti nei lavori domestici al servizio di gruppi di compaesani.

Un breve cenno merita l’emigrazione dei fanciulli, la quale ebbe una rilevanza maggiore di quella femminile e un impatto più forte sull’opinione pubblica. Negli ultimi anni del XIX secolo circa l’8% degli emigranti temporanei dal Friuli era costituito da minori di 14 anni (Cosattini 1983, p. 39). La forza lavoro minorile veniva impiegata soprattutto nelle fornaci, dove era sottoposta a turni di lavoro massacranti. Questo sfruttamento costituiva per loro una sorta di formazione professionale perché con tutta probabilità il loro futuro sarebbe stato quello di muratori, fornaciai o braccianti nel settore edile. Frequentando quotidianamente gli adulti, ne apprendevano purtroppo tutti i vizi, primo fra essi l’abitudine all’alcool che rappresentava uno dei pochissimi svaghi domenicali degli emigranti.

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GR 1. L’emigrazione friulana, 1876-1902 (valori percentuali)

Le prime mete dell’emigrazione permanente dal Friuli furono il Sud America e gli Stati Uniti. È particolare il caso dell’Argentina, dove la consistente presenza di coloni friulani non fu causata da una naturale forma di fascinazione verso quella terra. Si trattò bensì della conseguenza di un’attività propagandistica intensa e ai limiti della legalità, svolta nella regione da agenti alle dipendenze del governo di Buenos Aires16. Il governo argentino, desideroso di colonizzare in maniera rapida vaste aree del proprio territorio, offriva già dal 1876, con la ‘legge di immigrazione e colonizzazione della Repubblica argentina’, condizioni assai favorevoli ai contadini che si volessero trasferire (Caporiacco 1978, p. 23-34).

Contro questi interessi si schierarono i grandi proprietari terrieri friulani che temevano un esodo di massa della forza lavoro dal territorio e il conseguente

16 A sostegno dell’attività di propaganda degli agenti, inizialmente considerati dalle autorità come clandestini, c’erano gli interessi delle grandi compagnie di navigazione che traevano un doppio utile da questi trasferimenti. Il biglietto di viaggio, sotto certe condizioni favorevoli agli armatori, poteva essere versato due volte: una dal governo argentino che in questo modo intendeva fare propaganda all’immigrazione nel proprio paese, l’altra dagli emigranti, ignari dell’esistenza dell’offerta. Ovviamente gli agenti lavoravano alle dipendenze di questi importanti poteri e traevano un vantaggio economico tanto maggiore, quanto più alto era il numero di agricoltori che riuscivano a convincere alla partenza. Non mancavano le truffe. C’erano, per esempio, astuti intermediari che offrivano ingaggi alettanti ai quali non corrispondevano condizioni reali di lavoro nel paese di arrivo. In altri casi agenti di propaganda privi di scrupoli erano assoldati per indurre i propri connazionali all’espatrio a qualsiasi costo e dietro ogni promessa (Angelillo e Betto 2000, p. 17).

I viaggi avvenivano in condizioni talvolta disperate, stipati nelle stive o alloggiati nelle classi più basse di navi transoceaniche. I migranti si imbarcavano sulle navi a vapore che partivano da Genova intraprendendo veri e propri viaggi della speranza che potevano durare alcune settimane, durante le quali ciascuno aveva a propria disposizione spazi vitali ridottissimi (Caporiacco 1978, p. 35-38).

0 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 1876 1877 1878 1879 1880 1881 1882 1883 1884 1885 1886 1887 1888 1889 1890 1891 1892 1893 1894 1895 1896 1897 1898 1899 1900 1901 1902 Permanente Temporanea

Tesi di dottorato di Gianluca Baldo, discussa presso l’Università degli Studi di Udine 29 incremento dei costi. Nel 1878 sorse un comitato, all’interno dell’Associazione Agraria, al fine di tutelare l’emigrazione contadina, nell’ottica e nell’interesse dei possidenti. L’associazione cercò, attraverso indagini, manifesti e proclami, di ridirigere il movimento migratorio in base agli interessi dei proprietari terrieri (Cosattini 1983, p. 24-25).

Gli effetti della propaganda degli incettatori sugli spostamenti dei migranti si concretizzarono inizialmente in un aumento progressivo delle partenze permanenti che raggiunsero nel 1888 il loro valore più alto. Iniziò poi una tendenza discendente, in corrispondenza alla messa in atto da parte del governo italiano di interventi volti a sottrarre i braccianti all’influenza degli agenti e ad assicurare ai lavoratori all’estero le prime forme di tutela sociale ed economica. Particolare attenzione fu dedicata alla regolamentazione dell’attività, spesso clandestina e fraudolenta, degli incettatori (Pagani 1968, pp. 92-96). Tra il 1888 e il 1913 il Regno d’Italia intervenne con leggi e decreti indirizzati al controllo del fenomeno migratorio più in generale e alla tutela della mano d’opera nazionale all’estero.

A fianco degli istituti governativi fu di grande importanza l’opera di enti laici e religiosi, fondati o nati spontaneamente con fini assistenziali. Il Segretariato dell’Emigrazione di Milano inaugurò nel 1900 la propria filiale udinese, si proponeva di ottenere condizioni salariali vantaggiose per gli emigranti attraverso il controllo e il reindirizzo dei flussi. Il Segretariato del Popolo, l’Opera del Mons. Geremia Bonomelli, l’Opera dei Missionari Scalabriniani e l’Opera della protezione della giovane avevano tra i propri obiettivi la tutela degli interessi materiali e morali dei migranti17.

A partire dagli ultimi decenni del XIX secolo i movimenti migratori che interessavano la regione non furono più spinti in maniera esclusiva dalle necessità imposte dalle crisi agrarie o dalla scarsità di mezzi di sussistenza. Dallo sviluppo della maggior parte dei paesi europei in economie industriali nacque un’emigrazione più moderna, capace di essere stimolata dalla attrattiva esercitata dai paesi capitalisti

17 Da segnalare l’opera del Segretariato femminile permanente per la tutela delle donne e dei fanciulli

migranti che nel 1910 era presieduto dalla Contessa M.L. Danieli Comozzi e che si proponeva di

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avanzati. Il fenomeno migratorio si estese così anche a quelle aree della pianura friulana inizialmente toccate in misura solo marginale.

Già i contemporanei, anche a livello istituzionale, intuirono quali potessero essere gli effetti più negativi dell’emigrazione sul territorio (Pagani 1968, pp. 154-160). Essendo di norma gli uomini più forti, determinati e intraprendenti quelli che partono per primi, la terra friulana era stata privata delle sue risorse migliori18. Una prima conseguenza fu il crescente abbandono delle aree rurali perché la maggior parte degli emigranti proveniva appunto dalle campagne. Questo svantaggio fu in parte bilanciato dalle rimesse che affluivano in patria dall’estero e permisero progressi e innovamenti in tutti i settori dell’economia (Cosattini 1983, p. 90).

La vita dei migranti era parca e priva di svaghi. Lo scopo primario era il risparmio, al fine di investire quanto guadagnato nel miglioramento delle proprie condizioni di vita e di quelle dei familiari. È impossibile quantificare esattamente il gettito di queste rimesse, data la pratica comune dei migranti di trasportare con sé i propri guadagni, piuttosto che avvalersi dei servizi degli uffici postali o di istituti creditizi (Pagani 1968, p. 114). Al ritorno in patria i migranti investivano nella casa, in terreni o in cooperative quanto erano riusciti a mettere da parte. Questo genere di investimento ebbe da un lato il vantaggio di stimolare alcuni settori come quello lattiero caseario, altrimenti privi di forme di finanziamento, dall’altro la corsa all’acquisto di terreni causò speculazioni e il frazionamento della proprietà.

Un aspetto fortemente negativo dell’emigrazione è costituito dalle conseguenze del fenomeno sulla salute psicofisica dei lavoratori. Nei periodi di permanenza in Friuli tra gli inoccupati si diffondevano a macchia d’olio l’alcoolismo e sindromi depressive dovute alla forzata inattività. La difficoltà a instaurare normali relazioni umane, caratteristica dello stile di vita stesso degli emigranti, portò a un’incidenza eccezionale di alcune malattie veneree. La sifilide fu nel triennio 1882-84 più diffusa

18 In maniera analoga gli odierni flussi di migranti che dalle aree più povere del pianeta si spostano verso i paesi industrializzati stanno impoverendo di risorse umane preziose i territori di partenza, e ne rallentano ulteriormente lo sviluppo. Il meccanismo si inserisce in un sistema di sfruttamento delle aree meno sviluppate del pianeta. È importante considerare che le rimesse degli immigrati attualmente residenti in molti paesi europei forse potranno un giorno contribuire alla crescita delle economie delle aree più depresse del pianeta spostando assi ed equilibri geopolitici.

Tesi di dottorato di Gianluca Baldo, discussa presso l’Università degli Studi di Udine 31 a Udine che in ogni altra provincia d’Italia19. Si indebolivano i legami familiari, la carenza stagionale di lavoro induceva inquietudine e propensione alla violenza, si diffondevano vizi come il gioco d’azzardo (Cosattini 1983, pp. 96-98).

La criminalità rimase a livelli stabili tra i migranti friulani anche grazie a forme di compensazione. Da una parte diminuivano frodi, furti e omicidi, in virtù delle migliori condizioni economiche locali e del senso di civiltà sviluppato a seguito del contatto con culture estere come quelle nord-europee. D’altro canto la diminuzione di queste tipologie di crimini era bilanciata dall’aumento di liti, tafferugli e lesioni personali, dovute all’abuso si sostanze alcooliche e al forzato ozio nei lunghi mesi di inattività (Pagani 1968, pp. 117-118).

Esistono attestazioni che testimoniano episodi di violenza di cui furono, più o meno volontariamente, protagonisti emigranti friulani all’estero. La casistica e i moventi di questa piccola criminalità la rendono, per alcuni aspetti, assimilabile a quella cui i quotidiani degli ultimi anni ci hanno abituato descrivendo episodi legati alla contemporanea immigrazione straniera in Italia. È interessante però rilevare che le sporadiche attestazioni di tafferugli che ebbero a coinvolgere emigranti friulani all’estero tendono a rappresentare i protagonisti come occasionali vittime dell’ineluttabilità degli eventi20. Ben altri sono i toni utilizzati dalla stampa locale friulana nei confronti degli immigrati stranieri che raggiungono il territorio in cerca di lavoro e per migliorare le proprie condizioni di vita e rimangono impigliati nelle maglie della rete della piccola criminalità.

19 I dati relativi al biennio 1882-84, riportati da Cosattini (1983, pp. 96-97) e ripresi da fonti successive, parlano di 12,4 morti per sifilide nella provincia di Udine ogni 10.000 abitanti rispetto a una media del Regno d’Italia pari a 1,8. Questi valori sono significativi, soprattutto se considerati in funzione delle già citate parole di Carlo Sgorlon riguardo l’onestà e la dedizione al lavoro degli emigranti friulani. Pare piuttosto che i loro costumi, quantomeno in campo sessuale, non fossero poi