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GR 2. Popolazione per continente nel 2008 GR 3. PIL a PPA per continente nel 2008 A fianco della forte crescita demografica dei paesi in via di sviluppo si rileva il A fianco della forte crescita demografica dei paesi in via di sviluppo si rileva il A fianco della forte crescita demografica dei paesi in via di sviluppo si rileva il

3.3. Il mondo del lavoro

Accedere direttamente ai dati, se pure non sensibili, raccolti annualmente dall’Istituto INPS e dagli Uffici per il Lavoro regionali si è rivelato purtroppo

140.122 140.280 140.930 141.000 141.991 5.785 7.067 8.848 10.505 11.936 130.000 135.000 140.000 145.000 150.000 155.000 2002-03 2003-04 2004-05 2005-06 2006-07 italiani stranieri

74 Tesi di dottorato di Gianluca Baldo, discussa presso l’Università degli Studi di Udine

eccessivamente dispendioso in termini di tempo e complesso dal punto di vista burocratico. I valori offerti dall’Osservatorio Regionale sull’Immigrazione (in particolare IRES FVG 2008, pp. 51-74) permettono comunque di avanzare alcune semplici generalizzazioni riguardo al periodo tra il 2000 e il 2006.

Il Friuli Venezia Giulia ha manifestato i suoi primi segni di ripresa economica in ritardo rispetto al resto della nazione. Già nel 1963, però, anno in cui la Regione si costituì autonoma, la ripresa fu percepita in maniera diretta anche dalla popolazione residente, tanto da innescare un deciso meccanismo di rientro dei familiari emigrati dall’estero. Quasi contemporaneamente i nuovi flussi migratori della fine XX secolo iniziarono a interessare il territorio regionale che cominciò a esercitare una forza attrattiva sempre più marcata nei confronti della mano d’opera estera58.

La crisi del modello economico fordista, basato sull’esistenza di grandi impianti industriali e di ampi bacini di mano d’opera a basso costo, si manifestò con forza in tutta Europa nel corso degli anni Settanta e Ottanta59. Le economie post-industrializzate mature si resero conto che la mano d’opera autoctona non era più sufficiente a soddisfare le necessità dell’apparato produttivo. Ne conseguirono i

58 Le nuove migrazioni hanno dei caratteri differenti da quelle del passato. Spesso è il prevalere dei fattori di spinta a costringere masse di popolazione assai consistenti a mettersi in viaggio alla ricerca di condizioni di vita migliori o anche solo accettabili. In questi casi i migranti di solito non hanno una destinazione precisa e tendono a spostarsi rapidamente alla ricerca di territori dove sia possibile trovare un più facile inserimento nel tessuto sociale e lavorativo. Il geografo Gentileschi individua nel lavoro e nella casa due fattori di distribuzione e attrazione importanti tra quelli che spingono una minoranza immigrata a stanziarsi in un territorio. L’accessibilità a una soluzione abitativa e le opportunità offerte dal mercato del lavoro locale possono esercitare un’influenza decisiva sulle scelte dei migranti. L’osservazione dei caratteri peculiari della geografia delle migrazioni spinge il docente cagliaritano a osservare anche come una forza lavoro con le caratteristiche di quella descritta possa difficilmente situarsi in rapporto di competizione con quella autoctona. Al contrario, la sua funzione sarebbe strettamente complementare, giacché la mano d’opera immigrata si muove alla ricerca di quelle nicchie del mercato del lavoro (lecito, così come illecito) lasciate libere dagli italiani perché non sufficientemente remunerative, sicure o troppo ad alto rischio (Gentileschi 2009, pp. 23-27). 59 Böhning, in un suo importante studio sui flussi migratori diretti verso il Regno Unito tra la fine degli anni Sessanta e l’inizio del decennio successivo, descrive nel dettaglio le cause che conducono un sistema economico di tipo post-industriale capitalista liberale a diventare polo di attrazione per la forza lavoro immigrata proveniente da altri paesi meno sviluppati. Secondo Böhning si tratterebbe di un processo inevitabile e che tende, una volta avviato, ad autoalimentarsi producendo effetti sul tessuto socio-economico sia del paese di arrivo, sia di quelli di partenza (Böhning 1972, p. 54 ss.).

Tesi di dottorato di Gianluca Baldo, discussa presso l’Università degli Studi di Udine 75 primi grandi fenomeni di ‘delocalizzazione produttiva’ alla ricerca di forza lavoro a costi più accessibili60.

Una diversa soluzione al problema fu offerta dalla presenza di sacche sempre più consistenti di mano d’opera immigrata disposte ad accettare quasi qualsiasi condizione di lavoro fosse offerta dalle imprese. I comparti produttivi iniziarono a manifestare una richiesta di forza lavoro che divenne ben presto strutturale, ossia congenita al sistema. In particolar modo questa tendenza è confermata per alcuni settori del mercato nei quali lo stesso concetto di ‘delocalizzazione produttiva’ sarebbe un controsenso: l’agricoltura, l’edilizia, i servizi alla persona. In Friuli Venezia Giulia, territorio in cui l’apparato produttivo dell’economia si fonda sul concetto di piccola e media impresa, la via della delocalizzazione non è sempre stata la più conveniente o praticabile. Ecco, allora, come confermano i dati dell’Osservatorio Regionale sull’Immigrazione, che la richiesta di mano d’opera a buon mercato divenne ben presto strutturale nell’economia regionale.

60 I cambiamenti strutturali del mercato del lavoro e le nuove esigenze dell’apparato produttivo hanno riproposto in Italia il dibattito già attraversato da alcune delle più importanti nazioni europee che furono meta di importanti flussi migratori, composti anche da contingenti di italiani e friulani, nel periodo tra il Dopoguerra e il sopraggiungere della crisi petrolifera del 1973. Il concetto di ‘lavoratore ospite’ ha in qualche modo sempre attratto l’interesse dei settori industriali e produttivi, di parte della classe politica e dell’opinione pubblica. Fare dell’Italia un paese, secondo le parole di Pugliese “non di immigrazione ma di soggiorno prolungato e temporaneo” sembra sia stata inizialmente l’utopia anche della classe dirigente italiana (2002, p. 28). La successiva maturazione del processo immigratorio ha smentito per l’Italia, così come era accaduto per la Germania e per gli altri paesi europei in passato, la realizzabilità di un simile progetto.

La contraddittoria aspirazione alla presenza di un certo contingente di ‘lavoratori ospiti’ vincolati a una domanda di mano d’opera da parte dei comparti produttivi locali nasce dal divario tra il grado di sviluppo dei sistemi economici e quello di liberalizzazione del mercato del lavoro internazionale. La globalizzazione avvenuta per i capitali, per la produzione e per la commercializzazione dei beni, non si è ancora manifestata compiutamente per la forza lavoro, rimasta in un certo senso prigioniera di confini nazionali sempre meno adeguati a soddisfare i bisogni di una società globale così integrata. La contraddizione nata da tale sperequazione ha trovato un parziale riequilibrio grazie ai movimenti migratori che hanno messo a disposizione dei comparti produttivi locali la mano d’opera a basso costo di cui essi necessitavano per far fronte alla concorrenza estera. Questa osservazione è particolarmente pregnante nel caso di sistemi economici, come quello locale friulano, fondati su piccole imprese che non sarebbero in grado di sostenere i costi di un processo di totale o parziale delocalizzazione (Tellia 2001, 17-20).

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GR 13. La presenza di lavoratori stranieri in Friuli Venezia Giulia, 2000-06 (elaborazione dati IRES)

Lavoratori stranieri dipendenti Lavoratori stranieri dipendenti per anno di esordio nel mercato del lavoro regionale I dati raccolti per il periodo tra il 2000 e il 2006 consentono di valutare l’andamento della presenza di lavoratori dipendenti stranieri all’interno del sistema economico regionale61. La crescita è stata lineare e sostenuta nel corso degli anni e ha affiancato parallelamente lo sviluppo rapido dei settori produttivi. È interessante notare come il numero dei nuovi assunti, chiamati a integrare il contingente di lavoratori già presenti sul territorio dagli anni precedenti, sia quasi costante e si aggiri attorno alle 9.000 unità. In questo senso i dati a disposizione permettono una stima relativamente precisa della necessità di mano d’opera estera espressa dai comparti produttivi locali, ovvero una misura del fabbisogno strutturale espresso annualmente dall’economia friulana (IRES FVG 2008, p. 59). La conoscenza di questi dati ha permesso all’Agenzia Regionale del Lavoro di formulare previsioni annuali abbastanza accurate sul bisogno di mano d’opera straniera nei diversi settori.

61 L’incidenza delle diverse tipologie contrattuali tra i lavoratori immigrati rivela la preponderanza dei contratti a tempo indeterminato pari, per l’anno 2005, al 61,6% del totale. Se da un lato questa è un’evidente necessità degli stranieri, poiché il contratto a tempo indeterminato è quello che offre loro maggiori garanzie al momento della richiesta o del rinnovo del permesso di soggiorno, dall’altro la disponibilità delle imprese a investire in termini di fidelizzazione della forza lavoro a lungo termine testimonia una buona salute e tenuta del tessuto economico locale (IRES FVG 2008, p. 60).

0 5.000 10.000 15.000 20.000 25.000 30.000 35.000 40.000 45.000 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 6.494 13.353 17.524 22.467 21.477 27.384 10.396 8.182 9.631 9.022 8.872 8.257 0 5.000 10.000 15.000 20.000 25.000 30.000 35.000 40.000 2000 2001 2002 2003 2004 2005 anni prec. neo-assunti

Tesi di dottorato di Gianluca Baldo, discussa presso l’Università degli Studi di Udine 77 L’analisi della distribuzione

della forza lavoro straniera nei diversi macrosettori produttivi riproduce con una certa fedeltà i dati nazionali e mostra un forte addensamento delle presenze nei servizi, fattore tipico delle società economicamente più sviluppate. Indagando nel dettaglio i valori forniti dall’Istituto di Ricerche

GR 14. Lavoratori stranieri per settori nel 2008

Economiche e Sociali regionale è possibile confrontare le dinamiche di sviluppo nel tempo dell’incidenza di mano d’opera straniera in diversi settori (IRES FVG 2008, p.56). Risulta così che, tra il 2000 e il 2005, gli incrementi più sostenuti sono stati nei servizi domestici e nell’agricoltura.

Nel primo caso l’incremento è stato del 384,8% e probabilmente si tratta di una conseguenza della regolarizzazione di molte operatrici socio-sanitarie attuata dalla grande sanatoria del 2002. Stupisce in parte il dato che si riferisce all’agricoltura e alla pesca, settore nel quale si è registrato un incremento percentuale del 311,9%. Il settore primario è sempre stato in Friuli Venezia Giulia un campo di impiego marginale per la forza lavoro immigrata. La spiegazione più plausibile a questi valori sembra essere quella di una possibile identificazione delle professioni connesse all’agricoltura con occupazioni sempre meno ambite e desiderabili per gli italiani. La nicchia lasciata scoperta dalla forza lavoro autoctona sarebbe stata rapidamente riempita da quella straniera. I valori di incremento paragonabili, seppure più contenuti, rilevati per i servizi di pulizie, per quelli socio-sanitari e per le costruzioni sarebbero una conferma all’ipotesi di un meccanismo del genere in atto62.

62 Secondo Böhning il passaggio da società industriale a post-industriale innesca un miglioramento delle condizioni della classe lavoratrice che porta alla diffusione di un più alto livello di scolarizzazione e permette l’accesso a beni di consumo fino a quel momento non raggiungibili(1972, pp. 54-56). Come conseguenza si genera anche una maggiore mobilità sociale che conduce presto a disertare le occupazioni percepite come meno desiderabili a vantaggio di altre meglio retribuite e considerate a livello sociale. Nel mercato del lavoro si generano così delle nicchie che vengono riempite da forza lavoro immigrata a basso costo. Se così non accadesse i settori specifici abbandonati dalla mano d’opera autoctona andrebbero incontro a una crisi e recessione. Per caratteristica stessa

10%

29%

16% 45%

78 Tesi di dottorato di Gianluca Baldo, discussa presso l’Università degli Studi di Udine

Il fattore età è trasversale a tutte le altre serie di dati regionali osservati e il suo studio premette di avanzare osservazioni interessanti in merito alla composizione demografica della forza lavoro autoctona rispetto a quella straniera.

GR 15. Lavoratori per classi di età, in Friuli Venezia Giulia nel 2005

Il calcolo della distribuzione percentuale per classi di età dei lavoratori friulani e di quelli stranieri evidenzia con chiarezza un punto di scavalcamento tra le due curve. La forza lavoro regionale registra i tassi di attività più elevati tra i 35 e i 44 anni63. La mano d’opera immigrata è, al contrario, molto più giovane e presenta un picco assoluto tra i 25 e i 34 anni (IRES FVG 2008, p. 58). Da questo punto di vista i dati sull’accesso al mondo del lavoro confermano quanto la presenza straniera sia una risorsa preziosa per rivitalizzare tanta parte del tessuto sociale locale. In quest’ottica, oltre che su un piano culturale più ampio, suonano quasi profetiche le parole dette dal geografo Barbina nel discorso di prolusione all’apertura dell’Anno Accademico 1998-99 dell’Ateneo udinese: “l’unica prospettiva possibile è quella di considerare questi immigrati quali persone che hanno qualcosa da darci in cambio di quello che noi stentiamo a dare loro, che possono far rinascere la vecchia Europa su culture nuove” (Barbina 2001, p. 26).

dell’evoluzione del sistema economico, quindi, i datori di lavoro dei paesi post-industrializzati abbisognano di una quota di lavoratori stranieri i quali, tra l’altro, permettono anche di attuare convenienti politiche di livellamento verso il basso dei salari.

63 Il dato regionale presenta un andamento non dissimile a quello nazionale; anzi, dal confronto tra i diversi profili delle distribuzioni percentuali per classi di età è possibile sostenere che la tendenza all’invecchiamento della forza lavoro nazionale sia ancora più evidente e marcata nel caso del Friuli Venezia Giulia (Bonifazi 2007, pp. 159-160).

0 5 10 15 20 25 30 35 40 15-24 25-34 35-44 45-54 55-64 65+ Italiani Stranieri

Tesi di dottorato di Gianluca Baldo, discussa presso l’Università degli Studi di Udine 79 CAPITOLO IV

Osservazioni sulla minoranza del Burkina Faso a Spilimbergo

La realtà locale è stata introdotta inizialmente attraverso uno sguardo storico rivolto ai trascorsi movimenti di forza lavoro diretti dalla regione verso l’estero e in seguito secondo un punto di vista di segno opposto, ovvero prestando attenzione all’immigrazione internazionale diretta verso l’Italia e il Friuli Venezia Giulia nel decennio tra il 2000 e il 2010. Questo tipo di approccio è inteso a fornire la cornice all’interno della quale affrontare lo studio della comunità burkinabè.

Da un lato considerare le partenze dei friulani nei secoli passati ha consentito di evidenziare tratti che in alcuni contesti si possono ritrovare anche nei flussi di migranti che hanno interessato la regione dai primi anni Settanta. Dall’altro, le cifre e le statistiche nazionali hanno permesso di individuare rispetto al caso burkinabè sia analogie, sia peculiarità significative. Il primo passo nello studio della minoranza è stato perciò raccogliere dati sulla presenza sufficienti a rendere praticabili alcuni di questi paragoni. Sul piano anagrafico la comunità è stata indagata ricorrendo sia alle cifre pubblicate dall’istituto di statistica regionale, sia effettuando ricerche dirette a livello locale.